Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La relazione tra la vita e l’arte è centrale in Oscar Wilde: scrittore e vero e proprio personaggio, brillante, ironico, dissacrante, più che l’ultimo esponente dell’epoca vittoriana, egli costituisce il primo rappresentante della modernità. L’immagine pubblica del dandy, gli scandali, il processo per omosessualità si accompagnano a un’intensa attività intellettuale su più fronti, nell’ambito della poesia e del romanzo, della saggistica e del teatro, in nome di una sensibilità basata sull’autonomia della creazione artistica.
Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, nato a Dublino nel 1854 da un illustre medico oculista con interessi antiquari e archeologici e da una poetessa e patriota che scrive sotto lo pseudonimo di Speranza, studia alla Portora Royal School, a Enniskillen, sulle orme del fratello maggiore, e in seguito frequenta il Trinity College di Dublino, concentrando i suoi interessi sul classicismo e le teorie estetiche. Nel 1874 entra al Magdalen College di Oxford dove incomincia a elaborare la sua teoria dell’arte per l’arte, seguendo gli insegnamenti di John Ruskin e Walter Pater. Si laurea brillantemente e, partecipando alla vita mondana e atteggiandosi a dandy, acquisisce ben presto la fama di personaggio brillante e dalle pose stravaganti.
Dopo la laurea viene attratto dal cattolicesimo di Newman, che critica il conformismo borghese della fede anglicana, ma solo per un brevissimo periodo. Nel 1881 pubblica il suo primo volume di versi, che traggono ispirazione da Swinburne, Rossetti e Keats. Viaggia in Italia e poi in Grecia e a Parigi. In seguito, nel 1882, soggiorna a lungo negli Stati Uniti, dove svolge un ciclo di conferenze e produce anche la sua prima opera teatrale, Vera, che tuttavia non ha successo. L’esperienza americana però è molto importante per la sua formazione. A Londra sposa Constance Lloyd, da cui avrà due figli. Intanto lavora come recensore per la "Pall Mall Gazette" e dirige, tra il 1885 e il 1887, il "Woman’s World". Nel 1886 pubblica Il fantasma di Canterville (The Canterville ghost), l’anno successivo esce la raccolta di fiabe Il principe felice (The happy prince), che rivela la sua capacità di trasformare la fiaba in allegoria romantica.
Nell’ultimo decennio della sua esistenza, Wilde scrive e pubblica quasi tutte le sue opere maggiori. Il romanzo Il ritratto di Dorian Gray (The picture of Dorian Gray) appare in versione ridotta su una rivista americana nel 1890, poi in volume nel 1891. Dello stesso anno è la pubblicazione di Intenzioni (Intentions), una raccolta di saggi sull’estetica. L’anno successivo incontra Alfred Bruce Douglas, detto Bosie, un giovane poeta di famiglia aristocratica, con cui intreccia un forte legame sentimentale.
I più grandi successi di Wilde sono comunque le commedie di società, in cui impiega il suo wit e lo stile epigrammatico per dar vita a drammi molto innovativi per il teatro inglese di fine Ottocento. Il ventaglio di Lady Windermere (Lady Windermere’s fan) ottiene un grande successo teatrale nel 1892. L’anno successivo viene pubblicato il dramma macabro e misticheggiante Salomè in francese, poi tradotto in inglese con le celebri illustrazioni di Aubrey Beardsley. La seconda commedia di società, Una donna senza importanza (A woman of no importance) viene rappresentata per la prima volta nel 1893, mentre il capolavoro teatrale di Wilde è da molti considerato L’importanza di chiamarsi Ernesto (The importance of being Earnest) del 1895, dove gli elementi convenzionali della farsa sono trasformati in epigrammi satirici che mettono a nudo le ipocrisie vittoriane.
Nel 1895 il padre dell’amico Bosie, il marchese di Queensberry, accusa Wilde di sodomia e questi lo denuncia per diffamazione; il processo che segue si conclude con la condanna di Wilde, essendo l’omosessualità un reato per le leggi britanniche. Lo scandalo che accompagna la condanna allontana da lui anche la moglie e i figli. Wilde non fugge in Francia per evitare la condanna, come gli viene consigliato dagli amici, e per lui si aprono le porte del carcere di Reading dove rimane recluso per due anni. Nel 1897, mentre si trova in prigione, scrive una lunga lettera a Douglas, che verrà in seguito pubblicata come De profundis, in cui lo accusa di essere stato la causa della sua rovina. Wilde emerge in questo modo come una figura tragica, per quanto i motivi della sofferenza e del destino incombente siano presenti in tutta la sua opera. Wilde è il regista del suo stesso mito: la condanna lo fa passare da dandy di ispirazione romantica a eroe tragico, per il trattamento disumano subito da un artista. Quando esce dalla prigione è un uomo cambiato, che alla religione della bellezza ha sostituito quella del dolore.
Dopo essere tornato in libertà, nel 1898 scrive La ballata del carcere di Reading (The ballad of Reading gaol), in cui rivela le condizioni disumane del carcere. Wilde appare sempre più marginalizzato e screditato; viaggia tra Palermo e Roma; infine torna a Parigi, dove muore di meningite.
L’estetica fin-de-siècle vede nell’arte una dimensione spirituale che si oppone alla banalità dell’esistenza quotidiana: in The picture of Dorian Gray (1891) Wilde dà piena espressione alla sua concezione dell’arte, in base a cui è la natura a imitare l’arte e non viceversa, rivendicando la capacità dell’arte di modellare le convenzioni e gli schemi intellettuali con cui viene percepito il mondo. Si tratta dell’unico romanzo prodotto dall’autore, che racconta la storia faustiana di un uomo che vende l’anima per l’eterna giovinezza. Nella prefazione scritta per la seconda versione, che comprende l’aggiunta di alcuni capitoli rispetto alla versione originale, si sostiene che l’arte deve essere apprezzata in termini puramente estetici, senza alcuna considerazione morale – un concetto ribadito anche nella produzione saggistica di Wilde.
I debiti nei confronti del mito faustiano e del patto con il diavolo sono evidenti, come il tema della duplice identità, che è al centro del racconto. Del resto, il motivo dell’identità divisa, pubblica e privata, interessa ogni personaggio wildiano, come dimostrano anche le commedie, e in particolare L’importanza di chiamarsi Ernesto. Attraverso la rappresentazione delle complesse relazioni tra vita, arte, bellezza e trasgressione viene offerto un ritratto cinico della vita dell’alta società vittoriana a Londra. La fede nel valore della bellezza e della giovinezza è il meccanismo che porta alla dannazione di Dorian Gray.
Oscar Wilde
Il ritratto di Dorian Gray
Harry, a volte penso che nella storia del mondo ci siano solo due momenti importanti. Il primo è quando appare un nuovo mezzo artistico, il secondo quando appare una nuova personalità artistica. Quello che per i veneziani fu l’invenzione dei colori a olio, fu per la tarda scultura greca il volto di Antinoo e un giorno sarà per me il volto di Dorian Gray. Non solo perché dipingo, disegno, schizzo prendendolo come modello. Naturalmente ho fatto tutte queste cose, ma Dorian è per me molto più di un modello o di un soggetto. Non ti dirò che non sono soddisfatto di quel che ho tratto da lui, né che la sua bellezza è tale che l’arte non è in grado di esprimerla. Non c’è nulla che l’arte non possa esprimere e so che ciò che ho fatto da quando ho conosciuto Dorian è un buon lavoro, il miglior lavoro della mia vita. Ma in qualche strano modo, spero che mi capirai, la sua personalità mi ha suggerito uno stile e una forma artistica completamente nuovi. Vedo diversamente le cose e le penso diversamente. Adesso sono in grado di ricreare la vita in una forma che prima mi era preclusa.
Ha un viso meraviglioso, signor Gray. Non si accigli: lo ha. E la bellezza è una manifestazione del genio. In realtà è più elevata del genio, perché non ha bisogno di spiegazioni. È una delle grandi cose del mondo, come le luci del sole o la primavera, o come il riflesso nell’acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono. Lei sorride? Ah! Quando l’avrà perduta non sorriderà più […]. A volte la gente dice che la bellezza è solo superficiale. Può darsi. Ma perlomeno non è superficiale quanto il pensiero. Per me, la bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l’invisibile […]. Sì, signor Gray, gli dei gli sono stati propizi. Ma ciò che gli dei danno, lo tolgono in fretta. Lei ha solo pochi anni da vivere realmente, perfettamente e pienamente. Quando la sua giovinezza se ne sarà andata, la sua bellezza la seguirà e allora improvvisamente si renderà conto che non ci saranno più trionfi per lei, oppure dovrà accontentarsi di quei mediocri trionfi che il ricordo del passato renderà amari più di sconfitte. Ogni mese che passa la avvicina a qualcosa di tremendo. Il tempo è geloso di lei e combatte contro i suoi gigli e le sue rose. Il suo colorito si spegnerà, le guance si incaveranno, gli occhi perderanno luminosità. Soffrirà, orrendamente […]. Ah! Approfitti della giovinezza finché la possiede.
Ma questo delitto […] lo avrebbe perseguitato per tutta la vita? Sarebbe sempre stato costretto a sopportare il peso del suo passato? Doveva proprio confessare? Mai. Era rimasto solo un elemento di prova contro di lui. Il ritratto: ecco la prova. Lo avrebbe distrutto. Perché lo aveva conservato per tanto tempo? Una volta gli faceva piacere vederlo cambiare e invecchiare. Negli ultimi tempi questo piacere era scomparso. Lo teneva sveglio la notte. Quando era lontano lo terrorizzava l’idea che altri potessero vederlo, aveva portato la malinconia nelle sue passioni, il suo ricordo gli aveva rovinato diversi momenti di gioia. Per lui aveva rappresentato la coscienza. Sì. Era stato una coscienza. L’avrebbe distrutto.
Si guardò in giro e vide il coltello che aveva colpito Basil Hallward. Lo aveva pultio molte volte e non vi era rimasta nessuna macchia: era liscio e lucente. Come aveva ucciso il pittore, così avrebbe ucciso la sua opera e tutto ciò che essa significava. Avrebbe ucciso il passato e, quando il passato fosse morto, sarebbe stato libero. Avrebbe ucciso la mostruosa vita della sua anima e, senza i suoi infami avvertimenti, si sarebbe sentito in pace. Afferrò il coltello e colpì la tela.
Si udì un grido poi un tonfo. Un grido di agonia così terribile che i domestici si svegliarono spaventati e uscirono intimoriti dalle loro stanze. Due signori che passavano nella piazza si fermarono e guardarono in alto, verso la grande casa. Proseguirono finché incontrarono un poliziotto e lo condussero lì. L’uomo suonò diverse volte il campanello ma non ottenne risposta. Tranne una finestra illuminata all’ultimo piano, la casa era immersa nell’oscurità. Dopo un poco si allontanò, si fermò sotto un portico vicino e rimase a osservare.
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, trad. it. di E. Cola, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2009
Il ritratto riprodotto in un quadro costituisce la metafora dei rapporti tra l’arte e la vita, contraddittori e inconciliabili. Anche il tema della maschera sul volto esprime il disagio di vivere la fin-de-siècle. Il bellissimo Dorian Gray ha della bellezza una concezione morbosa e torbida; il suo amico pittore Basil gli dona un ritratto al culmine del suo fascino e della sua gioventù. Dorian avverte il dolore per la bellezza che sfiorirà e formula il voto che le tracce del tempo segnino il ritratto e non il suo volto. Concentrato solo su se stesso, Dorian è incapace di amare, vive una vita dissoluta, mentre il ritratto viene coperto con un drappo e chiuso in una stanza. Giunto a livelli di abiezione scandalose, Dorian uccide Basil, che è la sua coscienza; poi distrugge il ritratto, e i suoi servitori lo ritrovano morto, invecchiato d’un colpo, accanto al ritratto stesso. Una forte componente omosessuale è sottesa al romanzo, attraverso la descrizione del rapporto tra Basil e Dorian.
Dorian vuole dunque annientare il ritratto nel quadro, ma uccide se stesso. L’artificio del quadro che invecchia e del soggetto che rimane giovane è la rivisitazione dell’aspirazione faustiana a non invecchiare. Dorian è un personaggio fragile, vive l’esperienza attraverso il filtro dell’arte, come dimostra il suo innamoramento per l’attrice Sybil Vane: l’incanto amoroso si dissolve dopo una mediocre recitazione della giovane, e così muore anche l’amore.
Nel rifiuto di un’estetica del realismo, che implica però l’arguta riformulazione delle idee naturalistiche ruskiniane, nella dialettica wildiana fra arte e natura, Il ritratto di Dorian Gray riconosce all’arte il potere di penetrare il mistero della natura umana, dove con il termine arte si intende sia il capolavoro letterario che la perfezione di una vita perfetta, elegante e impeccabile. Il ritratto che è al centro del romanzo rivela la corruzione morale del protagonista, divenendo il veicolo di quella verità che la vita riesce a dissimulare. L’arte contribuisce a perpetrare l’inganno dell’eterna giovinezza, ma non può in effetti sostituire la vita.
La produzione teatrale di Wilde è in gran parte incentrata sulla critica nei confronti dell’ipocrisia della società aristocratica e altoborghese: i personaggi si comportano come se fossero sinceri, ma sono cinici e a tratti crudeli; tutti hanno una duplice identità. Inoltre, viene toccato il tema del matrimonio come mero contratto finanziario, secondo le convenzioni vittoriane. Gli strumenti espressivi della commedia, e specificamente la farsa, vengono impiegati per ottenere il risultato desiderato. Le commedie, infatti, non riflettono una concezione puramente estetica, piuttosto sono una rielaborazione della farsa melodrammatica vittoriana, e mettono in luce gli aspetti ridicoli dell’alta società alla fine del secolo. L’azione è trasportata in un mondo stilizzato, con una straordinaria attenzione agli intrecci e ai meccanismi di un dialogo tanto raffinato quanto volutamente artificiale.
In particolare, nell’ultima opera teatrale di Wilde, il suo capolavoro drammatico, si percepisce un mondo immateriale in cui l’azione si dissolve in eleganti e vuote conversazioni. Il protagonista di L’importanza di chiamarsi Ernesto vive la doppia vita di Jack in campagna e di Ernesto in città, interpreta il lato moralistico e conformista e insieme anche quello edonistico dell’epoca. Cerca infine di ricomporre la sua personalità divisa rifugiandosi nel perbenismo di Jack Worthing. L’intreccio è tutto basato sul paradigma del doppio corteggiamento con lieto fine. Nel mezzo, si alimentano scene farsesche o persino anticipatrici del teatro dell’assurdo, comprendenti agnizioni e smascheramenti dell’identità.
In tutte le sue produzioni letterarie Wilde si cimenta in tutti i generi, poesia, teatro, prosa (romanzo, racconto e saggio critico), con risultati innovativi soprattutto in ambito teatrale: le sue opere trionfano sui palcoscenici di Londra, assieme a quelle del suo "rivale" George Bernard Shaw, anch’egli di origine irlandese. I saggi wildiani maggiori mostrano un artista soggettivo e individualista, che fa della ricerca della novità il suo punto programmatico, che persegue la bellezza e la forma. L’artista per Wilde è un genio isolato e solitario, senza legami con il pubblico, proteso al culto della bellezza e della personalità e che rifugge dalla quotidianità. Ponendosi tra antirealismo e individualismo, nel saggio La decadenza della menzogna (The decay of lying), del 1891, impostato come un dialogo platonico, sostiene che l’arte è tanto grande e autentica quanto meno è realistica; questa affermazione si caratterizza come una condanna di tutta la letteratura ottocentesca.
Non mancano neppure interessi di ordine sociale, che hanno fatto intravedere a qualche studioso un Wilde "socialista", niente affatto inconsapevole delle ingiustizie del suo mondo, né vanno dimenticate alcune felici variazioni nel campo della letteratura giovanile: Il fantasma di Canterville e Il principe felice, in cui Wilde utilizza la tradizione favolistica per mostrare il vuoto della società contemporanea. Infine, non si possono dimenticare gli aforismi wildiani, che non vengono raccolti in un volume, ma rivelano la quintessenza del suo stile di vita, di pensiero e di scrittura, come per esempio "Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo, la più difficile e la più intellettuale", "Tutte le persone affascinanti sono viziate. Ecco il segreto del loro fascino", "Non vi è nulla di più bello che dimenticare, se non forse l’essere dimenticato".