osservazione
È possibile distinguere due accezioni generali: la prima è quella detta o. naturale, ossia riconducibile all’apparato visivo, che fa essenzialmente riferimento alla constatazione spontanea e casuale di un oggetto o sistema di oggetti o di fatti; la seconda è quella detta o. sperimentale, che fa riferimento a un’‘o. provocata’, ossia a un’analisi metodica e progettata di un oggetto o sistema di oggetti o fatti (➔ esperimento). Entrambe le accezioni pongono problemi epistemologici importanti attinenti soprattutto al nesso tra l’osservatore e l’osservato. Contrariamente a quanto sostenuto dal primo neoempirismo (➔), che aveva posto una netta cesura tra o. e teorie (e tra linguaggio osservativo e linguaggio teorico), le riflessioni posteriori sull’o. hanno messo in luce da un lato la sua rilevanza per la costruzione delle conoscenze (teorie), e dall’altro l’influenza del background teorico posseduto dall’osservatore sull’o. stessa, sia essa diretta, sia essa indiretta, ossia attraverso strumenti (Duhem, Quine, Hanson, Kuhn, Lakatos). Questa posizione viene generalmente semplificata con la nozione hansoniana di «theory-laden observation», ossia di o. carica di teoria, che appunto sancisce un ruolo attivo dell’o. e nega l’esistenza di una o. pura e di un linguaggio osservativo neutro. Un esempio molto chiaro di tale nozione è dato da Hanson in I modelli della teoria scientifica (1958), in cui propone di immaginare Keplero e Tycho Brahe davanti allo spettacolo del sorgere del Sole. Entrambi riceverebbero sulla retina una immagine molto simile, ma osserverebbero cose diverse: Keplero vedrebbe l’orizzonte terrestre abbassarsi rispetto all’equatore del Sole; Tycho Brahe vedrebbe il Sole alzarsi sul piano dell’orizzonte. Dunque, Keplero e Tycho Brahe darebbero agli stimoli sensoriali una organizzazione/interpretazione che è piena delle loro personali convinzioni teoriche.