UNIVERSO, OSSERVAZIONE DELLO.
– Gli strumenti e le osservabili. Grandi cataloghi di redshifts. Misure di lensing gravitazionale. Misure di anisotropia del fondo cosmico di microonde. Bibliografia
L’o. dell’U., praticata dall’uomo fin dall’antichità, si è evoluta in due scienze quantitative moderne: l’astrofisica, che studia il funzionamento degli astri, e la cosmologia, che studia l’Universo nel suo insieme. Ambedue utilizzano i metodi della fisica per interpretare le osservazioni. In questa voce si riassumeranno le più recenti osservazioni, misure quantitative e metodologie che sono alla base della moderna cosmologia osservativa.
La maggior parte delle informazioni di interesse astrofisico e cosmologico è mediata dalla radiazione elettromagnetica, nelle sue diverse forme (onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda diversa, o fotoni di diversa energia). Questa è generata da sorgenti lontanissime, in epoche remote, e si propaga nell’Universo alla velocità della luce, per distanze enormi, mantenendo comunque l’informazione relativa alla sorgente che l’ha generata (sia essa una stella appartenente a una galassia, o una nube del mezzo interstellare, o la materia diffusa presente nelle prime fasi dell’Universo).
Lo studio dettagliato della radiazione elettromagnetica proveniente dal Cosmo permette quindi di capire il funzionamento degli astri che l’hanno generata, le sorgenti cosmiche. Lo studio della distribuzione spaziale degli astri nell’Universo, e delle loro caratteristiche in diverse epoche, è fondamentale per la cosmologia. Inoltre, lo studio delle eventuali modifiche delle caratteristiche della radiazione durante la sua propagazione nell’Universo permette di studiare il mezzo in cui si è propagata e con cui ha interagito, aggiungendo informazioni chiave per la comprensione dell’Universo nel suo insieme.
Gli strumenti e le osservabili. – Gli strumenti utilizzati per studiare la radiazione elettromagnetica proveniente dal Cosmo sono i telescopi, che servono a raccoglierla nel modo più efficiente possibile, corredati da rivelatori (spesso replicati in grandi mosaici, arrays o camere) che convertono la radiazione elettromagnetica in un segnale di tipo elettrico acquisibile e misurabile con precisione e accuratezza; spettrometri e polarimetri, che permettono di analizzarne dettagliatamente le caratteristiche.
Per studiare a fondo la fisica di una sorgente cosmica, gli strumenti devono non solo avere una sufficiente sensibilità (determinata dal diametro del collettore di flusso e dalle caratteristiche dei sensori, o rivelatori, di radiazione elettromagnetica) e una sufficiente risoluzione angolare (determinata dal diametro del collettore), ma devono anche misurare la radiazione proveniente dalla sorgente in più bande di lunghezza d’onda dello spettro elettromagnetico: solo così si può sperare di evidenziare e studiare esaustivamente la grande varietà di fenomeni fisici che usualmente avvengono negli astri. Per es. (fig. 1), solo confrontando misure multibanda si può arrivare a un modello completo di una galassia, scoprendo che non è formata solo da stelle in diverse fasi evolutive (evidenti dalle immagini ottiche e ultraviolette), ma anche da gas a diverse temperature, neutri o ionizzati, polveri interstellari, buchi neri (evidenti dalle mappe ad altre lunghezze d’onda), e da materia oscura (il cui effetto è osservabile solo indirettamente, dall’analisi delle curve di rotazione, nel visibile o nelle radioonde; v. universo oscuro).
Tutte queste componenti svolgono ruoli determinanti nella complessa fenomenologia della galassia e sono anche i costituenti materiali principali dell’intero Universo.
Le osservazioni multibanda richiedono tecnologie ottiche, di rilevazione elettromagnetica, e anche spaziali, perché la maggior parte delle lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico provenienti dal Cosmo vengono assorbite dai gas presenti nell’atmosfera terrestre e non riescono ad arrivare a sensori posti sulla superficie. Per questi motivi l’astronomia multibanda e la cosmologia osservativa si sono sviluppate compiutamente solo negli ultimi decenni, quando diverse missioni spaziali dedicate all’o. dell’U. nelle bande gamma, X, ultravioletta, visibile e infrarossa, hanno trasportato al di sopra dell’atmosfera terrestre complessi satelliti-osservatorio, permettendo l’osservazione indisturbata del cielo anche nelle bande assorbite dall’atmosfera, che erano rimaste fino ad allora inaccessibili.
Per una completa o. dell’U. (de Bernardis 2010), oltre all’esplorazione del cielo in tutte le direzioni e a molte lunghezze d’onda, è necessaria l’esplorazione in profondità, cioè a distanze crescenti dalla nostra posizione. Questo comporta osservare oggetti lontani nello spazio, ma anche nel tempo, dato che la radiazione proveniente da sorgenti a distanze cosmologiche, pur viaggiando alla velocità della luce, può impiegare miliardi di anni prima di raggiungerci. Solo nell’ultimo secolo è stato possibile sviluppare metodologie osservative e strumenti di misura capaci non solo di identificare una sorgente cosmica, ma anche di misurarne la distanza. Si è così passati dalla descrizione della sfera celeste, sulla quale si appiattivano tutte le sorgenti cosmiche, a una vera e propria descrizione tridimensionale dell’Universo e della sua evoluzione nel tempo. La chiave di volta per lo studio delle distanze è stata la scoperta dell’espansione dell’Universo e del conseguente fenomeno del redshift cosmologico, vale a dire l’allungamento percentuale della lunghezza d’onda subito dalla radiazione elettromagnetica che si propaga su distanze e tempi cosmologici in un Universo in espansione. La relatività generale mostra che in un Universo omogeneo e isotropo in espansione anche le lunghezze d’onda della radiazione che vi si propaga si allungano, esattamente come le altre lunghezze. Più la sorgente è distante dall’osservatore, più a lungo viaggia la radiazione, maggiore è l’espansione dell’Universo nel frattempo, maggiore è il redshift (legge di Hubble). Quindi, dalla misura del redshift z si può ricavare la distanza della sorgente D(z) e l’epoca alla quale è stata emessa la luce che arriva oggi a noi (fig. 2).
Grandi cataloghi di redshifts. – Negli ultimi decenni sono stati realizzati grandi cataloghi spettroscopici (redshift surveys), che hanno misurato i redshifts e le posizioni di milioni di galassie, posizionandole tridimensionalmente nell’Universo. Per queste attività si sono utilizzati telescopi a largo campo, forniti di spettrometri multifibra o multifenditura, che permettono di misurare simultaneamente gli spettri di centinaia di galassie presenti nel campo di vista puntato dal telescopio.
Tra le più importanti, citiamo la 2DFGRS (Two Degrees Field Galaxy Redshift Survey), la più ampia tra il 1998 e il 2003, la SDSS (Sloan Digital Sky Survey, http://www.sdss.org/), comprendente nel 2015 i redshifts e le posizioni di più di 3 milioni di oggetti. Per realizzare la SDSS è stato usato il telescopio Ritchy-Chrétien con specchio primario da 2,5 m installato all’Apache point observatory, nel Nuovo Messico. Con uno specchio secondario da 1,08 m e due lenti correttive permette di osservare per ogni puntamento un campo di 3° di diametro, esente da aberrazioni. Con queste osservazioni si è delineata con precisione la struttura a grande scala dell’Universo, definendone la distribuzione delle masse. Si pensa infatti che la maggior parte della massa nell’Universo sia di tipo oscuro (materia oscura, non interagente elettromagneticamente, che quindi non emette né assorbe né diffonde radiazione elettromagnetica) e che le galassie (che contengono sia materia ordinaria sia materia oscura) ne traccino la distribuzione complessiva. Nella figura 3 si riporta un dettaglio della distribuzione tridimensionale delle galassie ottenuta dalla SDSS, nel quale sono evidenti gli enormi piani e filamenti di materia che formano la struttura a grande scala dell’Universo. Come dimostrato da complesse simulazioni numeriche (http://www.mpa-garching.mpg.de/galform/ virgo/millennium/), queste strutture si formano, a partire da condizioni primordiali quasi omogenee, per l’azione aggregante della gravitazione. Selezionando regioni particolari ed estendendo le misure di redshifts di galassie fino a distanze di circa 8 miliardi di anni luce, in aree di cielo selezionate, la survey BOSS (Baryon Oscillation Spectroscopic Survey; (Dawson, Schlegel, Ahn et al. 2013) ha dimostrato che la distribuzione delle galassie risente ancora delle oscillazioni acustiche del plasma primordiale (evidenti dal le misure di anisotropia del fondo di microonde; v. oltre: Misure di anisotropia del fondo cosmico di microonde), che hanno prodotto una modulazione della densità dei barioni nell’Universo con una dimensione attuale caratteristica di circa 500 milioni di anni luce (Anderson, Aubourg, Bailey et al. 2014). Questo tipo di misure permette di studiare tale dimensione a diversi redshifts e quindi a diverse epoche, fornendo dati importanti sulle modalità di evoluzione dell’Universo.
Misure di lensing gravitazionale. – Le misure di weak gravitational lensing studiano la deformazione delle immagini delle galassie lontane. Quando i raggi di luce passano vicino a una concentrazione di massa, la curvatura locale dello spazio causata dalla massa produce una deflessione dei raggi di luce, un po’ come una lente. Se questi stanno trasportando l’immagine di una galassia, l’immagine viene modificata, con due effetti principali: un aumento delle dimensioni (convergence) e una distorsione in direzione tangenziale rispetto alla concentrazione di massa (shear). L’effetto complessivo è mostrato schematicamente nella figura 4. L’effetto di shear può essere valutato quantitativamente misurando l’ellitticità (in grado e direzione) di tutte le galassie distanti (di background ), la cui luce passa vicino alla concentrazione di massa. Le galassie sono intrinsecamente ellittiche, e il fenomeno del weak lensing modifica leggermente la loro ellitticità intrinseca. D’altra parte, le direzioni degli assi maggiori delle galassie sono in origine casuali, e quindi un allineamento di tali direzioni è da imputarsi solo al fenomeno del weak lensing. Anche la leggera ellitticità prodotta dal telescopio (descritta dalla point spread function, PSF, del telescopio) va conosciuta accuratamente, per essere sottratta durante l’analisi delle immagini. Dall’analisi statistica delle ellitticità di migliaia di galassie di background si può risalire, tramite rigorose procedure matematiche, alla quantità e alla distribuzione della massa deflettente, qualunque sia la sua natura. Si può quindi determinare la distribuzione delle concentrazioni della materia oscura, che è molto più abbondante della materia ordinaria. Tra le molte misure di weak lensing citiamo la CFHTLenS (Canada-France-Hawaii Telescope Lensing Survey; Heymans, Van Waerbeke, Miller et al. 2012), che ha utilizzato una grande camera CCD (Charge Coupled Device) da 378 megapixel, operata per anni al fuoco di un telescopio da 3,6 m, e ha stimato il weak lensing dalle immagini di circa 10 milioni di galassie, e la survey Cosmological evolution survey (COSMOS; Scoville, Abraham, Aussel et al. 2007) ottenuta con la Advanced camera for surveys dell’Hubble space telescope (HST), in circa 1000 ore di osservazioni (fig. 4).
La missione EUCLID dell’Agenzia spaziale europea (http://sci.esa.int/euclid/), attualmente in preparazione, eseguirà misure di redshift e di weak lensing di galassie fino a un redshift z ~2 (che corrisponde a una distanza comobile delle sorgenti più lontane di 17 miliardi di anni luce e a un’epoca di emissione di più di 10 miliardi di anni fa): si studieranno così la relazione distanza-redshift D(z) e, quindi, l’evoluzione dell’energia oscura e la distribuzione della materia oscura in una grande frazione dell’intero volume di Universo osservabile.
Misure di anisotropia del fondo cosmico di microonde. – L’osservabile che permette di studiare l’Universo più lontano e più antico è il fondo cosmico di microonde (cosmic microwave background, CMB). Questa radiazione è stata generata pochi microsecondi dopo il Big Bang, nella fase dell’evoluzione dell’Universo denominata bariogenesi, quando la maggior parte delle particelle di materia e antimateria si annichilarono, producendo coppie di fotoni e un piccolo residuo di materia barionica.
Nei successivi 380.000 anni la temperatura dell’Universo (in espansione e quindi in lento raffreddamento) fu superiore a quella che permette la formazione di atomi neutri in un plasma di fotoni, protoni ed elettroni, con una densità di fotoni un miliardo di volte più elevata di quella dei protoni e degli elettroni. La materia dell’Universo rimase quindi per 380.000 anni in uno stato di gas ionizzato e incandescente, completamente opaco alla propagazione dei fotoni. Questo stato è denominato primeval fireball, e in questa fase, per il grande numero di diffusioni Thomson contro gli elettroni liberi, la radiazione si portò in equilibrio termico con la materia, assumendo la corrispondente distribuzione di energia (spettro di corpo nero). Quando, con il proseguire dell’espansione, 380.000 anni dopo il Big Bang, la temperatura dell’Universo scese sotto 3000 K, protoni ed elettroni si combinarono in atomi di idrogeno e l’Universo passò da ionizzato a neutro, e da opaco a trasparente. Da qui in poi la radiazione non subirà ulteriori diffusioni, e si propagherà liberamente. Quest’epoca è detta della ricombinazione, e rappresenta l’epoca più antica osservabile direttamente tramite i fotoni da essa provenienti. Infatti, mentre questi esistevano anche in epoche più antiche, l’informazione da essi trasportata fu completamente distrutta dalle diffusioni Thomson durante la fase di primeval fireball, che cambiarono continuamente a caso la direzione di propagazione dei fotoni. Nei 13,7 miliardi di anni successivi i fotoni del fondo cosmico, separati dalla materia alla ricombinazione, si propagano e subiscono il redshift cosmologico, allungando la loro lunghezza d’onda via via che l’Universo si espande, fino a diventare oggi un debole fondo di microonde, con uno spettro che rimane di corpo nero, ma la cui temperatura viene ridotta a causa dell’espansione. Questo spettro è stato misurato dall’esperimento COBE-FIRAS (Cosmic Background Explorer/Far Infrared Absolute Spectrophotometer), e la sua temperatura di corpo nero vale oggi 2,725 K: la maggior parte dei fotoni ha quindi lunghezze d’onda dell’ordine del millimetro. Questa emissione è con ottima approssimazione isotropa. Solo aumentando fortemente il contrasto dell’immagine si riescono a osservare deboli strutture. Queste anisotropie del fondo cosmico di microonde sono generate dalle piccolissime variazioni di densità e temperatura presenti nel gas incandescente alla ricombinazione. Si ha quindi a disposizione nel CMB un’immagine di come era l’Universo alla ricombinazione. Ottenuta con precisione e risoluzione crescenti da molti esperimenti – tra i quali BOOMERanG (Balloon Observations Of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics) nel 2000, WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) nel 2001, Planck nel 2013 –, ci mostra un Universo molto omogeneo, con lievi fluttuazioni di densità e temperatura dovute alle oscillazioni del plasma di fotoni e materia all’interno di regioni causalmente connesse durante la primeval fireball. Queste fluttuazioni sono dell’ordine di 100 parti per milione, rispetto alla media dell’emissione del fondo cosmico. Nei successivi miliardi di anni, le fluttuazioni di densità cresceranno, sotto l’azione della gravità e liberate dall’interazione con i fotoni, formando la gerarchia di strutture presente nell’Universo attuale. Mappe a tutto cielo del fondo cosmico di microonde sono state prodotte nel 2013 dal satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea (http://www.cosmos.esa.int/ web/planck/home; Planck collaboration 2014).
Da questa mappa è stato calcolato lo spettro di potenza angolare che descrive quanto sono importanti le fluttuazioni della brillanza alle diverse scale angolari. Questo spettro di potenza dipende dai parametri cosmologici, che possono così essere determinati confrontando previsioni teoriche e misure. Lo spettro di potenza misurato da Planck (e anche da molti esperimenti precedenti) è perfettamente consistente con un Universo in cui la massa-energia ha quattro componenti: radiazione (oggi trascurabile rispetto alla densità totale di massa-energia), materia barionica (4,84%), materia oscura (25,8%), energia oscura (69,3%). Di ciascuna di queste componenti si determina la densità e anche il valore della costante di Hubble, pari a 67,8 km/s/Mpc. La densità complessiva di massa-energia è pari a quella critica, e la geometria a grande scala dell’Universo non è curva, è euclidea. Inoltre le fluttuazioni primordiali di densità che hanno prodotto le anisotropie del fondo di microonde all’epoca della ricombinazione (e che da allora cresceranno, formando la complessa gerarchia di strutture a grande scala presente nell’Universo odierno) sono gaussiane e approssimativamente invarianti di scala, come previsto dall’ipotesi dell’inflazione cosmica. Questa è un’ipotetica fase di espansione esponenziale dell’Universo avvenuta pochi attimi dopo il Big Bang, a energie talmente elevate che sarà impossibile ricrearle in laboratorio. A ulteriore sostegno di questa ipotesi, si stanno attivamente ricercando debolissimi segnali di polarizzazione lineare della radiazione cosmica di fondo, con andamento rotazionale (modi-B), che dovrebbero essere presenti a causa delle onde gravitazionali generate durante l’espansione inflazionaria. Per ora, diversi esperimenti hanno misurato la componente irrotazionale della polarizzazione (modi-E), dovuta alle stesse fluttuazioni di densità che generano le anisotropie, fornendo una conferma indipendente del quadro generale. Per i modi-B sono stati posti solo limiti superiori (v., per es., Ade, Aghanim, Ahmed et al. 2015), e quindi la ricerca continua. Come per altre ricerche di tipo cosmologico (per es., lo studio dei neutrini presenti nell’Universo) viene così confermata l’importante sinergia tra fisica fondamentale e fisica del Cosmo per la comprensione della natura.
Bibliografia: N. Scoville, G. Abraham, H. Aussel et al., COSMOS: Hubble space telescope observations, «The astrophysical journal supplement series», 2007, 172, 1, pp. 38-45; P. de Bernardis, Osservare l’universo, Bologna 2010; C. Heymans, L.Van Waerbeke, L. Miller et al., CFHTLenS: the Canada-France-Hawaii telescope lensing survey, «Monthly notices of theroyal astronomical society», 2012, 427, 1, pp. 146-66; K.S. Dawson, D.J. Schlegel, C.P Ahn et al., The baryon oscillation spectroscopic survey of SDSS-III, «The astronomical journal», 2013,145, 1, http://arxiv.org/abs/1208.0022; L. Anderson, E. Aubourg, S. Bailey et al., The clustering of galaxies in the SDSSIII baryon oscillation spectroscopic survey: measuring DA and H at z = 0.57 from the baryon acoustic peak in the data release 9 spectroscopic galaxy sample, «Monthly notices of the royal astronomical society», 2014, 439, pp. 83-101, http://arxiv.org/pdf/1303.4666v1.pdf; Planck collaboration, Planck 2013 results. I. Overview of products and scientific results, «Astronomy & astrophysics»,2014, 571, A1, http://arxiv.org/pdf/1303.5062v2.pdf; P.A.R. Ade, N. Aghanim, Z. Ahmed et al., A joint analysis of BICEP2/Keckarray and Planck data, «Physical review letters», 2015, 114,http://arxiv.org/pdf/1502.00612v2.pdf.