GAETANI, Ottavio
Nacque a Siracusa il 22 apr. 1566 da Barnaba, marchese di Sortino, e da Girolama Perno dei baroni di Floridia. Il 20 maggio 1582 entrò a Messina nella Compagnia di Gesù, come più tardi faranno i fratelli Paolo e Alfonso, mentre un altro fratello, Costantino, entrò nell'Ordine benedettino. A Palermo pronunciò i primi voti e nella stessa città condusse i suoi studi filosofici e teologici e svolse attività di insegnamento. Nel 1592 passò a studiare a Roma, chiamato dal generale della Compagnia Claudio Acquaviva, e qui venne ordinato prete nel 1595, anno in cui si recò in Toscana e trascorse tre mesi nella diocesi di Sovana. Ritornato in Sicilia nel 1597, fu nominato rettore del collegio di Palermo e adibito poi a varie mansioni all'interno dell'Ordine a Siracusa, Messina e Catania (1600-06); dopo aver di nuovo ricoperto la carica di rettore del collegio di Palermo, fu inviato come ispettore nel convento di Messina (1612-13), dove si manifestavano tendenze separatiste. Tra il 1614 e il 1616 fu infine superiore alla casa professa.
La tradizione ha descritto il G. come un uomo assai pio e gli ha attribuito "quelle caratteristiche di eccezionalità, al limite del miracolo, che fanno parte del più concreto bagaglio agiografico" (Cabibbo, p. 183). Ma al di là di certi episodi leggendari - la vocazione sancita da sacre apparizioni, conversione di peccatori, fermezza nelle tentazioni - appare evidente da tutta l'attività del G. il suo profondo impegno religioso, che, oltre agli incarichi del suo ministero, si concentrò nell'impresa di costruire il primo profilo storico della Chiesa siciliana. Pochi furono i lavori che non risultano più o meno direttamente collegati a questo grande progetto: uno scritto d'occasione come l'Oratione funerale nell'esequie del catolico re di Spagna Filippo II (Palermo 1601) e un componimento di carattere agiografico, De die natali s. Nymphae (Panormi 1616), due dei pochi lavori che il G. diede alle stampe durante la vita. Per il resto egli fu occupato per oltre vent'anni nella raccolta dei materiali per quella storia dei santi siciliani, che venne pubblicata postuma dal confratello Pietro Salerno (ibid. 1657). Questa grandiosa opera pare che sia stata sollecitata dalla stessa Corona spagnola, se è vero, come informa il curatore, che essa venne commissionata dai viceré D. Enriquez de Guzmán, conte di Alba de Liste, ed E. de Guzmán, conte di Olivares, prima dell'intervento risolutivo dello stesso sovrano Filippo II. Il compito fu in un primo tempo affidato a G.A. Nicotra, che si rivelò a esso inadeguato; solo più tardi subentrò il G., che fu invece infaticabile ricercatore e riuscì a procurarsi manoscritti molto rari, ricorrendo alla collaborazione di amici e compagni e, soprattutto, all'aiuto del fratello Costantino, appassionato bibliofilo, che da Roma gli procurò numerosi e antichi codici. Preoccupato tuttavia per l'incompletezza del suo lavoro, il G. pubblicò anche un'Idea operis de vitis sanctorum Siculorum (Panormi 1617), dedicata al viceré F. de Lemos, per illustrare il piano complessivo della sua ricerca e invitare i lettori a fornirgli documenti a lui ignoti. Nel contempo egli si propose di affrontare altre questioni che intersecavano il lavoro principale, e infatti, ancor prima dell'Idea operis, dove risulta segnalata, compose un'Isagoge ad historiam sacram Siculam (rimasta a lungo inedita e pubblicata a Palermo nel 1707 e quindi, con integrazioni e correzioni, a Leida nel 1723), alla quale avrebbe dovuto far seguito una storia profana. Divisa in 44 capitoli, preceduti da un profilo a opera di A. Mongitore, da un Alloquium ad lectorem e ancora da un elogio di N. Sotwell, l'opera vuole illustrare aspetti e problemi del processo di evangelizzazione della Sicilia e nel contempo offre un quadro assai accurato dei riti pagani praticati nell'isola, spesso passati nelle forme della nuova religione. In questa minuta descrizione dei misteri e dei culti idolatrici acquista particolare risalto l'elemento straordinario e fabuloso, che si ritrova anche nella rievocazione dei grandi eventi della sacralità cristiana: dai prodigi avvenuti alla morte del Redentore (cap. XIII) alla presenza di fausti segnali nei primi momenti dell'apostolato evangelico (cap. XIV). Ma leggenda e agiografia costituiscono lo sfondo di un disegno che vuole avere ambizioni storiche, come mostrano le notizie sui primi evangelizzatori, sulla divisione delle diocesi, sulla distruzione e sulla riconversione degli edifici pagani. E a un'intenzione di ordine cronologico rimanda la conclusione dell'opera, che presenta la successione delle dominazioni straniere e delle dinastie che si erano avvicendate in Sicilia.
La vasta erudizione, che appare nell'Isagoge, sorregge anche la monumentale raccolta delle Vitae sanctorum Siculorum pubblicata postuma a Palermo nel 1657, insieme con l'opuscolo sul culto mariano intitolato Icones aliquot et origines illustrium aedium sanctissimae deiparae Mariae, quae in Sicilia insula coluntur. La raccolta del G. è formata da 217 biografie (a partire da Marciano primo vescovo di Siracusa), composte attraverso documenti di varia natura (panegirici, encomi, epistole, odi, inni, omelie ecc.), a cui seguono delle animadversiones. Con il suo paziente lavoro redazionale il G. mise insieme molti opuscoli inediti "quorum plurima nunc primum prodeunt", li selezionò e ordinò per fissare i caratteri della tradizione agiografica. Egli utilizzò documenti sia latini sia greci, ma intervenne sui testi con un'azione correttiva e sistematica, che mirava a eliminare le contraffazioni più vistose della trasmissione manoscritta e a smorzare i colori troppo favolosi. Questa esigenza di rigore filologico, in qualche modo analoga a quella "della nascente ecdotica bollandista" (Pricoco, p. 250), ha tuttavia comportato l'alterazione dei documenti originali, soprattutto degli atti in greco tradotti in latino tra gli altri, soprattutto, da A. Fiorito. Il Salerno giustifica questa pratica con la volontà di migliorare dei testi non solo corrotti, ma anche linguisticamente rozzi e barbari, e sostiene che il G. non cambiò "historiae seriem ac stylum, nedum res ipsas", "sed dictionem solum".
Nonostante questi interventi, la raccolta conserva la sua attendibilità e conferma la serietà di metodo del suo autore, che fu sollecitato nel suo lavoro da almeno due direttrici ideologiche: una, di tipo celebrativo, si può cogliere fin dall'Idea operis, dove ricordando la miseria dell'isola durante la dominazione araba, il G. faceva intravedere una continuità tra gli imperi di Roma, di Bisanzio e di Madrid, una continuità che trovava il suo apice nell'operato dei cattolicissimi sovrani spagnoli sostenitori della vera fede. L'altra istanza della composizione, di tipo nazionalistico, mirava ad assicurare una nobile vetustà al cristianesimo siciliano, che veniva fatto risalire ai discepoli di Pietro, Marciano, Pancrazio e Berillo, fondatori, rispettivamente delle chiese di Siracusa, Taormina e Catania. In conformità a questo processo di idealizzazione del cristianesimo primitivo della Sicilia, dalle vite dei protomartiri promana la sensazione di un'immediata risposta dei Siciliani nei confronti della buona novella, a cui sembrano istintivamente predisposti per loro naturale virtù; l'efferata decisione di suppliziare e sopprimere i santi evangelizzatori viene lasciata ai perfidi funzionari romani e, cioè, a un ceto oppressivo non indigeno. Oltre a nobilitare gli esordi del cristianesimo siciliano con un'investitura apostolica pietrina e con la presenza - più tardi contestata dall'Attardi (p. 10) - di precoci comunità monastiche, il G. cercò anche di definire una tipologia della santità locale, "per restituire la Sicilia alla sua piena memoria storica" (Modica, p. 197) e rendere più attraente ai suoi lettori, presumibilmente colti e aristocratici, destinati alla vita ecclesiastica, la scelta di quell'esperienza.
Alla sua imponente opera, nonostante le non buone condizioni di salute, il G. attese fino alla morte avvenuta a Palermo l'8 marzo 1620.
Fonti e Bibl.: Le carte preparatorie delle Vitae sanctorum Siculorum, in 8 voll., si trovano presso la Bibl. centrale della Regione siciliana a Palermo (II.E.8-15); P. Ribadeneyra, Bibliotheca scriptorum Societatis Iesu, Antwerpiae 1643, pp. 358-360; P. Reina, Delle notizie istoriche della città di Messina, Messina 1668, II, p. 99; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1714, pp. 110 s.; E. Aguilera, Provinciae Siculae ortus et res gestae, Panormi 1740, II, pp. 114-121; B. Attardi, Il monachesimo in Sicilia, Palermo 1741, p. 10; G. Bertini, O. G. da Siracusa, in G.E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, II, Napoli 1818; G.M. Mira, Bibliogr. siciliana, Palermo 1875, I, p. 380; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Bruxelles-Paris 1892, III, pp. 1085-1089; Diz. dei siciliani illustri, Palermo 1939, p. 230; E. Ciaceri, Un dotto cultore della storia dell'antica Sicilia nel sec. XVI…, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, III (1906), pp. 288-291; F. Halkin, Manuscrits grecs à Messine et à Palerme, in Analecta Bollandiana, LXIX (1951), pp. 271 s.; M. Scaduto, O. G., in Dict. d'histoire et de géographie ecclésiastiques, XIX, Paris 1981, coll. 632-635; S. Cabibbo, Le "Vitae sanctorum Siculorum" di O. Caietano, in Raccolte di vite di santi dal XIII al XVI secolo, Fasano 1990, pp. 181-195; M. Modica, La santità femminile nelle "Vitae sanctorum Siculorum" di O. G., ibid., pp. 197-213; F. Scorza Barcellona, La passione di s. Pellegrino di Agrigento, in Sicilia e Italia suburbicaria tra IV e VII secolo, Soveria Mannelli 1991; S. Pricoco, Monaci filosofi e santi, Soveria Mannelli 1992, pp. 239-253.