CACHERANO D'OSASCO, Ottaviano
Secondogenito di Giovanni, signore di Osasco e conte di Rocca d'Arazzo, e di Margherita Provana di Leyni (se ne ignora la data di nascita), dopo aver concluso gli studi di diritto, assunse sotto Carlo III, dal novembre del 1530, l'incarico di avvocato fiscale generale nel contado di Asti e nel marchesato di Ceva, segnalandosi negli anni successivi per la difesa delle prerogative della signoria sabauda e la repressione di torbidi nei territori del Cuneese. Castellano ducale a Pinerolo nell'aprile dell'anno 1536, riuscì per qualche tempo a tenere in pugno la situazione, nonostante l'intimazione di resa dei Francesi. E quando vennero infine travolte dalle truppe dell'Humières le ultime resistenze sabaude, passò con i fratelli a difendere, nel 1536, il castello di Bricherasio, riuscendo a ritardare per quasi un mese la marcia dei Francesi verso Asti, nonostante che la piazza fosse assediata da cinquemila fanti e si trovasse esposta al tiro dei grossi pezzi d'artiglieria. Dopo la capitolazione il C. - riacquistata la libertà grazie al pagamento di un riscatto di quattromila scudi d'oro - riprese il suo posto di avvocato fiscale. Lo ritroviamo più tardi, dal 1552, a Ivrea e a Vercelli sostenere alla meglio, prima dell'occupazione spagnola, i diritti ducali caduti ormai nel discredito delle comunità e delle gerarchie ecclesiastiche locali.
è del 18 ott. 1553 una sua lettera in cui segnalava una citazione del priore di Vische per cui il duca e i suoi ufficiali, in attesa della risoluzione di una controversia di giurisdizione portata a Roma, venivano diffidati dal compiere qualsiasi atto "sotto pena d'excomunicatione, interdito et altre censure", mentre - aggiungeva il C. - "li detti priore et gentilhomini di Vische non si degnano ne la supplicatione dar il titolo conveniente a V. Altezza, ma solamente la nominano per proprio nome come se fosse una privata persona".
Il C. si preoccupava nello stesso tempo della sorte delle finanze statali, intervenendo, sempre da Vercelli, il 6 luglio 1553, perché si ponesse rimedio alle "cose della gabella di Nizza che vanno ogni giorno di male in peggio per la mala sorte et qualità dei tempi". Il suo consiglio era di "operare soprattutto che si tagli la strada ai Genovesi, che non facino la condotta del sale per via di Genova, perché, sendo aperta tal via, sarìa la totale rovina della gabella predetta. E così V. Altezza venerìa a perdere il più bello reddito che l'habbi". Emanuele Filiberto, nominatolo senatore, provvedeva pertanto a trasferirlo a Nizza come conservatore delle gabelle del sale della contea; qui il C. si tratterrà ancora sino alla fine del 1656 per intralciare le trattative dirette fra Genovesi e Francesi, intese ad aggirare lo scalo nizzardo.
Consigliere devoto, abile e tenace in anni difficili per le sorti della dinastia sabauda, il C. poteva porre le sue doti al servizio della restaurazione politica e amministrativa del ducato col definitivo rientro di Emanuele Filiberto dopo la conclusione della pace di Cateau-Cambrésis. Investito del feudo di Coassolo (dopo che già nell'agosto 1556 aveva ottenuto dall'imperatore Carlo V la conferma del feudo di Rocca d'Arazzo), venne chiamato dal duca il 1º sett. 1560 a ricoprire la carica di secondo presidente del Senato di Piemonte, con uno stipendio (fissato poi nell'aprile 1562) di 123 lire mensili.
Contemporaneamente il C. rafforzava la sua posizione tra l'alta nobiltà di corte, acquistando dalla comunità i beni e i redditi giurisdizionali di Castelvecchio presso Bricherasio di cui l'anno dopo riceveva l'investitura, cui seguirà nel novembre 1566 quella (condivisa con il fratello Gian Francesco) del feudo di Osasco.
Alla formazione delle prime strutture politiche di tipo assolutistico dello Stato sabaudo, il C. collaborò pubblicando a Torino nel 1569 un volume di Decisiones sacri Senatus Pedemontani, e perseguendo dal suo posto in Senato ogni iniziativa suscettibile di intaccare le ragioni del demanio e del fisco ducale.
La sua dedizione veniva infine premiata con la chiamata, il 25 giugno 1575, alla carica di gran cancelliere di Savoia, massima dignità dello Stato, in successione al conte Tommaso Langosco di Stroppiana. Giurista di chiara fama, portato per dottrina e mestiere a una certa cautela e prudenza negli atti di governo, più che politico versatile e acuto, il C. parve comunque l'uomo adatto alla bisogna in un momento in cui si trattava, soprattutto, di consolidare gli organi del governo e dell'amministrazione. Ma lo fu assai meno quando si trovò, dal 1580, alle prese con l'audace politica di Carlo Emanuele I, che richiedeva maggior fiuto e più spregiudicate attitudini all'azione.
Certo, al C. non erano mancate nell'ultimo scorcio del regno di Emanuele Filiberto anche intuizioni di più largo respiro, a cominciare dal progetto steso nel marzo 1578 per valorizzare il porto di Nizza nel quadro del grande commercio internazionale delle spezie, approfittando della crisi di Anversa, mediante opportune concessioni e franchigie in favore specialmente dei mercanti portoghesi. Tuttavia, con il successivo governo di Carlo Emanuele I, il quadro politico interno e anche le prospettive di manovra sullo scacchiere internazionale presentavano troppe novità e aspetti così mutevoli perché una personalità come quella del C. riuscisse a comprenderli pienamente e tantomeno a padroneggiarli.
Sicché il C. si limitò in questo periodo a fornire semplicemente alcune comparse storico-giuridiche, intese a legittimare di volta in volta le ambizioni ducali sul marchesato di Saluzzo o sulla Provenza. E ancora il suo ultimo impegno, nel corso del 1588, fu la raccolta di "scritture" e di prove sufficienti a dimostrare le "ragioni" dei Savoia sul Genevese, unitamente alla pubblicazione a Torino di due tomi di Consilia (dedicati a sovrani e personaggi autorevoli delle corti europee) che riprendevano sostanzialmente alcuni dei più tipici luoghi comuni della logica politico-dinastica e della ragion di Stato.
Nel marzo 1577 era stato riconfermato, assieme al fratello Gian Francesco, dall'imperatore Rodolfo II nel feudo della Rocca d'Arazzo e nell'ottobre dello stesso anno aveva acquistato dal conte Provana di Leynì il feudo di San Secondo, per 11.500 scudi d'oro, con parte della dote di Cristina Della Rovere, moglie di suo figlio Carlo.
Morì a Torino nel settembre 1589. Le sue Decisiones sacri Senatus Pedemontani vennero ristampate nel 1599 a Francoforte e nel 1609 a Torino (con alcune aggiunte). Lasciò anche una dissertazione dal titolo An principi christiano fas sit pro sui, suorumque bonorum tutela foedus inire, et amicitia infidelibus jungi, ab eisque auxilium adversus alios principes christianos petere?, edita a Torino nel 1545, in Addictiones ad communes Doctorum opiniones; De successionibus regni Portugalliae responsum pro Emanuele Philiberto (Torino 1580); e Consilia sive responsa ad causam Marchiae Salutiarum pro Seren. Carolo Emanuele (Torino 1589).
Da Agnese Gromis e da Barbara Balbis dei marchesi di Ceva, sposata in seconde nozze, ebbe otto figli; altri quattro figli naturali ebbe da Anna Daga e da Margherita Giordano. Dei figli legittimi, Carlo fu dall'aprile 1593 presidente del contado di Asti e del marchesato di Ceva.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sez. I, Lettere particolari, O, mazzo13, corrispondenza del 1529-30, 1542, 1552, 1553-54, 1556, 1562-1573, 1575-1579, 1586-1588; Sezioni Riunite, Controllo Finanze, reg. 1560, f. 37; Patenti Piemonte, reg. 1, f. 142; F. Della Chiesa, Catalogo degli scrittori piemontesi, Carmagnola 1660, p. 175; A. Rossotto, Syllabus scriptorum Pedemontii, Monteregali 1677, pp. 453 s.; [G. Galli della Loggia], Cariche del Piemonte, Torino 1798, II, pp. 258 s.; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, Torino 1841, I, pp. 688-695; A.Bertolotti, Lettere del duca di Savoia Emanuele Filiberto a Guglielmo Gonzaga duca di Mantova, in Arch. stor. ital., s.5, IX(1892), p. 266; D. Carutti, Carlo Emanuele I e il trattato di Lione, in Studi saluzzesi, X (1901), p. 11; L. C. Bollea, Storia di Bricherasio, Novara 1928, pp. 429 s.