TASCA, Ottavio Giulio Maria
Nacque il 3 marzo 1795 a Bergamo (battezzato il giorno 4 nella parrocchia di San Pancrazio), figlio cadetto del nobile Luigi e di Giovanna dei conti Agosti.
La discendenza dall’antico lignaggio dei Tasca de Meda – rivendicata all’inizio della Restaurazione, anche a nome del padre, da Antonio (1789-1854), fratello maggiore di Ottavio – suscitò qualche perplessità nella Commissione araldica, che si limitò a riconoscere la nobiltà dei Tasca, certificata dalla secolare ascrizione della famiglia al Maggior Consiglio di Bergamo (Arch. di Stato di Milano, Araldica, p.m., b. 169, f. Tasca). Ottavio ebbe un altro fratello, Giulio, e tre sorelle.
Ricevette la prima educazione presso il prestigioso Collegio Gallio di Como, retto dai padri somaschi. Forse in preda al giovanile entusiasmo per le campagne di Napoleone – celebrate in molti versi manoscritti –, il 5 agosto 1811 fu ammesso alla Casa Reale de’ Paggi, allora governata da Ludovico di Breme, venendovi educato alle lettere e, soprattutto, alle armi – secondo gli scopi prettamente miliari di un’istituzione equiparata alla Scuola militare di Pavia (Ibid., Potenze sovrane, b. 205, relazione Oldofredi, 18 luglio 1817). Ne uscì dopo soli due anni (invece dei cinque canonici) con la nomina, il 24 marzo del 1813, a sottotenente nel II reggimento dei Cacciatori a cavallo italiani e fu immediatamente spedito sul fronte germanico.
In qualità di aiutante di campo del maresciallo Laurent de Gouvion-Saint-Cyr, partecipò ai combattimenti nei pressi di Dresda che videro, nell’estate del 1813, l’ultima affermazione di Napoleone in terra tedesca: di grande interesse la lettera che, dal campo di Dresda, Tasca inviò alla madre il 6 ottobre 1813 (Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, Ottavio Tasca, Autografi, AB 483, n. 1). Lasciato nella guarnigione chiamata a difendere inopinatamente la capitale sassone nonostante la sconfitta dell’imperatore a Lipsia, il 13 novembre 1813, all’indomani della caduta della città, Tasca fu fatto prigioniero dagli Austriaci e condotto in Ungheria, da dove poté rientrare in patria solo a inizio luglio del 1814, trovandovi per breve tempo un impiego (Arch. di Stato di Milano, Ministero della Guerra, b. 2018, f. Bevilacqua Ercole; b. 2035 e b. 2601). Dal 1815 proseguì per altri quattro anni la carriera militare sotto il governo imperial-regio, potendo conservare la condizione di ufficiale e finendo, col grado di tenente, nel reggimento dei corazzieri (Ibid., Autografi, b. 157, f. 17, supplica di Tasca, Milano 29 maggio 1822); nel 1819 ottenne, sembrerebbe per ragioni di salute, di essere pensionato, e fece così ritorno a Bergamo.
Con il ritorno alla vita civile si aprì una fase completamente nuova dell’esistenza di Tasca, fase sulla quale peraltro disponiamo, per questi primi anni, di informazioni solo frammentarie. Tra queste si possono annoverare le prime pubblicazioni, ovvero l’ode A Filippo Pistrucci (Bergamo 1819) che «riflette e risuona modi e ritmi pariniani» (C. Caversazzi, O. T. Schizzo biografico... II, p. 3) e attesta il precoce interesse per un mondo – quello del teatro – che sarebbe rimasto una costante della sua biografia. Gran parte della produzione lirica degli esordi era rivolta alla poesia d’occasione (epitalami, ricorrenze funebri, celebrazione di notabili), sintomo di un tentativo di accumulare un certo capitale simbolico nella società locale, non senza manifestare tuttavia l’aspirazione a farsi un nome nel mondo delle lettere. Legato a una produzione poetica in qualche modo ‘strumentale’ è anche l’ode Pel trasferimento da Bergamo a Milano del signor don Giulio Mozzoni, I.R. Intendente Provinciale di Bergamo, il cui tono complessivamente conformista sul piano politico è forse da mettere in relazione con il tentativo di Tasca, nella primavera del 1822, di assicurarsi il posto di direttore provinciale delle scuole elementari della provincia di Bergamo.
Nel 1824 sposò la marchesa milanese Francesca Bossi, vedova del conte Giuseppe Vertova d’Albertone, con la quale ebbe tre figli – Emilio (Bergamo, 7 febbraio 1824), Beatrice (nata nel 1826, poi legatasi in matrimonio a Giovanni Presti di Adrara San Martino, nel distretto di Sarnico) ed Enrichetta (nata nel 1828, poi sposa del nobile Ercole Maironi da Ponte). La moglie morì nel 1832. Sembrerebbe tuttavia che già dall’anno precedente Tasca si fosse invaghito della soprano Elisa Taccani (1813/14-1864), che egli aveva avuto modo di apprezzare sulle scene a Bergamo e che nel 1835 sposò in seconde nozze. Da questo matrimonio ebbe un altro figlio, Giulio Cesare (Milano, 25 giugno 1837), mentre una figlia nata nel 1842 morì prematuramente l’anno successivo.
Pur conservando la sua villa a Seriate, già dei Vertova (Tasca l’aveva ereditata alla morte della prima moglie e successivamente sarebbe passata in proprietà agli Ambiveri), si stabilì a Milano, sia per seguire la carriera della moglie, sia per approfittare della possibilità di collaborare con l’attivo mondo editoriale ambrosiano.
Se infatti sino ad allora non erano mancati amici che gli avevano rimproverato l’eccessiva ritrosia nel comporre (si pensi all’epistola indirizzatagli da Gian Battista Carrara Spinelli intitolata Essere troppi i poeti, in Id., Versi e prose, I, Milano 1827, pp. 156-159), dalla fine degli anni Venti e poi nel corso degli anni Trenta si moltiplicarono le collaborazioni con la stampa periodica e più in generale con l’editoria, sia quella orobica (segnatamente il Giornale della provincia di Bergamo), sia quella milanese (dall’appendice alla Gazzetta di Milano alla Gazzetta privilegiata di Venezia, dal Glissons, n’appuyons pas del Pezzi al Pirata o alla Minerva ticinese del Regli, dalla Moda di Luigi Toccagni all’Eco di Paolo Lampato, dal Corriere delle Dame del Piazza alle strenne del Canadelli, come lo Mnemète per il 1834 o Il Presagio per il 1839). Queste testate accolsero i frutti della crescente vena poetica di Tasca, dedita ancora una volta a comporre versi d’occasione (alcuni dei quali – pubblicati in opuscolo – suscitarono l’apprezzamento di Alessandro Manzoni e di Tommaso Grossi) o, in maniera crescente, a celebrare i protagonisti dell’opera, fossero essi cantanti o compositori. Gli epistolari testimoniano del resto dei reciproci rapporti di stima e amicizia con Gioacchino Rossini, Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini, e ricordano inoltre come Tasca, a metà degli anni Trenta, fosse stato contattato – verosimilmente invano – da un giovanissimo e ancora sconosciuto Giuseppe Verdi, attraverso un intermediario ben introdotto nel mondo musicale milanese, per fargli metter mano al libretto di un’opera (lettera di Verdi a Vincenzo Lavigna, Busseto, 4 agosto 1834, in G. Verdi, Lettere..., pp. 9 s.). Nel corso degli anni Trenta e della prima metà degli anni Quaranta la vita di Tasca sembrò ruotare principalmente attorno alla carriera della moglie, che seguì in diversi viaggi in città italiane ed europee, e che lo condusse anche a Parigi e a Vienna.
Più complesso è stabilire a quando far risalire l’impegno politico che si sarebbe dispiegato in modo più esplicito sin dalla seconda metà degli anni Quaranta, attraverso quella poesia satirica che lo avrebbe poi consacrato «poeta nazionale», così definito da Giuseppe Garibaldi nell’atto di donargli un suo ritratto con dedica autografa (Caversazzi, 1932, p. 255).
Benché qualche presa di posizione conformista non fosse mancata – si ricorda in particolare l’omaggio Per il natalizio di S.M.I.R. Francesco I. Inno del nobile signore O.T. tenente negli I.I. R.R. eserciti («Nostri fervidi voti in sì bel giorno / volan dal core: ch’ove Francesco impera / ivi hanno pace e fedeltà soggiorno», Bergamo 1830), accompagnato anche dall’offerta di una razione di vino ai soldati austriaci di guarnigione a Bergamo e da un dono in denaro ai sottoufficiali – si possono altresì segnalare indizi di segno opposto: pare ad esempio che sul finire degli anni Venti avesse frequentato il salotto patriottico di Giustina Renier Michiel, che Tasca celebrò con un’Ode a Venezia pubblicata sulla Gazzetta privilegiata di Venezia nell’aprile del 1832; o che nel 1831 la censura avesse impedito la stampa di un suo sonetto «per le allusioni troppo forti […] agli attuali sconvolgimenti politici» (Belotti, V, 1959, p. 434). Stessa incertezza riguarda l’affiliazione a organizzazioni settarie nel corso degli anni Trenta. Se a metà degli anni Cinquanta la polizia austriaca giudicava incontaminata la fedina del Tasca prequarantottesco, un aneddoto lo ricorda partecipe alla riunione milanese di un Comitato centrale – verso il 1843-44 – durante la quale Tasca, rappresentante per Bergamo nonché «conosciuto pel suo patriottismo immacolato, pel suo coraggio a tutta prova, per la integrità del carattere degno della generale ammirazione» (Mandelli, 1901, p. 132), avrebbe denunciato come spia Attilio Partesotti, che effettivamente si sarebbe rivelato tale.
Quel che è certo è che con l’aprirsi della stagione delle riforme inaugurata dall’elezione di Pio IX, Tasca ruppe ogni indugio, trovando probabilmente la cifra a lui più congeniale per esprimere sia la sua verve poetica, sia il suo orientamento politico. Prese allora avvio una stretta collaborazione con la Tipografia Elvetica di Capolago, che nella seconda metà del 1846 si compì con la stampa anonima della Lettera d’un Biscottinista milanese da Roma al suo Presidente in Milano. I suoi «assalti alla canaglia biscottinesca» (lettera di Giacinto Battaglia a Tasca, 6 settembre 1846, in C. Caversazzi, Lettere di vari..., p. 27) erano composizioni in versi di tono satireggiante che prendevano di mira – secondo una tradizione inaugurata da Carlo Porta – la parte più retriva e bigotta, nonché gesuitica e austriacante, della società aristocratica milanese coeva, che l’autore mostrava risentita e preoccupata dalle riforme di Pio IX. La produzione satirica di questi due anni (compreso l’Invito d’un Biscottinista… e altre analoghe) riscosse un notevole successo tanto da indurre Tasca ad approntare rapidamente una seconda edizione in 4.000 copie della Lettera, un migliaio delle quali cercò di smerciare in Piemonte con l’aiuto di Lorenzo Valerio. Del resto il viaggio al di là del Ticino in quella tarda estate-inizio autunno del 1846 assume anch’esso un significato politico, perché a Mortara si svolse proprio allora il Congresso agrario organizzato da Cavour in cui la nobiltà lombarda con proprietà in Piemonte si trovò a discutere, ma soprattutto a fare corpo, con i pari ceto piemontesi, allacciando quei contatti di cui si sarebbe nutrito, sin dal 1848, il sostegno dei moderati nei confronti di casa Savoia. Peraltro in occasione del Congresso, all’indomani dell’inaugurazione del teatro cittadino, Tasca raccolse applausi in quanto autore dei versi della Cantata eseguita in musica l'autunno 1846 nel nuovo teatro Vittorio Emanuele in Mortara in occasione della solenne unione dei Comizi agrari dedicata alla maestà Carlo Alberto, re di Sardegna, Cipro…, musicata dall’amico Giulio Litta, un cui esemplare egli ebbe modo di donare a Carlo Alberto, che non mancò di manifestare la propria gratitudine offrendogli in dono una tabacchiera d’oro.
Nel biennio prequarantottesco l’obiettivo polemico restò invariato (In morte di S.E. il Cardinale Gaisruck Arcivescovo di Milano, Capolago 1847 e Un voto popolare al nuovo Arcivescovo eletto a Milano, Capolago 1847, con il primo a celebrare il defunto in quanto acerrimo nemico dei gesuiti, il secondo a invitare l’eletto a proseguire sulla strada del predecessore), ma con il radicalizzarsi della situazione Tasca cominciò a toccare la cronaca più direttamente politica (Maria Luigia e Francesco I alle tombe dei Cappuccini, ossia quadro sinottico degli ultimi avvenimenti in Italia, Capolago, gennaio 1848).
Durante l’esplosione rivoluzionaria – all’inizio della quale si trovava probabilmente a Bergamo (si veda la nota finale della Poesia trovata nella bolgia d’un Croato..., Milano 1848, pp. 23 s.) per poi raggiungere Milano, forse proprio con la colonna bergamasca che sin dal 19-20 marzo vi si recò a dar manforte ai milanesi – non ebbe ruoli pubblici di grande importanza, ma intensificò notevolmente, stavolta non più al riparo dell’anonimato, la propria attività di scrittura, privilegiando il verso facile, di immediata comprensione, da pubblicare o sulla stampa periodica (in particolare La Gazzetta di Milano, Lo Spirito Folletto di Antonio Caccianiga e il Pio IX di Vincenzo De Castro) o in formati di più agile diffusione. Non è possibile elencare tutti i titoli che videro la luce in quei quasi cinque mesi di libertà, ma è opportuno ricordare almeno l’inno Al clero milanese che nei cinque gloriosi giorni di marzo mostrò saggezza, valore e carità, l’opuscolo Il marzo del 1848, l’inno A Pio IX, messo in musica ancora da Giulio Litta, la già ricordata Poesia trovata nella bolgia di un croato ucciso dai paesani mentre rubava nei contorni di Montichiari scritta da lui medesimo in pretesa lingua italiana e per la sua barbara originalità fatta stampare da O. T., uscita tra fine marzo e inizio aprile e non priva di tratti eccessivamente caricaturali nei confronti del nemico. E poi, ancora, i versi A Napoli per gli ultimi regi tradimenti di cui fu vittima, quelli dedicati Agli eroi toscani caduti sui campi di Curtatone e Montanara. Canzone di O. T. da lui declamata al Teatro Carcano la sera del 16 luglio (Milano 1848), oppure l’opuscolo satirico intitolato L’addio di O. T. all’ex-Vicerè Ranieri (Milano 1848) che spiacque particolarmente alle autorità austriache rientrate in agosto a Milano (non meno delle pagine dedicate a Radetzky nella Bolgia).
Oltre a questa preponderante attività pubblicistica, durante la stagione rivoluzionaria Tasca ricoprì la carica di presidente per la formazione a Milano del battaglione degli studenti (detto della Speranza), composto da circa duecento giovani, e fu comandante del medesimo, contribuendo peraltro a finanziarne l’armamento. Riconosciuto e approvato dal Governo provvisorio, il corpo fu spesso invitato a intervenire a parate, funzioni e feste civiche o militari. E Tasca si ritrovò a doverne difendere l’operato da ipotesi di coinvolgimento in tentativi insurrezionali di stampo repubblicano (Il Battaglione degli studenti nella giornata del 29 maggio, in Gazzetta di Milano, 1 giugno 1848, dove egli sottolineava il «lodevole esempio di civil moderazione» contro «le mene tenebrose e sovvertitrici di pochi male intenzionati» nel corso della sventata insurrezione del 29 maggio capitanata da Girolamo Fortunato Urbino), scagionando altresì i repubblicani e lo stesso Mazzini.
Si può riassumere in effetti il posizionamento politico di Tasca in un repubblicanesimo moderato, certo inizialmente entusiasta di Pio IX e comunque non pregiudizialmente ostile alla monarchia sabauda, oggetto sì di critica attenzione, ma considerata anche depositaria – soprattutto dagli anni Cinquanta – dell’unica concreta opzione di unificazione nazionale (un percorso non dissimile a quello di Daniele Manin, suo amico e compagno d’esilio a Parigi).
Con il ritorno delle truppe in città, Tasca fu costretto alla fuga, al pari di molti altri patrioti, prendendo la strada dell’esilio con la famiglia. Fu in un primo momento a Lugano, dove per la Tipografia Elvetica di Capolago stampò Il Santo Natale del 1848 ossia la Lanternamagica, composizione assai attenta a esaminare la complessa e mutevole situazione internazionale. Sin dall’esilio ticinese – benché in un primo momento avesse manifestato tutta la sua ostilità per i sovrani che avevano tradito la causa: «avevo mesi sono abbandonato l’idea, che mi si presentava impossibile, dell’immediato sorgere del migliore dei governi, la repubblica. Ma la malafede inammissibile dei re l’hanno resa indispensabile anche prima del tempo e della perfetta maturità della Nazione», scriveva da Lugano il 4 ottobre 1848 (Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, Ottavio Tasca, Autografi, AB 483, n. 3) – manifestò una crescente insofferenza verso un certo avventurismo di matrice mazziniana, come nel caso del «vano tentativo» insurrezionale in Valle d’Intelvi che aveva esposto «inutilmente centinaja di vittime» (Ibid., n. 4, lettera del 2 novembre 1848, da Lugano).
Tracce di un maggior radicalismo, meno propenso alla concordia a ogni costo, non mancano. Forse covando la speranza di una ripresa delle ostilità con l’Austria, nei primissimi mesi del 1849 si portò a Genova, dove pubblicò in febbraio la Lettera d’un codino torinese scritta da Milano ai suoi confratelli di Torino. Ridotta in sesta rima e pubblicata da O. T. autore della Lettera d’un biscottinista milanese; una riflessione sarcastica, tutta politica, che prendeva di mira le responsabilità dei nobili – piemontesi non meno che lombardi – nel rendere critica la situazione italiana, in cui la divisione del fronte patriottico di cui giudicava responsabili i ‘codini’ avrebbe fatto intenzionalmente il gioco degli Austriaci. E sempre a Genova accompagnava la moglie che si esibiva in acclamate accademie teatrali a favore degli emigrati politici (Il Pirata, 24 marzo 1849).
Con il mutato clima successivo alla disfatta di Novara si trasferì a Marsiglia sino alla fine di agosto, quindi – per fuggire dal colera – passò brevemente a Tolone e infine, da metà settembre, a Hyères. Provò allora a sfogare – scriveva a Carlo Cattaneo il 21 luglio 1849 – la «santa bile che [gli] bolliva in petto» (Carteggi di Carlo Cattaneo, s. 2, III, p. 486) contro la Francia che aveva sconfitto la Repubblica Romana (la cui difesa Tasca aveva contribuito a propagandare con un Canto guerriero. Ai volontari romani, versi ottonari rivolti alla «bellica falange» messi in musica da Alessandro Marotta), ma quei suoi versi satirici indirizzati alla Gran Nazione – che Tasca si adoperò indefessamente per far stampare a Capolago con l’aiuto di Cattaneo – non videro la luce per insormontabili contrasti con l’editore.
Nella cittadina provenzale si fermò qualche mese, poiché nella primavera del 1850 – lasciando i figli a Hyères – decise di partire con la moglie per tentare di metterne a profitto il talento, spostandosi tra Londra e Parigi. L’esclusione esplicita di Tasca dall’amnistia per i profughi politici – nell’agosto del 1849 – unitamente all’ammenda di guerra che lo aveva colpito, resero il triennio d’esilio parigino-londinese piuttosto difficile; situazione ulteriormente inaspritasi dopo i fatti del 6 febbraio 1853 – definiti la «folle intrapresa mazziniana di Milano» in una lettera a Carlo Cameroni del 13 maggio 1853 (Chiancone, 2005-06) – che non solo lo costrinsero a lasciare la capitale inglese ma gli costarono, in patria, il sequestro dei beni, peraltro già gravati da ipoteche. Così il 13 aprile 1853 lasciò nuovamente Parigi per fare ritorno dai figli a Hyères.
Spesso in difficoltà economiche, si adoperò in tutti i modi per vender cara la penna – confidando nel fatto di essere, come ebbe a definire se stesso in una lettera a Cattaneo del 21 novembre 1849, un «poeta che lunge dall’esser Manzoni [aveva] però saputo guadagnarsi una grande popolarità» (Carteggi di Carlo Cattaneo, s. 2, III, p. 589) – ma certamente si affidò anche alla discreta notorietà della moglie, chiamata a cantare a Parigi e a Londra. Fu proprio in questo periodo, tuttavia, che si consumò tra i coniugi una rottura, che portò Elisa a lasciare improvvisamente la famiglia in Francia per tornare a Londra, dove però, più che ottenere scritture nei teatri, si ridusse a dare lezioni di musica.
L’esilio e le frequentazioni in Francia e soprattutto in Inghilterra permettono di inquadrare un nuovo tassello che venne ad assumere nella biografia di Tasca una crescente rilevanza, pur andando ad approfondire tematiche già presenti, ovvero la questione della riforma religiosa. Sin dalla metà degli anni Cinquanta, infatti, la giovanile insofferenza per l’«ecclesiastica presunzione» ( lettera a Vincenzo Monti, 4 ottobre 1820, in Chiancone, 2005-06), per il bigottismo codino e gesuita, si era nutrita – una volta svanita la grande illusione di Pio IX liberale – del progressivo malumore nei confronti di Roma. Sebbene nel marzo 1855 un informatore alludesse alla partenza di Tasca per Nizza e Torino per svolgervi una missione di propaganda protestante sottolineando il carattere opportunista e ipocrita degli ideali di Tasca, alla luce del successivo impegno degli anni Sessanta non v’è dubbio che il tema della riforma del cattolicesimo avesse cominciato ad assumere una centralità impossibile da catalogare unicamente alla voce dell’interesse materiale (le traduzioni di inni religiosi anglicani che gli vennero affidate in quel periodo contribuirono in effetti ad alleviare la durezza di un esilio ormai economicamente insostenibile).
Nel corso dell’estate del 1856 chiese e ottenne di poter fare rientro in Italia con i figli: amnistiato a inizio novembre, riuscì a garantirsi lo scioglimento del sequestro dei beni e sul finire dell’anno fece ritorno a Seriate, dove in seguito sarebbe stato raggiunto anche dalla moglie, con la quale riuscì evidentemente a ricomporre il legame dopo la precedente rottura.
Nel biennio che precedette la campagna del 1859 collaborò con alcuni periodici milanesi, segnatamente L'Uomo di Pietra e il Pungolo, e quando finalmente sopraggiunse la guerra franco-piemontese contro gli Austriaci si adoperò, con i figli, a prestare i soccorsi ai feriti, deprecando tuttavia l’esito incompleto del processo di unificazione sancito a Villafranca. Appare evidente come Tasca avesse ormai definitivamente sposato la causa monarchica per il supremo valore dell’indipendenza, pur restando molto attratto dalle iniziative di Garibaldi.
Il completamento dell’unità divenne dunque la principale preoccupazione di Tasca, e accompagnò l’attenzione militante per la spedizione garibaldina in Sicilia, celebrata con Il buon vento (2 giugno 1860), non appena giunse a Bergamo la notizia dell’entrata di Garibaldi in Palermo, e con La stella dei Mille. Omaggio poetico a Garibaldi, scritta a Seriate e datata 29 gennaio 1861. L’allocuzione pronunciata ai funerali di due cacciatori delle Alpi caduti nella battaglia per la liberazione di Seriate (Un fiore sulla tomba dei prodi cacciatori delle Alpi Francesco Daco' e Torquato Cannetta, studenti universitari morti combattendo per la patria e sepolti nel cimitero di Seriate, ove per voto popolare verrà loro eretto un monumento di riconoscenza, Bergamo 1859) era stata giudicata da Tasca meritevole di pubblicazione «a condizione che fosse venduta a profitto de’ nostri fratelli combattenti in Sicilia» (Milano, Museo del Risorgimento, Carte Bertani, b. 33, plico CXXXIV, f. 5, n. 194, lettera indirizzata presumibilmente ad Agostino Bertani, 19 giugno 1860).
Se con la Lettera di un milite della Guardia nazionale mobilitata a suo padre e da questo comunicata ad O. T. (Milano 1860) mirava a sottolineare la popolarità del moto risorgimentale, era tuttavia ai Savoia che doveva guardare l’Italia tutta per completare l’opera appena avviata: nel febbraio del 1860 aveva pubblicato infatti l’Ode a Torino (Milano 1860), con la quale spingeva per la liberazione di Venezia (ode venduta peraltro «a totale beneficio dell’Emigrazione Veneta») e di Roma, invitando altresì Napoli ad affidarsi speranzosa alla «Donna del Po».
L’astio nei confronti del potere temporale della Chiesa – la necessità di «briser le joug de Rome Papale», come scrisse in una missiva del 23 giugno 1866 (Milano, Museo del Risorgimento, Archivio generale del Risorgimento, b. T1, n. 36194) – appare con forza in tutti gli scritti degli anni Sessanta (non meno che nei carteggi): nella sopraccitata Ode a Torino, nella Lettera confidenziale di Pio IX al deputato Cesare Cantù, nei versi Pel monumento a Gustavo Modena (Bergamo 1860) dove precisava peraltro ciò che lo divideva dal più radicale amico fraterno, ovvero la questione monarchia/repubblica, nel poemetto Il futuro Concilio dei Vescovi in Roma (Milano 1862) o ancora nell’opuscolo Un quesito al Parlamento italiano e Un secondo quesito al Parlamento italiano (Bergamo 1867) e ne Il settimo centenario della Lega Lombarda il 7 aprile 1867 (Bergamo 1868), in cui invocava la fine del potere temporale dei Papi, incitando alla conquista di Roma senza l’aiuto di potenze straniere: «Ch’una Nazion risorta e a lottar pronta / se di serbar l’indipendenza anela / di potente stranier può ben senz’onta / l’amistade accettar, non la tutela; se da stranio capriccio essa dipende, / libera non è, schiava si rende // E in Campidoglio alfin – del nostro regno / sede suprema che il Gran Prete usurpa – spento per sempre quel governo indegno / ch’ogni d’umanità legge deturpa, / grideranno i Romani e noi con elli: / tutti italiani siam, tutti fratelli!».
Era comunque il «per natura implacabile partito clericale» (Milano, Museo del Risorgimento, Carte Bertani, b. 67, plico XXV, n. 30, lettera del 17 settembre 1866) a costituire la più costante fonte di apprensione per Tasca. Ed era probabilmente quello il motivo – come informa in dettaglio la già ricordata lettera del 23 giugno 1866 – per cui aveva deciso di mettersi «à la tête du mouvement réformateur en Lombardie», composto da meno di una decina di religiosi, liberali e contrari al potere temporale del papa (alcuni dei quali osteggiati fino a provocarne la sospensione a divinis da parte dei vescovi reazionari di Bergamo – il suo acerrimo nemico monsignor Pier Luigi Speranza – e di Brescia). Era insomma l’«anomalie inconcevable» che faceva sì che il Parlamento italiano non avesse ancora pensato ad annientare il clero (reazionario) – nemico assai influente, soprattutto «dans les villages» – a indurre Tasca a dirsi fautore non solo della libertà di coscienza, ma anche di una «sage Réforme religieuse». Un’opera insomma con cui – come con la traduzione/rielaborazione dei Dodici inni sacri di John Keble (Bergamo 1871) – avrebbe cercato di condurre, principalmente attraverso i numerosi interventi a stampa, la sua ultima personale battaglia contro «il partito nero» (Brescia, Biblioteca Queriniana, Autografi, b. 504, f. 1, n. 12, lettera a Pier Emilio Tiboni, 8 gennaio 1866), impegnandosi a fondo in quella che – in un’altra missiva a Tiboni – egli stesso definì «la [sua] carriera cattolicamente riformatrice» (Ibid., 14 gennaio 1866) destinata ad accompagnarlo sino agli ultimi giorni di vita.
Morì a Seriate il 29 dicembre 1872.
Non è possibile fornire una lista completa di tutti gli scritti di Tasca, comparsi in articolo o in volume. Sinteticamente, oltre agli strumenti di ricerca bibliografica più aggiornati, è possibile consultare l’Elenco degli articoli ritirati a prestito dall’Ill. Sig. Presidente della C. Biblioteca di Bergamo – 24 settembre 1915 (Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, MMB 801) e un Elenco delle opere a stampa di Ottavio Tasca, a cura di Ermanno Paleari [1975] (Ibid., AB 483). Si segnala infine che la trascrizione di una poesia attribuibile a Tasca e dedicata nel febbraio del 1847 A Fanny Elssler, celebre ballerina, stampata anonima e circolata clandestinamente in Lombardia, si trova a Milano presso la Biblioteca Ambrosiana, Fondo Cusani, Q 41 inf., f. 7. Ciro Caversazzi ha pubblicato La canzone del Bersagliere in Bergomum, XXVI (1932), 3, pp. 124-127, e Il buon vento e La stella dei Mille. Omaggio poetico a Garibaldi, ibid., XXVI (1932), 5, pp. 255-258.
La maggior parte delle carte di Tasca è depositata a Bergamo presso la Biblioteca civica Angelo Mai, Ottavio Tasca, Autografi, AB 483, che contiene manoscritti e lettere in parte pubblicati. Si vedano anche le segnature MMB 798, Specola ms. 47. Non sembrano più consultabili, invece, quelle – provenienti dagli Archivi Piccinelli e Ambiveri di Seriate – utilizzate da Ciro Caversazzi per la sua ricca ricostruzione biografica. Tra le fonti d’archivio si segnalano quelle in Arch. di Stato di Milano, Autografi, b. 157, f. 17; Potenze Sovrane, b. 205, Araldica, p.m., b. 169, f. Tasca, e b. 12; Ministero della Guerra, bb. 2018 (f. Bevilacqua), 2035, 2601. Presso la Biblioteca del Museo del Risorgimento di Milano documenti o lettere di Tasca sono in: Archivio generale del Risorgimento, b. T1, n. 36194; Archivio Cesare Correnti, b. 157; Archivio Bertani, b. 7, plico VI, n. 3, n. 20; b. 33, plico CXXXIV, f. 5, n. 194; b. 67, plico XXV, n. 30; Archivio Cattaneo, b. 5, pl. XV, n. 2 (lettera di Tasca a Cattaneo del 2 gennaio 1850, non compresa tra quelle già edite nell’epistolario). Presso la Biblioteca Queriniana di Brescia, Autografi, b. 504, f. I, nn. 1-10 e nn. 12-20, si trovano diciannove lettere del 1864-68 e una del 1872 dirette a Monsignor Pier Emilio Tiboni, canonico della Cattedrale di Brescia nonché esponente del clero liberale, e una (n. 11) a una certa «Signora Giulia». Nello stesso fondo (b. 504, f. II) è una lettera del 5 aprile 1872 al «caro amico» marchese Giuseppe Terzi. Alcune lettere di Tasca a Giovanni Ricordi e al figlio Tito (più una della moglie Elisa Taccani a Giovanni), custodite presso l’Archivio Ricordi sono consultabili, digitalizzate, in https://www.digitalarchivioricordi.com/it/people/display/14132. Una lettera di Tasca a Belloni, direttore dell’albergo Bella Venezia di Milano, è conservata a Roma presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, Raccolta Odorici, n. 2147 (ff. 10109-10110). Molte delle lettere pubblicate da Ciro Caversazzi sono state pubblicate in altri epistolari: Foscolo, Manzoni, Grossi, Modena, Bellini, Donizetti, Rossini, Garibaldi (XIII), ciascuno dei quali presenta una breve nota biografica di Tasca. Limitandosi a ricordare i carteggi utilizzati nel testo nei quali Tasca è presente in qualità di mittente, destinatario o persona citata: G. Verdi, Lettere, a cura di E. Rescigno, Torino 2012, pp. 9 s.; L. Valerio, Carteggio (1825-1854), raccolto da L. Firpo – G. Quazza – F. Venturi, a cura di A. Viarengo, II, 1842-1847, Torino 1994, pp. 401 s.; Carteggi di Carlo Cattaneo, s. 1 (Lettere di Cattaneo), II, 16 marzo 1848-1851, a cura di M. Cancarini Petroboni – M. Fugazza, Firenze-Bellinzona 2005; Carteggi di Carlo Cattaneo, s. 2 (Lettere dei corrispondenti), III, 1845-1849, a cura di G. Albergoni – R. Gobbo, Firenze-Bellinzona 2016. Inoltre: Necrologio, in La Provincia – Gazzetta di Bergamo, 3 gennaio 1873; G. Taormina, Giulio Bossi ed Ugo Foscolo, in La Nuova Rassegna. Periodico settimanale, 25 marzo 1894, pp. 371-376; A. Mandelli, Cremona nel ‘48, Cremona 1901, pp. 130-134; R. Caddeo, Le edizioni di Capolago. Storia e critica, Milano 1934, ad ind.; C. Caversazzi, La Cerrito, la Taglioni e O. T., in Bergomum, XXXIV (1940), 1, pp. 13-22; Id., Poscritto circa il Tasca e la Taglioni, ibid., XXXIV (1940), 3, pp. 133-137; Id., O. T. Schizzo biografico e letterario I, ibid., XXXIV (1940), 4, pp. 180-190 [anche in Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte e di cultura, XLVII (1941), 5, pp. 226-240]; Id., O. T. Schizzo biografico e letterario II, in Bergomum, XXXV (1941), 1, pp. 1-14; Id., Lettere di vari personaggi a O. T., ibid., XXXV (1941), 2, Parte speciale, pp. 1-40; Id., Lettere di vari personaggi a O. T., ibid., XXXV (1941), 4, Parte speciale, pp. 1-8; Id., Notiziella su O. T. in esilio, ibid., XXXVIII (1944), 1, pp. 42 s.; G. Antonucci, Un sonetto inedito di O. T., ibid., XXXVIII (1944), 2, pp. 90 s.; G. Spini, Risorgimento e protestanti, Napoli 1956, ad ind.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, V, Bergamo 1959, pp. 434 s.; VI, Bergamo 1959, passim; A. Cicchitti Suriani, Uno scismatico lombardo: il conte O. T., in Bollettino della Società di studi Valdesi, LXXVIII (1960), 108, pp. 93-99; G. Gambirasio, Cenni su O. T., in Id., Spigolature Bergamasche, Bergamo 1961, pp. 117-120; U. Zanetti, O. T. poeta e patriota. La vita, in La Rivista di Bergamo, XXIII (1972), 1, pp. 5-12; Id., O. T. poeta e patriota. Le opere, ibid., XXIII (1972), 2, pp. 5-14; B. Gallo, Un cattolico riformatore risorgimentale fra Italia e Inghilterra: O. T. dalla satira all’innografia, in Archivio storico bergamasco, III (1983), 1, pp. 139-156; 2, pp. 267-294; U. Zanetti, O. T. poeta e patriota risorgimentale, in Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo, XLVII (1986-87), pp. 145-178; I. Schrattenecker, «L’infame austriaca boria del crudo oppressor». Das Bild von den Österreichern bei O. T., 1848, in Österreich in Geschichte und Literatur, XXXIX (1995), 2, pp. 101-118; C. Chiancone, O. T. poeta, giornalista, patriota (con documenti inediti), in Atti dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti di Bergamo, LXIX (2005-06), pp. 327-348; M. Broglia, Posto in musica dal conte Giulio Litta Visconti Arese. Musicista, mecenate e patriota nella Milano dell’Ottocento, Varese 2015, ad ind.