SFORNO, ‘Ovadyah (Servadio, Salvadio)
– Nacque a Cesena intorno alla metà degli anni Settanta del XV secolo da Jacob di Rubino, non si conosce il nome della madre, e appartenne a una nota famiglia di banchieri ebrei di origine catalana, saldamente attestata a Bologna dal XV secolo.
Dopo aver trascorso l’infanzia a Cesena, dove il padre gestiva il banco locale, si trasferì a Roma per approfondire lo studio della medicina. Qui nel 1498 dette lezioni private di ebraico (e probabilmente di filosofia maimonidea) all’umanista svevo Johannes Reuchlin, che lo ricordò nel suo De Rudimentis Hebraicis, apparso a Pforzheim nel 1506 (Campanini, 1999). Nel 1501 fu a Ferrara, dove conseguì la laurea in medicina (Colorni, 1962): all’epoca doveva già essere sposato con Allegra di Noè da Norsa, esponente di spicco di una famiglia di banchieri ferraresi. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Jacob, Florio, Mosheh e Dora.
Di Mosheh, sposato con Benenata, dalla quale ebbe un Samuele, tutti e tre morti al tempo del sacco di Roma, siamo informati a causa di uno spiacevole processo intentato agli Sforno dal fratello della nuora, il convertito Paolo Manili (o Manlili), intento a reclamare la dote della sorella sulla base di alcune testimonianze secondo cui Samuele sarebbe morto dopo la madre, mentre gli Sforno avrebbero occultato la cosa, ledendone i diritti (Procaccia, 1998).
Dopo un breve soggiorno a Ferrara, Sforno tornò a Roma, dove si trattenne fino al sacco del 1527. Il contatto con Roma, e persino l’attività feneratizia nell’Urbe non si interruppero se è vero che risulta attivo in un banco romano ancora nel 1542 (Simonsohn, 1988). Lo si trova menzionato nella cronaca ebraica dedicata al messia David Reuveni tra i maggiorenti della comunità ebraica romana, o almeno tra gli ebrei che godevano di un accesso privilegiato alla Curia papale, in virtù delle sue relazioni parentali e commerciali con le più importanti famiglie di banchieri protetti dai papi Giulio II, Leone X e Clemente VII, in particolare i da Pisa (Luzzati, 2011), nonché con l’archiatra pontificio Isaac Sarfatti (Campanini, 1996). Inoltre è stato suggerito di identificarlo con lo «Abdias scholasticus» menzionato da Teseo Ambrogio degli Albonesi (Campanini, 2014).
Dopo il 1527 Sforno si trasferì a Bologna, dove esercitò molteplici attività. Oltre alla professione medica e alla cointeressenza nell’impresa di credito gestita dal fratello Graziadio (Chananel), fu rabbino presso la corte di Avraham ha-Kohen, ma negli ultimi anni della sua vita egli si dedicò soprattutto all’esegesi biblica e alla filosofia, per le quali è ancora ricordato. Ebbe inoltre, con ogni probabilità, un ruolo di primo piano nella ripresa dell’attività di una stamperia ebraica a Bologna, denominata dei ‘Soci dell’arte della seta’ (un’attività fondamentale dell’economia felsinea dell’epoca), che ottenne i necessari permessi da Paolo III e, forse per la morte di Manuele (o Menachem) di Abramo da Modena, cessò le pubblicazioni dopo un triennio (1537-40) di breve ma intensa attività.
Rimasto vedovo, si risposò verso il 1532 con Giulia del fu Isacco da Pisa (Archivio di Stato di Bologna, Archivio del notaio Costa Nanne (1549-1589), filza 2, n. 33), da identificarsi con una sorella del banchiere Abramo di Isacco di Vitale da Pisa (in ossequio a una pratica endogamica di ceto alla quale Sforno e i suoi figli dopo di lui si attennero con notevole scrupolo).
Dopo avere fatto testamento (se ne conservano due, uno del 1547 e uno del 1549, recentemente pubblicati in Berns, 2017) si spense a Bologna nel 1550, come risulta dal resoconto di Gedalyah ibn Yachyah, nel suo Shalshelet ha-qabbalah (Catena della tradizione), ed è confermato da documenti notarili bolognesi (cfr. Archivio di Stato di Bologna, Archivio del notaio Boccamazzi Giacomo (1530-1568), filza 13, n. 37).
Le sue opere si possono suddividere tra quelle che pubblicò in vita e quelle postume. Nel 1537 apparve a Bologna, per i tipi dei Soci dell’arte della seta, la sua opera filosofica intitolata Or ‘ammim (Luce dei popoli), che presenta nella forma di quindici questioni tutti i punti più controversi nel rapporto tra filosofia scolastica e rivelazione biblica, in particolare l’eternità del mondo, la provvidenza e il destino dell’anima individuale. Ogni qual volta le dottrine dei filosofi, e in particolare di Averroè, apparivano in contrasto con il dettato della rivelazione, Sforno non esitò a schierarsi con decisione e dovizia di argomenti a favore della Torah, pur interpretata in chiave filosofica. Qui, come nel resto della produzione filosofica ed esegetica di Sforno, traspare il profilo più caratteristico della sua influente e rispettata personalità: un genuino conservatorismo, tanto prudente quanto eclettico, non dissimile dal pensiero del suo lontano parente Yechiel (Vitale) Nissim da Pisa (Guetta, 2004). Lo Or ‘ammim fu anche oggetto di un commento, tuttora inedito (Parma, Biblioteca Palatina, ms. 2624 [De Rossi 1200]), opera del suo allievo Elia di Budrio. La medesima opera, verosimilmente progettata in latino e solo successivamente tradotta in ebraico in vista della pubblicazione, fu poi edita in una versione latina riveduta, con il titolo Lumen gentium, a Bologna, per i tipi di Anselmo Giaccarelli nel 1548. Frattanto, nel 1540, nel Machazor (rituale) di rito romano pubblicato a Bologna, era apparso il suo commento al trattato di massime etiche intitolato Pirqe Avot (Capitoli dei padri).
Solo dopo la sua morte apparvero, per lo più a Venezia, presso Giovanni di Gara, il suo fondamentale commento alla Torah e altre opere esegetiche su diversi libri biblici, appunti per lezioni tenute di fronte a una cerchia ristretta di allievi che ne curarono la trasmissione. Di recente sono state pubblicate le sue annotazioni al libro di Rut e una raccolta di insegnamenti orali sull’intero Pentateuco che fa da complemento al suo classico commento. Quest’ultimo, per le sue virtù di equilibrio e per la profonda pietà che lo caratterizza, è stato accolto nelle edizioni della Bibbia rabbinica tra i sussidi indispensabili per l’esegesi tradizionale. Il Lumen gentium e il commento al Qohelet apparso postumo sono dedicati al re di Francia Enrico II di Valois, forse in virtù di una raccomandazione del cardinale Ippolito II d’Este, legato di Francia. Tra le opere perdute delle quali si ha traccia dall’epistolario, Sforno compose una grammatica della lingua ebraica con traduzione della stessa in latino, su istanza del «signore di Tossignano».
Così si legge nel ms. Parma, Biblioteca Palatina, 2239, c. 133r, contra Saverio Campanini (1996), che, sulla scorta di Kitve R... (1983), aveva letto «Fusignano», ricavandone l’ipotesi che l’opera fosse stata incoraggiata da Celio Calcagnini o dal nipote Tommaso; sembra più probabile, ma meritevole di approfondimento, congetturare che il promotore dell’opera fosse Armaciotto de’ Ramazzotti, conte di Tossignano, la cui caduta in disgrazia presso Paolo III potrebbe contribuire a spiegare il naufragio del progetto.
Quella grammatica, alla cui mancata pubblicazione non fu forse estranea la fine dell’esperienza tipografica dei Soci dell’arte della seta, era introdotta, secondo quanto scrisse Sforno al fratello, da una prefazione, anch’essa bilingue, nella quale egli esaltava «la superiorità della lingua ebraica sulle lingue di tutti gli altri popoli», epitome di una stagione di fervore umanistico e di scambi intellettuali che, poco dopo la morte di Sforno, con il rogo del Talmud e la bolla Cum nimis absurdum del 1555, si sarebbe rivelata tragicamente effimera.
Opere. Or ‘ammim, Bologna 1537; Perush ‘al Pirqe avot (Commento ai Capitoli dei padri), Bologna 1540; Lumen gentium, Bononiae 1548; Perush ‘al ha-Torah (Commento al Pentateuco), Venezia 1567 (in appendice il commento a Shir ha-shirim e Qohelet); Be’ur ‘al sefer Tehillim (Commento al libro dei Salmi), Venezia 1586; Mishpat tzedeq (Giusto giudizio), Venezia 1590 (stampato insieme a un altro commento a Giobbe, lo Ohev mishpat [Amante della giustizia] di Shim‘on ben Tzemach Duran); Liqqute shoshanim (Mazzi di rose), Venezia 1602 (cc. 6r-9v: abbozzi di commenti a Giona, Abacuc e Zaccaria); Be’ur ‘al ha-Torah (Commento al Pentateuco), a cura di Z. Gottlieb, Jerusalem 1980; Kitve R. ‘Ovadyah Sforno (Scritti del R. ‘Ovadyah Sforno), a cura di Z. Gottlieb, Jerusalem 1983; Perush R. ‘Ovadyah Sforno ha-mevu’ar (Commento di R. ‘Ovadyah Sforno annotato), a cura di M. Kravitz, (Giona, Abacuc, Zaccaria), Bet Shemesh 2015, (Cantico, Rut), 2015, (Qohelet), 2016; Amar ha-ga’on. Shi‘ure R. ‘Ovadyah Sforno mi-ketav yad talmido ‘al ha-Torah (Il Maestro disse. Lezioni di R. ‘Ovadyah Sforno sul Pentateuco dal manoscritto di un suo allievo), a cura di M. Kravitz, Bet Shemesh 2017. Traduzioni: Commentary on the Torah, a cura di R. Pelcovitz, I-II, New York 1987-1989; Commentary on Pirkei Avos, a cura di R. Pelcovitz, New York 1996; Commento alla Genesi, a cura di R. M. Ravaglia, Linaro 2007.
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