PIATTI , Ottavio
PIATTI (Platus), Ottavio (in religione Girolamo). – Nacque a Milano nel 1548 da Girolamo e da Antonia Vincemale de Aragonia.
Dopo gli studi di grammatica e humanae litterae compiuti nella città natale, all’età di tredici anni si recò a Pavia per studiare diritto, dove rimase per cinque anni senza però conseguire il titolo.
A diciotto anni lo ritroviamo di nuovo a Milano tra i dodici giovani che, riuniti dall’arciprete del duomo, si apprestavano a entrare nell’ordine cappuccino; il padre però si oppose e il giovane scelse, almeno momentaneamente, di sottostare alla volontà paterna. Malgrado ciò, il 24 aprile 1568, durante un soggiorno a Roma, e a seguito di una visita al santuario di Loreto, Piatti decise di abbracciare la vita religiosa facendo ingresso nella Compagnia di Gesù; è in questo momento che il giovane Ottavio assunse il nome di Girolamo, probabilmente in segno di conciliazione nei confronti del padre. Dopo la casa dei novizi, nella quale fu compagno del futuro santo Stanislao Koska, risedette regolarmente nella casa generalizia, eccezion fatta per un breve soggiorno a Tivoli nel 1582 come accompagnatore del padre Andrea Spinola, membro uscente della Camera apostolica, in un ritiro spirituale che fu preludio al suo ingresso nella Compagnia di Gesù. L’ordinazione sacerdotale si ebbe intorno al 1579, mentre il 29 maggio 1583 Piatti pronunciò i quattro voti solenni dell’ordine ignaziano. Intorno al 1570 risulta allievo dei corsi di logica del Collegio romano, segno del fatto che nella città eterna Piatti continuò gli studi.
L’erudizione e la perizia nella lingua latina lo portarono a ricoprire vari incarichi, tra cui quello di aiutante del segretario della Compagnia Diego Jiménez, di maestro dei novizi (dal 1585) nonché di segretario dell’assistente di Germania e Francia. In questo periodo ebbe modo di occuparsi di novizi d’eccezione, tra i quali spiccano le figure di Luigi Gonzaga, morto solo pochi mesi prima di Piatti, del quale fu direttore spirituale e per il quale scrisse una Vocatio Aloysii Gonzagae ad Societatem Jesu (ora ricompresa negli Acta Sanctorum), e del convertito scozzese William Elphinston, imparentato con la casata degli Stuart, della cui biografia – Vita Gugliemi Elphinstonij novitii Societatis Iesu, sempre redatta da Piatti nel 1584 – si conservano un’anonima traduzione italiana e una traduzione in inglese effettuata da Joseph Stevenson e pubblicata nel 1883 sulla base del manoscritto latino un tempo conservato presso la Biblioteca della Minerva di Roma ma che attualmente risulta perduto.
Tra le sue opere più importanti va sicuramente ricordato il De bono status religiosi, un trattato in latino sulla vita religiosa che conobbe dodici edizioni, una traduzione in italiano e altre in ben sei lingue straniere, oltre a un compendio, in italiano, apparso nel 1725.
Vero e proprio best seller il cui scopo era di suscitare vocazioni in tutto l’orbe cattolico, l’opera si suddivide in tre libri: sulla utilità, la dignità e la giocondità dello stato religioso. Assunto dello scritto di Piatti è che la condizione di chierico regolare rappresenta la più compiuta realizzazione della perfezione cristiana. L’opera esordisce con una prima definizione di che cosa si debba intendere per ‘religione’ nel suo doppio significato di culto, rito e cerimonia compiuta per adorare il vero Dio dando testimonianza della propria fede, e di insieme di persone che scelgono di rifiutare i mali del secolo (le ricchezze, i piaceri sensuali – anche quelli per gli altri leciti, ossia derivanti dalla vita matrimoniale – e la propria volontà, che talvolta non si orienta al bene) per dedicarsi totalmente al servizio di Dio e della Chiesa. Piatti passa quindi a una disamina minuziosa delle ragioni per cui, attraverso la pronuncia dei voti di povertà, castità e obbedienza, lo stato clericale soddisfa pienamente la natura dell’uomo in quanto creatura di Dio, nel senso proprio di appartenente a Dio. La dignità dell’uomo, per Piatti, corrisponde infatti alla sua vera nobiltà, e questa si può raggiungere esclusivamente attraverso la fuga dal mondo e il rifiuto dei beni esteriori, materiali e immateriali, inferiori proprio in quanto esterni all’uomo stesso.
Come naturale complemento del De bono status religiosi Piatti compose il De bono status conjugalis, un trattato sullo stato matrimoniale che andò perduto prima ancora della sua morte; stando infatti a quanto afferma il Menologio del padre Patrignani esso era stato redatto su fogli sparsi e venne inavvertitamente gettato da un fratello coadiutore nell’atto di riordinare la stanza di Piatti.
In occasione dell’elevazione al cardinalato del fratello Flaminio, avvenuta sotto Gregorio XIV nel marzo 1591, Piatti compose in un arco di tempo molto breve il De cardinalis dignitate et officio, opera che non conobbe la vastissima diffusione del De bono status religiosi, ma che rappresenta comunque un contributo di rilievo al filone della trattatistica sul cardinale, nel solco della nuova sensibilità controriformistica che si sviluppò in Italia tra la fine del Cinquecento e il Seicento. La Chiesa sentì la necessità di ridefinire il ruolo e le funzioni del cardinale dopo che l’onda d’urto della Riforma protestante aveva colpito dalle fondamenta l’immagine stessa dell’uomo di Chiesa, così intimamente implicato in affari mondani e cortigiani e così vicino alle ricchezze e al potere. Bisognava ridare credibilità all’ufficio pastorale elencando e analizzando le qualità morali che un cardinale avrebbe dovuto possedere per poter svolgere al meglio il proprio compito, di natura certamente religiosa e pastorale, ma in ogni caso non avulsa da un contesto cortigiano.
Piatti entra anche nel dettaglio dei comportamenti del perfetto cardinale, che avrebbero dovuto essere irreprensibili in quanto lo stile di vita di un principe della Chiesa deve servire da modello di vita cristiana per l’intera comunità dei fedeli. Chiunque detenga un ruolo di governo, non solo nella Chiesa, è tenuto ad assumere comportamenti esemplari facendo attenzione tra l’altro a non simulare, perché in questo caso la verità è sempre destinata a venire a galla. Il principio che deve guidare il cardinale nel suo agire quotidiano è la moderazione: moderazione nei costumi alimentari, nell’uso del denaro (aspetto a cui Piatti dedica due interi capitoli), nell’abbigliamento, nel lusso domestico, il tutto temperato però dall’esigenza di mantenere una certa magnificenza, necessaria per ingenerare deferenza e obbedienza da parte del popolo. I tempi sono cambiati rispetto ai primi secoli del Cristianesimo, e contro l’assunzione di un anacronistico modello di povertà evangelica Piatti sconsiglia un eccessivo ridimensionamento dello stile di vita del cardinale. Una ricchezza da intendersi come strumentale alla concezione cristiana della vita, che rimane comunque subordinata alla dimensione spirituale e della trascendenza divina. La temperanza è dunque un criterio da adottare con le dovute cautele: se da una parte Piatti raccomanda l’adozione, in taluni specifici casi, di atteggiamenti rigoristi da parte del cardinale, specie nei casi in cui si rende necessario debellare cattive consuetudini, dall’altra sconsiglia apertamente gli eccessi di disciplina e di mortificazione dei sensi. Anche da un punto di vista teologico e giuridico il De cardinalis dignitate et officio segna una tappa importante dello sviluppo della trattatistica sul cardinale che andava di pari passo con l’evoluzione istituzionale della Chiesa cinquecentesca. Con la riforma della Curia romana portata avanti da Sisto V, il Papato aveva inteso sganciare le congregazioni cardinalizie dalla sfera di influenza del Concistoro, a cui molti conferivano idealmente un ruolo di tipo senatoriale all’interno della Chiesa, per porle alle dirette dipendenze dei pontefici. Per Piatti la dignitas cardinalizia colloca i porporati in una posizione immediatamente successiva a quella del sovrano pontefice e comunque superiore a qualsiasi altra, vista anche la generale superiorità della dignità ecclesiastica rispetto a quella secolare. Il gesuita milanese si pronuncia inoltre a favore della concezione dello jus divinum cardinalatus e riconosce al cardinale una responsabilità che va ben oltre il governo della Chiesa ma che si estende a un ruolo di protezione e di guida dell’intera umanità.
Morì a Roma il 14 agosto 1591.
Opere. Hieronymi Plati ex Societate Jesu de bono status religiosi libri tres, Romae, apud Jacobum Tornerium, 1590; Vocatio Aloysii [Gonzagae] ad Societatem Iesu scripta anno primo tirocinii eius per Hieronymum Platum S.J. tunc confessarium ejusdem, in Acta Sanctorum, Junii, t. IV, 1883, pp. 896-911; De cardinalis dignitate, et officio. Ad illustrissimum et reverendissimum dominum D. Flaminium Platum S. R. E. cardinalem, Romae, apud Guilielum Facciottum, 1602; [H. Foley], William Elphinston, novice S.J., in Records of the english province, t. VII, 1883, n. 2, pp. 1269-1320.
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