BRUNELLESCHI, Ottaviano (Attaviano)
Figlio di Betto di Brunello, apparteneva a una famiglia magnatizia guelfa di parte nera. Si ignora l'anno della sua nascita, che tuttavia deve aggirarsi fra il terzo e l'ultimo quarto del sec. XIII, in quanto la prima notizia che abbiamo di lui risale al 1306, quando era podestà di Volterra e quindi in età maggiore e insignito della cintura cavalleresca, senza la quale un tale ufficio gli sarebbe stato precluso. In quel periodo la potenza della sua famiglia era considerevole, visto che suo padre Betto era membro autorevole dell'oligarchia che controllava la città. In quegli anni l'attività del B. è molto densa: fu capitano di Colle Val d'Elsa nel 1308, podestà di San Gimignano nel 1309, podestà di Perugia nel 1311. Tuttavia, mentre si trovava nell'esercizio di quest'ultima carica, fu richiamato d'urgenza in patria: con una lettera del 28 febbraio il Comune di Firenze pregava la Signoria di Perugia di congedarlo dall'ufficio di podestà, perché il padre Betto, colpito dalla vendetta dei Donati, agonizzava sul letto di morte.
Può darsi che la fine di Betto sia, in qualche modo, coincisa con una eclissi della famiglia Brunelleschi nella vita politica cittadina, ma ad ogni buon conto troviamo ancora una volta il B., nel 1320, capitano di Colle. Nel 1325 partecipò all'offensiva fiorentina contro Pistoia, signoreggiata da Castruccio Castracani. Si trovava, allora, come capitano delle frontiere, insieme con Bandino de' Rossi, nei castelli del Valdarno: arrivò di là per portare il suo contributo alle operazioni culminate con la presa del passo di Guisciana. Egli e il Rossi erano tra i comandanti militari di cui più si fidava il comandante in capo delle forze fiorentine Raimondo di Cardona: e come comandanti delle fanterie li troviamo nella battaglia di Altopascio.
Il cattivo esito della battaglia non giovò al suo prestigio; ma soprattutto gli nocque il fatto che suo fratello Francesco fosse stato fatto prigioniero, dal momento che cominciò a correre in Firenze la voce che i familiari dei prigionieri, soprattutto i grandi e i "popolani possenti", fossero disposti a tutto per liberare i loro parenti, per i quali il Castracani aveva stabilito forti riscatti. Si temeva che le famiglie interessate non avrebbero esitato a tradire la patria; ma evidentemente, si temevano ancor di più le simpatie che la causa ghibellina aveva o avrebbe potuto acquistare in Firenze, magari sotto le spoglie della pietas familiare. Per questo il Comune decretò che nessun parente di prigioniero avrebbe potuto essere castellano o vicario, né avrebbe potuto essere convocato dai signori per passare di sorta.
È possibile che questo peraltro passeggero impedimento abbia fatto decidere il B., ormai nemmeno più molto giovane, a ritirarsi dall'attività pubblica. È certo che era già morto nel 1342. Tra i suoi figli era un maschio, Boccaccio, e tre femmine, che, in quell'anno risultano tutte sposate: Giovanna con Albertozzo Alberti, Nicolosa con Bartolomeo Medici, Tosa con Tili Adimari.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Consulte, IX, c. 70; Arch. di Stato di Perugia, Giudiziario,Podestà, a. 1311, n. 61a-62; Firenze, Bibl. Naz. Centrale, Carte Passerini, nn. 186, 215; Ibid., Poligrafo Gargani, n. 379; G. Villani, Cronica, II, Firenze 1845, pp. 327, 331, 350; Cronaca della città di Perugia nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Arch. stor. ital., XVI, I (1850), p. 75; P. Pellini, Dell'historia di Perugia, I, Venezia 1664, p. 372; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1647, p. 308; A. Mariotti, Saggio di mem. istor. civili ed eccles. della città di Perugia e suo contado, I, 2, Perugia 1806, p. 342; Delizie degli eruditi toscani, XII, Firenze 1779, p. 266; R. Davidsohn, Forsch. zur Gesch. von Florenz, II, Berlin 1900, p. 270.