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OSEA

di Giuseppe ROSSI-DORIA - Enciclopedia Italiana (1935)
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OSEA (ebraico Hōsha‛a; i Settanta ‛Ωσηέ; la Volgata Osee)

Giuseppe ROSSI-DORIA

Nome, oltreché di varî personaggi biblici di minore importanza, del profeta autore del libro che occupa il primo posto nella collezione dei Profeti Minori (v. bibbia, II, pp. 882, 884-5). Le poche notizie che abbiamo sulla sua persona provengono da accenni contenuti nel suo libro (v. appresso). Egli era figlio di Be'eri originario del regno del nord, ossia d'Israele, esercitò ivi la sua attività profetica nella seconda metà del sec. VIII a. C., specialmente durante il regno di Geroboamo II (v.) e anche alquanto dopo.

Quel periodo di tempo fu molto prospero per il regno d'Israele. Geroboamo regnò 41 anni (probabilmente dal 784 al 744-3), e in condizioni favorevoli all'esterno. Suo padre Gioas aveva umiliato il connazionale regno di Giuda, espugnandone la capitale Gerusalemme; l'Assiria, arbitra in quel tempo di tutta l'Asia anteriore, era assai impegnata nelle lotte contro Babilonia a sud e contro Urartu a nord, e non poteva far sentire molto il suo peso sulla lontana Palestina; il regno di Damasco, eterno antagonista d'Israele era stato provato assai duramente poco prima dalle spedizioni dell'assiro Adād-Nirari III e anche dagli attacchi mossigli da Gioas, padre di Geroboamo, cosicché il regno di costui si trovò circondato da stati decaduti e deboli, mentre la lunga durata sotto un governo uniforme contribuì molto alla sua rapida ascensione. Troviamo perciò che Geroboamo "ristabilì i confini d'Israele dall'Accesso di Hamath fino al mare del ‛Araba" (II [IV] Re, XIV, 25), cioè agli estremi limiti settentrionale e meridionale della Palestina, rivendicando anche antichi diritti territoriali sulla zona settentrionale contro Damasco (ivi, XIV, 28): un'estensione simile della giurisdizione giudaica non si era veduta dai tempi di Salomone in poi.

Ma, se queste erano le condizioni politiche, del tutto diverse finirono per diventare quelle morali e religiose del regno settentrionale. Come sempre in Israele, la floridezza materiale provocò la decadenza morale, e il sincretismo idolatrico, a cui fu sempre più proclive il regno settentrionale che quello meridionale, si diffuse vittoriosamente nelle pratiche della religione jahvista.

Peggio andarono le cose dopo la morte di Geroboamo. Congiure e disordini politici portarono sul trono, dopo 6 mesi di regno di Zaccaria figlio di Geroboamo, prima un certo Sellum, e dopo un solo mese di regno di costui, il crudele Menahem; questi, sentendosi malsicuro sul trono, pensò rafforzarvisi chiamando l'assiro Tiglath-pileser III, che difatti venne e raccolse un forte tributo. Così alla decadenza morale e religiosa si aggiungeva quella politica, e il regno si avviava a gran passi verso quel disfacimento totale, che avvenne realmente nel 722-1 con la caduta della capitale Samaria e la deportazione della popolazione in Assiria.

Il Libro. - La mole relativamente modesta del libro è in ragione inversa con la durata del ministero dell'autore, che dovette protrarsi almeno per un ventennio, nel quale la sua produzione letteraria fu senza dubbio molto più abbondante di quanto ne sia giunto a noi. Da questa considerazione, e anche dal rilievo che l'aspetto del libro è quello di una composizione stringata e non sempre di chiara connessione (lo aveva già notato S. Girolamo: "Osee commaticus est, et quasi per sententias loquens". Praef. in proph. min.), si può concludere che dell'antica produzione letteraria di O. a noi non è giunto che un estratto, in forma quasi di antologia compendiosa. Il suo contenuto si divide in due parti.

La prima parte (I-III) narra fatti che, almeno all'apparenza, si presentano come dati autobiografici, ma che certamente includono anche un significato simbolico. Questa parte è fra le più originali di tutta la Bibbia, e fra le più importanti per un giudizio sul profetismo. O. riceve da Dio l'ordine di sposare una meretrice; sposa, difatti, una certa Gomer, e ne ottiene due figli e una figlia a cui mette nomi simbolici (I-II); poi riceve anche l'ordine di sposare un'adultera, che egualmente egli sposa, senza però aver relazioni con essa (III). Il simbolismo di questi racconti è evidente. Da molti altri passi della Bibbia (probabilmente dall'intero Cantico dei Cantici; v.) risulta che era frequentissimo rappresentare i rapporti fra Jahvè e la sua prediletta nazione d'Israele come i rapporti fra uno sposo e una sposa. Questo matrimonio mistico aveva il suo adulterio e il suo meretricio nell'idolatria, per cui la nazione prediletta ripudiava sacrilegamente Iddio e gli preferiva gli idoli. Perciò le due donne disoneste rappresentano due momenti della nazione caduta nell'idolatria, come O. loro sposo rappresenta Jahvè.

Su questo senso simbolico fondamentale non c'è alcun dubbio. L'incertezza sorge circa la maniera onde devono essere interpretati questi racconti, se cioè essi siano delle allegorie totalmente inventate, ovvero se il loro significato simbolico sia fondato su fatti realmente accaduti. La questione è molto antica, ed è stata risolta diversamente sia nell'antichità sia ai nostri giorni, e nei campi più diversi; basti qui ricordare che, mentre già S. Girolamo riteneva che si trattasse di pure allegorie, seguito in questa opininne da Calvino, e da molti altri sia protestanti sia cattolici, S. Agostino, seguito da S. Tommaso ed egualmente da molti altri protestanti e cattolici, pensava che i fatti narrati fossero avvenimenti strettamente storici.

Questa seconda opinione non apparirà punto inverosimile a chi abbia presente l'aspetto tutto particolare dell'attività dei profeti (v. profeta), spessissimo teatrale secondo le esigenze orientali, non confrontabile con nessuna forma odierna di attività sociale.

La seconda parte del libro (IV-XIV) contiene una serie di discorsi, in tono invettivo e accusatorio, rivolti al popolo. Sono denunziati l'idolatria e la perversità della plebe (IV), i delitti dei governanti (V); si alternano inviti a penitenza, invettive ai colpevoli e minacce di castighi proporzionati alle colpe (VI-IX); si annunzia la catastrofe di Samaria (X) e la soggezione all'Assiria (XI); si ricordano i passati benefici ricevuti dal popolo, la sua ingratitudine, le pene imminenti (XII-XIII), per finire con un nuovo invito a conversione.

Il carattere antologico del libro è già una grave difficoltà per la sua esegesi, la quale poi è accresciuta dai danni che qua e là il testo ha ricevuto lungo la sua trasmissione manoscritta. Gli accenni storici spesso sono problematici, e lasciano campo solo a vaghe congetture; il filo logico appare frequentemente interrotto, e l'insieme della composizione, pur nella sua generica unità, fa l'impressione di qualcosa di saltuario; non di rado si può dimostrare con relativa certezza l'intervento del glossatore, specialmente nei passi ove quanto il profeta dice al regno d'Israele è applicato per somiglianza di circostanze anche al regno di Giuda (uno di questi interventi deve esservi già nel titolo I, 1, ove il ministero del profeta è assegnato "ai giorni di Ozia, Jotham, Acaz, Ezechia, re di Giuda": se non tutti e quattro i nomi, i due ultimi devono essere un'aggiunta tardiva).

In tali condizioni è ben difficile dimostrare per soli argomenti di critica interna che estesi tratti del libro non siano da attribuirsi a O., come qualche studioso moderno ha pensato, ma senza trovare molto favore.

Lo stile di O. è ricco d'immagini di tipo naturalistico, spesso appassionato per il soggetto che tratta; i cap. I-III producono sul lettore attento un effetto molto differente da quello che sembrerebbe dover derivare da un argomento così insolito, a motivo delle calzanti applicazioni che lo scrittore fa dell'amore umano a quello divino.

Bibl.: Oltre ai commenti generali ai Profeti Minori (v. abacuc; abdia; amos; ecc.) cfr. W. Nowack, Der Pr. Hoseas, Berlino 1880; A. Scholz, Commentar zum Buche des Pr. Hoseas, Würzburg 1882; J. Halévy, Le livre d'Osée, in Revue semitique, 1902, pp. 1-21, 97-133, 289-304; W. R. Harper, Hosea, nell'Internat. Crit. Commentary, Edimburgo 1905; F. E. Peiser, Hosea, Lipsia 1914; F. Prätorius, Bemerkungen zum Buche Hosea, Berlino 1918; M. Scott, The message of Hosea, Londra 1923; N. Peters, Osea und die Geschichte, Paderborn 1924; A. Allwohn, Die Ehe des Pr. Hosea in psychoanalytischer Beleuchtung, Giessen 1926; J. Lindblom, Hosea, literarisch untersucht, Abo 1927; J. Rieger, Die Bedeutung der Geschichte bei Amos und Hosea, Giessen 1929; B. Kutal, Liber prophetae Hoseae e textu originali latine et metrice versus, explanatus... illustratus, Olomouc 1929; L. H. K. Blecker, De kleine Profeten, I, Osea, Amos Groninga 1932; J. Kroeker, Die Propheten... I, Amos und Hosea, Giessen 1932; J. Ridderbos, Hosea, Joel, Amos, Kampen 1932; S. L. Brown, The book of Hosea, Londra 1932.

Vedi anche
Bibbia Il complesso delle Scritture sacre dell’ebraismo e del cristianesimo (dal lat. tardo Biblia, gr. τὰ βιβλία «i libri»). religione Nelle comunioni e confessioni religiose che riconoscono il carattere sacro della Bibbia, suo ‘autore’ è ritenuto Dio stesso che ha parlato agli uomini attraverso scrittori ... Ebrei Persone appartenenti al popolo ebraico o comunque legate all’identità religiosa e storica israelitica.  ● Il nome Ebrei, di origine incerta, entrò nell’uso comune attraverso la letteratura dell’età ellenistica per designare quel gruppo di tribù del Vicino Oriente antico apparse nella seconda metà del ... Cantico dei cantici (ebr. Shīr hash-shīrīm) Libro dell’Antico Testamento, attribuito tradizionalmente a Salomone, ma redatto probabilmente nel 4° sec. a.C. In otto capitoli, comprende una serie di monologhi della sposa o dello sposo e di dialoghi tra loro. L’interpretazione naturalistica, accolta da molti protestanti, ... profeta Genericamente, persona che, parlando per ispirazione divina, predice il futuro o rivela cose ignote alla mente umana; che ha cioè il dono della profezia. Questo appartenne anche alle donne (profetesse), come le Sibille. 1. Diffusione del profetismo Originariamente profeta è colui che parla in nome ...
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