ORSEOLO, Ottone
ORSEOLO, Ottone (Pietro). – Terzogenito del doge Pietro II e di sua moglie Maria, nacque a Venezia nel 993.
Si chiamava Pietro, ma nel marzo 996, benché avesse appena tre anni, fu cresimato a Verona dall’imperatore Ottone III, di cui assunse il nome. Gli stretti rapporti venutisi a creare fra l’imperatore e il doge trovarono conferma all’inizio del 998, quando Ottone scese nuovamente in Italia per recarsi a Roma nell’intento di piegare la ribellione di Crescenzio; nel corso del viaggio, Orseolo attese a Ferrara l’augusto padrino, con cui proseguì il viaggio per nave sino a Ravenna.
Aveva undici anni quando, nel giugno 1004, accompagnò a Costantinopoli il fratello Giovanni, già cooptato al trono ducale dal padre, in occasione del matrimonio con Maria, figlia del nobile Argiro, cognato dell’imperatore Basilio. L’evento rientrava nella politica di attiva collaborazione, ma anche di equidistanza, con gli imperi di Oriente e Occidente, perseguita allora da Venezia. Non molto dopo, però, Giovanni morì di peste e nel 1007 Ottone gli subentrò nella cooptazione al trono ducale, per regnare poi da solo alla scomparsa del padre, nel 1009.
Non aveva che sedici anni, ma a quanto pare era di bella presenza e non era sprovvisto di capacità politiche, delle quali diede prova quando, nel 1011, sposò Geiza, figlia del re d’Ungheria e sorella del futuro s. Stefano. Nel 1018, alla morte del patriarca di Grado, Vitale Candiano, ottenne che gli subentrasse il proprio fratello Orso che era vescovo di Torcello e che quest’ultima cattedra passasse a un altro fratello, Vitale, di appena vent’anni, così da concentrare nelle mani della famiglia le principali dignità dello Stato.
Nel campo della politica estera, dopo aver costretto, con un’azione portata a termine nel 1016, il vescovo di Adria a restituire certi territori presso Loreo, due anni dopo si impegnò a consolidare la vacillante autorità veneta in Dalmazia, dove le incursioni dei croati vessavano le popolazioni costiere. Si trattava in sostanza di ripercorrere la strada segnata dal padre, che proprio in quell’area aveva colto il più vistoso successo della sua carriera; e così fu, seppure in misura assai minore rispetto a quanto verificatosi nell’estate dell’anno Mille. La spedizione del 1018 si concluse comunque con un rafforzamento della presenza veneziana nella regione altoadriatica, sanzionata dalla sottomissione di alcune delle principali isole: i vescovi, il clero, i priori e il popolo di Arbe, Veglia e Ossero si impegnarono a pagare un tributo; più a sud, Zara, Spalato, Traù e Ragusa rinnovarono il loro giuramento di fedeltà. Come già il padre, Orseolo agì in sintonia con Bisanzio: è significativa infatti la coincidenza di date tra la sua spedizione e due decisive vittorie riportate da Basilio II, una sui bulgari del re Samuele (che riconsegnò di fatto i Balcani a Bisanzio) e un’altra su Melo di Bari, entrambe avvenute in quello stesso anno.
Ben altra fortuna ebbero invece i rapporti instaurati da Orseolo con l’impero d’Occidente, che durante il suo dogato conobbero un brusco irrigidimento, cui non fu estraneo il venir meno della politica filobizantina da parte di Enrico II.
Costui infatti, abbandonati i suggestivi progetti del predecessore, si era prefisso un programma di minor respiro, ma certo più agevolmente praticabile: assicurarsi il controllo dei valichi alpini. Da ciò derivarono il favore prestato al patriarca di Aquileia, il tedesco Poppone, Wolfango dei conti di Treffen, convinto fautore dell’autorità imperiale e, quindi, il sostegno accordatogli in merito ai rapporti fra il patriarcato di Aquileia e quello di Grado. Tra le due diocesi era aperto da secoli un difficile contenzioso, rivendicando entrambe la legittimità di fregiarsi del titolo patriarcale e le conseguenti prerogative; ora Poppone rispolverava antichi diritti, appellandosi al papa Benedetto VIII nel sostenere la dipendenza di Grado dalla Chiesa aquileiese. Di fatto, la contesa rischiava di riaccendere i contrasti fra Venezia e l’impero; inoltre rappresentava una chiara minaccia alla politica orseoliana, dal momento che sulla cattedra gradense sedeva Orso Orseolo.
Gli eventi precipitarono nel 1024, quando Ottone fu cacciato da Venezia in seguito a una rivolta popolare, probabilmente fomentata dai Flabanici e dai Gradenigo, questi ultimi offesi dal rifiuto del doge di far eleggere vescovo di Olivolo (Castello) il diciottenne Domenico Gradenigo. Ottone, seguito dal fratello Orso, riparò in Istria nelle terre del patriarcato gradense, della qual cosa approfittò Poppone per occupare la sede abbandonata, che fu saccheggiata. Di fronte al pericolo di vedersi sottratto il patriarcato, che verosimilmente sarebbe stato inglobato in quello aquileiese, Venezia reagì richiamando in patria Orseolo, che riconquistò Grado, rafforzandone la cinta muraria con porte di ferro.
Ma il suo ritorno sul trono ebbe breve durata, perché contro di lui scoppiò un’altra sommossa, un poco perché la minaccia rappresentata da Poppone non era affatto scomparsa, essendosi costui appellato sia al papa sia all’imperatore, un altro poco per via di perduranti tensioni interne. Così nel 1026 la fazione popolana, capeggiata da Domenico Flabanico, si impadronì del doge e, dopo avergli tagliata la barba secondo il costume del tempo, lo cacciò da Venezia, eleggendo in sua vece Pietro Barbolano Centranico. Orseolo riparò a Costantinopoli, mentre suo figlio Pietro si rifugiava in Ungheria, presso la corte dello zio Stefano.
Di lì a poco (1028) sulle rive del Bosforo saliva al trono Romano III Argiro, cognato del defunto fratello di Ottone, Giovanni. L’evento contribuì a rafforzare il partito degli Orseolo, che in patria conservavano posizioni eminenti, dal momento che Orso manteneva la titolarità del patriarcato di Grado e Vitale la cattedra di Torcello. L’incapacità di Centranico di fronteggiare la rivolta che serpeggiava in Dalmazia e la perdurante ostilità di Poppone, che con l’appoggio dell’imperatore Corrado II danneggiava il commercio dei veneti, favorirono un nuovo capovolgimento di governo. Fu il patriarca Orso, certo più abile e determinato del fratello doge, a prendere l’iniziativa; nel 1031 Centranico fu esiliato e Ottone richiamato in patria, mentre Orso era nominato reggente, in attesa dell’arrivo del legittimo principe.
Ottone, però, non rivide più Venezia perché morì durante il viaggio di ritorno, nella primavera del 1032.
Fonti e Bibl.: La cronaca veneziana del diacono Giovanni, in Cronache veneziane antichissime, a cura di G. Monticolo, Roma 1890, pp. 152, 154, 168, 170 s.; Andreae Danduli Chronica, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., XII/I, Bologna 1938, pp. 195, 202-208, 335, 361 s.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, I, Venezia 1853, pp. 293-297, 299 s.; A. Da Mosto, I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 27, 42-47; R. Cessi, Venezia ducale, I, Venezia 1963, pp. 377 s., 380, 383 s., 389; II, ibid. 1965, pp. 4 s., 8, 12, 27, 29 s., 49, 126 s., 168; S. Tramontin, Problemi agiografici e profili di santi, in La Chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, a cura di F. Tonon, Venezia 1988, pp. 162 s., 165; S. Gasparri, Dagli Orseolo al comune, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima. I. Origini-Età ducale, a cura di L. Cracco Ruggini et al., Roma 1992, pp. 792-794; G. Ortalli, Quando il doge diventa santo. Fede e politica nell’esperienza di Pietro I Orseolo, in Studi veneziani, n.s., XLI (2001), pp. 46 s.