Osceno
Il termine osceno (dal latino obscenus, "di cattivo augurio" e quindi "laido, turpe") designa ciò che offende gravemente il senso del pudore, soprattutto per quanto si riferisce all'ambito della sessualità. Il concetto di oscenità, che investe atteggiamenti verbali, modalità gestuali e parti del corpo, non è univoco ma relativo e strettamente connesso alla cultura di origine. l. Le società tradizionali: oscenità e parentela Un comportamento singolare, riportato dallo storico dell'Africa B. Davidson (1969), mette in luce come il concetto di oscenità sia quanto mai relativo e in ogni caso legato alla cultura di origine. In passato, presso i venda del Transvaal (Sudafrica) le ragazze non sposate mostravano orgogliosamente le natiche, con prevedibile disappunto dei primi missionari che abitavano nei loro villaggi. Tale atteggiamento non era considerato irriverente all'interno della società venda: infatti, essendo ritenuto sconveniente che una ragazza non avesse rapporti con uomini prima del matrimonio, i giovani erano incentivati a intrattenere un'attività sessuale. Questa però doveva essere controllata, in quanto sarebbe risultato oltremodo grave che una ragazza rimanesse incinta: un figlio nato fuori dal matrimonio non avrebbe avuto una sua collocazione nella struttura parentale della società. Alle ragazze veniva quindi insegnato a costringere il partner a estrarre il pene prima dell'eiaculazione, per poi serrarlo tra le cosce fino al termine del rapporto. Tale gesto fisico, secondo i venda, rafforzava le natiche delle ragazze; ne conseguiva che il mostrare in pubblico glutei forti, al contrario di quanto potesse sembrare ai nostri missionari, era un segno di alta moralità. In una prospettiva capovolta, l'atto del baciarsi viene considerato osceno e sconveniente in quasi tutte le culture africane; i giovani fidanzati devono astenersi dall'abbandonarsi in pubblico ad atteggiamenti troppo confidenziali che prevedano contatto fisico. Il bacio costituisce un tabu anche per gli eschimesi, presso i quali gli adolescenti si incontrano nella casa di un giovane scapolo per scambiarsi effusioni, ma il bacio sulla bocca è severamente proibito in quanto osceno; il solo parlarne costituirebbe uno scandalo. Anche tra coniugi ci si bacia sul naso, gesto ritenuto eccitante, mai sulla bocca (Malaurie 1976). Il concetto di oscenità riguarda dunque, nelle diverse culture, parti del corpo differenti. Per es., presso molte società africane il seno non è inteso come zona da coprire con abiti, mentre viene stigmatizzato come osceno, per le donne, il mostrare in pubblico, in presenza di uomini, le cosce. L'antropologo R.W. Firth, autore di numerose opere sui tikopia, abitanti di una piccola isola della Polinesia, descrive alcuni atteggiamenti di carattere verbale che possono risultare osceni per la gente del luogo. In particolare, Firth (1936) mette in evidenza come questo bon ton linguistico deve essere assolutamente rispettato in presenza di parenti affini, ossia acquisiti in seguito al matrimonio. Un esempio in proposito è costituito da certi termini che possono richiamare, per la loro assonanza, parole considerate disdicevoli, impronunciabili in pubblico. Il vocabolo che designa la noce di areca in lingua tikopia è kalemata. La prime sillabe di questo termine ricordano però il suono della parola futu kala, "testicoli", quindi, se un uomo si trova in presenza di donne o di parenti affini indicherà la noce con altri termini meno evocativi. Un analogo uso di metafore avviene nella situazione in cui un adulto vede un bambino espletare i suoi bisogni corporali in un luogo non consono. In questo caso, non bisogna mai fare aperto riferimento ai suoi organi genitali o ai suoi gesti; è necessario piuttosto richiamare l'attenzione della madre, evitando comunque di pronunciare o di riferirsi direttamente agli escrementi. Analogamente nessun uomo dirà mai apertamente di andare a urinare o defecare, ma farà ricorso a eufemismi, a espressioni traslate, figurate. L'uso di eufemismi sostitutivi delle parole incriminate è comune a molte culture e lo si ritrova in numerosi contesti legati alle sfere del pudore, della vergogna o della paura, nei quali pronunciare il nome di una cosa significa evocarne la presenza reale e, in ogni caso, dimostrare di avere una certa familiarità o un particolare potere su di essa. Anche il ridere in gruppo può rappresentare un atto disdicevole, in quanto a volte dà adito al sospetto che dietro alla risata si nasconda una qualche forma di oscenità pronunciata. Come rileva Firth, l'osceno, presso i tikopia, è una categoria definita soprattutto in relazione a situazioni restrittive di parentela e gli stessi abitanti riconoscono in questa norma una sorta di contraddizione interna, cioè di incongruenza: l'osceno riguarda in particolare i riferimenti agli atti sessuali, gli stessi che hanno fatto sì che potesse crearsi il rapporto parentale di affinità. Ciò non significa comunque che, al di fuori della stretta sfera parentale affine, l'oscenità sia permessa. Inoltre, proprio a causa di questo tabu, in alcuni casi si utilizza un'espressione legata alla parentela più stretta come arma per offendere un'altra persona. La più ricorrente è quella che allude agli escrementi del padre dell'insultato. L'invettiva, l'augurio irriverente che tale padre possa 'mangiare escrementi' e altre varianti sul tema sono tra le ingiurie più frequenti. La gravità dell'affermazione dipende molto dal tono con cui viene pronunciata e va da un'ironia mordace a una vera e propria maledizione. Anche l'allusione a rapporti incestuosi costituisce una forma di insulto, che spesso sfocia in scontro fisico. Una espressione del tipo "Perché non abbracci tua madre?" viene considerata quanto mai oscena e dà spesso origine a zuffe violente. In ogni caso, l'osceno rappresenta in questi contesti una categoria morale, che non viene affatto sanzionata dai capi tradizionali, ma semplicemente crea disagio, vergogna e inquina i rapporti personali. 2. Incesto e oscenità Analogamente a quanto accade fra i tikopia, presso la popolazione delle isole Trobriand (Melanesia) studiata da B. Malinowski (1927), l'oscenità più cruda tra uomini è legata all'evocazione di rapporti sessuali con la propria madre o sorella. Malinowski fa notare come l'invito ad accoppiarsi con qualche parente stretto (in particolare la madre) sia una delle tipiche bestemmie diffuse nei paesi slavi e, in particolare, tra i russi, che hanno coniato diverse varianti del yob twayu mat, "va con tua madre". I trobriandesi, per lanciarsi oscenità, utilizzano tre espressioni, due delle quali incestuose, che equivalgono a un invito a 'coabitare' rispettivamente con la madre, la sorella e la moglie. L'ultima condizione può apparire quanto mai strana, soprattutto se si scopre che corrisponde all'insulto più pesante fra i tre citati. Infatti, l'invito all'incesto materno viene usato solitamente per burla, con un'accezione blanda, non offensiva. Il riferimento al rapporto con la sorella è considerato più pesante e già rivela uno stato di ira, ma l'evocazione di un rapporto con la moglie può diventare causa di scontri fisici, talvolta anche mortali. La diversa gradazione dei tre insulti non è spiegabile se si pone in relazione diretta con la gravità o la spiacevolezza dell'atto. Infatti l'incesto materno sarebbe da considerarsi più grave, ma è anche quello meno probabile, mentre un rapporto con la moglie dovrebbe risultare naturale. Malinowski fa notare però come la gravità dell'insulto non stia nella portata dell'offesa, quanto piuttosto nella plausibiltà dell'atto evocato e quindi nell'infrazione delle barriere dell'etichetta, le quali, similmente a quanto accade per i tikopia, non permettono di parlare di atti o di fatti sessuali in presenza di coniugi o parenti stretti. L'antropologo singalese S. Tambiah (1985) ha analizzato alcuni tabu alimentari e la loro correlazione con gli schemi di classificazione locali delle popolazioni della Thailandia nordorientale. In tale contesto il termine tàw indica la tartaruga, ma assume anche il significato di "vagina", parola considerata oscena e quindi non pronunciabile in pubblico. L'immagine della tartaruga-vagina compare in un rituale riparatore, che viene eseguito nel caso in cui si infrangano alcune norme matrimoniali. In questa società è ritenuto sconveniente, anche se non proibito, il matrimonio tra cugini di secondo grado. Esiste però un'altra norma di più difficile infrazione: quella dell'età, per cui la moglie non deve mai essere più anziana del marito. Nel parlare comune infatti la moglie può rivolgersi al marito chiamandolo 'fratello maggiore', e il marito può usare per la consorte l'espressione 'sorella minore'. Un eventuale capovolgimento dei ruoli provoca un'asimmetria linguistica inaccettabile e fa insorgere il rischio di incesto. Occorre allora celebrare un rito riparatore, il quale prevede che la coppia mangi del riso in un guscio di tartaruga. Tale rituale, da un lato, ricorda come i due vengano considerati individui nati dalla stessa vagina, pertanto incestuosi; dall'altro rappresenta un atteggiamento che, nella visione locale, ricorda quello dei cani, considerati animali deteriori che praticano l'incesto. Significativamente, una delle offese più oscene e pesanti è asserire che un qualche avo dell'insultato abbia avuto rapporti sessuali con cani. 3. L'osceno consentito Il carnevale è stato definito da G. Cocchiara (1981) 'il mondo alla rovescia'. Nel periodo carnevalesco, specialmente in epoche passate, si assisteva a un temporaneo capovolgimento dei valori convenzionali e alla messa in scena pubblica di trasgressioni della norma quotidiana quanto mai evidenti. Tra le forme di espressione trasgressiva, quella legata a rappresentazioni oscene era una delle più frequenti. Nascosti dietro la maschera, che celava la loro vera identità, i protagonisti della festa si lasciavano andare a insulti, soprattutto nei confronti dei potenti, basati sostanzialmente su frasi oscene, in cui l'oscenità appunto veniva considerata come una componente fondamentale della trasgressione. Ancora oggi in certe rappresentazioni popolari carnevalesche italiane si ritrovano alcuni elementi trasgressivi di questo tipo. A Bagolino, nella Val del Caffaro (Brescia), gli uomini si dividono in due gruppi: i balarì, che danzano vestiti elegantemente, e i mascher, bizzarramente abbigliati, i quali, appena terminate le danze, iniziano a perseguitare i primi con scherzi e lazzi di ogni genere. Il gruppo dei mascher, assai più spontaneo dell'altro, invade le vie del paese con urla e grida di allegria; in particolare sono prese di mira le ragazze e le donne, che vengono inseguite per essere 'palpate'. In tal senso il carnevale è una manifestazione dai forti connotati sessuali, e soprattutto caratterizzata dal capovolgimento dei valori e dalla più ampia libertà di azione garantita dalla maschera. L'arte della dissacrazione e dello sberleffo sono elementi fondamentali di questa festa, dove per una volta all'anno sono consentiti atteggiamenti inusuali e stravaganti, è permesso abbandonarsi ai propri istinti e uscire dalle costrizioni cui si è sottoposti nella vita quotidiana. Ecco allora nascere le strofe derisorie che dicono di eliminare le vecchie e di salvare le giovinette, di mandare le prime a lavorare e le altre a 'smorosar' con i ragazzi. È interessante notare come le società prevedano momenti liberatori, di drastica rottura delle convenzioni che regolano la prassi abituale, e che questi momenti abbiano l'osceno come protagonista. In Africa, presso alcune popolazioni del Benin settentrionale vige un sistema di classi d'età che condiziona la vita dei maschi. Ai giovani in procinto di accedere al primo grado del sistema viene concesso un periodo di assoluta libertà, nel quale essi operano trasgressioni di ogni tipo. In particolare vi è l'usanza, nel giorno di mercato, di radunarsi davanti al gruppo degli anziani e ricoprirli di insulti, riferiti soprattutto alla loro ormai scarsa attitudine sessuale e alle dimensioni degli attributi. Anche tale consuetudine, accettata con allegria dagli anziani, rappresenta un momentaneo e controllato capovolgimento dei valori, nel quale i giovani possono abbandonare il tradizionale atteggiamento di rispetto nei confronti degli anziani. In molti paesi europei era in voga, fino al 19° secolo, una tradizione comune, di carattere carnevalesco, conosciuta con il nome di charivari, che aveva come fine la pubblica derisione di alcuni membri della comunità chiamando in causa le loro prestazioni sessuali. In modo particolare erano presi di mira i matrimoni tra un uomo anziano e una giovane sposa, oppure relazioni familiari nelle quali un marito veniva picchiato dalla moglie. In questo caso un gruppo di giovani si radunava sotto le finestre delle vittime e dava vita a una serie di rappresentazioni, di frequente fortemente oscene, dove erano messe in mostra, con l'esasperazione grottesca tipica della caricatura, quelle che venivano considerate le anomalie della coppia in questione. Il carattere osceno e trasgressivo nascondeva, sotto la veste dello scherno e della derisione, una forma di controllo sociale operato dalla comunità, la quale tendeva a stigmatizzare alcuni atteggiamenti non considerati consoni a un comportamento normale.
bibl.: g. cocchiara, Il mondo alla rovescia, Torino, Boringhieri, 1981; b. davidson, The Africans. An entry to cultural history, Harlow, Longmans, 1969 (trad. it. Torino, Einaudi, 1972); r.w. firth, We, the Tikopia. A sociological study on kinship in primitive Polynesia, London, Allen & Unwin, 1936 (trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1976); j. malaurie, Les derniers rois de Thule. Avec les Esquimaux polaires face à leur destin, Paris, Plon, 1976 (trad. it. Milano, Mondadori, 1977); b. malinowski, Sex and repression in savage society, London, Routledge, 1927 (trad. it. Torino, Boringhieri, 1969); s.j. tambiah, Culture, thought, and social action. An anthropological perspective, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1985 (trad. it. Rituali e cultura, Bologna, Il Mulino, 1995).