Otac na službenom putu
(Iugoslavia 1985, Papà è in viaggio d'affari, colore, 136m); regia: Emir Kusturica; produzione: Mirza Pašić per Forum Sarajevo; sceneggiatura: Abdulah Sidran; fotografia: Vilko Filać; montaggio: Andrija Zafranović; scenografia: Predrag Lukovac; costumi: Divna Jovanović; musica: Zoran Simjanović.
Primi anni Cinquanta: la Iugoslavia di Tito ha appena consumato il suo strappo dall'URSS di Stalin, ma i metodi stalinisti non sono spariti dalla gestione quotidiana del partito. Mesa, un giovane padre di famiglia spesso in viaggio per lavoro, ha una bella moglie, Sena, e due figli deliziosi, l'occhialuto Mirza e il paffutello Malik. Ma soprattutto ha un'amante, Anitza, molto vivace (fa l'atleta, pilota gli aerei...) e molto aggressiva. E quando Mesa oppone l'ennesimo rifiuto alla sua richiesta di divorziare dalla moglie, Anitza pensa bene di denunciarlo al cognato di lui, Zijo, funzionario di partito. Non ci vuole molto: basta insinuare che Mesa non si è 'divertito' alla lettura di una vignetta anti-Stalin comparsa sul giornale. Detto fatto, Mesa viene arrestato: ai figli toccherà raccontare che "papà è in viaggio d'affari". Inutilmente Sena intercede per il marito presso il fratello: il massimo che può ottenere è che l'arresto si trasformi in confino, e che lei e i figli possano raggiungere Mesa in una squallida cittadina di provincia, dove i coniugi tenteranno inutilmente di tenere in vita un rapporto ormai sfilacciato. Malik (che è il 'narratore' del film, lo sguardo attraverso il quale noi spettatori seguiamo la storia) assiste all'odissea politica e matrimoniale dei suoi genitori. Il suo sguardo finale in macchina è il prendere atto, con un sorriso, dell'assurdità della vita.
Quando Miloš Forman annunciò a Cannes, nel maggio del 1985, che Otac na službenom putu aveva vinto la Palma d'oro, Emir Kusturica era a Sarajevo: era dovuto rientrare in fretta e furia, perché a quanto pare aveva promesso a un amico di aiutarlo ad aggiustare la caldaia del riscaldamento. Per inciso: mai annunciatore di premi fu più simbolico, perché Forman apprezzava Kusturica da quando questi studiava cinema a Praga: una scena di Otac na službenom putu (quella in cui Malik, nascosto sotto un tavolo, appicca il fuoco al vestito di una signorina) sembra una citazione tutt'altro che casuale di Lásky jedné plavovlásky. Dieci anni dopo, Kusturica fece il bis di Palme d'oro con Underground: stavolta era rimasto sulla Croisette perché il film era passato l'ultimo giorno, in una copia ancora provvisoria. C'è sempre un adorabile senso di casualità nella vita e nelle opere di Kusturica, enfant prodige del cinema iugoslavo negli anni Ottanta e poi, dopo la dissoluzione del suo paese, cineasta internazionale capace di coniugare tradizione e modernità, aperture americane (Arizona Dream, 1993) e immersioni nel 'piccolo mondo' dei Rom, amore per il rock'n'roll e impegno in prima persona, con la No-Smoking Orchestra, nella diffusione di una world music ruspante e un po' stracciona. Un cineasta al tempo stesso global e no-global, locale e planetario, postmoderno e antico.
Anche Otac na službenom putu è un film apparentemente randagio, senza una linea narrativa forte, in realtà calibratissimo e costruito su un'accurata impalcatura simbolica che però non prevarica i personaggi né pregiudica la godibilità della storia (il film è al tempo stesso triste e divertentissimo). Basterebbe, per capirlo, il titolo di lavorazione che, tradotto in italiano, suona come 'Malattie infantili' ed era la prima scelta dello sceneggiatore Abdulah Sidran: la giovane Iugoslavia del dopoguerra si ritrova incarnata nel piccolo Malik, che deve passare attraverso tutte le malattie dei bambini per guarire e, auspicabilmente, crescere sano e robusto. Malattie che nel film vengono sintetizzate nella strepitosa sequenza della circoncisione ("ti pigliano il birillo e te ne tagliano via un pezzo", così la sintetizza Malik), che non a caso coincide con l'arresto e la sparizione del padre: la pratica rituale, tipica delle famiglie bosniaco-musulmane ‒ etnia alla quale appartengono sia i personaggi che il regista ‒ diventa una castrazione simbolica e, al tempo stesso, un momento di crescita, un distacco dalla figura paterna.
Il papà del titolo è un genitore che non ha molto da insegnare ai figli: è affettuoso ma violento (soprattutto con la moglie), beve, è inaffidabile, si perde dietro ad ogni gonnella. Ma è indiscutibilmente una vittima, nel cui destino si legge in filigrana il dolore sul quale è stata edificata la fragile 'tregua' della Iugoslavia di Tito. Kusturica ha spesso parlato del proprio paese come di una fucina di violenze reciproche che Tito aveva in qualche modo anestetizzato: morto il garante della convivenza pacifica, tutto era esploso nel modo che sappiamo. Se Underground è la grande (ed esplicita) metafora della deflagrazione post-Tito, Otac na službenom putu è la piccola (e più sottile) metafora della via iugoslava al comunismo: una via fatta di indipendenza, di non-allineamento, di 'distinguo' rispetto all'URSS ma anche di una strisciante persistenza di comportamenti stalinisti nella vita e nella politica.
Il tutto tenuto assieme, e rivitalizzato, da spunti quotidiani spesso toccanti: l'amore per il cinema, la passione totalizzante per il calcio (Malik sogna di ricevere in dono un pallone di cuoio), i due rossetti francesi che Mesa regala uno alla moglie e uno all'amante, le feste di partito a suon di musica, tutto un mondo che Kusturica osserva con spirito critico, con ironia e anche ‒ a posteriori ‒ con un pizzico di nostalgia. Il cinema di Kusturica non è solo una parabola sulla Storia e sulla politica iugoslave, ma è anche ‒ per fortuna ‒ una serie di dichiarazioni d'amore. Nella sua opera prima, Sjećaš li se Dolly Bell (Ti ricordi di Dolly Bell?, 1981), c'era ad esempio uno struggente omaggio alla musica beat italiana, che nella Iugoslavia degli anni Sessanta era l'unica forma permessa di rock'n'roll. In Otac na službenom putu c'è la scoperta del desiderio e dell'eros, c'è la musica popolare (Mirza suona la fisarmonica) fatta anche di vecchie canzoni sovietiche che diventano quasi poetiche nella distanza del ricordo, e c'è il calcio: la scena in cui tutti ascoltano dagli altoparlanti la radiocronaca di un match della Iugoslavia ricorda lo straordinario finale di Die Ehe der Maria Braun di Rainer Werner Fassbinder. Ancora una volta, nel segno di una fertile ambiguità: lo sport come strumento di propaganda politica, ma anche come mito, come tessuto sociale, come memoria collettiva.
Interpreti e personaggi: Moreno De Bartolli (Malik), Miki Manojlović (Mesa), Mirjana Karanović (Sena), Mustafa Nadarević (Zijo Zulfikarpasić), Mira Furlan (Anitza Vidmar), Predrag Laković (Franjo), Pavle Vujisić (Muzamer Zulfikarpasić, il nonno), Slobodan Aligrudić (Ostoja Cekić), Eva Ras (Ilonka), Aleksandar Dorčev (dottor Ljahov), Davor Dujmović (Mirza), Amer Kapetanović (Joza, amico di Malik).
R. Grelier, Le regard de l'enfance, in "La revue du cinéma", n. 409, octobre 1985.
M. Chevrie, Un rêve éveillé, in "Cahiers du cinéma", n. 376, octobre 1985.
J. Forbes, Otac na službenom putu, in "Monthly Film Bulletin", n. 623, December 1985.
L. Stefanoni, Papà è in viaggio d'affari, in "Cineforum", n. 254, maggio 1986.
M. Cadé, Emir Kusturica ou l'achèvement d'un genre héroïque, in "Cahiers de la cinémathèque", n. 46-47, mars 1987.
A. Horton, Oedipus unresolved: covert and overt narrative discourse in Emir Kusturica's 'When Father Was Away on Business', in "Cinema journal", n. 4, Summer 1988.
Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 447, décembre 1995.