BRUNSWICK, Ottone di
Appartenente alla famiglia dei duchi di Brunswick-Grubenhagen, un ramo collaterale dell'illustre stirpe dei Welfen (Guelfi), il B. nacque, maggiore di otto figli, dal duca Enrico II di Brunswick-Grubenhagen, soprannominato "de Graccia" per i frequenti viaggi in Oriente, e da Jutta, figlia del marchese Enrico di Brandeburgo e Landshut, intorno all'anno 1320.
Tuttavia le prospettive per un giovane e valoroso cavaliere, discendente di una delle più antiche e celebri famiglia della Germania la cui eredità a causa delle numerose partizioni si era ridotta quasi a nulla - "duca solo per nome", come dice giustamente di lui; un cronista - erano tutt'altro che brillanti. Da questa situazione si comprende come il B. già in giovane età, seguendo del resto l'esempio del padre che aveva passato gran parte della sua vita all'estero, pensasse di lasciare per sempre la patria per cercare con l'unico mestiere che conosceva, quello delle armi, la fortuna che nel ristretto ambito del suo territorio doveva essergli preclusa.
Verso l'anno 1340 il B. si presentò alla corte di Giovanni II Paleologo, marchese di Monferrato, suo parente poiché una sorella del padre aveva sposato un Paleologo, offrendogli i suoi servizi. Ne nacque una amichevole collaborazione per tutte le faccende amministrative e soprattutto militari del piccolo Stato monferrino che si sarebbe mantenuta inalterata fino alla morte del marchese, avvenuta nel 1372.
La situazione del Piemonte della prima metà del secolo XIV, dilaniato da continue lotte tra le varie potenze tese a rafforzare ed a espandere il loro dominio, rendeva a Giovanni II di Monferrato (succeduto al padre nel 1338) assai difficile una proficua azione politica. Stretto tra la forza espansiva dei Visconti di Milano e degli Angiò di Napoli, il Paleologo, continuando la politica del padre, inclinò, per lo meno all'inizio del suo governo, verso il partito visconteo. In una battaglia contro il siniscalco angioino Rafforza d'Agout, il quale, dopo aver preso Alba nel gennaio del 1345, minacciava d'impadronirsi anche dei possedimenti monferrini, il B. ebbe occasione di distinguersi per la prima volta. Il suo personale contributo decise per il Monferrato le sorti della battaglia svoltasi il 22 apr. 1345 per il possesso del castello di Gamenario nella quale il d'Agout perse la vita. Nel 1349 il B. accompagnò nel Canavese Giovanni II durante la campagna contro Giacomo d'Acaia che gli procurò il possesso di Strambino, durante il cui assedio il B. fu gravemente ferito. Fu riconquistato in quell'anno anche Caluso che Giovanni II concesse in feudo al Brunswick.
Poco dopo, sembra nel 1351, il B. lasciò il Monferrato entrando al servizio del re di Francia Giovanni II il Buono. Nulla si conosce della sua attività militare in Francia, se non un episodio singolare che sottolinea lo spirito cavalleresco del B., del resto elogiato da tutti i cronisti del tempo.
Nel 1352 il B. sfidò a duello, al cospetto del re di Francia, il duca di Lancaster Enrico Plantageneto. Le cause del contrasto sono piuttosto oscure: secondo il cronista inglese Knighton il duca di Lancaster, tornando dalla Prussia orientale, avrebbe dichiarato pubblicamente davanti ai nobili e ai cittadini di Colonia che il B. aveva l'intenzione di catturarlo per consegnarlo al re di Francia. Respingendo decisamente questa accusa, il B. avrebbe sfidato il Plantageneto a duello. Comunque sia, il 4 dicembre, fallito ogni tentativo di riconciliazione, il B. e il Lancaster scesero in campo davanti ai re di Francia e di Navarra, al duca di Borgogna e a numerosi altri nobili francesi. Ma anche l'esito del duello resta oscuro: sempre secondo i cronisti inglesi, il Lancaster si sarebbe dimostrato sin dall'inizio della lotta di gran lunga superiore, cosicché il re Giovanni, per evitare una completa sconfitta del B., avrebbe interrotto il duello. Il silenzio dei cronisti francesi, che parlano solo di una riconciliazione degli avversari tramite il re, sembrerebbe confermare la versione degli Inglesi.
Sempre durante il soggiorno francese il B. avrebbe sposato, per intercessione di Giovanni II, Iolanda di Villaragut, vedova del re Giacomo II di Maiorca.
Tornato in Italia, il B. presenziò, il 5 apr. 1355, all'incoronazione imperiale di Carlo IV a Roma. In questa occasione l'imperatore gli concesse alcuni feudi nella diocesi di Carpentras in Provenza, ove il B. si trasferì nel giugno del 1355, occupando il castello di St. Lambert con un'azione che provocò la protesta del vescovo di Carpentras. Innocenzo VI invitò subito l'imperatore a revocare l'infeudazione del B. che si vide costretto a rinunciare ai possedimenti. Dopo questa impresa, che si risolse senza alcun vantaggio, il B. tornò nel Monferrato dove partecipò alle lotte del marchese per respingere dal territorio il principe Giacomo d'Acaia e allargare i confini del dominio fino nelle terre viscontee e angioine.
Certo è che nei diciassette anni tra il ritorno del B. nel Monferrato e la morte del marchese, avvenuta nel 1372, il B., incaricato di numerose azioni militari e missioni diplomatiche, restò sempre il più fidato collaboratore del cugino, cosicché questi non esitò a designarlo reggente del suo Stato per i figli ancora minorenni. Nel suo testamento, redatto il 9 marzo 1372 a Volpiano, pochi giorni prima della sua morte, Giovanni II affidò al B. la tutela dei suoi figli Secondo Ottone, Giovanni e Teodoro - associandogli però anche il conte Amedeo VI di Savoia, al quale negli ultimi tempi si era di nuovo avvicinato - nonché l'amministrazione dello Stato monferrino fino alla maggior età del primogenito Secondo Ottone. Inoltre confermò al B. i feudi di Verolengo, Caluso, San Raffaele, Castagnetto, Volpiano e Brandizzo. Il dominio su Asti, residenza della corte, sarebbe invece dovuto rimanere indiviso tra i tre figli del marchese e il Brunswick.
La morte del marchese avvenne quando il Papato e i maggiori Stati italiani erano sul punto di stringere una lega - la settima - per opporsi all'espansione sempre più pericolosa dei Visconti. In questa atmosfera il B. intraprese una viva attività diplomatica per garantire al Monferrato il suo posto nel gioco politico. Subito dopo la morte del marchese si recò personalmente a Pavia per cercare di raggiungere un accordo di massima con i Visconti che fallì per le pretese che questi avanzavano su Asti. Dopo questo primo insuccesso il B. si trasferì ad Avignone, offrendo l'adesione del Monferrato alla lega antiviscontea. Con la mediazione di Gregorio XI, al quale del resto Giovanni II prima di morire aveva raccomandato il suo Stato, riuscì a concludere, il 17 giugno 1372, un'alleanza con il conte Amedeo VI di Savoia, secondo la quale il conte si impegnava, contro pagamento di 200.000 fiorini, ad aiutare il Monferrato nella difesa dei suoi territori e nel riacquisto della terre monferrine cadute sotto la signoria viscontea.
La reazione dei Visconti fu immediata: nel luglio seguente un esercito pose l'assedio ad Asti; ma le forze riunite del B. e del conte di Savoia costrinsero i Visconti nell'agosto a ritirarsi. In seguito il B. riuscì a ottenere il riconoscimento formale del dominio monferrino su Asti anche dall'imperatore Carlo IV che il 6 dicembre 1374 conferì ai tre giovani marchesi e al B. il vicariato imperiale di Asti, Alba e Mondovì. Nel 1373 e nel 1374 il B., unendo le sue truppe a quelle angioine capitanate da Niccolò Spinelli, partecipò alle lotte antiviscontee in Piemonte. Insieme allo Spinelli riconquistò nell'agosto del 1373 Centallo e s'impadronì nell'ottobre dello stesso anno di Vercelli. Tuttavia l'incapacità della lega di colpire efficacemente lo Stato visconteo portò col tempo a un affievolirsi della lotta. In questo quadro si inserisce il tentativo di Bernabò Visconti, intrapreso nell'estate del 1374, di giungere a un accordo con il B., al quale offriva la mano di sua nipote Caterina, figlia di Matteo. Ma il B. oppose un rifiuto, forse temendo l'inevitabile contrasto che ne sarebbe derivato con Avignone.
Nello stesso periodo Gregorio XI aveva prospettato l'idea di un matrimonio tra il B. e la regina Maria di Armenia, una parente di Giovanna I di Napoli, che avrebbe potuto valersi delle qualità diplomatiche e militari del B. nella difesa del proprio regno contro i continui attacchi dei Turchi.
Se non si realizzò neanche questo progetto, si doveva tuttavia concludere di lì a poco un matrimonio che segnò una svolta decisiva nella vita del Brunswick. Giovanna I di Napoli, vedova per la terza volta dopo la morte di Giacomo di Maiorca nel febbraio del 1375, si vide presto incapace di controllare da sola le rivolte dei baroni del Regno che si facevano sempre più frequenti. Con tutta probabilità, malgrado le contrastanti dichiarazioni ufficiali, fu anche questa volta papa Gregorio XI che, in accordo con Niccolò Spinelli, l'influente ministro di Giovanna, propose alla regina il matrimonio col Brunswick. Questi possedeva tutte le qualità richieste ad un principe consorte: appartenente a un'illustre famiglia che contava fra i suoi avi persino un imperatore - Ottone IV - il B. si era rivelato - durante la sua lunga attività nel Monferrato come un uomo di eccellenti qualità non solo militari, ma anche politiche. Era poi noto per il suo spirito cavalleresco e per la sua grande lealtà, sì da escludere il sospetto di una eventuale rivalità con la regina.
Per maggiore precauzione, i patti nuziali che il B. firmò il 18 dic. 1375a Asti gli proibivano di assumere il titolo regio e di farsi incoronare re di Sicilia; in cambio la regina gli prometteva di investirlo del principato di Taranto devoluto alla Corona dopo la morte dell'ultimo principe Filippo II. Il matrimonio fu concluso, in presenza del papa, dai procuratori di Giovanna I e del B. il 28 dic. 1375 ad Avignone e confermato il 2 genn. 1376 da Gregorio XI.
Nel febbraio del 1376 Giovanna mandò a Nizza i conti di Caserta, di Cerreto, di Sant'Angelo e di Nola per accompagnare nel Regno il B. che sbarcò a Napoli il 25 marzo, dove lo stesso giorno furono celebrate le nozze. Secondo il Chronicon siculum la regina l'11 maggio 1376 concesse al marito la contea di Acerra, la città di Teano e alcuni castelli nel Regno, mentre, a quel che pare, lo investì del principato di Taranto solo nel 1380.
Le trattative in corso per giungere a una pace tra la lega e i Visconti richiamarono tuttavia il B. di nuovo nell'Italia settentrionale. Fu conclusa infatti, il 19 luglio 1376, a Samoggia, una convenzione tra i Visconti e il papa, alla quale aderirono anche il Monferrato, il conte di Savoia e gli Estensi. Per confermare i nuovi legami di amicizia tra il Monferrato e Milano fu progettato un matrimonio tra il marchese Secondo Ottone e Violante Visconti, figlia di Gian Galeazzo, ancora una volta sotto gli auspici di Gregorio XI, che durante il suo viaggio da Avignone a Roma si incontrò a Genova (18 ott. 1376) con il B. per le necessarie trattative. Dopo avere accompagnato il papa fino a Orbetello, il B. proseguì per Napoli.
La nuova situazione politica caratterizzata dall'ostilità di Firenze, che aveva organizzato un vasto moto di rivolta contro il papa negli Stati della Chiesa, ricondusse di nuovo il B. sulla scena diplomatica. All'inizio del marzo del 1378 si recò come procuratore di Giovanna I insieme a Niccolò Spinelli al congresso di Sarzana, al quale partecipavano non solo quasi tutti gli Stati italiani, ma anche i rappresentanti dell'imperatore e dei re di Francia e d'Ungheria, e il cui scopo era di riconciliare Firenze con il Papato e di ristabilire l'ordine in Italia.
I lavori del congresso, arrivati già a buon punto, furono però interrotti dall'improvvisa morte di Gregorio XI, avvenuta il 27 marzo 1378 a Roma. Alla notizia il B. insieme allo Spinelli si recò a Roma, e dopo aver trattato un giorno intero con il nuovo papa Urbano VI, tornò da solo a Napoli.
Il conflitto seguente tra il pontefice e la maggior parte dei cardinali che nel settembre del 1378 portò all'elezione dell'antipapa Clemente VII doveva avere grandi ripercussioni anche nel Regno di Napoli. Dopo il primo entusiastico accoglimento della notizia dell'elezione di Urbano VI, che era napoletano, la regina cominciò presto a staccarsi da lui, abbracciando il partito clementino. Si è attribuita la causa di tale svolta alla ambasceria che il B. su incarico di Giovanna I intraprese nel luglio del 1378, recandosi alla corte pontificia, trasferitasi per il caldo estivo a Tivoli. Secondo alcuni cronisti il B. avrebbe chiesto a Urbano VI la sua incoronazione a re di Sicilia, secondo altri il consenso del papa al matrimonio del suo pupillo, il marchese Giovanni III del Monferrato - succeduto da poco al fratello -, con l'erede siciliana Maria d'Aragona, ma l'ostinato rifiuto del papa avrebbe fatto fallire le trattative e induto da poco al fratello -, con l'erede siciliana Maria d'Aragona, ma l'ostinato rifiuto del finitiva tra Giovanna e Urbano avvenne più tardi, e d'altra parte è improbabile che il B., dimostratosi sempre estremamente leale verso la moglie, abbia chiesto per sé la corona di Sicilia. Lo scopo della sua ambasceria era con tutta probabilità un altro: tentare nell'interesse della regina una riconciliazione tra Urbano VI e il collegio cardinalizio. Anche se il tentativo fallì, pare che il B. restasse ancora per parecchio tempo favorevole alla causa di Urbano; così per lo meno afferma il cronista dello scisma Teodorico da Nyem che del resto dimostra per il B. una particolare simpatia, definendolo addirittura "pater principum" e "norma nobilium".
Tuttavia la sconfitta di Clemente VII e la sua fuga in Francia nell'estate del 1379 decisero anche il destino di Giovanna I e del Brunswick. L'11 maggio 1380 Urbano VI depose Giovanna I, e investì del Regno, il 1º giugno 1381, Carlo di Durazzo, che con l'appoggio del papa avanzò con i suoi soldati verso il Regno.
Nella prima metà del giugno del 1381 il B. si oppose ad Anagni con le sue scarse truppe all'avanzata di Carlo di Durazzo, ma dopo accanita lotta dovette cedere il campo, e, si ritirò ad Arienzi. Approfittando di questa vittoria, Carlo di Durazzo il 16 luglio entrò quasi senza trovare resistenza nella città di Napoli e mise l'assedio al Castel Nuovo, dove, aspettando ansiosamente il soccorso del marito, si era trincerata la regina. Finalmente il 24 agosto, quattro giorni dopo che Giovanna, disperata, aveva iniziato le prime trattative con il Durazzo, il B. riuscì ad impadronirsi del castel S. Elmo, minacciando di spingersi nella città; ma nella breve e infelice battaglia del giorno seguente tra le truppe durazzesche e quelle del B., fra i cui capitani erano il fratello Balthasar e il giovane marchese del Monferrato Giovanni III che in questo scontro perse la vita, il B. cadde nelle mani degli avversari.
Mentre questi avvenimenti segnarono per l'infelice regina l'inizio della sua misera e violenta fine, il B., che dopo essere stato rinchiuso nel Castel Nuovo era stato trasferito nel castello di Muro secondo gli uni, al castello di San Felice secondo altri, verso la metà del 1384 riuscì a riacquistare la libertà, non sappiamo in quali circostanze e per quale motivo.
La versione di un cronista, secondo il quale il B. dovette la sua libertà a un prezioso consiglio dato a Carlo di Durazzo sul modo di procedere contro Luigi d'Angiò, erede di Giovanna e pretendente al trono di Sicilia, pare poco convincente. Già il solo fatto che il B. appena liberato si recò immediatamente, insieme a Bernardone de la Salle capitano di Luigi d'Angiò morto improvvisamente il 20 sett. 1384 in Puglia, ad Avignone per offrire i suoi servigi alla vedova del defunto re e a papa Clemente VII confuta pienamente questa supposizione.
Tuttavia ad Avignone l'arrivo del B. non fu accolto con il prevedibile entusiasmo: l'imbarazzo per l'improvvisa morte del re e anzitutto la cronica mancanza di denaro impedivano per il momento ogni intervento della regina Maria e del figlio ancora minorenne Luigi II, incoronato re di Sicilia il 21 maggio 1385 da Clemente VII contro Carlo di Durazzo. Il B. d'altra parte aveva vincolato il suo aiuto a condizioni non del tutto gradite: chiese alla regina Maria la conferma di tutte le concessioni fattegli dalla regina Giovanna e in particolare del principato di Taranto. Mentre Clemente VII si mostrò sin dall'inizio ben disposto ad affidare al B. l'alto comando della spedizione per la riconquista del Regno, Maria di Blois, alla quale il B. appariva troppo personalmente interessato a tale campagna (bisogna anche ricordare che Giacomo Del Balzo, ultimo pretendente al principato di Taranto, nel suo testamento aveva istituito erede del principato Luigi I d'Angiò stesso), non gli nascose mai la sua diffidenza. Un'altra fonte di continui contrasti tra il papa e la regina era costituita dal problema del finanziamento della spedizione assai vivacemente dibattuto dai due squattrinati alleati. Comunque il 25 ott. 1385 fu assegnata al B. una rendita mensile di 500 franchi, metà a carico della Camera apostolica e metà della regina.
Le trattative tra il B. da una parte e Maria di Blois e Clemente VII dall'altra si trascinarono però ancora per più di un anno prima di giungere a una conclusione. Finalmente il 3 ott. 1386 il B. fu nominato capitano generale dell'esercito angioino per la durata di due anni con ampie facoltà di concedere privilegi; inoltre la regina gli confermò, secondo la sua richiesta, tutte le concessioni fattegli da Giovanna e si impegnò a restituirgli, una volta riconquistata Napoli o la maggior parte del Regno, il principato di Taranto o di dargli un corrispondente compenso. Per sostenere la campagna gli vennero assegnati 32.000 fiorini da riscuotere in rate successive. Il 14 ott. 1386 il B. giurò fedeltà al papa, il 25 alla regina Maria e lo stesso giorno si recò a Aigues Mortes per imbarcarsi per Napoli.
Il momento appariva particolarmente favorevole a un intervento nel Regno: nel febbraio del 1386 era stato assassinato in Ungheria Carlo III, e l'erede al trono, il figlio Ladislao, contava appena dieci anni; esercitava la reggenza nel Regno di Sicilia Margherita di Durazzo, sua madre, che a causa dell'accanita inimicizia di Urbano VI e della rivolta della città di Napoli, istigata dal papa, si trovava davanti a problemi quasi irrisolubili.
Quando dunque il B., all'inizio del luglio del 1387, si presentò con le sue truppe davanti alle mura di Napoli, ebbe facile gioco. D'accordo a quanto pare, con la magistratura cittadina degli Otto del Buono Stato formatasi in seguito alla rivolta contro Margherita di Durazzo, il B. poté impadronirsi della capitale del Regno quasi senza colpo ferire, costringendo alla fuga la reggente e i suoi figli che si rinchiusero nel castello di Gaeta.
I difficili rapporti con la regina Maria di Blois, sempre mal disposta verso il B., lo dovevano tuttavia portare presto a una piena rottura con il partito angioino. A parte il fatto che il B. già nell'estate del 1387 dovette reclamare l'invio del denaro promessogli, la regina, benché fossero adempiute le condizioni dell'accordo - cioè la riconquista di Napoli -, si mostrò tutt'altro che sollecita nell'investire il B. del principato di Taranto. Anzi il 17 sett. 1387 concesse al conte di Potenza e poco più tardi al conte di Cerreto alcuni feudi del B., nel caso della sua morte o che i feudi fossero ritornati per una qualche ragione alla regia Camera. Ma fu la nomina di Louis de Montjoie a viceré, nell'ottobre del 1388, che spinse il B. all'aperta defezione: alla fine dell'ottobre del 1388 lasciò con la sua gente Napoli e si ritirò a Sant'Agata.
Tuttavia pare che il B. non si associasse immediatamente al partito durazzesco. Lo indussero a questo passo forse l'ambasciatore fiorentino Zanobi da Megola e il condottiero inglese Giovanni Acuto, inviato da Firenze in aiuto della regina Margherita; certo è che Firenze, favorevole ai Durazzo sin dai tempi di Carlo III, si congratulò con lui per questa decisione.
Solo nel marzo del 1389 il B. appare fra i capitani dell'esercito durazzesco che nel marzo fece un tentativo di impadronirsi di Napoli. Fallito questo tentativo, il B. si ritirò nelle sue terre, confermategli da Margherita di Durazzo come prezzo del suo passaggio al partito durazzesco, al quale rimase fedele fino alla morte.
Alla ripresa delle ostilità con la venuta nel Regno di Luigi II d'Angiò il B. combatté insieme con Alberigo da Barbiano contro gli Angioini, ma durante uno scontro avvenuto il 24 apr. 1392 in Terra d'Otranto cadde, insieme al Barbiano, prigioniero degli avversari. Si riscattò tuttavia con 28.000 fiorini, impegnando la contea di Acerra, ma dovette inoltre assumere il preciso impegno di non intraprendere iniziative di sorta, per la durata di dieci anni, contro i Sanseverino, i nemici più accaniti di Ladislao, che l'avevano catturato.
Per gli anni successivi scarseggiano le notizie sul B., che, ormai più che settantenne, dovette abbandonare la politica attiva per ritirarsi nel suo principato di Taranto. È noto che il 20 marzo 1395 nominò dalla sua terra di Monopoli il nipote Teodoro II marchese del Monferrato governatore dei suoi feudi nel marchesato. Era ancora vivo l'8 marzo 1399, quando Ladislao promise il principato di Taranto a Raimondo Del Balzo Orsini, in caso di morte del B. senza eredi.
Il B. morì poco dopo, nel marzo o nell'aprile del 1399, a Foggia, dato che già l'8 maggio 1399 il Del Balzo fu investito del principato di Taranto.
Membro di un'antica famiglia della più alta nobiltà tedesca, che non fu tuttavia risparmiata dalla generale crisi del sistema feudale dell'Europa del tempo, il B. non sfuggì al destino di tanti feudatari, grandi e piccoli, costretti a cercare fortuna nel mestiere delle armi. Erede però di una secolare tradizione di prestigio e radicato negli ideali feudali e cavallereschi ai quali era stato educato, il B. non si ridusse mai alla condizione di semplice avventuriero e riuscì sempre a non confondersi con la folla di capitani di ventura senza fede e senza scrupoli che infestò l'Italia nel secolo XIV. Condottiero di gran fama, riuscì presto a inserirsi con un posto di rilievo nel gioco politico italiano senza però primeggiare mai, e senza mostrare eccessive ambizioni personali. Si contentò di garantirsi una solida posizione patrimoniale e una dignitosa condizione di militare e di cavaliere, offrendo un esempio assai inusitato nell'Italia del tempo.
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