VALDAMBRINI, Oscar
VALDAMBRINI, Oscar. – Nacque a Torino l’11 maggio 1924 da Agostino e da Giulia Sintoni; ebbe una sorella, Nuccia. Il padre era un violinista che a sei anni lo avviò allo studio dello strumento e nel 1934 lo iscrisse al conservatorio, dove il ragazzo studiò con Enrico Pietrangeli, diplomandosi nel 1941. Nel 1936 iniziò anche lo studio della tromba con Emanuele Giudice, mentre avviava un’attività professionale da violinista: nel 1939, a quindici anni, era nell’orchestra dell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (EIAR) diretta da Tito Petralia, che lasciò nel 1941. Venne quindi ingaggiato dall’argentino Rafael Canaro (fratello del più noto direttore d’orchestra di tanghi Francisco), con cui suonò in Germania per diversi mesi, in particolare a Berlino, dove incontrò altri musicisti italiani. Dopo un ingaggio con l’orchestra di Georges Boulanger, tornò all’EIAR, sempre come violinista, ma all’inizio del 1942 lasciò di nuovo l’orchestra per entrare come trombettista in quella da ballo di Carlo Zeme, con cui rimase fino al 1945. Si unì anche all’orchestra di Battista Gimelli e a un certo punto suonò in parallelo con entrambe. Proprio Gimelli lo introdusse al jazz e all’improvvisazione, stile per il quale scoprì di possedere un’indole spiccata e in cui fece rapidi progressi. Tra il 1947 e il 1949 suonò con il pianista Cesare Canessa. Nel 1948 fu già in grado di affiancare il grande cornettista Rex Stewart in una jam session a Torino.
Nel 1949 fu ingaggiato da Tullio Mobiglia, che lo portò a Milano. In questo periodo abbandonò definitivamente il violino per la tromba. A Milano nel 1950 conobbe il sassofonista piemontese Gianni Basso: l’anno dopo i due registrarono dei dischi per la Durium in un quintetto assemblato dagli Amici del jazz di Milano e guidato da Piero Umiliani. Nel 1952 il sodalizio umano e artistico tra Basso e Valdambrini si consolidò durevolmente. Alla fine dell’anno si ritrovarono ancora in studio per registrare quattro brani ciascuno a proprio nome, in prevalenza canzoni italiane interpretate in jazz: una scelta controcorrente in un’epoca in cui i critici e i musicisti di jazz italiani consideravano la canzone un prodotto commerciale scadente. Questi dischi, tra i più riusciti del jazz italiano del dopoguerra, gettarono i semi della decennale collaborazione tra i due. Nell’inverno del 1954-55 Basso e Valdambrini si esibirono regolarmente alla Taverna Messicana di Milano, un piccolo locale frequentato da una clientela pittoresca ed eccentrica: «Era un posto molto diverso da quelli di oggi. Suoni e c’è della gente che ti ascolta in silenzio. Alla Taverna in un certo senso suonavamo solo per noi. C’erano prostitute, malavitosi, gente della Milano bene, ma anche gente normale, appassionati di jazz, girava la droga e i proprietari se ne fregavano di quello che suonavi, bastava che suonassi» (così il musicista stesso, in Mazzoletti, 2010, p. 949). Per dare un’idea dell’igiene, Basso ha ricordato la presenza di roditori e la propensione del proprietario a portare animali in sala. Per anni la Taverna Messicana rimase l’epicentro del miglior jazz a Milano, un riferimento per i jazzisti americani di passaggio.
All’inizio Basso vi suonava con un suo quintetto: poiché mancava una tromba, chiese a Valdambrini di unirsi al gruppo. Il quale, dopo un primo diniego, acconsentì; subito adattò per il Sestetto italiano – questo il nome della nuova formazione – una serie di arrangiamenti dell’inglese Dennis Armitage. I pezzi, con nuovi, eccellenti arrangiamenti di Giampiero Boneschi, furono poi presentati nel marzo del 1955 al 5° Festival nazionale del jazz di Milano e registrati per la Columbia il mese dopo. Il Sestetto italiano ebbe vita breve, anche se suonò in vari festival, tra cui Sanremo e Lione, per poi sciogliersi definitivamente nel 1957.
I destini del Sestetto italiano si intrecciarono con quelli del nuovo Quintetto Basso-Valdambrini: questo gruppo si presentò dal vivo già al Gala del jazz di Milano nell’ottobre del 1955, ma fece il debutto ufficiale al Festival del jazz di Sanremo nel gennaio del 1957. Il Quintetto Basso-Valdambrini ha lasciato un segno profondo nella storia del jazz in Italia: nei successivi quindici anni si affermò come il gruppo più longevo della scena italiana e il protagonista indiscusso, per qualità estetica, del panorama jazzistico negli anni Sessanta. Nel tempo vi si succedettero tre pianisti, Renato Angiolini (1955-56), Gianfranco Intra (1956-58) e soprattutto Renato Sellani (1958-71); due contrabbassisti, Berto Pisano (1955-58) e Giorgio Azzolini (1958-1971); tre batteristi, Gil Cuppini (1955-58; fu pubblicata a suo nome la prima seduta di registrazione del gruppo), Gianni Cazzola (1958-62), Lionello Bionda (1962-69), e di nuovo Cuppini (1970-71).
Tra le registrazioni più notevoli vanno segnalati l’album Basso-Valdambrini quintet (1959), in cui si afferma la vena compositiva di Valdambrini (Lo struzzo Oscar, Lotar). Nello stile musicale del gruppo prevalgono l’interesse per il contrappunto mutuato dalla scuola californiana, la concisa inventiva degli assolo improvvisati, sempre inseriti in una cornice di eleganti arrangiamenti che sfruttano al meglio i colori e le dinamiche del quintetto, il gusto sorvegliato eppur brillante delle esecuzioni. Il Valdambrini solista spicca per il fuoco controllato, la varietà melodica e ritmica, il lirismo pervaso da una nervosa vena ritmica, che contrasta con l’approccio più sensuale ed energico di Basso.
Alla fine del 1959 l’album A new sound from Italy vide il quintetto allargato a ottetto, con l’aggiunta tra gli altri del notevole sax baritono svedese Lars Gullin, frequentatore della scena milanese, e dell’arrangiatore svizzero George Gruntz, deuteragonisti di uno dei dischi più belli e importanti del decennio. Gruntz rimase poi l’arrangiatore privilegiato del gruppo, anche nella successiva formazione in sestetto.
Nonostante i problemi di salute cardiaca che lo afflissero, Valdambrini fu richiesto in molte formazioni, per l’impeccabile professionismo e l’elevata, costante qualità degli interventi solistici: tra il 1956 e il 1958 collaborò come trombettista e arrangiatore con l’Orchestra jazz di Armando Trovajoli e più avanti con le big band di Cuppini (tra il 1964 e il 1971), Giorgio Gaslini (1968-69) e Maynard Ferguson (1970-71).
Nel 1962 al quintetto si aggiunse il trombone a pistoni di Dino Piana, che aveva già partecipato due anni prima come ospite del quintetto a un disco per la Jolly. Il sestetto rimase stabile fino al 1974; il contributo compositivo di Valdambrini al repertorio fu fondamentale.
Nel 1962 la casa di cosmetici Elizabeth Arden, in collaborazione con il rotocalco Rotosei, indisse il concorso The best modern jazz in Italy 1962. Il gruppo si aggiudicò il premio, guadagnandosi un viaggio negli Stati Uniti per concerti da tenere allo Half Note e al Birdland Jazz Club di New York. Ma le restrittive politiche sindacali statunitensi impedirono qualsiasi esibizione. Prima di partire per gli USA, il sestetto registrò come parte del premio un disco per la RCA: un lavoro di particolare pregio, in cui Valdambrini esibì un approccio più energico. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta incontrò in jam session o in concerti ufficiali alcuni tra i maggiori musicisti statunitensi: Lionel Hampton, Chet Baker (entrambi nel 1956), Helen Merrill (1961), Buddy Collette, che il quintetto accompagnò nel disco Buddy Collette in Italy (1961). A gennaio del 1967 Duke Ellington lo volle in orchestra durante i due giorni di permanenza a Milano, coinvolgendolo in una seduta di prove registrate del 14 (rimasta inedita) e nei due concerti al Teatro Lirico del 15. Ellington, che lo chiamava ‘Mambrini’, lo volle ancora con sé per il concerto milanese del 28 ottobre 1969.
L’ingresso di Piana nel 1967 nell’Orchestra della televisione di Roma rallentò l’attività del sestetto (che infatti incise anche dei dischi senza il trombonista). Poco dopo in orchestra entrò anche Basso e nel 1972 lo stesso Valdambrini, che da Milano si trasferì a Roma. Basso lasciò quasi subito l’orchestra per tornare a Milano, e nel 1974 il gruppo storico cambiò nome in Quintetto Piana-Valdambrini, con base a Roma. In questa nuova formazione si alternavano varie sezioni ritmiche, principalmente con Enrico Pieranunzi al pianoforte, Massimo Moriconi al basso e Roberto Gatto o Gegè Munari alla batteria. Dal 1978 il gruppo si allargò di nuovo a sestetto con l’aggiunta del trombettista Franco Piana (figlio di Dino), ma negli anni Ottanta e Novanta Valdambrini diradò gli impegni per l’aggravarsi dei problemi di salute. Il sestetto degli anni Sessanta, con Basso e Dino Piana, si riunì eccezionalmente ancora una volta il 12 maggio 1993 per un concerto alla Town Hall di New York.
Valdambrini morì a Roma il 26 dicembre 1996.
Uomo schivo e musicista rigoroso, Valdambrini, come il suo gruppo, avrebbe potuto godere di una fama più vasta. Come ha ricordato Dino Piana: «Se avessimo voluto, il successo internazionale lo avremmo potuto ottenere già negli anni Sessanta, ma Oscar, a differenza di me, Basso, Cazzola, Azzolini e Sellani, era piuttosto restio a viaggiare. Al massimo potevamo convincerlo ad andare a Lugano. Gli piaceva, dopo i concerti, stare con gli amici, nei ristoranti che conosceva e nei luoghi dove si trovava a proprio agio. Era molto legato al suo ambiente e alle persone con le quali stava bene» (cfr., Mazzoletti, 2010, p. 964).
Fonti e Bibl.: A. Zoli, Storia del jazz moderno italiano. I musicisti, Roma 1983, pp. 39 s.; A. Mazzoletti, Il jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta, Torino 2010, pp. 649 s., 944-951, 953-956, 960-969.