Osso
Il sistema scheletrico del corpo umano è costituito da oltre 200 ossa che, unite tra loro attraverso giunzioni di vario tipo, dette articolazioni, forniscono una struttura di sostegno per il corpo e di contenzione dei vari organi endocavitari. Un'altra funzione fondamentale svolta dalle ossa è quella di formare, insieme alle articolazioni e ai muscoli, l'apparato locomotore dell'organismo.
Nonostante le ossa siano presenti solamente nei Vertebrati, le loro funzioni di sostegno, protezione e cooperazione nel movimento sono diffuse in tutto il regno animale. Infatti tutti gli organismi pluricellulari, costituiti cioè da più cellule, hanno bisogno di mantenere la propria forma sostenendosi contro l'attrazione gravitazionale. Le tecniche messe a punto per assolvere a questa funzione sono diverse a seconda dell'organizzazione più o meno complessa degli organismi e dello stile di vita. Non sempre si è in presenza di un apparato vero e proprio: questo è sicuramente necessario per gli animali terrestri, mentre quelli acquatici, dato il maggior potere di sospensione del mezzo ambiente, possono esserne anche privi. Anche animali molto semplici come le Spugne (Poriferi), che presentano un livello di organizzazione primitivo, intermedio tra una colonia di cellule e un organismo pluricellulare, presentano una sorta di struttura destinata a fornire loro sostegno e supporto: in alcune si trovano spicole di carbonato di calcio, in altre le spicole sono silicee e fuse in un reticolo continuo. I coralli formano delle strutture in genere fatte di carbonato di calcio, in cui ciascun polipo può rifugiarsi; la barriera corallina è infatti essenzialmente costituita dall'accumulo degli scheletri calcarei dei coralli.
Animali sprovvisti di strutture di sostegno possono, comunque, opporsi alla forza di gravità e sono in grado di spostare il proprio corpo. Per es., fra gli Anellidi, i lombrichi riescono a spingere l'estremità del corpo attraverso il suolo compatto mediante uno 'scheletro idraulico', l'apparato di sostegno più semplice descritto negli animali, costituito non da ossa, bensì da un liquido incomprimibile racchiuso in ciascun segmento del corpo dell'animale; la contrazione dei muscoli che circondano le pareti dei segmenti permette all'animale di spostare il proprio corpo, sviluppando un'onda di movimento diretta all'indietro che spinge in avanti l'animale. Nell'evoluzione degli Artropodi lo scheletro si trasforma in una forma ancora più efficiente, indurendo le pareti dei segmenti e dotandole di arti. Le pareti indurite formano l'esoscheletro, una cuticola secreta dall'epidermide sottostante e a essa attaccata, composta principalmente di chitina, che costituisce una vera corazza, come avviene nei Coleotteri e in molti Crostacei, ma è flessibile nelle articolazioni per consentire il movimento. È probabile che la protezione contro i predatori sia stata una pressione selettiva primaria per lo sviluppo e il successo evolutivo di questa struttura, che presenta tuttavia lo svantaggio di dover essere periodicamente rinnovata per far spazio alle nuove dimensioni dell'animale in fase di crescita.
Al contrario dell'esoscheletro degli Artropodi, lo scheletro dei Vertebrati è un endoscheletro, ossia una struttura di sostegno situata all'interno del corpo. Esso non fornisce una protezione pari all'esoscheletro, ma crescendo con il corpo consente una crescita corporea quasi illimitata con una maggiore economia del materiale da costruzione, tanto che alcuni Vertebrati sono diventati gli animali più grandi della Terra. Molti Vertebrati tuttavia possiedono anche un efficiente scheletro superficiale: tra i Rettili, tartarughe, coccodrilli e alligatori presentano uno strato corneo della pelle; tra i Mammiferi, l'armadillo dispone di una corazza ossea cutanea. In tutti questi casi, tuttavia, si parla di scheletro superficiale e non esterno, in quanto l'esoscheletro dei Vertebrati è localizzato al di sotto dell'epidermide, nello spessore del derma. Nei Pesci ossei e in tutti i Tetrapodi (Vertebrati terrestri dotati di arti), le ossa sono precedute nell'embrione dalla cartilagine, che deriva dal mesenchima embrionale. In alcuni Pesci, quali gli squali (Condroitti), lo scheletro dell'adulto è esclusivamente cartilagineo sebbene presenti un certo grado di calcificazione. Questa è una curiosa caratteristica evolutiva, se si pensa che questi Pesci derivano da progenitori che possedevano ossa ben sviluppate.
La filogenesi del tessuto cartilagineo è sicuramente uno dei capitoli più interessanti della storia dei Vertebrati. Per lungo tempo si è ritenuto, considerando lo scheletro dei Condroitti di tipo primitivo, che il processo di formazione delle ossa di sostituzione fosse un esempio di ricapitolazione ontogenetica della storia filogenetica: la sostituzione della cartilagine con l'osso, durante lo sviluppo embrionale, avrebbe ripetuto la stessa evoluzione dello scheletro dei Vertebrati. Tuttavia, la documentazione fossile non sostiene questa ipotesi: i primi resti di antichi Vertebrati, risalenti a circa 470 milioni di anni, mostrano organismi privi di mascella e rivestiti da una corazza o da scaglie di vero tessuto osseo, la cui presenza suggerisce che esso sia comparso molto presto nella storia dei Vertebrati e probabilmente prima del tessuto cartilagineo. Inoltre, l'evidenza di una riduzione piuttosto che di un aumento dell'ossificazione nella storia di molti gruppi di Pesci fa ritenere che lo scheletro cartilagineo presente in alcuni di essi sia in realtà un carattere secondario e non ancestrale.
È molto probabile che la corazza ossea abbia avuto una funzione principalmente difensiva per gli ancestrali Pesci filtratori, forse prede degli Artropodi di notevoli dimensioni presenti nello stesso periodo, come risulta dalle testimonianze fossili. Circa 450 milioni di anni fa comparve una nuova specie di Pesci che possedeva un adattamento diverso, rappresentato da un paio di mascelle. Queste permisero ai Pesci di divenire predatori, inseguendo la preda invece di alimentarsi dei sedimenti sul fondo del loro ambiente acquatico, e fornirono anche un mezzo di difesa, riducendo l'esigenza di una spessa corazza protettiva. Una prova della validità di questa ipotesi consiste nella riduzione, o quasi scomparsa, dei resti degli antichi Artropodi dai depositi fossili di quell'epoca.
La risposta al perché, se non vi è implicata alcuna storia evolutiva, le ossa dei Vertebrati attuali vengono formate su stampo cartilagineo può essere dedotta dal fatto che gran parte delle ossa profonde, preformate in cartilagine, stabiliscono presto complesse articolazioni con quelle vicine e ricevono importanti attacchi muscolari. A stadi precoci di sviluppo, l'endoscheletro dei Vertebrati è un modello quasi perfetto di quello dell'adulto ed è in grado di compiere tutte le sue funzioni. Se gli elementi interni fossero subito ossificati, sarebbe impossibile raggiungere le dimensioni dell'adulto, dato che l'osso cresce solo sulla sua superficie, e i rapporti con le strutture che lo circondano risulterebbero alterati. È necessario perciò un materiale plasmabile; la cartilagine, con la sua capacità di accrescimento interno, è perfettamente adatta a uno sviluppo precoce ed è ideale per la costruzione dello scheletro embrionale.
Gli adattamenti dello scheletro alle più svariate condizioni di vita dei Vertebrati offrono numerosi esempi di conformità funzionale di organi costruiti su un unico modello. Per quanto riguarda, per es., il peso delle ossa, mentre le forme viventi nell'acqua, per il principio di Archimede, non presentano il problema relativo a esso, le forme terrestri tendono ad alleggerire lo scheletro per compiere un lavoro minore, quando devono sorreggersi sugli arti o spostarsi. Così, le ossa dei Cetacei sono piene, spugnose e pesantissime; quelle dei Vertebrati terrestri sono invece cave e più leggere. Negli Uccelli, con l'adattamento al volo, non solo le ossa sono cave, ma vuote, pneumatizzate per la penetrazione in esse dei diverticoli dei sacchi aerei. Alle ossa dello scheletro, soprattutto degli arti, si applica la legge di Eulero, secondo cui lo sforzo massimo sostenibile da una colonna varia inversamente al quadrato della sua altezza. Nei Tetrapodi di taglia maggiore, e quindi più pesanti, gli arti sono più corti e le ossa più grosse. La gravità impone un limite di grandezza agli animali terrestri soggetti al peso, mentre le dimensioni delle forme immerse nell'acqua, e quindi senza peso, possono essere assai maggiori, come è nel caso dei giganteschi Cetacei. In quell'ambiente altre cause fisiologiche pongono un limite alle dimensioni. Nei suoi costituenti essenziali lo scheletro di tutti i Vertebrati non differisce da quello dell'uomo, tuttavia, in relazione all'attività funzionale, le dimensioni relative delle varie parti, così come la loro disposizione, la loro forma e il loro numero, variano considerevolmente, tanto da caratterizzare in modo assai preciso le varie classi.
1.
La conformazione esterna delle ossa può essere schematicamente suddivisa in tre gruppi in relazione alla loro lunghezza, larghezza e spessore. Sono definite ossa lunghe quelle in cui la lunghezza prevale su larghezza e spessore: vi si riconoscono una parte centrale, detta diafisi, e due estremità, chiamate epifisi; la metafisi costituisce una zona di passaggio tra diafisi ed epifisi, dove, nei bambini, sino al termine dell'accrescimento, è localizzata la cartilagine, deputata all'accrescimento in lunghezza delle ossa lunghe (cartilagine d'accrescimento). Sono dette ossa corte o brevi quelle in cui lunghezza, larghezza e spessore tendono a essere equivalenti. Infine nelle ossa piatte o larghe la larghezza e la lunghezza prevalgono sullo spessore. Negli arti sono prevalenti le ossa lunghe che consentono movimenti di ampio raggio per la presenza di complesse strutture articolari (diartrosi) e potenti muscoli.
Alle estremità degli arti invece, sono prevalenti le ossa corte che consentono i movimenti più fini di mani e piedi. Le ossa piatte si trovano a delimitare le cavità, come bacino, torace e cranio, e pertanto sono unite tra loro da articolazioni pressoché fisse, dotate di mobilità scarsa (anfiartrosi), o nulla (sinartrosi). La superficie esterna di ciascun osso è caratterizzata da facce, angoli, margini e da aree prominenti, deputate all'inserzione dei muscoli. Si va da aree più voluminose e tozze, dette apofisi, processi, tuberosità, ai rilievi meno voluminosi, i tubercoli, sino alle spine, più sottili e acuminate. Solchi, fosse e docce sono aree di depressione dell'osso di diverse dimensioni. Ciascun osso è circondato da una membrana che lo avvolge come un guscio, il periostio, che s'interrompe in maniera impercettibile solo in corrispondenza delle articolazioni, dove l'osso è ricoperto di cartilagine e laddove s'inseriscono i tendini. Il periostio è formato da due strati che, in relazione all'età, cambiano struttura e funzione: uno esterno, che contrae rapporti con i vari tessuti a contatto con l'osso, e uno interno con funzione di osteogenesi durante l'accrescimento e la riparazione di fratture.
Nei bambini lo strato interno, detto strato cambiale di Ollier o strato osteogenico, è poco aderente all'osso sottostante, molto attivo biologicamente e riccamente vascolarizzato per favorire l'apposizione di nuovo tessuto. Nell'adulto i due strati, fusi tra loro e fortemente aderenti allo strato corticale dell'osso, risultano biologicamente meno attivi, partecipando alla neoformazione di tessuto osseo solo nei processi riparativi in seguito a lesioni traumatiche, o in caso di lesioni tumorali o infiammatorie. All'interno, l'osso contiene delle cavità rivestite da una membrana, detta endostio. L'organizzazione di tali cavità differisce a seconda della sede e del tipo di osso: nelle ossa lunghe il tessuto osseo compatto della diafisi delimita una cavità cilindrica unica, mentre nelle epifisi, come nelle ossa brevi e piatte, l'astuccio di osso compatto contiene al suo interno un tessuto osseo spugnoso, organizzato in modo da formare trabecole delimitanti minuscole cavità, ripiene come quelle diafisarie di midollo osseo e rivestite da endostio.
2.
Il tessuto osseo è solo apparentemente una struttura inerte: esso risulta infatti dotato di una notevole vitalità biologica, svolgendo differenti funzioni essenziali per l'organismo le quali vanno da quella di riserva minerale, prevalentemente di ioni calcio e fosforo, sino a quella propriamente meccanica di sostegno e di leva per consentire il movimento. L'osso è in grado di modificare la propria forma e struttura a seguito di diversi stimoli fisiologici (per es. il carico) o patologici (per es. le fratture), mostrando una notevole adattabilità alle più svariate situazioni. Le caratteristiche meccaniche più evidenti di compattezza e durezza derivano dalla sua struttura molecolare e dalla disposizione dei suoi componenti: l'orientamento delle fibre collagene influenza elasticità e resistenza meccanica, mentre le sostanze minerali, intimamente connesse alla matrice collagenica e non, gli conferiscono compattezza e durezza. Variazioni qualitative e quantitative di tali componenti influiscono ampiamente sulle proprietà dell'osso.
Nei soggetti anziani, per es., in cui il tessuto osseo è volumetricamente diminuito, i segmenti scheletrici risultano facilmente vulnerabili alle fratture anche per traumi di media e piccola entità. Il tessuto osseo è formato da cellule ossee e da matrice ossea o sostanza intercellulare. In stretta connessione con la funzione dello scheletro, sono riscontrabili anche altri tipi di tessuto: cartilagineo, fibroso, strutture vascolari e nervose e, infine, il tessuto emopoietico, che forma il midollo osseo contenuto prevalentemente nella diafisi delle ossa lunghe. Durante l'età dell'accrescimento, il midollo osseo è di tipo prevalentemente rosso, cioè deputato alla produzione di cellule del sangue (emopoiesi); invece nell'adulto, essendo la funzione emopoietica ridotta, prevale il midollo giallo, formato da tessuto adiposo. Le cellule ossee sono di quattro tipi: osteoblasti; osteociti; cellule endoteliali endoteliomorfe, derivanti tutti da un unico precursore mesenchimale che assume, di volta in volta, una morfologia e una funzione diversa a seconda dello stimolo ricevuto; osteoclasti, che invece appartengono verosimilmente alla linea monocito-macrofagica. Gli osteoblasti sono cellule deputate alla produzione della componente organica (tessuto osteoide) della matrice ossea e, poi, alla sua progressiva calcificazione.
Al termine di tale processo, rimangono inclusi nella parete calcifica da loro stessi formata e si trasformano in osteociti che rappresentano la forma quiescente degli osteoblasti. Gli osteociti sono localizzati in cavità, dette lacune osteocitarie, rivestite da una guaina glucoproteica (guaina di Neumann) e sono connessi tra loro da prolungamenti cellulari, che si diramano lungo canalicoli scavati nella matrice ossea a formare un complesso sistema intercomunicante. Le cellule endoteliali endoteliomorfe sono disposte lungo i bordi interni dell'osso e rappresentano osteoblasti inattivi dal punto di vista della deposizione di tessuto osseo, aventi la funzione di separare l'ambiente intracanalicolare degli osteociti da quello extracanalicolare pertinente al midollo osseo. Gli osteoclasti sovrintendono al riassorbimento della componente sia organica sia inorganica della matrice ossea, svolgendo una funzione regolatrice dell'equilibrio degli ioni calcio e fosforo; queste cellule scavano nella matrice ossea le cosiddette lacune di Howship e realizzano il processo di riassorbimento del tessuto osseo, liberando all'esterno della cellula delle sostanze enzimatiche che provocano la rottura dei legami tra le fibre collagene con conseguente liberazione dei cristalli inorganici. Successivamente, il materiale organico e inorganico è inglobato all'interno dell'osteoclasta, dove è definitivamente degradato e solubilizzato, e quindi reso disponibile per l'organismo nel torrente circolatorio. Questa importante funzione, detta omeostasi calcica, è regolata dall'ormone paratiroideo (PTH, Parathyroid hormone), dalla calcitonina e dalla vitamina D, che controllano l'assorbimento del calcio a livello intestinale, il riassorbimento a livello renale e la ricaptazione a livello osseo.
La matrice ossea o sostanza intercellulare è formata da una componente organica e una inorganica. La matrice organica (che comprende anche le cellule ossee cui spetta solo il 2% dell'intera quota) costituisce circa il 30% del peso del tessuto osseo disidratato ed è formata essenzialmente da fibre collagene di tipo I (95%) immerse in una sostanza, detta sostanza fondamentale, formata da proteine non collagene (5%), quali osteonectina, osteocalcina, proteoglicano osseo, proteolipide osseo, proteina morfogenica ossea, sialoproteina e fosfoproteina ossea, con forte affinità per gli ioni calcio. La matrice inorganica o minerale costituisce il 70% circa del peso del tessuto osseo disidratato ed è composta per il 95% di un materiale simile all'idrossiapatite, detto apatite ossea, ricco in carbonato e in grado di accumulare magnesio, sodio, potassio, fluoruro, cloruro e stronzio. Presenta un'ultrastruttura cristallina a forma di aghi disposti parallelamente alle fibre collagene e ricoperti da un involucro solubile, attraverso il quale avvengono gli scambi metabolici con i liquidi interstiziali dell'osso. L'organizzazione del tessuto osseo varia secondo la disposizione delle fibre collagene che si organizzano a formare la struttura definitiva in lamelle. Nell'uomo si distinguono due tipi di tessuto osseo per quel che concerne l'organizzazione del collagene: in uno le fibre collagene sono orientate in maniera disordinata, formando l'osso a fibre intrecciate o primario, che viene deposto per primo; l'altro è detto osso secondario o lamellare in quanto le fibre collagene vi decorrono parallele in strati regolari, detti appunto lamellari, e costituisce la fase matura del tessuto osseo. Ogni lamella è costituita da fibre collagene con sostanza intercellulare e sali minerali depositati e una fila di lacune osteocitarie con i relativi osteociti. Tante lamelle giustapposte formano un blocco di osso compatto o una trabecola. Macroscopicamente si descrivono due tipi di osso: un osso compatto, in cui non si rinvengono spazi midollari, e un osso spugnoso (o trabecolare), dove le trabecole si dispongono in un complesso sistema a linee ricurve e tra loro intrecciate a delimitare spazi midollari. È importante sottolineare che l'orientamento delle trabecole nell'osso spugnoso e delle lamelle nel compatto segue la direzione della risultante dei vettori di forza da cui ciascun osso è sollecitato. Qualora per motivi diversi, fisiologici o patologici, la direzione delle forze e quindi il carico cui è sottoposto un elemento scheletrico dovesse modificarsi, l'orientamento delle trabecole si adegua prontamente alle nuove sollecitazioni, permettendo così all'osso di conservare le sue caratteristiche di solidità, elasticità e resistenza al carico.
Nelle ossa lunghe la diafisi è formata da tessuto compatto che delimita un canale cilindrico contenente midollo osseo, mentre la metafisi e l'epifisi sono formate da osso spugnoso rivestito da un involucro di osso compatto. Le ossa piatte sono formate da due lamine di osso compatto che racchiudono osso spugnoso, detto diploe. Le ossa brevi generalmente sono formate da osso spugnoso con midollo osseo all'interno, circondate da osso compatto. Nell'osso compatto della diafisi delle ossa lunghe si rinviene una struttura architettonica peculiare, chiamata osteone o sistema di Havers, che rappresenta l'unità funzionale biomeccanica dell'osso compatto, formato da un canale centrale, detto canale di Havers, delimitato alla sua periferia da lamelle a disposizione concentrica. Internamente a ciascuna lamella sono contenuti gli osteociti regolarmente disposti e collegati tra loro da canalicoli per lo scambio nutritizio. Ogni osteone contiene al suo interno dei vasi connessi tra loro attraverso un sistema perpendicolare di canali, detti canali di Volkmann. Il sistema di Havers è in comunicazione sia con il midollo osseo sia con la superficie esterna dell'osso, al fine di consentire gli scambi metabolici per via ematica. L'osso è organo riccamente vascolarizzato e innervato. Nelle ossa lunghe è possibile distinguere una vascolarizzazione diafisaria e una metaepifisaria, fittamente anastomizzate tra loro.
Due sono le principali fonti di irrorazione dell'osso: le arterie nutritizie e le arterie periostee. Le ossa lunghe sono generalmente provviste di un'unica arteria nutritizia che penetra la diafisi tramite un foro, detto nutritizio, con direzione obliqua verso l'epifisi più piccola. L'arteria si suddivide in due rami che si dirigono verso le due epifisi. Ciascun ramo secondario, prima di arrivare alla giunzione metaepifisaria, si anastomizza con le arterie del canale diafisario e con le arterie periostee. Le arterie periostee, dopo aver formato una rete anastomotica nel periostio, penetrano attraverso fori di piccole dimensioni nel contesto dell'osso, anastomizzandosi con le altre arteriole. Questo sistema vascolare è persino più fitto di quello derivante dall'arteria nutritizia, tanto da poter supplire da solo all'intera vascolarizzazione dell'osso. Anche le ossa piatte e quelle brevi sono fornite di due sistemi di irrorazione, ampiamente anastomizzati tra loro. Le epifisi dell'osso maturo sono servite da un sistema arterioso simile a quello diafisario e i due complessi arteriosi si anastomizzano tra loro al termine dell'accrescimento osseo, creando una continuità funzionale. Nell'osso in accrescimento, la cartilagine di coniugazione viene vascolarizzata esclusivamente per diffusione dal sistema vascolare periosteo e rappresenta una netta linea di demarcazione tra i due sistemi arteriosi: diafisario ed epifisario. Il fatto che i sistemi di irrorazione diafisario ed epifisario siano tra loro nettamente separati spiega la funzione di barriera della cartilagine di accrescimento nei processi infiammatori del bambino. Le vene non sempre seguono lo stesso percorso delle rispettive arterie anche se fuoriescono dagli stessi fori. Non esiste un vero e proprio sistema linfatico dell'osso, ma solamente dei canali di drenaggio nel periostio. L'innervazione viene assicurata da una fitta rete di fibre nervose sensitive e vasomotrici che seguono nell'osso il percorso delle arterie.
3.
Durante il periodo fetale e in quello postnatale, il tessuto osseo può formarsi direttamente dal tessuto connettivo per ossificazione membranosa; oppure può formarsi per ossificazione cartilaginea, o encondrale o endocondrale, da un abbozzo cartilagineo. La struttura microscopica definitiva dell'osso sarà la stessa per ambedue i tipi di ossificazione. Nell'ossificazione membranosa, gli osteoblasti, che derivano da un agglomerato di cellule di origine mesenchimale, formano la matrice di tipo osteoide che si ossificherà per apposizione di sali minerali e lo strato più esterno dell'abbozzo formerà il periostio; le ossa del cranio, della faccia e la clavicola seguono tutte questo progetto evolutivo. L'ossificazione cartilaginea, caratteristica delle ossa lunghe, avviene secondo modalità più complesse iniziando da centri di ossificazione, costituiti da aree di proliferazione e differenziazione cellulare, che compaiono in epoche differenti dello sviluppo e che al termine dell'accrescimento si fondono tra loro.
Si distinguono un centro di ossificazione primario, da cui dipenderà lo sviluppo della maggior parte della diafisi, che compare nel corso del 2° mese di vita intrauterina, e centri di ossificazione secondaria per lo sviluppo delle epifisi e di parte della diafisi, che compaiono in tempi diversi dopo la nascita. Nella regione metafisiaria, le cellule cartilaginee formano una piastra circolare di crescita, detta cartilagine di coniugazione o di accrescimento, deputata all'accrescimento in lunghezza del segmento scheletrico. Le tappe fondamentali dell'ossificazione encondrale dei centri di ossificazione sono due: calcificazione e sostituzione dell'abbozzo cartilagineo con tessuto osseo. Le cellule cartilaginee (condrociti) del nucleo di ossificazione vanno incontro a un processo degenerativo: nella matrice interposta compaiono delle strutture rotondeggianti, i cosiddetti corpuscoli di Bonucci o globuli calcificanti, con cui comincia il processo di calcificazione per deposizione di sostanza inorganica. Vasi neoformati, che si insinuano nelle lacune lasciate vuote dalla involuzione delle cellule cartilaginee, veicolano cellule indifferenziate che in questa sede si trasformano sia in osteoblasti, per la sintesi di matrice ossea, sia in osteoclasti, per il riassorbimento della matrice calcifica. Lo strato più esterno dell'abbozzo cartilagineo, detto pericondrio, deposita osso per apposizione dall'esterno e costituirà il periostio dell'osso definitivo. Mentre l'osso diafisario si accresce, una grossa cavità si forma all'interno per l'azione congiunta di osteoblasti e osteoclasti. In corrispondenza della cartilagine di coniugazione, il processo di ossificazione encondrale è del tutto simile a quello descritto, ma i condrociti si trovano disposti in colonne (colonne condrocitarie), in cui distinguiamo quattro livelli che corrispondono a fasi diverse di trasformazione da cellula cartilaginea a cellula ossea.
Dall'epifisi verso la diafisi si riscontrano: 1) zona di moltiplicazione o proliferativa, composta di condrociti in fase attiva di riproduzione; 2) zona di maturazione, in cui ha inizio il processo degenerativo e compaiono i globuli calcificanti; 3) zona di ipertrofia e degenerazione in cui si completa la degenerazione e avviene la deposizione di sali di calcio (calcificazione); 4) zona di ossificazione, con la penetrazione di gemme vascolari e cellule indifferenziate. Queste ultime, differenziandosi in osteoblasti e osteoclasti, sono destinate a rimodellare le trabecole ossee neoformate, che si orienteranno secondo l'asse maggiore dell'osso seguendo anche le linee di carico. L'accrescimento delle epifisi avviene tardivamente rispetto alla diafisi, ma con le stesse modalità. L'osso epifisario maturo è spugnoso perché il processo di rimaneggiamento non forma un'unica grande cavità midollare, come nella diafisi, ma una struttura costituita da trabecole ossee separate da sottili spazi. Durante l'accrescimento, uno strato superficiale di tessuto cartilagineo non è coinvolto nel processo di ossificazione e costituisce la cartilagine articolare.
L'accrescimento delle ossa brevi avviene per ossificazione encondrale di uno o più nuclei di accrescimento, mentre lo strato osteogenico del periostio provvede alla formazione di un sottile strato di osso compatto in superficie. Alcuni segmenti scheletrici a morfologia più complessa, come le vertebre, presentano più nuclei di accrescimento. L'accrescimento delle ossa termina intorno al 26° anno di età, ma permangono fenomeni di rimaneggiamento osseo durante tutta la vita. L'equilibrio tra neoformazione e riassorbimento è condizionato da fattori genetici, umorali, ambientali, nonché statico-dinamici. Le sollecitazioni fisiche consentono all'osso di conservare un buon equilibrio; tuttavia, con il passare degli anni, la riduzione del carico e le modificate condizioni ormonali tendono a spostare questo equilibrio verso un maggiore riassorbimento di matrice ossea, con la conseguenza di rendere l'osso più vulnerabile alle fratture, anche per traumi di minore entità.
4.
La frattura di un osso comporta la perdita di continuità e di integrità della sua struttura; l'osso vi reagisce in termini riparativi innescando una cascata di eventi biologici, i quali condurranno alla consolidazione della frattura attraverso processi di neo-osteogenesi sia pericondrale sia encondrale. Le tappe della guarigione possono essere schematicamente suddivise come segue: 1) fase infiammatoria, che inizia immediatamente dopo il trauma; 2) fase riparativa, comprendente la formazione del callo fibroso che si trasforma in callo osseo; 3) fase di rimodellamento, nella quale l'osso è rimaneggiato per ritornare ad assumere la sua forma primitiva.
L'inizio del processo di consolidazione avviene subito dopo l'evento traumatico per l'avvio del processo infiammatorio. Nel focolaio di frattura, per la rottura dei vasi periostei e midollari, si forma l'ematoma in cui si deposita la fibrina e si attivano le piastrine per il consueto meccanismo dell'emostasi. Le piastrine rilasciano fattori di richiamo e di crescita, sia per le cellule infiammatorie sia per le cellule mesenchimali. Le cellule infiammatorie (polimorfonucleati, monociti e linfociti T) rilasciano sostanze enzimatiche per la degradazione dei tessuti necrotizzati e per la proliferazione di nuovi vasi. La neoangiogenesi favorisce l'accumulo nel focolaio di frattura di cellule mesenchimali in grado di iniziare il processo di riparazione. In sostanza, ogni popolazione cellulare coinvolta favorisce l'arrivo della popolazione successiva, stimolandone la funzione riparativa. Nella fase di riparazione, le cellule mesenchimali si differenziano principalmente in condrociti, osteociti e fibroblasti, i quali costituiscono un callo fibroso composto di tessuto osteoide, cartilagineo e fibroso. Questo callo forma una cuffia conica intorno ai monconi, con diametro maggiore orientato verso il piano della frattura, e assolve la funzione di stabilizzare i frammenti di frattura riducendone i movimenti. Tra la 3ª e la 4ª settimana, il callo fibroso si trasforma in callo osseo, secondo i normali processi di ossificazione encondrale e pericondrale. Quando il tessuto osseo primitivo ricongiunge i monconi di osso, la frattura appare consolidata e comincia il processo di rimodellamento che porterà alla sostituzione dell'osso primitivo con osso lamellare. In questa fase la matrice ossea e le cellule in esubero sono rimosse, mentre l'orientamento delle fibre collagene si adegua alle linee di forza cui è sottoposto l'osso. Il processo di rimodellamento comincia dopo la 6ª settimana e può durare anche per molti anni.
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