SFORZA, Ottaviano Maria
– Nacque nel 1477, figlio postumo del duca Galeazzo Maria Sforza e di Lucia Marliani, sua favorita. Con l’assassinio del duca (26 dicembre 1476), Marliani fu privata di tutti i beni a lei donati. Ottaviano nacque dunque verosimilmente presso la casa del legittimo marito di Lucia, Ambrogio Raverta.
Quando Ludovico il Moro assunse la tutela del piccolo duca Gian Galeazzo Sforza, la situazione per Lucia e i suoi due figli, Galeazzo e Ottaviano, mutò in positivo: per salire al potere, il reggente si era appoggiato al partito ghibellino guidato da diversi parenti di Lucia, e rese dunque ai due infanti la quasi totalità dei beni donati alla madre (1481); nel contempo si stabilì che Ottaviano Maria sarebbe stato avviato alla carriera ecclesiastica e una volta ottenuto benefici ecclesiastici per una rendita di 1000 ducati avrebbe dovuto retrocedere al fratello maggiore la contea di Melzo e le entrate assegnate sulle altre terre del Ducato.
Nel marzo del 1496 divenne in effetti chierico, ottenendo poco dopo la dispensa al suo stato di figlio naturale necessaria per ottenere benefici ecclesiastici. Fu subito nominato protonotario apostolico e ottenne le rendite di S. Alessandro a Melzo e di S. Dalmazio di Paderno (Bergamo), mentre il Moro tentava di ottenere per lui tutti i benefici del defunto cardinale Bernardino Lonati. Il 17 settembre 1497 fu nominato consigliere ducale e creato vescovo di Lodi (27 ottobre), ricca sede lombarda resasi vacante per la morte di Carlo Pallavicini. Lì avviò immediatamente un processo per il recupero dei beni della mensa episcopale infeudati a laici, ma anche delle decime della cattedrale usurpate dal Comune.
A partire almeno dal marzo del 1496, Sforza risiedette per lunghi periodi a Roma presso la corte dello zio, il cardinale Ascanio; lì si trovava anche quando – a seguito dell’arresto di un maggiordomo di Cesare Borgia avvenuto in Lombardia – subì le rappresaglie di Alessandro VI alleatosi con Luigi XII re di Francia. Alla fine di luglio del 1499 lasciò Roma ripiegando sulla Lombardia, e con l’invasione francese del Ducato si spostò ancora, presso la corte imperiale, stanziandosi per un certo tempo a Merano e a Bolzano, da dove – appoggiato da Massimiliano d’Austria – rivendicò senza successo le rendite dei propri benefici ecclesiastici.
Sebbene il re di Francia richiedesse più volte al pontefice la definitiva revoca del vescovado di Lodi, Sforza restò formalmente vescovo eletto della città (amministrata però ecclesiasticamente da Claude de Seyssel), mentre il feudo familiare di Melzo passò a Teodoro Trivulzio. Dopo un possibile soggiorno mantovano, Sforza tornò a Roma da dove tentò di tutelare gli interessi dello zio Ascanio, quelli della sorellastra Caterina Sforza e dei nipoti Riario, proponendo alla Serenissima i servigi di Galeazzo e Alessandro suoi fratelli. Nel dicembre del 1507 probabilmente aveva ripreso a risiedere temporaneamente presso i Gonzaga, irritando con la sua presenza nel Mantovano il governatore francese di Milano Charles d’Amboise.
Negli anni successivi ottenne con fatica, anche grazie al diretto interessamento della madre Lucia Marliani, di poter gestire da esiliato (insieme con il fratello Galeazzo) i propri interessi in Lombardia. Continuò a risiedere prevalentemente a Roma, ove rimase sino al dicembre del 1511, anche durante le prime rappresaglie svizzere su Milano, nonostante le sollecitazioni dei sostenitori sforzeschi, esitando – apparentemente per problemi economici – ad assumere la responsabilità che gli competeva in quanto compartecipe degli interessi sforzeschi. Infine si unì a Matteo Schiner, cardinale di Sion, nella campagna militare voluta da Giulio II contro i francesi. Il 20 giugno 1512 entrò a Milano in rappresentanza di Massimiliano Sforza figlio del Moro e della Lega santa; resse la città «con bontà et recta iusticia» secondo la Cronaca di Antonio Grumello (a cura di G. Miller, Milano 1856, pp. 163, 166), ovvero richiamando equilibratamente in patria vari fuoriusciti e favorendo non solo i partigiani sforzeschi, ma anche i principali magnati milanesi che avevano collaborato con i francesi.
Dopo aver soggiornato presso la madre Lucia, Sforza occupò il palazzo di Teodoro Trivulzio in porta Tosa dove tenne corte per i tre anni seguenti.
Nonostante il fallimento delle trattative (con il capitano di fanteria Benedetto Crivelli) per la cessione di Crema agli sforzeschi, la differita entrata di Massimiliano Sforza a Milano e il buon andamento del suo governo indussero probabilmente Sforza ad aspirare direttamente al trono ducale, aprendo trattative con Venezia, nonché – stando ai carteggi di Girolamo Morone – con gli svizzeri, con il re di Francia, con Gian Giacomo Trivulzio e Antonio Maria Pallavicini. Il contrasto insorto con Massimiliano Sforza fu subito ricomposto (anche per le pressioni dei magnati milanesi a lui favorevoli) e Ottaviano fu accanto al nuovo duca nel suo ingresso a Lodi e quindi a Milano.
A seguito del nuovo rivolgimento di alleanze che vide ricrearsi l’asse franco-veneto, nella primavera del 1513, Sforza lasciò Milano all’entrata di Antonio Maria Pallavicini e fuggì a Como, da dove richiese l’intervento degli svizzeri. L’instabile situazione politica alimentò le tensioni tra il vescovo e il nipote duca; a ogni modo, all’indomani della vittoria di Novara (6 giugno 1513) Sforza guidò il rientro degli sforzeschi in Milano facendo rappresaglia contro gli uomini di Pallavicini. Ancora oggetto dei sospetti del duca, il presule fu imprigionato il 21 maggio 1515 e rilasciato alcuni giorni dopo (6 giugno) dopo essere stato torturato, fu quindi condotto dagli svizzeri in Germania e una volta rilasciato decise di non tornare a Milano rifugiandosi nuovamente a Roma.
Dopo la battaglia di Marignano (14 settembre 1515) e la riconquista del Ducato da parte francese, Francesco I di Francia richiese a Leone X la sua sospensione dalla sede lodigiana, mitigata da uno scambio con Gerolamo Sansoni dal quale ottenne il vescovado di Arezzo (19 dicembre 1519) e dal mantenimento di una pensione di 500 scudi sull’episcopato lombardo. Nello stesso 1519 incitò nuovamente i milanesi a ribellarsi sostenendo una restaurazione sforzesca. Con la riconquista di Milano da parte sforzesca (20 novembre 1521), Sforza tentò di rientrare a pieno titolo in possesso del vescovado di Lodi, ma l’operazione riuscì solo parzialmente tra il 1527 e il 1533. Lasciò il vescovado di Arezzo nel 1524, mentre contemporaneamente il feudo di Melzo gli fu tolto e dato a Massimiliano Stampa.
Francesco Guicciardini e Marino Sanuto ricordano Sforza – con il titolo di vescovo di Lodi – costantemente impegnato a mantenere rapporti diplomatici con gli svizzeri e i veneziani a favore del nipote duca di Milano, specie nella difficile congiuntura degli anni della Lega di Cognac. Guicciardini non mancò però di criticare il suo fallimentare operato nel soccorrere il castello di Milano nel 1526. Nel luglio del 1529, nell’ambito delle ultime fasi dello scontro tra il nipote duca Francesco II Sforza e Carlo V, fu condannato per ribellione con pena di confisca revocata poche settimane dopo (17 agosto) in seguito agli accordi tra gli Sforza e gli imperiali. In questi anni dovettero susseguirsi diverse crisi con i parenti a motivo della rete diplomatica che Sforza si era creato in competizione con quella ufficiale dei duchi di Milano, nonché delle rendite e degli appannaggi lombardi mai corrisposti dai parenti. Nel settembre del 1529 offrì i propri servigi al re di Francia.
Nel 1535, poco prima della morte del duca Francesco II, suscitò uno scandalo internazionale perché in occasione di una sua visita a Ferrara (oltre a essersi presentato male in arnese) si lamentò per il comportamento del nipote e fece trapelare le proposte dell’ambasciatore francese che intendeva offrigli 2000 scudi, con il patto di un trasferimento alla corte dei Valois. All’indomani della morte dell’ultimo duca di Milano, stando al cardinale Jean Du Bellay, in accordo con i veneziani Sforza tentò di sostenere il nipote illegittimo Giovanni Paolo Sforza nella successione del Ducato di Milano; i due erano attesi a Roma a fine novembre del 1535, ma il più giovane dei pretendenti Sforza morì a Firenze il 6 dicembre.
Dal 24 novembre 1540 Sforza fu vescovo di Terracina (carica poi passata nel 1545 al nipote Ottaviano Raverta), ma già il 20 maggio 1541 fu elevato al patriarcato alessandrino. Salvo brevi soggiorni a Lodi sembra che Sforza si fosse trasferito quasi in pianta stabile a Venezia dove teneva corte, frequentata tra gli altri da Pietro Bembo e Bernardo Capello, circondato da diversi colti esuli milanesi. Sanuto afferma anzi che egli aveva preso residenza a Murano sin dalla primavera del 1526 e forse prima. Stando a Giovan Francesco Straparola – che ambientava nel palazzo insulare di Sforza il racconto delle sue novelle (Le Piacevoli notti, Venezia 1553) – il vescovo si era trasferito in laguna a causa della «persecuzione dei suoi parenti». Sforza morì sullo scorcio del marzo del 1547 in Cannaregio, parrocchia di S. Marziale.
Prototipo di ecclesiastico rinascimentale, privo di una vera personalità eppure protagonista non del tutto secondario della vita politica e culturale italiana del primo Cinquecento, ebbe una figlia naturale, Lucrezia, già attestata nel 1508; nel 1515 fu dotata dal padre, in vista del matrimonio con Francesco di Giovanni Gonzaga nipote del marchese di Mantova.
A dispetto della povertà di cui spesso si lamentava, la sua dimora conteneva oggetti particolarmente raffinati tra i quali figurava un Laocoonte di bronzo, una collezione di marmi e di dipinti. Nel luglio del 1526 la basilica di S. Marco era stata decorata, tra gli altri, anche dagli arazzi del vescovo, otto panni pregiati rappresentanti «caxamenti et teatri» (I diarii di Marino Sanuto, 1879-1902, XLI, col. 58), mentre Marcantonio Michiel (1896, 2000, p. 54) ricordava che il «vescovo di Lodi» aveva ceduto prima del 1530 ad Antonio Foscarini il ritratto di un curiale favorito di Giulio II di mano di Raffaello.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Autografi, 10; Not., 2374, 29 marzo 1496, 28 maggio; 5528, 5 aprile 1508; 6026, 16 marzo 1515; Reg. Panigarola, Liber Bann., 4-3, cc. 101r-102v, 8 luglio 1529, 17 agosto; Rog. Camerali, 533, 13 febbraio 1481; Sforzesco, 1422, 10 gennaio 1525; 1195, 7 e 8 agosto 1535; 1376, 10 e 13 agosto 1533, 30 agosto 1535; Archivio di Stato di Venezia, Not., 8093, cc. 102-103, 2 aprile 1547; Paris, Bibliotèque nationale, Fonds Français, 3045, c. 91; Lodi, Biblioteca comunale, XXIV.A.34: D. Lodi, Vita dei vescovi di Lodi, pp. 301-347.
F. Ughelli, Italia sacra, I, Venezia 1717, col. 432; IV, 1719, coll. 682-683; N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 52 s. nota 21; G.A. Prato, Storia di Milano..., in Archivio storico italiano, II (1842), pp. 217-418 (in partic. pp. 300 s.); G. Morone, Lettere e orazioni latine, a cura di D. Promis - G. Muller, in Miscellanea di storia italiana, II (1863), pp. 237 s., 267 s., 271-274; Dispacci di Antonio Giustinian, a cura di P. Villari, Firenze 1876, I, p. 402, II, p. 405, III, p. 15; I diarii di Marino Sanuto, a cura di R. Fulin et al., Venezia 1879-1902, II, XIII, XIV, XLI-XLIII, XLVIII, LI, LII, LIV; G.A. Porro, Monsignor O. S. 56° vescovo di Lodi, in Archivio storico per la città di Lodi, VI (1886), 1, pp. 1-4; M. Michiel, Notizia d’opere del disegno, a cura di T. Frimmel, Vienna 1896, Firenze 2000, p. 54; Correspondance du cardinal du Bellay, Paris 1905-2017, II, pp. 173, 218; G. Agnelli, Lodi e territorio durante la lotta fra Francia e Spagna, in Archivio storico per la città di Lodi, XXV (1906), 3, pp. 69-88; K. Eubel, Hierarchia catholica, Munster 1923, II, p. 173, III, pp. 102, 310; C. Santoro, Un manoscritto gonzaghesco nell’Archivio storico civico di Milano, in Archivio storico lombardo, LXXXVIII (1961), pp. 237-251; L. Samarati, I vescovi di Lodi, Milano 1964, pp. 192-194, 199-203, 207-211; G.F. Straparola, Le piacevoli notti, a cura di D. Pirovano, I, Roma 2000, pp. 5 s.; M. Pellegrini, Ascanio Maria Sforza. La parabola politica di un cardinale-principe del Rinascimento, II, Roma 2002, pp. 627, 749, 752, 754, 824, 827; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), XV, 1495-1498, a cura di A. Grati - A. Pacini, Roma 2003, lettere 68, 90, 97 s., 100 s.; M. Hohamann, Venise et Rome (1500-1600). Deux écoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, pp. 156 s.; R. Sacchi, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di Massimiliano Stampa, I, Milano 2005, pp. 115-118, 157 s., 321, 392; S. Meschini, La Francia nel ducato di Milano. La politica di Luigi XII (1499-1512), Milano 2006, ad ind.; F. Leverotti, Lucia Marliani e la sua famiglia: il potere di una donna amata, in Donne di potere nel Rinascimento, a cura di L. Arcangeli - S. Peyronel, Roma 2008, pp. 281-311; A. Terreni, Testamenti di Lucia Marliani e Ambrogio Raverta, in Storia in Martesana, 2010, n. 4, pp. 2-17.