VISCONTI, Ottone
– Nacque, verosimilmente, agli inizi del XIII secolo, da Uberto; la tradizione erudita milanese (e di seguito la storiografia) indica l’anno 1207, sebbene non vi siano basi documentarie.
Proveniva da una famiglia aristocratica ai vertici della società cittadina milanese, i cui membri ricoprirono cariche pubbliche e ruoli di prestigio fin dagli inizi del Duecento. Le basi fondiarie e signorili dei Visconti si concentravano allora nel contado a sud di Milano (Basiglio e Siziano), nel Seprio, nel Vergante e nell’Ossola, spesso identificate come area d’origine del casato, ma che potrebbero anche essere state oggetto di radicamento proprio a partire dai primi decenni del XIII secolo.
I dati biografici anteriori all’elezione ad arcivescovo sono scarsi e in generale pertinenti alla carriera extra moenia. Nel 1245 Visconti fu delegato dell’arcivescovo milanese Leone da Perego al I Concilio di Lione e nello stesso anno ricoprì la carica di podestà di Piacenza. Si può supporre che risalisse a questo periodo la conoscenza con il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, arcivescovo di Bologna; proprio a Bologna Visconti fu podestà nel 1246 e, almeno dall’anno successivo, camerario di Ubaldini. Da quest’ultimo fu inviato a Roma nel 1252, per ottenere da Innocenzo IV l’invio di truppe promesso ai parmensi e ai piacentini contro i ghibellini. Tre anni dopo Visconti compare ancora al servizio di Ubaldini in qualità di cappellano, dignità rivestita nel 1257 anche presso Alessandro IV che, in data incerta, lo consacrò suddiacono.
Del tutto priva di riscontri cronologici documentati è, invece, la carriera di Visconti all’interno della diocesi milanese. Galvano Fiamma lo indica preposito di Desio; verosimilmente fu ordinario della cattedrale di Milano, e anche arcidiacono: gli incarichi di procuratore dell’arcivescovo Leone da Perego lo farebbero supporre.
La grande svolta si ebbe il 22 luglio 1262 quando Urbano IV lo nominò arcivescovo di Milano, sede vacante da anni dopo la morte in esilio di Leone da Perego. La sua ascesa alla cattedra ambrosiana chiuse un lungo stallo protrattosi per la fermezza con cui la famiglia Della Torre, al governo della città di Milano con il partito popolare, pretendeva di far eleggere Raimondo, un proprio esponente e arciprete di Monza, in opposizione ai milites e ai nobili che sostenevano l’ordinario metropolitano Francesco da Settala. La scelta di Visconti, appoggiata dal cardinale Ubaldini, scontentò i Torriani che per i seguenti quindici anni (sino al 1277) impedirono al presule l’ingresso a Milano.
L’arcivescovo in esilio governò attraverso delegati locali, designati all’occorrenza, e vicari generali. Tra questi ultimi spiccano nomi ricorrenti nel corso dell’intera amministrazione di Visconti, quali Aliprando Visconti, Guidotto di Landriano e Ognibene da Ravenna. Il presule si circondò di una ristretta familia che lo seguì negli anni di itineranza. Dopo il 1277 la curia arcivescovile si ampliò fino a comprendere cappellani, camerarii, domicelli, notai e scribi. Per rafforzare la propria precaria posizione, Visconti introdusse nella cancelleria due novità richiamanti l’autorità pontificia che l’aveva legittimato: l’uso di un sigillo rotondo (come quello papale) e il cenno alla designazione per volontà della Sede apostolica nella formula rituale dell’intitulatio dei documenti.
Dal 1262 Visconti fu impegnato in operazioni militari contro i Della Torre capeggiati da Martino, Filippo e, soprattutto, Napoleone. Fra il 1264 e il 1266 i Della Torre ribaltarono la propria politica nel tentativo di ricomporre la frattura con la Curia romana: allontanarono Oberto Pallavicino e si allearono con Carlo d’Angiò, re di Sicilia, e con altre città e signori padani. Ciononostante, Clemente IV non accolse le loro pretese (tra cui la nomina di Raimondo Della Torre ad arcivescovo di Milano e legato papale, oltre al diritto di nominare podestà in vari Comuni). Al contrario, Clemente IV confermò Visconti nel proprio ruolo; nel 1266 inviò un legato pontificio a esigere giuramento di obbedienza dai cittadini di Milano nella festa del patrono e rifiutò di togliere l’interdetto sulla città fintanto che i beni arcivescovili occupati non fossero stati resi al legittimo arcivescovo. A distanza di qualche anno il nuovo pontefice Gregorio X si mostrò meno intransigente: sostò a Milano nell’ottobre 1273 e nel novembre 1275, intimando al presule ambrosiano che lo accompagnava al II Concilio di Lione di fermarsi a Piacenza e Biella per non compromettere le relazioni con i Torriani e, infine, conferì il patriarcato di Aquileia a Raimondo Della Torre.
Il 1276 segnò la ripresa degli scontri militari tra l’arcivescovo – ormai guida dei nobili esiliati – e i suoi avversari passati al partito imperiale, forti del conferimento nel 1274 del vicariato a Napoleone Della Torre da parte di Rodolfo d’Asburgo. Nell’anno citato, in seguito all’uccisione del nipote Tebaldo, Visconti riparò a Vercelli da dove si diresse verso Novara puntando a conquistare la base torriana di Castelseprio. Costretto a ripiegare, fuggì dapprima nel Comasco e poi a Cannobio, sul lago Maggiore, dove affidò la guida della flotta a sua disposizione a Simone Orelli da Locarno. In tale situazione di difficoltà, l’arcivescovo assoldò Guglielmo VII di Monferrato, capo del partito ghibellino in Italia settentrionale, ma fu poco dopo costretto a indietreggiare riparando a Novara, a causa della defezione del marchese. All’inizio del 1277, passando per Como (presa da Simone Orelli), l’arcivescovo si diresse verso Lecco e Civate, e il 20 gennaio, accampatosi con le proprie milizie a pochi chilometri dai Torriani acquartierati a Desio, li sorprese nottetempo riuscendo a sopraffarli e a catturare, tra gli altri, Napoleone Della Torre. Il giorno seguente, concluse le trattative con gli ambasciatori del Comune ambrosiano, il presule varcò le porte di Milano dopo quindici anni di esilio e si recò alla basilica di S. Ambrogio per pronunciare un discorso di pacificazione.
Visconti e la fazione nobiliare presero immediatamente il controllo delle maggiori cariche cittadine (podestà del Comune fu Riccardo da Langosco, Simone Orelli capitano del Popolo e Guglielmo da Pusterla podestà dei mercanti) e nel settembre 1277 si insediò una commissione per la revisione degli statuti comunali in prospettiva antitorriana.
La reazione degli avversari non si fece attendere e Cassone Della Torre guidò diversi attacchi nel contado, giungendo persino a minacciare la città, tanto che nell’agosto 1278 le magistrature comunali si rivolsero al marchese del Monferrato affidandogli il capitaniato del Popolo per cinque anni in cambio di sostegno militare. Ciò determinò il posizionamento di Milano nell’ambito dell’alleanza ghibellina.
La storiografia più recente ha ridimensionato il ruolo che Visconti ebbe nella vita comunale durante il governo del marchese di Monferrato. Il Popolo avrebbe conservato margini di indipendenza a fronte di una signoria di fatto di Guglielmo VII, il cui reggimento fu solo parzialmente influenzato dalla fazione aristocratica della città e in certa misura compensato dalla creazione della magistratura dei Dodici di provvisione e da quella successiva dei Sei, a cui furono affidate la difesa e la fiscalità milanesi.
L’esazione dei tributi era infatti questione particolarmente delicata. Ben conscio dell’instabile umore della cittadinanza, l’arcivescovo si trovò costretto a gravare sul clero e sugli enti religiosi con imposte e prestiti forzosi per sostenere le spese del Comune, in particolare quelle militari nei mesi di dicembre 1278 e successivamente di agosto 1289. La riscossione delle tasse nella diocesi milanese era stata affidata negli anni precedenti a vicari e procuratori che raccoglievano denaro derivante da censi e tributi al fine di sovvenzionare, per esempio, il viaggio del presule al II Concilio di Lione nel 1275, la riforma degli statuti milanesi nel 1277, la difesa del clero nel 1280 e opere di ingegneria civile nel 1279, 1284 e 1295. L’arcivescovo fece in questi anni compilare inventari del patrimonio ecclesiastico: al 1275, per esempio, risale quello del Tesoro del duomo di Monza dato in pegno agli umiliati.
Recenti studi hanno messo in discussione l’interpretazione tradizionale della vittoria di Desio del 1277 come una presa di potere volta all’instaurazione della signoria viscontea su Milano, una lettura ‘teleologica’ degli eventi. In tale contesto si pone anche il dibattito sulla datazione dell’importante ciclo di affreschi di una sala della rocca del castello di Angera sul lago Maggiore: furono commissionati dallo stesso arcivescovo negli anni Ottanta del XIII secolo, o nei primi decenni del successivo raffigurando la battaglia di Desio come apologia di Visconti? Va detto che la saldatura della coscienza comunale milanese con la figura del presule vincitore – di cui era prova visibile l’adozione dello stendardo di S. Ambrogio nel 1285 con i colori cittadini come vessillo di Milano – non sarebbe a fine Duecento un caso isolato: in quegli stessi anni altri vescovi dell’Italia settentrionale assunsero un ruolo di guida non solo religiosa, ma anche civile nelle rispettive sedi, come nel caso di Berardo Maggi a Brescia.
La pacificazione proclamata nel 1277 non durò a lungo perché una parte dei nobili spinse il marchese del Monferrato a proseguire le ostilità contro i Torriani e Visconti fu impegnato in diverse azioni belliche, rischiando di cadere prigioniero il 25 ottobre 1278 nello scontro di Gorgonzola. Cassone Della Torre, suo avversario da diversi anni, fu infine sconfitto il 25 maggio 1281 a Vaprio d’Adda insieme alle alleate schiere friulane, cremonesi e lodigiane e, come s. Agnese era entrata tra le festività ambrosiane in seguito al trionfo visconteo del 21 gennaio 1277, così si aggiunse al calendario liturgico milanese anche s. Dionigi per celebrare quella vittoria.
Il 27 dicembre 1282, con il sostegno di alcuni cavalieri e del Popolo, Visconti cacciò il podestà sostenuto dal marchese del Monferrato – signore di Milano contro il quale si stava diffondendo lo scontento – e si provvide a nominare il pavese Uberto Beccaria.
Negli anni successivi Visconti combatté con alterne fortune il marchese Guglielmo VII alleatosi con i Torriani, e affiancò le magistrature cittadine nelle operazioni di politica estera. Nel 1284 poté giovarsi del sostegno militare di Rodolfo d’Asburgo e della recente alleanza di città fino ad allora ostili come Brescia, Cremona, Piacenza, Lodi e Parma; nell’estate 1285 assediò inutilmente la roccaforte torriana di Castelseprio (occupata dall’ex alleato Guido di Castiglione); nel 1286 promosse nuovi trattati di pace che posero termine ad anni di lotte, l’anno successivo Castelseprio fu distrutta, ne fu vietata la riedificazione e i Della Torre furono sottoposti all’esilio e alla confisca dei beni. Il 2 maggio 1288 Ottone presenziò all’alleanza tra Milano e Brescia, contro il marchese del Monferrato.
Bisogna attendere il 1289 per vedere un deciso cambiamento nel governo milanese, quando Matteo Visconti (I; v. la voce in questo Dizionario), nipote di Ottone e capitano del Popolo, propose nella revisione degli statuti cittadini di rendere l’elezione del capitano del Popolo prerogativa del solo consiglio di governo istituito dal presule, suggellando il potere dei Visconti su Milano e, man mano, sulle città vicine fino al conferimento del vicariato imperiale a Matteo nella primavera del 1294.
Se l’attività politica di Ottone Visconti è nel complesso discretamente conosciuta, della trentennale amministrazione dell’arcidiocesi non si hanno, invece, notizie abbondanti. Permangono questioni irrisolte, a partire dall’individuazione delle diocesi suffraganee sulle quali le fonti coeve forniscono informazioni contrastanti, così come sono carenti le notizie sulla organizzazione interna della Chiesa milanese; meglio conosciuta la sua sollecitudine per ospedali, Ordini mendicanti, monasteri.
Sul primo versante, poco si sa dei concili provinciali tenutisi il 13 novembre 1266 a Savona, il 12 settembre 1282 e il 27 novembre 1291 a Milano nella basilica di S. Tecla. Del primo sinodo non resta che la significativa condanna di quanti perseguitassero l’ordinario diocesano. I canoni del secondo furono dedicati per la maggior parte a ribadire l’osservanza delle costituzioni pontificie e delle decisioni conciliari, a condannare la rilassatezza della vita dei religiosi e a richiamare le prerogative della libertas Ecclesiae rispetto alle ingerenze e rivendicazioni dei laici e del potere secolare. Il terzo concilio fu convocato per dare esecuzione alle lettere pontificie con le quali Niccolò IV esortava i fedeli a una nuova crociata in Terra santa e richiedeva un parere circa la fusione dei cavalieri Templari, Ospitalieri e Teutonici in un unico Ordine. Quanto all’amministrazione della Chiesa locale, nel 1277, appena varcate le porte della città di Milano, Visconti predispose un ritorno allo status quo restringendo nuovamente l’accesso al capitolo della metropolitana ai soli nobili e concesse diversi beni agli stessi ordinari in difficoltà economiche. Per quel che concerne il culto, si è a conoscenza dell’istituzione nel 1284 di chiese stazionali per la celebrazione delle liturgie quaresimali e pasquali e di dissidi tra l’arcivescovo e alcune comunità circa il rito da seguire, volendo l’ordinario imporre quello ambrosiano.
Visconti manifestò sensibilità verso gli enti ospedalieri promuovendone la fondazione, come nel caso dell’ospedale di Canobbio nel 1287, o favorendoli con concessioni, ad esempio nel 1268 l’ospedale Nuovo di S. Maria e, vent’anni dopo, l’ospedale del Brolio. Dedicò, inoltre, particolare attenzione ai nuovi insediamenti degli Ordini mendicanti in città, quali i carmelitani giunti nel 1267, gli eremitani nel 1272 e i servi di Maria nel 1280 (prima a Gorgonzola e poi a Milano). Ai frati minori e predicatori, già presenti da tempo nella diocesi, diede in uso rispettivamente le basiliche milanesi dei Ss. Nabore e Felice e di S. Eustorgio. Per quanto riguarda le locali comunità monastiche restano tracce dei suoi interventi nei riottosi monasteri di S. Vittore di Meda, di S. Radegonda e di S. Maurizio a Milano, nonché del convento di S. Maria della Vettabbia. La documentazione testimonia, inoltre, la protezione e il controllo esercitati da Visconti sulle comunità di umiliati in città e nel contado.
Nota è infine la preferenza accordata dall’arcivescovo al monastero cistercense di Chiaravalle, ove negli ultimi anni di vita soggiornò a più riprese. Questo rapporto privilegiato è dimostrato dal fatto che dal 1271 al 1291 tre conversi del monastero svolsero il ruolo di camerari e vicari del presule. I diritti e i privilegi dell’abbazia furono costantemente tutelati e incrementati, per esempio nella restituzione di prestiti concessi al Comune di Milano e nell’esenzione dalle imposte comunali di alcune sue dipendenze nel 1286 e nel 1289. Negli anni in cui l’arcivescovo vi si ritirò, il monastero ospitava le spoglie di Guglielma da Milano, una donna carismatica attorno alla quale si sviluppò negli ultimi decenni del XIII secolo un culto coinvolgente ampi strati della cittadinanza, sostenuto da monaci e conversi cistercensi e da sorores umiliate.
Nel testamento del 23 marzo 1292 l’arcivescovo dispose fra l’altro che dalla rendita del suo patrimonio personale – beni e diritti acquistati tra il 1289 e il 1292 nel territorio di Trivulzio – si dovessero mantenere un maestro di teologia che insegnasse gratuitamente e un sacerdote per la cappella di S. Agnese.
Morì, ultraottantenne, l’8 agosto 1295 nel monastero di Chiaravalle.
Le sue spoglie furono deposte in un’arca di marmo rosso dietro l’altare della cappella di S. Agnese nella basilica di S. Maria Maggiore; il sarcofago fu successivamente spostato nella navata meridionale del nuovo duomo, dove attualmente Visconti riposa insieme al nipote Giovanni, anch’egli arcivescovo milanese.
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