BERTOTTI-SCAMOZZI, Ottavio
Nacque a Vicenza nel 1719 (e non nell'anno 1726, come alcuni autori affermano: cfr. N. M. Berton), il giorno 5 aprile, da Antonio Bertotti e Vittoria Scabora. Il padre, barbiere, avviò il figlio alla sua modesta professione; ben presto però il B. trovò un protettore nell'erudito e dilettante di architettura marchese Mario Capra, che lo fece educare e istruire. Poté cosi partecipare al concorso per l'eredità di Vincenzo Scamozzi: quell'eredità che, secondo la disposizione del testatore (16 aprile 1616: vedi comunque sulla questione F. Barbieri, Vincenzo Scamozzi, Vicenza 1952, p. 182), doveva appunto servire ad un giovane vicentino "sopratutto a ben disegnare per incamminarsi poi con maggior profitto all'architettura". Il B. ottenne il lascito, anche per l'appoggio del marchese Capra: e da quel momento, ottemperando a una precisa disposizione, aggiunse al suo cognome quello di Scamozzi. Mancano però indicazioni precise sulla data dell'avvenimento: certo prima del 1761, quando lo stesso B. nella prefazione del suo Forestiero istruito accenna al fatto come già avvenuto. Oscura fu sempre, dei resto, la vita del B.: di essa nessun episodio conosciamo degno di qualche rilievo, se non forse l'incontro con il Goethe, a Vicenza, la sera del 21 sett. 1786. Il poeta tedesco, nel suo Viaggio in Italia, ricorda come il B., "artista valente ed appassionato", gli diede "alcune indicazioni, mostrandosi contento dell'interesse" che egli, il forestiero, vi prendeva; tanto da far esclamare al Goethe il successivo22 settembre (Giornale del viaggio in Italia per la signora von Stein): "Se dovessi obbedire al mio desiderio mi tratterrei qui un mese, farei con il vecchio Scamozzi un rapido corso di architettura e quindi proseguirei tranquillato del tutto con me stesso". Non èpossibile sapere se il B. abbia mai compiuto viaggi fuori della sua città, se non nel territorio circostante, per sopraintendere a qualche fabbrica: unica trasferta di rilievo quella a Casale Monferrato nel 1789, sempre per incarichi relativi alla sua professione. A Vicenza il B. abitava nelle adiacenze del teatro Olimpico in una casa concessagli in appannaggio quale "custode" del teatro stesso.
Primo maestro del B. nell'architettura fu Domenico Cerato (1715-92), studioso dei moduli palladiani e scamozziani. Presto però si svincolò dai limitati insegnamenti di questo, entrando in rapporto con il Temanza, figura di massimo rilievo nel filone neoclassico veneto; con Bonomo Algarotti e attraverso lui con il più famoso Francesco; con numerosi eruditi strarderi. Questa tendenza del B. a confluire entro l'alveo più vasto della cultura italiana ed europea del tempo si manifesta fin dalla pubblicazione di quella guida di Vicenza in forma dialogica, intitolata Il forestiere istruito delle cose più rare di architettura e di alcune pitture della città di Vicenza, edita a Vicenza nel 1761 (altre ediz. nel 1780 e nel 1804), e nella quale le 26 tavole in rame, riproducenti edifici del Palladio e dello Scamozzi, sono corredate da precise misure espresse in piedi vicentini e piedi inglesi. èevidente lo scopo di far cosa gradita proprio a quegli studiosi anglosassoni che, da Inigo jones a William Adam, avevano chiaramente manifestato la loro predilezione per gli esempi del '500 e '600 vicentino. L'operetta ebbe, del resto, una risonanza molto vasta in Italia e fuori: J. J. Volkmann (autore delle Historische-Kritische Nachrichten von Italien…, Leipzig 1770-71) la consigliò al Goethe quale uno dei testi più utili alla conoscenza delle città italiane. Ma senza dubbio l'impresa più appassionante del B. è la monumentale edizione delle Fabbriche ed i disegni di Andrea Palladio, pubblicata a Vicenza in quattro tomi, dal 1776 al 1783 (I [1776]; II [1778]; III [1781]; IV [1783]), per cura di Francesco Modena, che ebbe, sempre a Vicenza, una seconda edizione postuma nel 1796: perfino l'acido Milizia finiva per riconoscere (1781) che essa "fa onore a tutta l'Italia". Un onore sudato e sofferto: per stampare i suoi libri il B. impiegò infatti le scarse risorse finanziarie del lascito Scamozzi, aiutandosi con una pubblica sottoscrizione divulgata dalle pagine del Giornale d'Italia (XI,1775).
Quanto al risultato ottenuto, basti pensare che i volumi sono in folio grande, su bella carta a mano, corredati complessivamente da 211 tavole, dovute a David Rossi, al Vichy e al Dall'Acqua: quasi tutte stupendi esempi di realizzazione grafica. E al testo italiano si affianca parallela traduzione francese.
Se questa eleganza fu elogiata da tutti, nessuno si preoccupò invece, neppure tra i moderni (v. però Barbieri, 1952), di ricercare il metodo seguito dal B. nella sua indagine e di vedere quale fosse, in sostanza, lo scopo finale cui egli tendeva. Scopo che non va confuso con la volontà,, che pure è presente ma non è determinante, di far ordine nella selva intricata delle attribuzioni palladiane, sceverando finalmente il vero dal falso Palladio: come già aveva fatto, con ben minore discernimento, e sempre in Vicenza, Francesco Muttoni qualche decennio prima (cfr. Architettura di A. Palladio con le osservazioni dell'architetto NN., tomi I-IX, Venezia 1740-1760). Il B. parte, più acutamente, da due constatazioni: che, nel Trattato palladiano dei 1570, i numeri indicanti le misure delle fabbriche e delle loro parti non corrispondono molto spesso alle tavole cui sono apposti; che notevolissime sono poi le differenze fra i disegni dello stesso Trattato e le relative fabbriche eseguite. Quanto alla prima difficoltà (non soccorrendolo la conclusione cui è giunta la moderna filologia, del resto non senza contrasti, essere cioè le tavole del 1570 cose affrettate e superficiali dovute ai figli dell'artista o a ignoti xilografi), egli la risolve con una paziente collazione di tutte le edizioni dei Quattro Libri susseguitesi dal 1570 fino alla metà del '700: ed isola così, attentamente sceverando, il progetto che gli sembra più attendibile. Per affrontare la seconda difficoltà il procedimento si fa ancora più sottile. Anzitutto il B. comincia e conduce a termine l'impresa immane di rilevare con scrupolosa diligenza le misure di ciò che del Palladio è stato eseguito. Poi, egli istituisce un confronto tra gli edifici eseguiti e i relativi progetti: e rimarca tutte le differenze in tal modo constatabili. Comincia allora un capillare lavorio critico per distinguere quali di queste mutazioni, dell'eseguito rispetto al progettato, siano accettabili, in quanto ad evidenza volute dallo stesso progettista durante il corso del lavoro; quali invece siano da ripudiarsi come arbitraria modificazione dovuta a terzi. Tenuto conto di ciò che si può accogliere e respinti gli elementi spuri, si afferra, secondo il B., la "speciale impressione caratteristica" (I, pref., p. 11), la vera essenza della "invenzione" palladiana: un "medium" quindi, un'astrazione sceverata a fil di logica tra il progetto, anteriore, e l'esecuzione, posteriore e falsata da compromessi o da soprusi; ed è proprio questo "mediuni ", e non altro, il vero "contenuto", che si concreta visivammente nelle stupende tavole del Bertotti. Ne risulta un Palladio disciplinato entro ferree leggi proporzionali; specchio esemplare di "una certa armonia che non lascia nascere desiderio di accrescimenti, né di diminuzioni" (III, pref., p. 4), sorta com'è, "nelle varie sue forme, da un certo sistema di leggi esistenti in natura"; leggi dal sommo architetto "conosciute e messe in pratica, quantunque non manifestate" (ibid., pp. 5 s.). L'esigenza chiarificatrice dell'illuminismo attua in tal modo, attraverso le pagine ed i disegni del vicentino, uno dei monumenti più significativi della sua metodologia critica: e prepara il testo sicuro alla prossima interpretazione "neoclassica" del Palladio.
Oltre a curare la sua poderosa edizione palladiana, il B. esercitò anche l'attività di costruttore. La sua carriera si inizia (1758) con l'arco trionfale (in legno, provvisorio) eretto in piazza dei Signori a Vicenza per il cardinalato del vescovo cittadino, Marino Priuli: cosa piuttosto banale e modesta. Del 1760 è l'adattamento, su fabbrica preesistente, di palazzo Trissino a Sandrigo, incompiuto; del 1766 casa Milana, a Vicenza, all'inizio di contra' Santa Lucia. Nel 1770, dopo aver rieccheggiato, nel villino Cortivo a Riello, quello palladiano dei Cerato a Montecchio Precalcino (l'edificio del 1770 venne poi completamente modificato nel 1856), abbiamo una delle prove più impegnative del B. architetto, il palazzo Folco a Vicenza. Seguono, sempre in questa città, la facciata della chiesa di S. Faustino (1774), casa Muzzi nell'odierna piazza Matteotti (1776), la loggia Sperotti al ponte Furo ed il palazzo Braghetta sul Corso (1780): dal prospetto avvicinabile a certi raggiungimenti del Piermarini. Nel 1789 il B. è a Casale Monferrato ove amplia il palazzo Gozzano di Treville, sistemandone pure la facciata; e prosegue la costruzione interrotta della casa Pallio di Rinco. A Torino viene a lui attribuito il palazzo Morozzo della Rocca.
Nell'artista però, pur a contatto con i modelli palladiani, è sempre come una innata timidezza che finisce per tradursi in dimessa modestia di strutture, in un grigiore sconsolato di piatti bugnati, in un rigore calligrafico e paziente o, meglio, pedante. Come per gli altri "preneoclassici" vicentini del sec. XVIII (il Cerato, l'Arnaldi, Mario Capra, lo Ziggiotti) anche per il B. è raro non solo raggiungere, ma anche sfiorare la poesia. Un miracolo cui egli si avvicinava, forse nel purtroppo distrutto prospetto del Teatro Eretenio (1784); e quasi raggiunto nella villa Franceschini di Arcugnano (1770), ove, movendo dai progetti dei Palladio per villa Ragona alle Ghizzole e per il palazzo di Giulio Capra (cfr. Palladio, I Quattro Libri,Venezia 1570, l. II, pp. 20 s. e l. III, p. 57), pur eliminando ogni slancio di scalinate, sostituite da un chiuso elemento serliano, è però conservato lo scatto dell'episodio mediano, cui si subordinano le ali, cornice ed esaltazione della bella loggia corinzia. Sì può ben dire che, superando più facili suggestioni scamozziane, il senso palladiano di coordinamento e subordinazione delle masse ad un asse centrale sia qui riproposto in una versione interessante ed apprezzabile: almeno per la innegabile nobiltà dell'effetto raggiunto.
Il B. morì il 25 ott. 1790.
Un elenco completo, con esatti riferimenti, di tutti gli scritti pubblicati del B. si trova in: S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli XVIII e XIX, I, Venezia 1905, pp. 157 s. Ricordiamo qui comunque, oltre le opere già citate, la Descrizione dell'arco trionfale e della illuminazione fatta nella pubblica piazza di Vicenza la notte del 12 novembre 1758 per la… esaltazione… cardinalizia di… Antonio Marino Priuli Vescovo di Vicenza,Vicenza 1758; Le Terme dei Romani disegnate da Andrea Palladio e ripubbl. con la giunta di alcune osserv., giusta l'esemplare del lord conte di Burlington impresso in Londra l'anno 1732, ibid. 1785, in folio grande (testo italiano e francese; altre edizioni, postume, a Vicenza, 1797 e 1810); L'origine dell'Accademia Olimpica di Vicenza con una breve descrizione del suo teatro, ibid. 1790 (edizioni postume, 1822 e 1842).
Bibl.: Manca a tutt'oggi uno studio esauriente sul B.; l'unico lavoro monografico è una inedita tesi di laurea discussa presso l'università di Padova nell'anno accademico 1945-46(relatore prof. Giuseppe Fiocco): N. M. Berton, O. B. S. architetto e storico dell'arte.Le teorie del B. sono comunque oggetto di un saggio di F. Barbieri, Un interprete settecentesco del Palladio, O. B.S., in Palladio, XII (1962), pp. 153-159;e il B. architetto è tema di una lezione di F. Franco, O.B.S., in Boll. del Centro Intern. di Studi di Archit. Andrea Palladio,V (1963), pp. 152-161.
Indicazioni e dati importanti, sempre però riguardo quasi esclusivamente alla biografia e alla attività di costruttore del B., si trovano in alcune fonti mss. presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza (Libreria Gonzati):B. Ziggiotti, Accademia olimpica,ms. 30/50, all'anno 1791;G. Da Schio, I Memorabili [sec. XIX]; G. Dian, Notizie delli due secoli XVIII e XIX spettanti alla città di Vicenza; A. Arnaldi Tornieri, Memorie di Vicenza, che cominciano dall'anno 1767, 18 giugno, e terminano nel 1822; L. Trissino, Artisti vicentini [sec. XVIII-XIX].
Tra le opere a stampa, sempre con le limitazioni di cui sopra, si vedano: F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni, II, Parma 1781, p. 394;W. Goethe, Giornale del viaggio in Italia per la signora von Stein [1786], Torino 1957, pp. 69, 70, 72 s.; Id., Viaggio in Italia (1786-1787),Firenze 1932, p.91; G. A. Moschini, Della letteratura venez. del sec. XVIII, I, Venezia 1806, p. 218; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 364 s.; A. Magrini, Discorso sull'architettura in Vicenza, Padova 1845, pp. 33, 58, 59, 60; A. Ricci, Storia dell'architettura in Italia dal sec. IV al XVIII,II,Modena 1885, p. 670; G. Soranzo, Bibliogr. veneziana,Venezia 1885, p. 504; D. Bortolan, Saggio di un dizionario biografico di artisti vicentini…, Vicenza 1886, sub voce; S.Rumor, B.S.O., in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon,III,Leipzig 1909, p. 511; D. Bortolan-S. Rumor, Guida di Vicenza, Vicenza 1919, Passim;G. Fasolo, Le ville del Vicentino,Vicenza 1929, soprattutto pp. 50 e 126, ma anche 73, 80, 82, 83, 84 e tavv. 167-168; L. M. Tosi, B. S. O., in Encicl. Ital., VI, Milano-Roma 1930, p. 716; J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica,Firenze 1935, pp. 474, 490; N. Gabrielli, L'arte a Casale Monferrato dall'XI al XVIII secolo, Torino 1936, p. 45; F. Barbieri, Il neoclassicismo vicentino: Ottone Calderari,in Arte veneta, III(1953), pp. 63-66; R. Cevese, Ville della Provincia di Vicenza,in Le Ville venete (catal.), Treviso 1953, v. Indice degli artisti; F. Barbieri, voci relative al B. (tranne quella, sulla facciata di S. Faustino che è di L. Magagnato), in F. Barbieri-R. Cevese-L. Magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza 1956, v. Indice degli artisti;E. Lavagnino, L'Arte moderna,Torino 1956, p. 28; Inventario delle cose d'arte e di antichità d'Italia, E. Arslan, Vicenza. Le chiese,Roma 1956, p. 76; F. Barbieri, La storia di Vicenza nel suo volto architettonico,in Vicenza 1959 (a cura dell'Ente Fiera di Vicenza), Vicenza 1959, pp. 71 s.; Id., Patrimonio artistico di Vicenza e provincia, in La Provincia di Vicenza, Verona 1959, pp. 46, 50, 53.