ZAMBONI, Ottaviano
– Nacque a Roma nel 1772 dal conte Giovan Battista e da Barbara Finucci. Secondo una parte delle fonti nacque invece a Ferrara nel 1773.
Il padre era stato dapprima ufficiale austriaco, poi funzionario dell’amministrazione dello Stato della Chiesa. Ottaviano ne seguì presto le orme. Nel 1791 si arruolò come cadetto nella cavalleria pontificia. Quindi, alla metà di giugno del 1793, si trasferì a Vienna presso lo zio Giuseppe, colonnello e poi generale dell’esercito imperial-regio, che lo fece entrare in un reggimento di cavalleria di ulani. Ottaviano prese parte alla campagna del 1794 della prima coalizione contro la Repubblica francese. Subì ferite in uno scontro presso Chalancey, nella regione dell’Alta Marna. Promosso sottotenente, nell’autunno del 1795, combatté sotto Mannheim e venne di nuovo colpito. Stesso funesto risultato dopo la battaglia di Amberg, nel 1796. Questa volta però le lesioni si rivelarono più gravi: Zamboni, obbligato alle stampelle per tre anni, necessitò di un lungo periodo di convalescenza nel Regno di Napoli.
Rientrato nel suo reparto, combatté nella battaglia di Verona del 26 marzo 1799. Ferito gravemente, rimase inabile al combattimento e fu trasferito a Kielce, nella Galizia occidentale, alla guida della locale direzione dei Sali e tabacchi.
Nel 1805 rientrò in servizio attivo con il grado di capitano, come aiutante dell’arciduca Massimiliano d’Austria-Este. A partire dal 1808, continuando a combattere l’esercito napoleonico, fece parte del corpo istituito dall’esule francese di origini ungheresi Ferdinand de Géramb. L’anno seguente fu incaricato, per conto dell’imperatore Francesco I, di una missione diplomatica segreta a Roma, dove suo fratello Fortunato Maria, prelato domestico di Pio VII, aveva fondato l’Accademia della religione cattolica.
Non è noto il contenuto delle sue istruzioni, nell’occasione, ma è verosimile che si trattasse di guadagnare la S. Sede all’iniziativa bellica austriaca di inizio 1809, vanificata dalle vittorie di Napoleone Bonaparte fra aprile e maggio e dall’annessione dello stesso Stato della Chiesa all’Impero francese.
Zamboni fu impegnato in un’operazione simile nel 1811. Allo scopo di verificare gli spazi per nuovi progetti contro Bonaparte, si recò dapprima presso lord William Bentick a Palermo, poi a Malta e infine a Costantinopoli. Il rientro a Vienna, nel 1812, coincise con il passaggio ai servizi di intendenza: egli fu infatti impiegato nella supervisione di tutti i magazzini militari della città. Nella successiva guerra della sesta coalizione, ebbe l’incarico di portare ordini e denaro presso l’esercito austriaco.
Riprese infine il servizio effettivo. Nel 1814, fatto comandante della piazza di Padova, contribuì alle operazioni di assedio a Venezia. Ne fu ricompensato con la croce di bronzo imperial-regia. Quindi, a partire dal 1817, si spostò a Rieti, verosimilmente per sorvegliare l’attività carbonara nello Stato della Chiesa, dopo la prima insurrezione a Macerata nel giugno dello stesso anno. Propositi simili si possono intravvedere in una successiva missione nel Regno di Napoli, che le fonti definiscono «segreta» (Roma, Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento, ms. 754, f. 36, c. 339r).
All’inizio del 1821 Zamboni entrò nel corpo di spedizione austriaco inviato nel Mezzogiorno d’Italia per attuare la restaurazione dopo l’affermazione della rivoluzione costituzionale nel Regno delle Due Sicilie. In particolare, egli faceva parte del quartier generale del comandante Johann von Frimont. Distaccato con un gruppo di armati a Rieti, affrontò gli sconfinamenti di truppe napoletane nel successivo febbraio. Non vi sono però notizie di una sua partecipazione alla battaglia di Rieti-Antrodoco del 7 marzo, che vide il disfacimento dell’esercito del generale Guglielmo Pepe e determinò la fine dell’esperimento politico-istituzionale napoletano.
Zamboni passò quindi a Roma, come responsabile dei trasporti militari imperial-regi. Promosso maggiore, ebbe occasione di conoscere Antonio Canova. Nel 1826 chiese e ottenne la licenza per scavi archeologici presso Porta Pia. Venne così in possesso di una cassa sepolcrale romana acquistata più tardi dalla Pontificia commissione generale consultiva di belle arti.
Concluse dopo sette anni le operazioni di occupazione austriaca del Regno, Zamboni si preparava a prendere possesso di un incarico di comando nella piazza di Venezia quando attirò l’attenzione di papa Leone XII, che fece chiedere all’imperatore licenza di poterlo porre al proprio servizio con il grado di colonnello e l’incarico di ispettore generale delle truppe pontificie.
Zamboni entrò in carica all’inizio di luglio del 1828. Ben presto si avvide «di essere entrato in una babilonia» (Roma, Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento, ms. 754, f. 35, c. 306v), soprattutto per l’ostilità dimostrata dal chierico della Camera apostolica e presidente delle Armi Giuseppe Ugolini. Un piano di riforma generale degli ordinamenti militari pontifici, elaborato da Zamboni, subì dapprima ritardi per la morte del pontefice e l’elezione del successore Pio VIII (10 febbraio-31 marzo 1829), finendo poi del tutto insabbiato. Poco dopo, seguì l’elezione a generale del colonnello conte Filippo Resta. Zamboni, come ricordò egli stesso, fu costretto a «rassegnar[s]i, tacere, e pazientare, ritirar[s]i in campagna per non essere spettatore degl’intrighi, e delle gabale» (c. 309v). Iniziò allora a interessarsi di agronomia.
Nel febbraio del 1831, defunto il pontefice e succeduto al soglio Gregorio XVI (il 2 dello stesso mese), la Romagna fu investita dai moti liberali. Zamboni in un primo momento fu incaricato di assistere il principe Clemente Altieri nella formazione di una guardia civica in Roma. Poi ispezionò le truppe del Lazio settentrionale, trovandole in pessime condizioni. Tornato a Roma, fu inviato a Milano presso il feldmaresciallo von Frimont, diventato capo di stato maggiore, per pregarlo di entrare negli Stati pontifici il prima possibile. Il comandante austriaco gli promise che l’11 marzo i suoi sarebbero stati a Bologna, capitale delle province insorte. Ritardarono solo pochi giorni: vi entrarono infatti il 20.
Nel contempo, Zamboni operava con poteri commissariali per facilitare gli spostamenti di truppe austriache contro Ancona, centro di maggiore resistenza degli insorti. Rientrato a Bologna, ebbe dal cardinale Carlo Opizzoni, legato a latere delle legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì, l’incarico di commissario straordinario per gli affari militari di quelle province. Dopo aver tentato con scarso successo di formare contingenti affidabili, alla metà di luglio, rientrò a Roma. Papa Gregorio XVI lo decorò con una commenda dell’Ordine di Cristo. In agosto, quindi, ebbe l’incarico di portarsi a Ferrara per formare truppe da opporre ai disordini ancora dilaganti. Il 10 settembre vi entrò.
Costituiti nuovi corpi armati, organizzati secondo i criteri austriaci, Zamboni nel successivo autunno li impiegò con successo ad Argenta e lungo il Reno. Gli insorti tentarono quindi di impedirgli l’ingresso nella Romagnola, in località detta Passo della Bastia, sul fiume Primaro, ma nella notte del 19 gennaio 1832 le truppe pontificie, fiancheggiate da corpi irregolari (definiti dai liberali tout court banditi), attaccarono con successo. Tre giorni dopo Zamboni entrò in Lugo.
Raggiunse Ravenna il 4 febbraio 1832. Non poté evitare disordini, appena sistemati i soldati in caserma: infatti, «durante la notte si sentirono cantare canzoni liberali» (Roma, Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento, ms. 754, f. 35, c. 320r); il giorno seguente le pattuglie di ronda furono accolte per strada da insulti e da minacce di morte. Si verificarono anche veri e propri incidenti. I carabinieri locali, invece di mantenere l’ordine, sembravano parteggiare per i rivoltosi. Disperando di mantenere il controllo della situazione, Zamboni chiese il soccorso austriaco. Quindi, tentò di essere richiamato a Roma, ma gli giunse l’ordine di spostarsi a Bologna, allo scopo di organizzarvi cinque nuove compagnie di carabinieri, quattro a piedi e una a cavallo.
Il suo ingresso in città, il 13 marzo 1832, fu l’occasione di violenti disordini, culminati in una sassaiola. Zamboni stesso fu colpito alla testa. Tornò a Roma nella successiva estate, per dar conto di quanto operato nella gestione dei nuovi corpi e passarli sotto il comando della Presidenza delle armi. Colse l’occasione per proporre al papa nuove riforme nel campo dell’agricoltura, ma con scarso riscontro. Ebbe solo l’autorizzazione, il 24 febbraio 1833, di impiegare ragazzi poveri tratti dalle istituzioni assistenziali di Roma per farli lavorare nella sua tenuta di Tor Pignattara.
Dopo un soggiorno a Macerata, alla fine del 1835 gli fu confermato l’ufficio di ispettore generale. L’anno seguente fu nominato castellano di Castel Sant’Angelo. Fu promosso generale di brigata nel 1839 e prese il comando della 1ª divisione territoriale di Roma. Curò quindi le operazioni di arruolamento fra il 1843 e il 1844.
Alla metà di novembre del 1848, subito dopo l’omicidio di Pellegrino Rossi, Zamboni cercò di mantenere il controllo del presidio di Roma, diramando istruzioni agli ufficiali a lui sottoposti di tenere consegnati i soldati in caserma. La dimensione del moto rivoluzionario era però tale che esse furono del tutto disattese: le truppe delle compagnie uscirono, armate, e fraternizzarono con il popolo sceso in strada. Zamboni ne attribuì la responsabilità a Karl Rudolf von Lentulus, nominato proministro della Guerra: nondimeno, nulla poté nelle giornate seguenti, quando il moto si avviò a un esito apertamente rivoluzionario. Riuscì soltanto a intercettare l’ordine di liberare i detenuti in carcere e a bloccarlo per il momento, ma non fu presente accanto al pontefice nella giornata decisiva del 16 novembre, quando il Quirinale fu attaccato.
Il 24 novembre Pio IX lasciò Roma per raggiungere Gaeta. Proclamata la repubblica, Zamboni restò per qualche settimana a Roma. Poi, dopo l’ordine del giorno del 7 gennaio 1849 del generale Carlo Zucchi da Gaeta che convocava l’esercito presso il papa, decise di tentare la fuga. Durante la notte fra il 16 e il 17 gennaio 1849 uscì da porta S. Giovanni in compagnia di alcuni ufficiali, diretto a Terracina. Scoperto e arrestato dalla guardia civica, fu portato in Castel Sant’Angelo. Sembrava destinato alla fucilazione o al carcere perpetuo. Un tentativo di liberazione da parte dei soldati a lui fedeli, peraltro fatti oggetto di derisione nel sonetto di Giuseppe Gioachino Belli L’incontro cor padrone vecchio, rimase senza conseguenze. Ebbe la libertà il 9 luglio 1849, poco dopo la fine dell’esperienza della Repubblica Romana. Sottoposto al giudizio dalla commissione pontificia di censura per i militari di linea, non riottenne l’alto grado che ricopriva. Persino per integrare il suo stipendio fu necessaria una supplica al papa. Infine, fatto commendatore dell’Ordine di S. Gregorio Magno e posto a riposo, trascorse gli ultimi anni Roma, occupandosi di agricoltura.
Morì nella capitale pontificia il 26 gennaio 1853.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento, ms. 754, ff. 35-36.
G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, X, Venezia 1841, p. 209; A. Coppi, Discorso sopra alcuni stabilimenti e miglioramenti agrari, Roma 1842, pp. 11 s.; L.-C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, I-IV, Firenze 1853, I, pp. 58-61, III, pp. 139, 153, 158; F. Cantoni, I bolognesi prigionieri politici a Venezia nel 1831, Bologna 1931, p. 22; P. Dalla Torre, Materiali per una storia dell’esercito pontificio, in Rassegna storica del Risorgimento, XXVIII (1941), 1, p. 91; E. Bottrigari, Cronaca di Bologna, a cura di A. Berselli, II, Bologna 1960, p. 18; La fidatissima corrispondenza. Un ignoto reportage di Johann Jakob Bachofen da Roma nel periodo della rivoluzione romana (1848-1849), a cura di G. Arrigoni, Firenze 1996, ad ind.; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, a cura di P. Liverani - M.R. Russo, VI, Roma 2000, pp. 282, 304.