Ottemperanza e riedizione del potere (A.P. n. 2 del 2013)
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 15.1.2013 n. 2 ha affrontato alcune questioni concernenti contenuto e limiti del giudizio di ottemperanza, la portata oggettiva del giudicato amministrativo di annullamento e la sua incidenza sulla riedizione del potere amministrativo. Ha inoltre fornito chiarimenti sugli strumenti processuali per contestare gli atti adottati dalla p.a. nel riesercizio del potere, indicando modalità volte ad evitare duplicazioni di giudizi per ragioni di concentrazione della tutela e di economia processuale.
Il codice del processo amministrativo (art. 114) menziona, tra i poteri del giudice dell’ottemperanza, quello di dichiarare nulli gli atti adottati dalla p.a. in violazione/elusione del giudicato e di conoscere «tutte le questioni relative all’ottemperanza». Non si occupa invece espressamente del rapporto tra giudicato e riedizione del potere amministrativo (e, quindi, del confine tra violazione o elusione del giudicato e violazione autonoma rispetto al giudicato) e di quello tra giudizio di ottemperanza e nuovo giudizio cognitorio nel caso in cui la p.a. reiteri l’atto annullato o adotti un provvedimento comunque non satisfattivo della pretesa sostanziale del ricorrente.
Per quanto il c.p.a. mostri un favor per la concentrazione in sede di ottemperanza di tutte le questioni successive al giudicato e relative alla sua attuazione, la giurisprudenza1 ha chiarito che tale favor non può spingersi sino ad affermare che qualunque provvedimento adottato dopo il giudicato incidente negativamente sulla pretesa sostanziale del ricorrente possa essere conosciuto dal giudice dell’ottemperanza. Diviene dunque rilevante la distinzione tra violazione e elusione del giudicato e violazione nuova ed autonoma, da tracciare muovendo dalla portata oggettiva del giudicato. Nell’identificare quest’ultima assume rilievo la questione dell’annoverabilità nel giudicato non solo del dedotto, ma anche del deducibile, a sua volta legata alla distinzione tra giudizio sull’atto e giudizio avente ad oggetto la pretesa sostanziale.
Con riferimento al giudicato di annullamento per vizi sostanziali di un provvedimento espressione di discrezionalità tecnica, l’A.P. n. 2/2013 ha chiarito che, in sede di riedizione del potere, una nuova valutazione di aspetti incontroversi e non indicati dal giudicato come necessitanti un riesame non è di per sé preclusa e, quindi, non integra ex se, ove l’esito sia sfavorevole per il ricorrente vincitore in sede di cognizione, una violazione/elusione del giudicato deducibile in sede di ottemperanza. La nuova valutazione deve però originare dalla constatazione di una palese e grave erroneità del giudizio precedente e non essere invece espressione di una gestione “ondivaga” e contraddittoria del potere, in quanto tale contrastante, nella prospettiva pubblicistica, con il principio costituzionale del buon andamento e, in quella privatistica, con i principi di correttezza e buona fede.
La difficoltà concreta nella distinzione tra violazione/elusione del giudicato ed illegittimità del provvedimento per vizi propri è confermata dall’A.P., che ha rilevato come «il concreto atteggiarsi del singolo giudicato nei confronti del sopravvenuto esercizio della funzione amministrativa non può che essere rimesso all’analisi della vicenda specifica»2. Il complesso discrimine origina la prassi per cui, quando un giudicato di annullamento determina la riedizione del potere amministrativo, la parte ricorrente vittoriosa, che a seguito del rinnovo delle operazioni veda ancora insoddisfatto il proprio interesse, suole instaurare due distinti giudizi, uno di ottemperanza ed uno impugnatorio (la cui distinzione è rilevante, implicando il primo una giurisdizione di merito). L’A.P. n. 2/2013, attraverso un iter argomentativo che evidenzia l’ampiezza della cognizione consentita nel giudizio di ottemperanza, ha ammesso la riunione ex art. 70 c.p.a. dinanzi al giudice dell’esecuzione dei due giudizi pendenti nel medesimo grado (in quanto «coerente con il principio di effettività … della tutela giurisdizionale, rendendo possibile la valutazione complessiva del giudice di una pretesa di parte sostanzialmente unitaria») e, ex ante, la proposizione di un solo ricorso dinanzi al giudice dell’ottemperanza (giudice naturale dell’esecuzione della sentenza e competente per la forma più grave di patologia dell’atto, qual è la nullità), con eventuale conversione dell’azione per la riassunzione dinanzi al giudice competente per la cognizione in caso di rigetto della domanda di nullità.
Poiché il parametro per la verifica dell’osservanza da parte della p.a. dell’obbligo di adempiere quanto stabilito nel giudicato è quello dell’esatto adempimento (ex art. 1218 c.c.), l’esperimento dell’azione di ottemperanza è consentito tutte le volte in cui vi sia una difformità (sub specie di mancata o inesatta attuazione, a prescindere si tratti di inottemperanza attiva o inattiva e, nel primo caso, che la difformità coinvolga profili discrezionali o vincolati) tra le modalità di riesercizio del potere amministrativo e le statuizioni della sentenza.
L’art. 114, co. 4, lett. b), c.p.a. dispone che il giudice dell’ottemperanza «dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato». La previsione va letta in combinato con l’art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241 che prevede la nullità del provvedimento violativo o elusivo del giudicato.
In base a giurisprudenza consolidata ante c.p.a., affinché il vizio di violazione o elusione del giudicato ricorra, non è sufficiente che l’azione amministrativa posta in essere dopo la formazione del giudicato intervenga nella stessa fattispecie oggetto del pregresso giudizio di cognizione o alteri l’assetto di interessi ivi definito3; esso postula, piuttosto, che la p.a. eserciti la medesima potestà pubblica, già esercitata illegittimamente, in contrasto con il contenuto precettivo del giudicato (violazione del giudicato), ovvero che l'attività asseritamente esecutiva della p.a. sia connotata da un manifesto sviamento di potere diretto ad aggirare l'esecuzione delle puntuali prescrizioni stabilite dal giudicato (elusione del giudicato4)5. Indipendentemente dal fatto che al giudicato residuino ambiti di esercizio di un potere discrezionale, qualora venga dedotta la violazione di criteri e modalità di esecuzione fissati in sentenza (ponendosi l’esercizio del potere discrezionale come strumentale per adempiere esattamente il giudicato), il rimedio esperibile è il ricorso per ottemperanza6. Il petitum del ricorso non deve concernere profili ulteriori di contrarietà dell’atto alla disciplina sostanziale7.
Il contrasto con il giudicato deducibile in sede di ottemperanza è quindi integrato non solo dall’inerzia della p.a. (come riteneva un iniziale orientamento giurisprudenziale), ma anche da un facere consistente nell’ottemperanza parziale o inesatta o nella violazione o nell’elusione attiva del giudicato8. L’ampliamento graduale dei presupposti in presenza dei quali è proponibile l’azione di ottemperanza è correlato al progressivo superamento della concezione del giudizio amministrativo come giudizio sull'atto (ed in cui il rapporto tra p.a. e cittadino è conosciuto nei limiti della questione della validità dell’atto) e al graduale affermarsi di un giudizio sul rapporto, finalizzato ad assicurare la tutela dell’interesse sostanziale sotteso all’interesse legittimo9.
Nel c.p.a. l’orientamento ha trovato conferma negli artt. 112, co. 2, 114, co. 6, 114, co. 4, lett. b), nonché nel co. 3 dell’art. 112 che prevede la risarcibilità dei danni connessi alla mancata esecuzione in forma specifica anche solo «parziale» del giudicato. L’ampiezza dei presupposti del giudizio di ottemperanza è coerente con i principi di effettività della tutela giurisdizionale e di ragionevole durata del processo (anche in relazione all’interpretazione dell’art. 6 CEDU fornita dalla Corte di Strasburgo), i quali impongono di considerare parte del diritto alla tutela giurisdizionale il diritto ad ottenere l’esecuzione della sentenza favorevole in tempi rapidi e senza necessità di attivare ex novo un giudizio di cognizione10. Correlativamente, nella prospettiva dell’amministrazione della giustizia, viene in rilievo la necessità di evitare una duplicazione di giudizi per il principio del ne bis in idem e l’esigenza di economia processuale.
Per quanto il c.p.a. si ispiri al principio di concentrazione nel giudizio di ottemperanza di tutte le questioni che possono insorgere dopo il giudicato relative alla sua attuazione (disponendo all’art. 114, co. 6, che «il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza»), il criterio del petitum sostanziale è confermato11. In particolare, l’art. 112, co. 2, c.p.a., nello stabilire che «l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione» dei provvedimenti ivi elencati, chiarisce che l’oggetto del giudizio di ottemperanza non è qualsivoglia provvedimento amministrativo adottato dopo la sentenza del giudice e relativo al contenzioso oggetto del pregresso giudizio di cognizione, ma la verifica della corretta attuazione del giudicato e, dunque, la verifica se il soggetto obbligato ad eseguire la sentenza vi abbia dato puntuale esecuzione12. In presenza di un nuovo provvedimento che si assume emanato in violazione o elusione del giudicato, il giudice dell’ottemperanza è chiamato ad interpretare il giudicato per individuarne l’esatta portata prescrittiva e a confrontare questa e l’atto adottato al fine di coglierne eventuali difformità13. I pur ampi poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza – stante la natura mista di cognizione ed esecuzione del giudizio – sono delimitati dall’ambito dell’oggetto dell’attuazione, cui sono funzionali, arrestandosi in presenza di atti non elusivi del giudicato e non ricollegabili, neppure indirettamente, al substrato giuridico e fattuale che ha costituito oggetto della cognizione della sentenza ottemperanda (contestabili con ricorso ordinario ex art. 29 c.p.a.)14. Diversamente, laddove si consentisse di contestare in tale sede gli indicati atti, l’esito sarebbe, da un lato, quello di sottoporre ad un generale potere di controllo di merito qualunque nuovo episodio di esercizio del potere amministrativo che sia collegato in qualunque modo ad una precedente pronuncia giurisdizionale (violando il principio della separazione dei poteri15); dall’altro, quello di eludere regole del giudizio di legittimità poste a presidio di interessi di pari rilevanza rispetto a quello ad una celere tutela, quali il termine decadenziale, l’onere di dedurre specifici motivi di censura, nonché il rispetto del principio generale del doppio grado di giudizio16.
Ne consegue, quindi, che nei casi in cui il giudicato accerti pienamente il rapporto (in presenza di attività vincolata o nelle ipotesi di discrezionalità esaurita) l’attività successiva posta in essere dalla p.a. è oggetto di sindacato da parte del solo giudice dell’ottemperanza; in tutti gli altri casi l’attività amministrativa successiva è oggetto del sindacato di quest’ultimo solo se essa si colloca in un ambito coperto dal giudicato, mentre è oggetto di sindacato nel giudizio di cognizione qualora occupi ambiti lasciati liberi dal giudicato e rinvenga per essi i parametri di legittimità esclusivamente nella disciplina di riferimento17.
Nell’interpretare la portata prescrittiva del giudicato ed individuare i vincoli in sede di riedizione del potere assume anche rilievo la questione dell’annoverabilità nell’ambito del giudicato non solo del dedotto, ma anche del deducibile.
Nel giudizio amministrativo di carattere impugnatorio la giurisprudenza ha circoscritto l’operatività del principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile nei limiti oggettivi rappresentati dagli elementi costitutivi del giudicato, identificati nella correlazione del petitum e della causa petendi in rapporto alla dedotta lesione dell'interesse vantato e, dunque, in relazione ai vizi dedotti18. Accolto un ricorso per annullamento, il giudicato si forma con esclusivo riferimento ai vizi dedotti ed accertati, mentre tutte le questioni che non hanno costituito oggetto di doglianza non sono coperte dal giudicato. Entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, cioè non solo le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche quelle che, pur non dedotte, costituiscono presupposto logico indefettibile della decisione19. Ne consegue che la p.a., dopo la sentenza di annullamento, può emanare un provvedimento di identico contenuto di quello annullato, sulla base di presupposti e valutazioni nuovi rispetto a quelle formanti oggetto dei motivi di ricorso accolti dal giudice. Il che, nel contesto ante c.p.a., sarebbe stato possibile anche in caso di esercizio di un potere interamente vincolato, qualora determinati presupposti del potere esercitato fossero stati presi in considerazione dalla p.a. solo nella fase di rinnovo del procedimento (non potendo il g.a. accertare la sussistenza di tutti i presupposti per l’esercizio del potere in direzione favorevole al ricorrente, ma potendo decidere solo sui motivi di ricorso, traducendosi poi il contenuto di accertamento della sentenza costitutiva nell’effetto conformativo del giudicato). Precipitato è che la sede per sindacare la legittimità dell’atto adottato dalla p.a. dopo il giudicato, sotto profili esulanti dalle statuizioni della sentenza e non rientranti nell’ambito della deducibilità, è quella ordinaria della cognizione20.
In tale contesto la giurisprudenza amministrativa, anteriormente al c.p.a., ha ideato un meccanismo di esaurimento del potere amministrativo dopo il suo riesercizio a seguito di una sentenza di annullamento, facendo applicazione del principio della preclusione (che sviluppa sul lato passivo quello del dedotto e deducibile) e stabilendo che essa si produca dopo l’accertamento dell’illegittimità di un secondo provvedimento sfavorevole opposto in sede di riedizione del potere. La preclusione è deducibile in sede di ottemperanza, ancorché non venga dedotta la violazione di specifiche statuizioni del giudicato21. In via pretoria è stato quindi sancito l’onere procedimentale della p.a., dopo un giudicato di annullamento, di esaminare l’affare nella sua interezza, accertando e valutando non solo i profili oggetto della pronuncia, ma tutti i fatti costitutivi del potere esistenti al momento del relativo esercizio, rilevanti per provvedere definitivamente sull’oggetto della pretesa, e di cui la p.a. abbia avuto effettiva conoscenza o di cui avrebbe potuto acquisire conoscenza utilizzando i mezzi istruttori a disposizione, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili ancora non esaminati22. L’omissione di profili rilevanti per provvedere definitivamente sull’oggetto della pretesa concretizza un atteggiamento elusivo del giudicato, volto a differire l’attuazione della decisione nella sua portata sostanziale23. La descritta soluzione identifica un «punto di equilibrio tra il diritto del cittadino alla sollecita definizione dell’affare dopo un giudicato d’accoglimento e la giustificata aspettativa del potere pubblico di esercitare la propria discrezionalità anche sugli aspetti del rapporto controverso prima non esaminati»24; ammesso il riesercizio del potere amministrativo dopo il giudicato, si pone un limite ad un esercizio usque ad infinitum, salve circostanze di fatto non emerse per causa non imputabile alla p.a. e sempre rilevanti per la funzionalizzazione dell’azione amministrativa al pubblico interesse e per il principio di legalità.
La teoria del doppio diniego è stata recentemente applicata anche nella simile ipotesi in cui la p.a. venga reinvestita della questione a seguito di “remand”: qualora la p.a. riadotti il provvedimento negativo esplicitando ulteriori ragioni ostative all’accoglimento della richiesta del ricorrente, il giudice valuta le ulteriori ragioni e le contestazioni mosse ad esse con motivi aggiunti e, accertata la relativa illegittimità, può conoscere della fondatezza della pretesa. È così configurata una peculiare ipotesi in cui persino un’attività connotata in limine litis da discrezionalità, a seguito della concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti, tramite il combinarsi di misure cautelari propulsive e contestazione del nuovo atto con motivi aggiunti, può risultare all’esito dello scrutinio del giudice “segnata” nel suo sviluppo (discrezionalità esaurita)25.
La teoria è stata ulteriormente affinata da un orientamento giurisprudenziale (cui propende l’ordinanza di rimessione su cui si è pronunciata l’A.P. n. 2/2013) che ne ha circoscritto l’applicazione al caso di reiterazione di un potere discrezionale, escludendo i casi di reiterazione di un’attività vincolata o valutativa frutto di discrezionalità tecnica26. La precisazione è stata condotta invocando il principio di effettività della tutela, che ne postula satisfattività e celerità, e quello di lealtà processuale, precipitato del principio di buona fede ed espressivo del dovere di collaborare ad attuare la volontà della legge scopo del processo: la relativa combinazione impone di interpretare il giudicato secondo buona fede. Si ritiene, infatti, che negli indicati casi, a seguito del giudicato, la p.a. non possa utilizzare in danno del ricorrente già vittorioso elementi incontroversi e mai messi in discussione, al di fuori dell’esercizio del potere di autotutela27 o dell’enucleazione di cause ostative legali.
Con riguardo all’attività vincolata, l’ordinanza di rimessione citata non ha chiarito le ragioni della preclusione individuata. Esse vanno ravvisate probabilmente nell’introduzione dell’azione di adempimento ex art. 34, co. 1, lett. c), c.p.a., il cui accoglimento conduce ad accertare la fondatezza della pretesa sostanziale e ad applicare la preclusione del dedotto e deducibile (in tali casi essendo consentito integrare la motivazione del provvedimento28 e trovando applicazione il principio di non contestazione29).
Con specifico riferimento alle valutazioni tecniche, l’ordinanza di rimessione ha affermato che, ove il giudicato abbia accertato vizi sostanziali di un’attività di giudizio, il rinnovo del giudizio da parte della p.a. deve limitarsi alla rivalutazione secondo i criteri del giudicato degli elementi affetti da vizi sostanziali o alla valutazione di elementi omessi e la cui omissione sia stata rilevata dal giudicato, non potendo essere valutati ex novo elementi incontroversi o prima mai valutati e la cui omissione non sia stata sanzionata dal giudicato30, pena il configurarsi di un’inottemperanza attiva31.
Le incertezze che in concreto possono porsi nell’interpretare il giudicato e distinguere l’inottemperanza attiva dagli atti autonomamente lesivi inducono nella prassi il ricorrente, per ragioni di cautela processuale, a proporre sia l’impugnazione (nel termine decadenziale) che il ricorso per ottemperanza (nel termine dell’actio iudicati). Il conseguente aggravamento della tutela giudiziaria e le possibili incoerenze nella risposta giurisdizionale (e dunque motivi di economia processuale e opportunità) hanno indotto a ragionare sulla possibilità di proporre nel medesimo giudizio l’azione di ottemperanza (previo accertamento della nullità dell’atto violativo/elusivo) e l’azione di annullamento, nonché di riunire i giudizi pendenti separatamente nel medesimo grado.
Entrambe le modalità sono state ammesse dall’A.P. n. 2/2013. Preliminarmente l’A.P. ha rilevato come il giudizio di ottemperanza presenti una pluralità di configurazioni e un contenuto composito, nel quale convergono azioni diverse quanto a presupposto (ossia al provvedimento di cui si chieda l’attuazione) e quanto a contenuto della domanda, tale per cui ad azioni meramente esecutive si affiancano azioni di natura cognitoria, anche «al di là della mera e tradizionale distinzione inerente la riconducibilità dell’“attuazione” richiesta ad una “esecuzione” della sentenza (o provvedimento equiparato), ovvero a più ampi ambiti di conformazione della successiva azione amministrativa, in dipendenza del giudicato medesimo». Talune azioni sono riconducibili all’ottemperanza come tradizionalmente configurata (ottemperanza come prosecuzione del giudizio di cognizione, in presenza di un giudicato che non accerta in maniera completa il rapporto dedotto), altre sono di mera esecuzione di una sentenza di condanna, altre hanno natura cognitoria e trovano nel giudice dell’ottemperanza il giudice competente per ragioni di concentrazione della tutela32.
Anche con riguardo all’attuazione delle sentenze del g.a. pronunciate nella giurisdizione di legittimità è possibile individuare una pluralità di configurazioni del giudizio, il cui concreto atteggiarsi dipende dall’oggetto del sindacato giurisdizionale in sede di cognizione, dipendente a sua volta dal tipo di azione proposta e di potere pubblico esercitato. Una macrodistinzione può essere operata tra le fattispecie che consentono al g.a. di svolgere un sindacato pieno sul rapporto dedotto e quelle che non consentono tale estensione. Nella prima categoria rientrano i casi in cui sia stata proposta azione di annullamento di un atto vincolato, azione di adempimento contestuale, azione avverso il silenzio al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 31, co. 3, c.p.a. per la pronuncia sulla fondatezza della pretesa. In tali casi, il giudicato è idoneo a produrre un vincolo conformativo pieno sull’esercizio della successiva attività amministrativa (l’utilità sostanziale ambita dal privato trova pieno riconoscimento in sentenza) e l’eventuale giudizio di ottemperanza ha natura di sola esecuzione, dovendo il giudice solo verificare se la p.a. abbia posto in essere l’azione che la sentenza di cognizione ha interamente prefigurato33. Nella seconda delle categorie, il sindacato in sede di cognizione non può estendersi all’intero rapporto controverso, poiché il principio della separazione dei poteri impone il rispetto delle sfere di valutazione di spettanza della p.a.; in questi casi (azione di annullamento di un atto discrezionale o azione avverso il silenzio ove non ricorrano i presupposti dell’art. 31, co. 3, c.p.a.) il giudicato contiene una regola incompleta (fermo restando che la valutazione dell’effettiva estensione di esso e dei consequenziali margini liberi dell’azione della p.a. dipende dalla tipologia di vizio riscontrato).
Nella vigente disciplina sono inoltre ammissibili in sede di ottemperanza domande volte ad ottenere: la condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza (trattandosi di obbligazioni accessorie di obbligazioni principali su cui una precedente sentenza o provvedimento equiparato si sono pronunciati) e al risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica totale o parziale del giudicato (art. 112, co. 3, c.p.a.); la declaratoria della nullità di eventuali atti emanati violativi o elusivi del giudicato, al fine di ottenere, eliminato il diaframma del provvedimento nullo, sia l’attuazione della sentenza, sia il risarcimento dei danni connessi alla violazione/elusione del giudicato (danni questi ultimi che possono derivare sia dalla ritardata attuazione del giudicato, per avere la p.a. emanato un provvedimento nullo, sia direttamente da tale atto34); ovvero la declaratoria di inefficacia di atti violativi/elusivi di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti. A tali azioni si aggiunge il ricorso ex art. 112, co. 5, c.p.a. proposto al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza: si tratta di un’azione di accertamento del contenuto della sentenza o del provvedimento equiparato, proponibile dinanzi al giudice dell’ottemperanza coerentemente al principio di atipicità delle forme di tutela, il quale consente di giudicare ammissibili tutte le iniziative processuali necessarie per un’adeguata protezione della situazione giuridica sostanziale (ove si ritenga legittimato ad esso anche il ricorrente vincitore in sede di cognizione), ovvero coerentemente alle esigenze di celerità e certezza nella definizione delle controversie (ove, come ritiene la giurisprudenza35, si ritenga legittimata la p.a. soccombente). Con l’ottemperanza di chiarimento l’inottemperanza cessa di essere l’unico presupposto del ricorso ex art. 112 c.p.a.; rimane ferma, peraltro, la funzione complementare a quella di attuazione del giudicato propria dell’azione di ottemperanza: non si possono pertanto fornire chiarimenti su modalità dell’azione amministrativa successiva al decisum che, pur trovando in questo il presupposto, non siano di attuazione del giudicato36. Ciò implica, nuovamente, la necessità di distinguere, con riguardo al giudicato del g.a., tra accertamento pieno e non pieno del rapporto e, con riferimento a provvedimenti equiparati non provenienti dal g.a. la necessità di distinguere tra interpretazione ed integrazione del decisum (potendo il g.a. adottare statuizioni analoghe a quelle che potrebbero emettersi in un giudizio di cognizione solo in relazione a questioni devolute alla sua giurisdizione37).
Le azioni elencate hanno come comune denominatore l’esistenza di una sentenza o provvedimento equiparato da attuare e come comune giustificazione dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost.: pertanto, nel giudice dell’ottemperanza è identificato il giudice naturale «della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto»38.
L’ampiezza dei poteri cognitori del giudice dell’ottemperanza è il presupposto dell’iter argomentativo che ha condotto l’A.P. a ritenere ammissibile la riunione ex art. 70 c.p.a. dinanzi a detto giudice dei distinti ricorsi volti a far valere la nullità del provvedimento violativo/elusivo del giudicato e a censurare l’illegittimità del provvedimento per vizi propri, nonché ex ante il cumulo nel medesimo giudizio dell’azione di ottemperanza, proposta previo accertamento della nullità dell’atto violativo/elusivo, e dell’azione di annullamento del medesimo atto.
Quanto alla riunione, viene in rilievo una tipologia di connessione peculiare. In base all’art. 70 c.p.a. i presupposti per la riunione sono il rapporto di connessione, la pendenza dinanzi al medesimo giudice e ragioni di opportunità processuale, rispondendo la riunione ad esigenze di economia processuale endoprocessuale (evitare inutili attività processuali) ed ultraprocessuale (evitare giudicati contrastanti). La nozione di connessione non è definita nel c.p.a., ma presupposta negli artt. 32, co. 1, e 43, co. 3, c.p.a., che fanno riferimento alla connessione tra «domande» (dove la domanda è identificata dal petitum e dalla causa petendi, vale a dire dall’oggetto e dai fatti e motivi specifici su cui il ricorso si fonda39). Se anteriormente al c.p.a. la connessione era definita, in relazione alla natura impugnatoria del giudizio, come connessione fra impugnative, presupponente una connessione tra atti40, attualmente essa non può che risentire della trasformazione del giudizio amministrativo, non più incentrato sulla questione di legittimità dell’atto amministrativo, ma volto a fornire adeguata tutela ad una situazione giuridica sostanziale41: il presupposto della connessione è, dunque, l’identità sostanziale della pretesa del ricorrente.
L’A.P. ha giudicato ammissibile la riunione dei citati ricorsi pendenti separatamente, pur nella differenza di tipologia dei giudizi, prediligendo l’esigenza di simultaneus processus caratterizzante il tipo di doglianze prospettate. A favore di un ampliamento della nozione di connessione dei ricorsi depone nella specie il principio di pienezza e completezza della tutela giurisdizionale, in ragione dell’unicità della domanda (che presuppone implicitamente la richiesta al giudice, insieme all’esame della natura della patologia dell’atto, di qualificare correttamente la tipologia di azione) e dell’“episodio di vita” (esercizio del potere amministrativo dopo il giudicato) sottoposto al vaglio del g.a. con due distinte domande ed azioni, la cui duplicità dipende dall’incertezza derivante dallo stesso ordinamento giuridico sul corretto uso degli strumenti di tutela giudiziaria. Alla base delle domande vi è, pertanto, una «pretesa di parte sostanzialmente unitaria» (pur se diversi sono petitum e causa petendi), che si traduce nella proposizione di domande alternative in ragione della complessa configurazione della patologia dell’atto.
Oltre alla riunione, l’A.P. ha giudicato ammissibile la proposizione ex ante di un unico ricorso dinanzi al giudice dell’ottemperanza, in quanto giudice naturale dell’esecuzione della sentenza42, ma nel termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. per l’azione di annullamento43. Al giudice è affidato il compito di qualificare le domande, distinguendo quelle attinenti all’ottemperanza da quelle che, pur concernendo l’esercizio del potere dopo il giudicato, non denunciano un’inottemperanza attiva, traendone le conseguenze quanto a rito e poteri decisori. A ben vedere, non si tratta propriamente di un cumulo di domande ex art. 32, co. 1, c.p.a., venendo piuttosto in rilievo il potere del g.a. di qualificare l’azione proposta in base agli elementi sostanziali, correggendo la denominazione fornitane dall’autore e sottoponendola alla relativa disciplina44. Tanto che giurisprudenza successiva all’A.P. dispone la conversione anche quando l’azione di annullamento non è stata espressamente proposta cumulativamente a quella di ottemperanza, ma, qualificata dal ricorrente l’azione come di ottemperanza, le censure proposte configurino vizi dell’atto autonomi rispetto al giudicato45.
Secondo l’A.P., accertata dal giudice dell’ottemperanza la violazione o l’elusione del giudicato, alla dichiarazione di nullità consegue l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’alternativa domanda; nel caso opposto, il giudice non dichiara l’inammissibilità del ricorso, ma dispone la conversione dell’azione (sussistendo il presupposto del rispetto del termine decadenziale46) per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione (con possibile transito dal Consiglio di Stato al TAR47). Giurisprudenza successiva ha chiarito che la riassunzione deve avvenire nel termine di trenta giorni di cui all’art. 16 c.p.a. applicabile per analogia, decorrente dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della pronuncia48.
Quanto al rapporto giudicato/riedizione del potere, l’A.P. delimita la portata oggettiva del giudicato di annullamento, confermando che il giudicato si presenta, nella varietà dei casi, in modo poliforme, a seconda delle situazioni giuridiche coinvolte e delle censure dedotte: il ricorrente può far valere mere censure formali, o vizi afferenti all’esistenza dei presupposti per ottenere il bene della vita; la domanda può tendere ad opporsi all’azione amministrativa o prospettare una pretesa. La questione dell’annoverabilità nel giudicato del dedotto (quanto è stato oggetto di contestazione ed esame) e del deducibile (quanto, pur non espressamente trattato, si pone come presupposto o corollario indefettibile del thema decidendum) va pertanto risolta in concreto, atteggiandosi la sentenza del g.a. in modo diverso a seconda che abbia ad oggetto una situazione oppositiva o una pretesa sostanziale e a seconda del vizio accolto.
Con specifico riguardo alla rinnovazione di una valutazione connotata da discrezionalità tecnica annullata per vizi sostanziali e alla questione se essa possa concretizzarsi nel valutare diversamente, in base ad una nuova prospettazione, situazioni che, esplicitamente o implicitamente, siano state oggetto di esame giudiziale, l’A.P. non aderisce in toto alle considerazioni svolte dall’ordinanza di rimessione, ritenendo che in via generale non possa escludersi la rivalutazione dei fatti sottoposti all’esame del giudice, al contempo assoggettandola a precisi limiti e vincoli.
Preliminarmente l’A.P. distingue il caso in cui la p.a. rimetta in discussione “fatti” già accertati nel corso del giudizio ed il caso in cui rimetta in discussione la “valutazione” del fatto oggetto di esame giudiziale. Consentendo il c.p.a. l’utilizzo di mezzi di accertamento relativi all’esistenza dei presupposti della pretesa e non solo alle modalità di esercizio dell’azione amministrativa, l’azione dinanzi al g.a. ha ad oggetto, tendenzialmente, direttamente il fatto, senza che ci si debba limitare all’esame di esso per il tramite dell’atto49; ne consegue che l’accertamento definitivo giudiziale avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti della pretesa sostanziale del ricorrente è vincolante in sede di riedizione del potere amministrativo.
Con riguardo al diverso caso in cui la p.a. proceda ad una “diversa valutazione” (in base ad una nuova prospettazione di aspetti incontroversi e non indicati dal giudicato come necessitanti di un nuovo esame) dei fatti implicitamente o esplicitamente oggetto di esame da parte del giudice, l’A.P. fornisce una soluzione di compromesso tra il valore dell’effettività della tutela del ricorrente e quello della «salvezza della sfera di autonomia e di responsabilità dell’amministrazione». L’obbligo della p.a. di dare esecuzione ai provvedimenti del giudice secondo buona fede (obbligo che si collega al leale ed imparziale esercizio del munus publicum, in conformità all’art. 97 Cost. e ai principi della CEDU) si traduce nell’obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso e di non frustrare la sua legittima aspettativa con comportamenti elusivi. Peraltro, una nuova valutazione dei fatti viene ammessa in presenza di una «palese e grave erroneità del giudizio precedente» (con conseguente dovere in capo alla p.a. di argomentare la relativa constatazione in maniera «esplicita e pregnante»).
La genericità della condizione da ultimo indicata rende casistica e discrezionale la distinzione tra tali ipotesi ed il caso in cui la nuova valutazione costituisca espressione «di una gestione… ondivaga e contraddittoria del potere e in quanto tale contrastante, nella prospettiva pubblicistica, con il principio costituzionale del buon andamento e, in quella privatistica, con i principi di correttezza e buona fede»50. Da qui la rilevanza della possibilità di riunione o di proposizione in un unico ricorso delle azioni di ottemperanza e di annullamento. Peraltro, il ricorrente già vittorioso in sede di cognizione può avvalersi della concentrazione dinanzi al giudice dell’ottemperanza di tutte le vicende connesse al riesercizio del potere amministrativo e della possibilità di conversione dell’azione solo a condizione che si attivi tempestivamente nel termine decadenziale previsto per l’azione impugnatoria.
La Plenaria traduce inoltre in un mero possibile indizio di elusione del giudicato il superamento da parte della p.a. di una preclusione, che è alla base anche della teoria della discrezionalità esaurita, e che potrebbe essere bypassata solo tramite il ricorso ai poteri di autotutela della p.a.
Infine, va osservato che un valido ausilio per il superamento delle difficoltà di interpretazione del contenuto del giudicato e dei limiti dallo stesso discendenti va ravvisato nei nuovi poteri che l’art. 34 c.p.a. riconosce al g.a. in caso di accoglimento del ricorso in sede di cognizione, potendo il giudice condannare all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (esplicitando il contenuto ripristinatorio e conformativo del giudicato di annullamento), nonché disporre le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato, individuando i limiti entro cui i fatti e gli elementi posti a base della precedente azione possono essere riconsiderati51.
1Cons. St., sez. VI, 15.11.2010, n. 8053; Id., sez. V, 2.5.2013, n. 2400.
2 Cfr. Cons. St., A.P., 22.12.1982, n. 19.
3 Cons. St., sez. IV, 6.10.2003, n. 5820.
4 Cons. St., sez. IV, 31.12.2009, n. 9296; Id., sez. V, 20.4.2012, n. 2348.
5 Cons. St., n. 2400/2013; Cons. St., sez. IV, 19.1.2012, n. 229; Chieppa, R., La nullità del provvedimento, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 939.
6 Cons. St., sez. VI, 21.1.2003, n. 239; Id., 11.2.2004, n. 501.
7 Cons. St., sez. V, 23.11.2007, n. 6018; Id., sez. VI, 13.2.2013, n. 899.
8 Cons. St., n. 2400/2013; Id., sez. VI, 12.12.2011, n. 6501; Id., ord. 5.4.2012, n. 2024.
9 Cons. St., sez. VI, 11.2.2004, n. 501.
10 C. eur dir uomo, 28.7.1999, Immobiliare Saffi c. Italia.
11 Garofoli, R.-Ferrari, G., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, 990; Cons. St., sez. V, 23.5.2011, n. 3078.
12 Cons. St., sez. VI, 15.11.2010, n. 8053.
13 Cons. St., sez. IV, 17.1.2013, n. 275; Cons. St., A.P., n. 2/2013.
14 Cons. St., sez. IV, 25.11.2003, n. 7778.
15 Lopilato, V., Esecuzione e cognizione nel giudizio di ottemperanza, in Giustizia-amministrativa.it, 2012.
16 Cons. St., sez. IV, 25.6.2013, n. 3940.
17 Cons. St., sez. VI, 19.6.2012, n. 3569; Id., ord. n. 2024/2012; Id., n. 2400/2013.
18 Cons. St., A.P., n. 19/1982; Clarich, M., Il giudicato, in Sandulli, A., a cura di, Diritto processuale amministrativo, Milano, 2013, 289.
19 Cons. St., sez. IV, 15.12.2011, n. 6613.
20 Cons. St., sez. VI, ord. n. 2024/2012.
21 Cons. St., sez. VI, 6.2.1999, n. 134; Id., 25.2.2003, n. 1054; Id., sez. IV, 4.3.2011, n. 1415.
22 Cons. St., sez. V, 4.6.2003, n. 3081; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 26.112009, n. 850.
23 Cons. St., sez. V, 13.3.2000, n. 1328; Id., sez. IV, 27.11.2010, n. 8252; Id., 27.5.2010, n. 3382.
24 Cons. St., sez. V, n. 134/1999.
25 TAR Lombardia, Milano, sez. III, 8.6.2011, n. 1428; Id., 10.4.2012, n. 1045.
26 Cons. St., sez. VI, ord. n. 2024/2012.
27 Cons. St., sez. V, 23.5.2011, n. 3078.
28 TAR Lazio, Roma, sez. II, 26.6.2012, n. 5841; Cons. St., sez. V, 20.8.2013, n. 4194.
29 TAR Campania, Napoli, sez. VII, 6.9.2012, n. 3761.
30 Cons. St., sez. IV, 6.5.2010, n. 2632.
31 Cons. St., sez. VI, ord. n. 2024/2012.
32 Cons. St., A.P., n. 2/2013.
33 Cons. St., sez. VI, n. 3569/2012 che nega rilevanza in tali casi allo jus superveniens.
34 Cons. St., sez. IV, 16.1.2013, n. 259.
35 Cons. St., sez. IV, 17.12.2012, n. 6468; Id., sez. V, 19.6.2013, n. 3342.
36 Cons. St., sez. VI, n. 3569/2012.
37 Cons. St., sez. IV, 21.1.2013, n. 320.
38 Cons. St., A.P., n. 2/2013; Cons. St., sez. IV, n. 3940/2013.
39 Corso, G., Art. 32, in Quaranta, A.-Lopilato V., a cura di, Il processo amministrativo, Milano, 2011, 324.
40 Ramajoli, M., La connessione nel processo amministrativo, Milano, 2002, 30.
41 Cons. St., sez. V, 14.12.2011, n. 6537; Id., sez. IV, 22.1.2013, n. 359.
42 Cfr. Cons. St., sez. IV, 25.6.2013, nn. 3439 e 3440.
43 Sui presupposti della conversione ante c.p.a., Cons. St., sez. V, 5.2.2007, n. 428.
44 Follieri, E., Commento a TAR Lombardia, Milano, 4 settembre 2012, n. 2220, in Guida dir., 2011, Dossier, 9.
45 Cons. St. n. 3440/2013.
46 Secondo giurisprudenza successiva all’A.P. la verifica del termine competerebbe al TAR dinanzi al quale il giudizio sia riassunto: Cons. St., n. 3440/2013.
47 Cons. St. n. 3439/2013.
48 Cons. St. n. 3440/2013.
49 Cfr. Cons. St., A.P., 23.3.2011, n. 3.
50 Cons. St., A.P., n. 2/2013; Id., sez. IV, 17.1.2013, n. 275.
51 Cfr. Cons. St., sez. VI, 10.5.2011, n. 2755; Figorilli, F., La difficile mediazione della Plenaria fra effettività della tutela e riedizione del potere nel nuovo giudizio di ottemperanza, in Urb. app., 2013, 957; Ramajoli, M., Le tipologie delle sentenze del giudice amministrativo, in Caranta, R., diretto da, Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, 590; Mari, G., Giudice amministrativo ed effettività della tutela. L'evoluzione del rapporto tra cognizione e ottemperanza, Napoli, 2013, 97.