CORSETTO, Ottavio
Nacque a Palermo nel 1538 da Giacomo, appartenente a una famiglia originaria di Noto e già illustre per nobiltà di toga (anche il nonno Antonio era stato un famoso giurista). Narrano i biografi che, avendo mostrato fin dall'infanzia una spiccata predilezione per gli studi, fu mandato a studiare il diritto a Bologna, dove, guadagnatasi la stima degli insegnanti, sarebbe stato invitato a restare come docente in quello Studio. Il C. preferì però ritornare a Palermo.
Qui cominciò subito a esercitare la professione di avvocato, nella quale ebbe modo di distinguersi non solo per la vastità e profondità della sua preparazione, ma anche per le qualità morali che lo portavano a professare un vero e proprio culto per la giustizia, simile in questo - come osserva il Baronio - a un antico filosofo. Nel 1568 sposò Giovanna Agostino, figlia del maestro razionale Pietro (il contratto dotale è del 2 giugno). Nel 1569-70, nominato giudice della Corte pretoriana (tribunale civile di primo grado), iniziò la carriera di magistrato. Due anni dopo (1571) era giudice del tribunale del Concistoro della Sacra Regia Coscienza e delle cause delegate.
È interessante notare che, mentre di regola la professione di avvocato veniva abbandonata quando si ricoprivano incarichi nei tribunali, il presidente del Regno, il conte di Landriano, con ordine partecipato verbalmente al protonotaro (30 ott. 1571), autorizzava il C. a continuare in questa sua attività con facoltà di patrocinare cause presso tutte le magistrature del Regno, tranne, ovviamente, lo stesso Concistoro.
Nel 1573 l'incarico gli venne prorogato per un altro biennio. Dal 1575 al 1577, non ricoprendo alcuna carica nella magistratura, riprese ad esercitare l'avvocatura. Nel 1576 in questa veste fece parte di un collegio di dodici cavalieri e di quattro avvocati chiamati a giudicare una questione di precedenza tra il capitano di Palermo e i giurati (magistrati cittadini). In quell'occasione i quattro avvocati votarono contro il capitano, Ludovico Spatafora, benché appartenesse ad un'antica e potente famiglia.
Nel 1577 tornò nella magistratura, prima come giudice della Corte pretoriana, poi ancora del Concistoro e infine della Gran Corte, il massimo organo giudiziario del Regno: tra il 1580 e il 1584 le sue sottoscrizioni figurano in calce alle prammatiche, i provvedimenti legislativi emanati dal viceré previo parere del Sacro Regio Consiglio, organo formato dai componenti le supreme magistrature dello Stato.
Il C. non sembra essersi adeguato al costume, molto diffuso tra i pubblici funzionari dell'epoca, di trarre profitto dalla propria posizione per intraprendere attività e traffici spesso non del tutto leciti, allo scopo di incrementare i propri introiti. A differenza dei suoi colleghi, che nelle fonti documentarie appaiono di frequente associati con mercanti, banchieri e appaltatori di pubblici servizi nel contrarre rapporti finanziari con la Corte, egli non compare mai, se non nella veste relativa alla sua attività ufficiale di magistrato. E in quei pochi casi nei quali lo si incontra, il C. compare come acquirente di rendite della Corte già da anni cedute ad importanti personaggi.
Nel 1568, per esempio, acquistò dall'erede del reggente G. B. Seminara, per 1.250 onze, metà del diritto di 1 grano (corrispondente a 3 denari) spettante alla Corte su ogni salma di frumento o di legumi esportata. Ma senza dubbio a tale investimento venne indotto dal suocero, Pietro Agostino, che è presente in tutti gli atti relativi all'acquisto di questa rendita sia perché personalmente cointeressato all'affare (pagò infatti al C. 423 onze per acquisire la proprietà di 1 dei 3 denari) sia anche perché preoccupato che certe somme date in dote alla figlia fossero impiegate effettivamente come previsto nel contratto dotale. Il pagamento delle 1.250 onze fu infatti effettuato con denaro che era stato espressamente vincolato al fine di acquistare redditi per la famiglia e gli eredi, e ciò in forza di una clausola aggiunta al contratto per volontà dell'Agostino.Il C. sembra invece piuttosto negato agli affari e non portato alla cura dell'amministrazione finanziaria della famiglia. Ne è prova il fatto che non si curò neppure di riscuotere quella rendita, cui aveva indubbiamente diritto dopo il regolare contratto di acquisto; e solo nel 1582 il viceré dava ordine al maestro portulano di pagare al C. i suoi 2 denari con gli arretrati. Nel 1571, mentre era giudice del Concistoro, acquistò dalla Regia Corte, insieme con altri funzionari (personaggi abbastanza in vista), lo ius luendi del diritto di 1 grano (sempre sull'estrazione di frumento) di cui era proprietaria Sicilia, moglie di Pietro Campo.
Anche in questa occasione è facile ipotizzare che l'iniziativa fu presa dai suoi soci, i quali d'altronde erano titolari di rate maggiori della sua: Giovanni Aloisio Riggio, procuratore di Antonello Mangione, partecipò all'acquisto per la rata di 3 denari, Tommaso de Ballis per 2 e il C. per il denaro restante.
Il C. lasciò traccia della sua cultura giuridica in diversi lavori (dissertazioni, difese, memorie, trattatelli), che però non si curò mai di pubblicare. Opere minori, come la dissertazione sui privilegi della città di Palermo e pareri su argomenti vari, si trovano compresi in raccolte curate da autori di qualche decennio posteriori, come i Consilia selecta diversorum sapientissimorum Siculorum (in cui il nome del C. figura accanto a quelli di Blasco Lanza, Giovanni Antonio Cannezio, Raimondo Raimundetta, Modesto Gambacurta, e molti altri noti giuristi del Cinquecento) e i Consilia diversorum Siculorum, raccolti da Francesco Baronio. Le sue opere maggiori, però, le Quaestiones forenses super ritu Magnae Regiae Curiae e i Consilia feudalia, furono pubblicate a cura e con le annotazioni del figlio Pietro, giurista ancor più famoso del padre, molti anni dopo la sua morte.
Può darsi che questo disinteresse fosse dovuto, oltre che a un senso di superiorità e di distacco rispetto agli onori e alle glorie terrene, anche a motivi di salute. A causa dei suoi malesseri, infatti, nel 1584, mentre era giudice della Gran Corte, non portò a termine il biennio e fu sostituito da Rutilio Scirotta. Da quella data abbandonò la vita attiva del foro, ritirandosi in una sua tenuta dove si dedicò soltanto ad attività consultiva e ad opere di beneficienza.
Morì a Palermo il 1° genn. 1587, addirittura in fama di santità, secondo il De Spucches. Lasciò, oltre a Pietro, i figli Maria e Iacopo, tutti di età compresa tra 18 e i 14 anni. Filippo Paruta gli dedicò una Oratio de laudibus, pubblicata a Palermo nel 1595.
Opere: Quaestiones forenses super ritu Magnae Regiae Curiae Regni Siciliae, Panormi 1615.Una seconda edizione venne pubblicata nel 1621; una terza nel 1646 insieme con i Consilia feudalia et quaestiones forenses super ritu Magnae Regiae Curiae Regni Siciliae, quibus accesserunt adnotationes Petri Corsetti filii, ibid. 1646; Consiliorum feudalium volumen primum, ibid. 1616;una seconda edizione è del 1646; Consilium non antea editum, in I. F. De Castillo, Decisionum tribunalis Concistorii Sacrae Regiae Conscienciae Regni Siciliae liber I, ibid. 1626 (decisio 511):è una seconda edizione del primo volume delle Decisiones del De Castillo, uscito nel 1613; Consilia quatuor, in Selecta diversorum sapientissimorum Siculorum consilia et allegationes a Petro de Luna collectae, ibid. 1627; Iustificationes subscriptae a nonnullis doctoribus, tam regnicolis quam exteris, in quibus plenissime discutitur an Syndacus urbis Panormi possit pro defensione Privilegii comparere..., in F. Baronio, Consilia diversorum Siculorum super privilegio foelicis urbis Panormi quod Fiscus non possit principaliter agere contra cives, ibid. 1656.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Palermo, Cancelleria, regg. 397, cc. 355, 357; 454, c. 91; 463 bis, c. 67; Ibid., Protonotaro, reg. 346, cc. 87v, 165v; reg. 350, c. 66v; reg. 380, c. 121; reg. 1016, c. 1; Ibid., Tribun. R. Patrimonio - Lettere viceregie, reg. 389, c. 343; reg. 707, c. 425; Ibid., Notaio Antonio Occhipinti, vol. 3746, passim;Ibid., Notaio Giuseppe Fugazza, vol. 6762, 30 e 31 dic. 1569; vol. 6765, 20 nov. 1571; Notaio Antonio Garlano, vol. 7765, c. 178; vol. 7792, c. 417; Notaio Giovanni La Xarera, vol. 9326, 31 maggio 1588; F. Paruta, Oratio de laudibus Octavii Corsetti, Panormi 1595; F. Baronio, De maiestate Panorm., III, Panormi 1630, pp. 120, 141; A. Mongitore, Bibl. Sicula, II, Panormi 1714, p. 111; R. Pirri, Sicilia sacra, Panormi 1733, pp. 668, 819; F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Della Sicilia nobile, I, Palermo 1754, p. 249; III, ibid. 1759, pp. 13, 15; A. Narbone, Bibliografia sicula sistematica, I, Palermo 1850, pp. 340, 447; II, ibid. 1851, pp. 177, 179, 191; D. Orlando, Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, Palermo 1851, p. 100; F. Paruta-N. Palmerino, Diario della città di Palermo, in G. Di Marzo, Biblioteca storica e letter. di Sicilia, s. 1, I, Palermo 1869, p. 73; V. Di Giovanni, Del Palermo restaurato, ibid., s. 2, 1, ibid. 1872, pp. 389 ss.; G. M. Mira, Bibliografia sicil., I, Palermo 1873, p. 262; F. Evola, Storia tipografico-letter. del sec. XVI in Sicilia, Palermo 1878, p. 131; A.Marinuzzi, Diritto antico di Sicilia, Palermo 1911, pp. 46, 85; A. Mango, Nobiliario di Sicilia, I, Palermo 1912, p. 235; F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobil. di Sicilia, VIII, Palermo 1933, p. 288 n. 2.