MENINI, Ottavio
– Nacque a San Vito al Tagliamento, nei pressi di Pordenone, intorno al 1545.
Non si hanno notizie precise sulla sua formazione, probabilmente avvenuta nel paese natale. Il primo dato sicuro è la laurea in utroque iure conseguita il 3 apr. 1566 nello Studio di Padova, dove fu allievo del celebre giurista udinese Tiberio Deciani. Il precoce inserimento del M. nei circoli letterari friulani è attestato da un’ode e due epigrammi latini nella raccolta bilingue di C. Frangipane, Helice. Rime et versi di vari compositori de la Patria del Frioli, sopra la fontana Helice… (Venezia, Al segno della Salamandra, 1566, p. 21), allestita in morte di Orsa Hofer, sorella del signore di Duino Mathias Hofer.
Componimenti latini del M. si trovano in due sillogi celebrative della vittoria di Lepanto (Trofeo della vittoria sacra…, Venezia, S. Bordogna - F. Patriani, 1572 [ma sul front. 1571], c. a8v, raccolta allestita da Luigi Groto, e In foedus et victoriam contra Turcas…, ibid., D. e G.B. Guerra, 1572, c. H*6v, raccolta curata da Pietro Gherardi), ma la costante attenzione rivolta agli avvenimenti veneziani è documentata da due opuscoli andati a stampa negli anni Settanta. Nel 1574, in occasione del passaggio a Venezia di Enrico III di Valois, di ritorno dalla Polonia alla volta della Francia per assumere la corona, il M. si unì al coro di voci che lo celebrarono con due carmi latini, dedicati rispettivamente al futuro sovrano e a sua madre, Caterina de’ Medici (In Henrici III Galliarum…, ibid. 1574); nel 1577 celebrò con un carme Ad Sebastianum Venerium serenissimum principem Venetiarum… (ibid.) l’elezione di Sebastiano Venier a doge (11 giugno).
Queste poesie celebrative erano anche il frutto del non troppo nascosto desiderio del M. di trovare spazio nelle strette maglie dell’amministrazione della Repubblica. Dopo la laurea il M. si era stabilito in patria, dove svolgeva la professione legale. Probabilmente nei primi anni Settanta vi sposò Cinzia Altan dei conti di Salvarolo, dalla quale ebbe tre figli, due femmine e un maschio.
Nell’ambito dell’attività forense, nella primavera del 1579 scrisse un parere giuridico per Elisabetta Savorgnan, vedova di Ulisse Altan, in merito a una contesa che la contrapponeva al patriarca di Aquileia Giovanni Grimani per il possesso del feudo di Villa di Taiedo (Arch. di Stato di Venezia, Consultori in iure, b. 62, cc. 141r-143v), nel Sanvitese. Il contenzioso, apparentemente di poca importanza, finì invece per chiamare in causa il Senato veneziano e la diplomazia pontificia, tanto che solo nel 1585 si giunse alla sentenza definitiva, che diede ragione al patriarca.
La presenza del M. negli ambienti letterari friulani si consolidò negli anni: nella raccolta manoscritta di poesie del notaio Alessandro Paolini e dei suoi figli si trovano due carmi del M. scritti in occasione del cardinalato di Michele Della Torre (12 dic. 1583; Udine, Biblioteca arcivescovile, Fondo Bartoliniano, 21, cc. 323v-333r; altra copia Ibid., Biblioteca civica, Mss. Joppi, 287, cc. 129r-130v). Particolarmente stretto fu il sodalizio con Erasmo da Valvasone: nel paratesto dell’edizione Venezia 1590 dell’Angeleida del Valvasone figurano alcuni distici elegiaci del M. e nella prefatoria l’autore ricorda un discorso del M. – oggi perduto – circa l’impiego delle figure angeliche all’interno di un’opera poetica, tema di decisivo rilievo per la legittimazione teorica dell’Angeleida. Oltre ai rapporti letterari, i due si incontrarono in qualche occasione nell’esercizio dell’attività forense, come documenta un arbitrato condotto da entrambi nel 1588 a Valvasone.
Nei primi anni Novanta il M. partecipò alle attività dell’Accademia Veneziana, nella quale si fece apprezzare per le doti di oratore e poeta latino.
A partire almeno dal 1595 ebbe frequenti rapporti con Celio Magno, Orsatto Giustinian, Teodoro Angelucci e Valerio Marcellini, come testimoniano quattro lettere che il M. inviò da San Vito a Magno tra l’agosto 1596 e il gennaio 1599 (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. IX, 172 [=6093], cc. 17r-42r). Dal carteggio si ricava che Magno, in vista della pubblicazione del suo canzoniere, aveva eletto il M. come revisore. Il M. propose non solo numerosi rilievi di carattere stilistico e sull’allestimento della raccolta, di cui Magno dimostra di tenere conto, ma nella lettera del 9 dic. 1597 espresse anche perplessità su possibili venature eterodosse riscontrabili nelle liriche, dubbi che Battista Guarini, in una lettera inviata il 20 dic. 1597 a Magno (ibid., c. 9r), giudicò inconsistenti. Il 2 ag. 1596 il M. inviò un suo Discorso sopra la canzone Deus di Magno, andato a stampa insieme con la canzone, due Lettioni di Angelucci e un Commento di Marcellini (Venezia, D. Farri, 1597). Il Discorso del M., in piena sintonia con i testi esegetici di Marcellini e Angelucci e in accordo con un’operazione sapientemente orchestrata da Magno, enfatizza, facendo ricorso a piene mani alla cultura neoplatonica, le ambizioni speculative, che la canzone cela sotto uno stile improntato a una severa gravitas. A ulteriore riprova del legame del M. con Magno e Giustinian va segnalato che nell’edizione congiunta delle Rime di Celio Magno et Orsatto Giustiniano (Venezia, A. Muschio, 1600) è inclusa la traduzione eseguita da Giustinian di un’ode latina del M., indirizzata a Giorgio Gradenigo; due sonetti di Gradenigo sono inoltre diretti al Menini.
Nello scorcio del secolo il M. partecipò attivamente alla vita politica e amministrativa nel territorio friulano: nel 1597 pubblicò l’orazione latina Aquileiae in concilio provinciali, quod Utini celebratum est, loquentis prosopopoeia (Udine, G.B. Natolini) nella quale, dopo aver delineato una storia della città partendo dalle sue gloriose origini, celebra il patriarca Francesco Barbaro, cui spettava il compito, non facile, di riportarla all’antico splendore. Nel 1599 fu, insieme con Marzio Panigai, provveditore di San Vito, carica introdotta nel 1597 dal patriarca di Aquileia per pacificare la turbolenta Comunità. La presenza nella silloge lirica Varie compositioni, in onore del capitano di Verona Giovanni Corner e della moglie Chiara Delfin (Verona, G. Discepolo, 1596), nelle due antologie dedicate a Niccolò Contarini, luogotenente in Friuli (Udine, G.B. Natolini, 1598 e 1602) e nelle Lagrime per la morte di Lucina Savorgnan Marchesi (Udine, G.B. Natolini, 1599), lo mostra stabilmente coinvolto nelle occasioni della vita politica e sociale della Terraferma veneta.
A partire dagli anni Novanta si registrano orazioni e carmi rivolti alla S. Sede, a cominciare dalla Ad Clementem VIII pont. max. De Ferraria recepta oratio (Venezia, A. Muschio, 1598), dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini in occasione della devoluzione del Ducato di Ferrara alla Chiesa (1598). In quegli anni il M., sfruttando le sue amicizie veneziane, avviò alla vita ecclesiastica il figlio, come si apprende da una lettera scritta a Magno del 9 dic. 1597 e da una missiva dell’anno successivo al benedettino Angelo Grillo.
Con quest’ultimo il M. ebbe uno scambio epistolare durante il soggiorno del benedettino a Venezia nella basilica di S. Giorgio Maggiore, tra il maggio e il settembre 1598. Il M. fu poi, nei primi anni del Seicento, curatore della raccolta delle lettere di Grillo. Forse per saggiare le qualità del M., al cui «purgato giuditio» si affidava, Grillo si fece inviare da lui un discorso sull’epistolografia, oggi perduto, nel quale il M. avrebbe discusso l’ornamento retorico adatto alle diverse tipologie epistolari (A. Grillo, Lettere…, Venezia 1616, p. 505). L’edizione delle Lettere di Grillo curata dal M., uscita a Venezia per G.B. Ciotti nel 1602, con dedica ad Aldobrandini, fu però giudicata dall’autore un vero disastro, come non mancò di manifestare in una velenosa lettera inviata a Valerio Marcellini pubblicata nella seconda edizione (ibid., p. 810), nella quale, lamentando gli accidenti della stampa, ma in realtà avanzando pesanti riserve sulla perizia del M., sfogò tutto il suo malanimo.
La costante ricerca di una sistemazione decorosa ed economicamente rassicurante spinse il M. a intraprendere nel 1603 un viaggio a Roma, con la speranza, rivelatasi illusoria, di trovare per sé e per suo figlio, una sistemazione. Al rientro a Venezia ottenne il ruolo di consultore in iure e fu nominato, almeno a partire dal 1606, giudice del piccolo ma turbolento centro di Ceneda, come risulta dal frontespizio dell’orazione De nova stella (Venezia, G.B. Ciotti, 1606), dedicata a Paolo V nell’apparizione di una cometa, e dalla testimonianza di una lettera di Paolo Sarpi (Sarpi, 1892).
In quel burrascoso periodo, quando Paolo V lanciò l’interdetto contro Venezia, il M. affiancava P. Sarpi nella cosiddetta «guerra delle scritture», e faceva parte del folto gruppo di teologi e giuristi che spalleggiarono il frate servita nella sua azione di contrasto con il Papato. Vanno ricordate tre orazioni pubblicate nel 1607: Ad Paulum V pro Republica Veneta oratio, In ambitionem Romanae Curiae, De immensa Curiae Romanae potentia moderanda (pubblicate senza nome dell’autore e note tipografiche, per l’attribuzione cfr. Savio, p. 20), e Panegyricus sereniss. principi Leonardo Donato (Venezia, E. Deuchino). Sarà soprattutto quest’ultimo scritto a suscitare le reazioni più risentite: il 15 maggio 1607 il cardinale Scipione Borghese Caffarelli fu informato che a causa dei suoi scritti il M. era stato cacciato «per ordine di Roma» dalla casa del vescovo di Ceneda, dove risiedeva con il figlio, e che era andato a Venezia, dove sperava di ottenere «ricompensa delle scritture» (Savio, pp. 17 s.). L’orazione fu giudicata severamente dallo stesso cardinale Borghese («vi sono cose anco che sanno di gentilità et che non si concedono pure ai poeti», ibid., p. 19), il quale il 2 febbr. 1608 ordinò al nunzio a Venezia B. Gessi di bloccare la vendita del Panegyricus.
Il periodo successivo alla fine dell’interdetto fu, per il M. come per altri che per la loro aperta militanza in favore della Repubblica si aspettavano un significativo segno di riconoscimento, molto incerto. Nei primi mesi del 1608 ricevette una pensione di 150 scudi dal Senato e gareggiò con Giovanni Marsilio, un frate che aveva sostenuto Sarpi con grande veemenza, per una cattedra di retorica alla Scuola di S. Marco a Venezia, ma l’incarico non fu dato a nessuno dei due. Deluso, il M. iniziò lunghe ed estenuanti trattative segrete con il nunzio Gessi – al quale inviò odi e orazioni latine in lode del papa – per concordare un suo trasferimento a Roma. I negoziati continuarono per tutto il 1608, resi difficoltosi non tanto dalla richiesta di abiura, che il M. accettò di pronunciare, quanto per questioni di carattere economico, dato che egli pretendeva uno stipendio annuo di 500 ducati e una sistemazione per il figlio, mentre il cardinale Borghese, sempre piuttosto freddo nei confronti del M., era disposto a concedergli al massimo 200 ducati. Sul finire del 1608 il commercio segreto con il nunzio fu scoperto e il M., pur rinnovando nel marzo 1609 al nunzio l’intenzione di partire per Roma, fu costretto a rimandare la trattativa a un momento più propizio. La scoperta del traffico non fu senza conseguenze: nel febbraio dello stesso anno non ottenne dal Senato una pensione annua di 200 scudi su cui contava. Ritiratosi a Padova, mantenne i contatti con il mondo culturale orbitante attorno a Sarpi e al suo giovane allievo, Domenico Molin, nonché con intellettuali d’Oltralpe: Isaac Casaubon, al quale scrisse una lettera in lode della sua edizione di Polibio e inviò, tramite Molin, un’ode a lui dedicata (London, British Library, Mss. Bourney, 365, cc. 196r-197v), Jacques Leschassier (Sarpi, 1961, p. 75) e Jacques-Auguste de Thou.
Ancora nel marzo del 1610 il M. intratteneva trattative con Roma e nutriva speranze di una sistemazione. In questo periodo incerto fu a Feltre, dove strinse rapporti con il vescovo Alvise Lollino, e nel 1612 a Conegliano, probabilmente per incarichi di carattere amministrativo. Proprio a Conegliano lo raggiunse una lettera di Andrea Morosini, in cui il senatore e futuro storiografo lo ringraziava per i versi latini che gli aveva inviato e gli offriva alcuni suggerimenti sull’eventualità di stampare i suoi testi. Non è escluso che il carteggio con Morosini fosse in qualche modo legato alla nuova competizione che nel 1612 vide il M. contrapposto a Gerolamo Vendramin per la cattedra di umanità a Venezia, di nuovo senza successo. Forse anche a seguito di questa ennesima delusione, nel 1613 il M. si decise a pubblicare i suoi Carmina (Venezia, E. Deuchino).
Il volume, dedicato al doge Antonio Memmo, raccoglie buona parte della produzione del M. andata a stampa in modo sparso negli anni precedenti. Si articola in due libri, rispettivamente di 41 e 44 testi ordinati cronologicamente con un’appendice di orazioni e di tre lettere (a Domenico Molin da Padova, aprile 1610; a Isaac Casaubon da Feltre, ottobre 1610; ad Angelo Sasso da Feltre, febbraio 1611). I Carmina testimoniano una poesia prevalentemente encomiastica. Ridotta è la sezione dedicata a episodi autobiografici (da segnalare il componimento De se ipso cum Romam profecturus est anno MDCIII, p. 40), mentre assai ampia è la quota dei testi dedicati a intellettuali e nobili con i quali il M. aveva allacciato rapporti: tra gli altri, Jerome Groslot de l’Isle (pp. 54, 81), J.-A. de Thou (p. 57), al quale il M. inviò il volume nell’aprile 1614 (Parigi, Bibliothèque nationale, Coll. Dupuy, 806, cc. 208r-209v), Ottavio Bon (p. 97), Giorgio Gradenigo (p. 105), Alvise Lollino (p. 116), Battista Guarini (in morte, p. 132), Angelo Grillo (p. 135), Giacomo Barozzi (p. 136).
Non è da escludere che l’edizione fosse stata pensata anche a sostegno di una nuova candidatura per un insegnamento di lingua latina presso lo Studio di Padova, che gli fu finalmente assegnato il 27 maggio 1614. Il risultato accademico non dovette soddisfare il M., che, stando a una lettera del giurista friulano Servilio Treo a Simone Contarini, ambasciatore veneto a Roma tra il 1614 e il 1615, tentò ancora di stabilire rapporti con la corte romana inviando, tramite il cardinale R. Bellarmino, un’ode a Paolo V, che l’aveva letta «con molto gusto, et poco meno che imparata a mente» (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII, 2097 [=6507], c. 87r).
A questo periodo risale un componimento latino collocato nell’appendice di versi obituari all’Oratione del povero accademico Delio [Antonio Frigimelica], da lui recitata nell’Accademia in morte del sig. Gio. Francesco Mussato (Padova, L. Pasquati, 1614).
Il M. morì a Padova il 23 marzo 1617, come testimoniano una lunga e accorata lettera di Andrea Morosini ad Alvise Lollino e una nota diplomatica del nunzio B. Gessi (Cicogna, V, p. 549).
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F. Tomasi