Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il grande interesse per le misurazioni, tipico del Rinascimento, è all’origine di una miriade di strumenti per calcolare distanze e altezze, definire confini e riportare disegni su carta, per controllare lo scorrere del tempo di giorno e di notte, elaborare linguaggi in codice e progettare fortezze e per presentare modelli del cielo e della terra. Gli strumenti, al di là dei limiti dell’osservatore, rendono certe le misure rilevate, migliorano e accelerano i calcoli e rispondono alle molte domande sulla configurazione del mondo.
I problemi legati alla misurazione e al controllo hanno interessato l’essere umano sin dai tempi più antichi: la definizione dei confini territoriali, la misurazione delle distanze e delle altezze, la possibilità di orientarsi e di controllare lo scorrere del tempo, rappresentano necessità pratiche che definiscono i rapporti dell’uomo con il mondo che lo circonda. Da queste problematiche deriva il desiderio di conoscere con sempre maggior certezza le caratteristiche di questo mondo, e di rendere le rilevazioni sempre meno approssimative.
Tra Medioevo e Rinascimento i dispositivi di misurazione riscuotono un’attenzione sempre maggiore che porta alla produzione di apparati sempre più precisi, sofisticati e in grado di rispondere alle esigenze di controllo che via via si pongono. Cielo e terra vengono così osservati, disegnati, rappresentati, “calcolati” fino ad arrivare a una raffigurazione che presenta le caratteristiche odierne.
Le osservazioni astronomiche da un lato e i viaggi di esplorazione dall’altro sono registrati su carte e mappe del cielo, su modelli dimostrativi come i globi terrestri e celesti o le sfere armillari. I globi terrestri, comunemente detti mappamondi, non sono prodotti prima della fine del Cinquecento, mentre quelli celesti esistevano già nel mondo greco. Dapprima incisi o pitturati direttamente su legno, o manoscritti, nel Cinquecento i globi cominciano a essere stampati: si ricordano in particolare le stamperie olandesi di Jansz Willem Blaeu e di Jodocus Hondius. La realizzazione di un mappamondo prevede la preparazione di spicchi di carta, detti “fusi”, che vengono applicati sulla sfera di legno di diametro corrispondente; quando le nuove scoperte modificano la configurazione della terra o del cielo, si ristampano i fusi corrispondenti e si sostituiscono ai precedenti.
Le sfere armillari sono costituite da un sistema di cerchi (in latino, armillae) al cui centro è posta la Terra, secondo il sistema tolemaico o, più tardi, il Sole, secondo il sistema copernicano. Le sfere armillari costituiscono dunque un modello dell’universo e possono essere considerate i precursori del moderno planetario.
Molti dispositivi di misura hanno contemporaneamente applicazione terrestre e celeste, possono essere impiegati, per esempio, per calcolare sia altezze di edifici sia altezze di astri. Alcuni hanno indicazioni o parti che ne consentono una molteplicità di funzioni: è il caso del quadrante, il quarto di cerchio e dell’astrolabio (dall’espressione greca astron lambanein, un cercatore di stelle), due tra gli strumenti più comuni tra Medioevo e Rinascimento per operazioni di rilevamento astronomico e topografico; è il caso anche di molti compassi, tramandati dal mondo romano, ampiamente modificati e perfezionati, con i quali è possibile non solo disegnare cerchi (compassi da dividere), ma anche riportare misure su carta (compassi di riduzione), calcolare radici quadrate o cubiche e compiere diversi calcoli (compassi di proporzione), fare il punto in mare (compassi nautici), misurare distanze (compassi distanziometri), e anche difendersi (compassi a forma di pugnale, o pugnale a “seste”).
Con le balestriglie o con i bastoni di Giacobbe, strumenti a forma di croce derivati dai comuni bastoni, si calcolano altezze stellari a occhio nudo.
Gli archipenzoli hanno applicazione sia civile sia militare: sono impiegati come livelli nella costruzione di fortezze ed edifici, oppure posti sulla culatta del cannone per calcolarne l’alzo in rapporto alla distanza dell’obiettivo da colpire e alla densità del materiale del proiettile.
Per compiere rilievi topografici, il teodolite è lo strumento più comunemente impiegato. Derivato dalla gromma romana, consente misure angolari da cui si ricavano la posizione e la configurazione territoriali. Per misurare altezze e distanze non si impiegano solo strumenti realizzati allo scopo, ma anche aste interposte, specchi o squadre molto rudimentali: con semplici triangolazioni, le misure rilevate permettono la stesura di mappe e carte, la differenziazione di livelli, la messa a punto di sistemi di riferimento.
Il calcolo meccanico nasce nel 1642, con lo scienziato francese Blaise Pascal, al quale si deve l’ideazione di uno strumento che permette di compiere in maniera automatica alcune operazioni, la “pascalina”. Allo scopo di facilitare il padre nel suo lavoro di determinazione delle imposte, Pascal progetta e realizza una macchina calcolatrice, che effettua le addizioni passando automaticamente dalle unità alle decine, dalle decine alle centinaia ecc. La macchina, presentata al pubblico nel 1645, ispirerà Leibniz nella costruzione di una calcolatrice in grado di effettuare moltiplicazioni. Fino a quel momento i dispositivi usati sono l’abaco, di origine medievale, e i bastoncini di Nepero – dal nome del matematico scozzese John Napier che li ha ideati –, oppure il calcolo manuale. Con poche modifiche e in tempi relativamente brevi, la “pascalina” viene perfezionata dando vita, in Paesi diversi, a macchinette per moltiplicare e dividere o per compiere operazioni diverse contemporaneamente. Nell’Ottocento diventerà possibile anche stampare i risultati.
Il tempo viene misurato sulla base dell’osservazione di fenomeni naturali, come l’apparente moto diurno del Sole, e sulla base della scansione meccanica delle ore. Al primo tipo di misurazione si collegano gli orologi solari, portatili e fissi, di misura e disegno estremamente diversi gli uni dagli altri, che in particolare nel corso del Rinascimento diventano ricercati oggetti da collezione, costruiti con materiali preziosi e abbelliti da ricche decorazioni. Con il nome di meridiana si indicano quegli orologi che considerano il mezzogiorno come punto di partenza: spesso fisse, applicate o tracciate sulle mura di edifici civili e religiosi, le meridiane sono rimaste a lungo in funzione, anche per “correggere”, cioè controllare la precisione degli orologi meccanici.
Gli orologi mobili, da tasca, da collo e da tavolo, possono assumere le forme di cilindro, scatoletta, colonna, poliedro, anello e così via, e persino essere tracciati su teschi, croci, quadranti. Sulle linee orarie, tracciate sulla superficie dello strumento, viene proiettata l’ombra dello gnomone o (stilo sporgente) che indica l’ora, costituito da una punta o da un filo che unisce il coperchio alla base della scatoletta. Per fornire letture attendibili, si deve orientare l’orologio a Nord, grazie all’aiuto della bussola spesso inserita nello strumento stesso, e verificare la linea sulla quale si distende l’ombra. Gli orologi solari, che “sine sole silent”, sono spesso decorati con motti che ricordano la fugacità della vita, la brevità della giovinezza e l’incombere della morte. Per calcolare il tempo di notte si usano gli orologi notturni o notturlabi, che considerano come punto di riferimento la Stella Polare immobile nel cielo che le ruota attorno, e gli orologi lunari, grazie ai quali si determinano le fasi della luna.
Il tempo può essere misurato anche grazie al consumarsi di sostanze, come l’olio in certe lucerne, o come l’incenso e il fuoco, oppure controllando il passaggio di altre sostanze da un’ampolla a un’altra, come nelle clessidre ad acqua e negli orologi a polvere. Con il rapido perfezionamento dell’orologeria meccanica, questi orologi diventano soltanto curiosità, oggetti da collezione, troppo imprecisi per essere funzionali in un mondo che richiede sempre più di poter misurare con esattezza il secondo.
Gli strumenti di osservazione e misura rinascimentali si affidano agli occhi esperti e attenti di chi li usa. L’avvento dei dispositivi ottici trasforma radicalmente le modalità di indagine scientifica: l’occhiale galileiano, frutto delle osservazioni compiute dallo scienziato pisano tra 1609 e 1610, permette di vedere fenomeni che gli occhi non rilevano. Il cannocchiale astronomico, o telescopio, costituisce la prima estensione di un senso umano e offre un contributo straordinario al mondo scientifico, segnando contemporaneamente la fine di un tipo di strumentaria “antica” e avviando la produzione di una nuova serie di apparati, non solo ottici, capaci in genere di riprodurre fenomeni naturali e di verificare teorie o formulare ipotesi. In pochi anni vengono realizzati il microscopio (da Galileo chiamato “occhialino”), il barometro (grazie all’esperienza sul vuoto compiuta nel 1644 da Evangelista Torricelli) e il termometro (ottenuto sigillando il cannello del barometro). Le ricerche compiute nelle accademie scientifiche portano alla costruzione di pompe a vuoto, di macchine elettriche e di apparecchi di meccanica che, soprattutto a partire dalla seconda metà del XVII secolo, aprono la strada alla moderna pratica scientifica e alla divulgazione delle scienze.