OVIEDO
(Oveto, Ovetao nei docc. medievali)
Capoluogo della regione autonoma delle Asturie (v.), nella Spagna settentrionale.O. venne fondata quando nelle Asturie si formò un regno cristiano - in opposizione alla potenza islamica, che già dal 711 era presente nella penisola iberica (Sánchez-Albornoz, 1972-1975; García Toraño, 1986) - e divenne già nel sec. 8° il centro politico e religioso della regione. Sede vescovile sotto Alfonso II, detto il Casto (791-842), la città entrò nella sua fase storica più importante, che perdurò da Ramiro I (842-850) e Ordoño I (850-866) fino ad Alfonso III il Grande (866-910). Di grandissimo valore per la conoscenza, in particolare, delle attività artistiche promosse dai re asturiani è un gruppo di fonti scritte a partire dall'880 ca., cioè la Crónica Albeldense e le redazioni della Crónica de Alfonso III note come Crónica Rotense e Crónica de Sebastián (Crónicas asturianas, 1985).L'impianto del centro di O. permette ancora oggi di riconoscere la fortificazione muraria, pressoché circolare, la cui edificazione ebbe inizio nel 1261 (García Larragueta, 1962b; Ruiz de la Peña Solar, 1992), mentre il patrimonio monumentale ha subìto ancora nel sec. 20° gravi danni (Menéndez Pidal, 1946; 1954; Alvarez de Benito, in Cavanilles, 1977; Manzanares Rodriguez, in Prerrománico, 1986; Arbeiter, 1996).Nel 781 un gruppo di religiosi strinse con l'abate Fromistano e il nipote di questi, il presbitero Massimo, un patto relativo a un monastero di recente creazione dedicato a s. Vincenzo nel luogo quod dicunt Oveto, dove già vent'anni prima era stata fondata una chiesa martiriale (Floriano 1949-1951, I, nr. 11); subito dopo il 761 Fruela I (757-768), re delle Asturie e di León, aveva rivolto il proprio interesse verso la collina di Oveto, facendo edificare una chiesa dedicata ai ss. Giuliano e Basilissa (Floriano 1949-1951, I, nr. 24; García Larragueta, 1962a, nr. 2), non più citata in seguito, così come una chiesa dedicata a Cristo.Dopo la distruzione di O. nel 794-795 a seguito dell'ultima incursione islamica in quest'area, Alfonso II fece definitivamente di questa città la capitale del regno (Crónica de Sebastián, 21; Crónicas asturianas, 1985, p. 139), creando alcune nuove strutture urbane e ponendo così le basi sia di un grandioso programma costruttivo sia, soprattutto, di un'ideologia regale che istituiva un legame con il regno visigoto toledano. Negli anni intorno all'800 egli sostituì le due chiese di Fruela I, distrutte, con una vera e propria serie di edifici di carattere sia sacro sia palaziale: al centro era la chiesa principale, San Salvador, ricostruita dall'architetto Tioda; a N si trovava, a poca distanza, la chiesa di Santa María, che fungeva anche da chiesa sepolcrale regale; a S-O si innalzava il San Tirso e a S era ubicato il palazzo, con una propria cappella a due piani, la Cámara Santa (Uría Ríu, 1967; Rodríguez Balbín, 1977). Quest'ultima, distrutta nel 1934 e poi ricostruita, presentava un impianto mononave su due livelli, tipico di edifici con carattere funerario di epoca paleocristiana (Dyggve, 1952; Schlunk, 1980), come Marusinac presso Salona; il piano superiore, dedicato a s. Michele, ospitava il tesoro della chiesa e importanti reliquie.Descrizioni della prima età moderna, insieme ai risultati di un piccolo scavo, permettono di trarre alcune limitate conclusioni circa l'antico aspetto della basilica del San Salvador (lunghezza m 30 ca.), ad arcate su pilastri, a tre navate con sei o sette campate, copertura lignea e tre ambienti voltati con colonne per gli altari; la sepoltura reale, alla cui copertura si poteva accedere come a una tribuna, occupava la campata occidentale della navata mediana (de Carvallo, 1695; de Morales, 1765; de Llano Roza de Ampudia, 1926; Bango Torviso, 1992). La chiesa dedicata al Salvatore cedette il posto all'od. cattedrale gotica (Menéndez Pidal, 1946; Cuesta Fernández, 1957; Cavanilles, 1977; de Caso, 1981; 1982; Caso, Ramallo, 1983), dalla medesima intitolazione, a tre navate con transetto poco emergente, edificata dal 1388 al 1498 per iniziativa del vescovo Gutierre di Toledo (1377-1389). Dal 1293 si era cominciata a erigere la sala capitolare, che apre il Gotico asturiano, nella quale dalla pianta quadrata si passa, tramite trombe, a una cupola a ombrello costolonata; il chiostro, iniziato intorno al 1300, anch'esso a S, fu costruito al posto di un precedente impianto romanico (Fernández Buelta, Hevia Granda, 1950-1951) e venne completato con un'ala orientale in stile flamboyant.La chiesa di San Tirso (Redondo Cadenas, 1986) conserva dell'epoca alfonsina la fronte dell'abside, realizzata con pietre grossolanamente sbozzate legate da malta; caratteristica è la trifora a colonne con arco centrale di maggior risalto.Anche il San Julián de los Prados, detto Santullano, è citato nelle cronache come opera di Alfonso II (Crónicas asturianas, 1985, p. 140ss.) e dev'essere successivo al testamento del monarca, datato all'812. Santullano costituisce l'unica testimonianza architettonica ben conservata commissionata dal sovrano e soprattutto è il più antico esempio pressoché intatto di architettura religiosa asturiana, nonché una delle più importanti chiese dell'Alto Medioevo ispanico, specie per la decorazione pittorica; anche questo edificio venne dedicato ai ss. Giuliano e Basilissa, modelli per la castità osservata dal committente. Santullano è una basilica con arcate su pilastri, con vestibolo, navate a tre campate, transetto continuo sopraelevato, al quale si annettevano gli ambienti laterali a N e a S (il meridionale ricostruito in epoca moderna) e una terminazione orientale costituita da tre 'absidi' rettangolari, gli unici ambienti voltati della chiesa; al di sopra dell'abside centrale si trova un ambiente, praticamente inaccessibile, provvisto all'esterno di un triforio, che contribuisce ad armonizzare i volumi; gli archi verso il transetto e l'abside principale sono congruenti. Come a San Tirso, il materiale edilizio è costituito da pietra lavorata, disposta nella malta a strati grosso modo orizzontali; i pilastri, i rinforzi e i contrafforti sono in conci di dimensioni maggiori, gli archi e le volte a tutto sesto, così come anche gli archi di scarico al di sopra di numerosi stipiti di porte e finestre, sono invece realizzati in laterizio. Nella maggior parte delle pareti di facciata la sporgenza del tetto poggia su mensole dall'estremità arrotondata ornata da scanalature, inserite nella muratura, tipiche dell'epoca di Alfonso II.È controverso se Santullano debba essere considerato un riflesso dell'architettura carolingia, oppure se sia piuttosto legato alla tradizione visigotica del regno di Toledo. La presenza del transetto continuo non è sufficiente a dare sostegno al primo postulato, tanto più che a Santullano esso domina l'intera costruzione e sovrasta di m 2 il colmo della navata; per questo tipo di transetto non si trovano precedenti in ambito paleocristiano o altomedievale. Santullano presenta i caratteri tipici degli edifici a blocchi di pietra squadrati in uso in area ispanica nell'epoca tardovisigotica: transetto allineato in pianta, vestibolo, sopraelevazione non accessibile dell'abside - divenuta in seguito canonica -, arcate su pilastri, architravi con arco di scarico e contrafforti. D'altra parte, sono evidenti le differenze, soprattutto nel materiale edilizio e nella tecnica di lavorazione della pietra, poiché al posto della consueta opera muraria a pietre squadrate priva di malta, con archi a ferro di cavallo, fu utilizzata una tecnica muraria meno accurata, che ricorreva a volte e archi a pieno centro in laterizio, imitando peraltro la tecnica a conci squadrati mediante un intonaco esterno a commessure dipinte. I pilastri delle arcate tra le navate presentano basi e capitelli semplicemente profilati, identici tra loro e invertiti. Nella disposizione costituisce un allontanamento consistente, rispetto alle costruzioni a pietre squadrate dell'epoca tardovisigotica, la parte orientale - già presente in queste forme nella chiesa di O. dedicata alla Vergine, ora distrutta -, in seguito tipica delle Asturie, costituita da tre 'absidi' rettangolari, unite tra loro; lo stesso vale per la decorazione, per la presenza di arcate cieche con colonne di spoglio nell'abside principale; alcuni capitelli di tali colonne sono tuttavia di epoca visigotica e possono derivare la loro peculiarità tipologica dal monastero, anch'esso probabilmente reale, di Santa María a Bamba, nella Spagna settentrionale, nella regione del Duero (Noack, 1986). Tale tensione verso la ricerca mirata di una connotazione regale-visigotica si adatterebbe bene alla diffusa concezione di un 'neogotismo' asturiano; è anche plausibile che i modelli per i grandi edifici della capitale, come Santullano, non vadano cercati nelle chiese conservate degli ultimi decenni dell'epoca visigotica, che hanno carattere rurale e appaiono fortemente articolate dal punto di vista spaziale; con maggiore probabilità tali modelli vanno invece individuati nelle famosissime chiese dell'antica sede metropolitana di Toledo, risalenti al 600 ca. e attualmente completamente distrutte, ma ancora intatte nel sec. 9°, che dovevano presentare ampi impianti basilicali - forse con conclusione triabsidata, come si vede a Las Tamujas, chiesa rurale scavata presso Toledo -, con tradizionale tecnica costruttiva, archi a pieno centro, intonaco e pitture. Si tratta di un'ipotesi che permetterebbe di porre Santullano in stretta relazione con modelli toledani (Arbeiter, 1992). Il monumentale transetto, come punto di osservazione privilegiato, avrebbe avuto un uso specificamente sinodale e la tribuna a N sarebbe quindi stata costruita perché i sovrani potessero essere presenti alle sedute e presiederle (Noack-Haley, 1995). A Santullano, come in quasi tutta la penisola iberica, restò in uso fino al sec. 11° l'antica liturgia ispanica, che prevedeva una rigida suddivisione tra coro e zona dell'altare, collocato nell'area absidale; è testimoniata l'esistenza di un impianto di recinzione non legato all'architettura. Come per le parti orientali delle chiese del San Salvador e di Santa María, anche Santullano si distingueva per il moltiplicarsi degli altari consacrati, aventi sulla fronte un'edicola a timpano a forma di piccolo edificio, di valore sicuramente liturgico, per il sacramento.Scoperte nel 1913, le pitture di Santullano costituiscono uno degli esempi più importanti dell'Alto Medioevo e il più significativo documento della produzione asturiana di quest'epoca (Schlunk, Berenguer, 1957; Arias Páramo, 1992; 1993a). Le absidi, la navata e il transetto presentano motivi geometrici e fitomorfi, architetture raffigurate e pitture a imitazione del marmo, di cui è possibile individuare modelli ispanici tardoantichi e di epoca visigotica; molto più problematica è la questione dei cicli dipinti nella parte alta della navata mediana e del transetto, dove si trovano, disposte su più registri, trentotto raffigurazioni di architetture di pura tradizione antica (Schlunk, 1980, II, pp. 151-154; 1985, p. 26ss.), alle quali si aggiunge la croce in disposizione assiale con l'Α e l'Ω, che connota in senso cristiano l'insieme. La derivazione e l'interpretazione precise del programma figurativo non sono state ancora chiarite, anche se è fuori dubbio la pertinenza all'ambito regio, mentre il carattere aniconico è stato spiegato come reazione all'adozionismo (Dodds, 1986). Per l'interpretazione del ciclo deve essere stabilito se era di nuova ideazione, oppure ripreso da un ciclo già esistente, forse toledano.Al Comune di O. appartiene la chiesa rurale di Santa María a Bendones, anch'essa dell'epoca di Alfonso II (Manzanares Rodríguez Mir, 1957; Schlunk, Berenguer, 1957). Per la tecnica, l'edificio si avvicina a Santullano; la disposizione è singolare, poiché l'area comunitaria è ridotta soltanto a una sorta di transetto, soluzione che, anche per il persistere dei tre ambienti per gli altari, rimanda a esempi paleocristiani nella regione del Ṭūr ῾Abdīn (Turchia). La trifora dell'ambiente inaccessibile al di sopra dell'abside mediana corrisponde all'esempio di Santullano, ma ha, come quella di San Tirso, ancora una cornice rettangolare che la avvicina morfologicamente all'alfiz islamico-mozarabico; a Santa María a Bendones è da notare anche la base di una torre campanaria isolata: se essa appartenesse all'edificio originario si tratterebbe del più antico esempio conservato nell'intera Spagna.La Cruz de los Ángeles, ora conservata al Mus. de la Cámara Santa, donata dal re Alfonso II e datata secondo l'iscrizione in era DCCCXLVI (808), era sicuramente destinata all'altare principale della nuova chiesa dedicata al Salvatore (Amador de los Ríos, 1877; Manzanares Rodríguez, 1972; González García, Suárez Suárez, 1979; Schlunk, 1985; Fernández Avello, 1986; Salcedo Garcés, 1987). La croce (peso kg 1,768; altezza cm 46,5) presenta forma greca, con bracci che si dipartono da un disco centrale e si allargano verso le estremità. Il nucleo ligneo, provvisto di scomparti per le reliquie, è rivestito da foglia d'oro con lavorazione in filigrana e inserti in pietre preziose, perle e gemme antiche; invece delle lettere Α e Ω, ciascuno dei bracci orizzontali era fornito di perpendulia. La forma d'insieme era nota già dall'epoca visigotica, ma peculiarità quali la tecnica della filigrana, il sistema di infilatura delle perle e la loro disposizione circolare indicano un'affinità più stretta con manufatti bizantini e dell'Italia settentrionale e per questo si è pensato all'opera di un artista non formatosi in area ispanica. Prossima alla Cruz de los Ángeles, per dimensioni e per aspetto, è la croce del re dei Longobardi Desiderio (Brescia, Civ. Mus. Cristiano), leggermente più antica.Di una residenza fondata sulle pendici del monte Naranco da re Ramiro I si conservano due importanti edifici dell'architettura altomedievale asturiana: San Miguel de Liño e la sala del Belvedere, utilizzata come chiesa con il nome di Santa María de Naranco fino al 1930. Il San Miguel de Liño, ovvero la chiesa palatina, era stato consacrato in origine alla Vergine, probabilmente nell'808; il culto di quest'ultima dovette essere trasferito intorno al sec. 10°-11° presso la vicina sala del Belvedere (Berenguer, 1972-1973). La chiesa palatina e il Belvedere mostrano un evidente cambiamento nell'architettura, nella rinuncia alla copertura lignea a favore di volte a botte in tufo calcareo, nelle volte e nelle pareti plasticamente articolate, nei sistemi statici basati su archi trasversali e sostegni interni ed esterni, negli archi con chiave a T, alcuni dei quali rialzati, nella rinascita di una scultura ambiziosa nei rilievi e nella plastica architettonica, caratterizzata da un arricchimento iconografico con figure animali e umane (Schlunk, 1948; Noack-Haley, 1992), queste ultime inserite anche nelle pitture. Entrambi i monumenti, pur non essendo tra loro del tutto omogenei, si distinguono, nella loro globalità, in modo così evidente, rispetto alle creazioni della fase precedente, che si deve tener conto sia della possibilità che si sia attinto a un patrimonio di idee provenienti da un'altra regione sia della presenza di uno o più maestri stranieri. La chiesa di San Miguel de Liño - solo in parte conservata - è stata di recente oggetto di scavi che hanno evidenziato la consueta parte orientale tripartita, senza però ulteriori ambienti laterali a E, innestata su un rettangolo (lunghezza m 20 ca.), determinando in questo caso anche una simmetria dei volumi lungo l'asse O-E (Noack-Haley, Arbeiter, 1994; García de Castro Valdés, 1995b; Prerrománico asturiano, 1995); tutte le parti dell'edificio erano voltate. La tribuna occidentale, accessibile tramite scale laterali, la cui connotazione regale si individua dai resti di un sistema per sollevare e abbassare una cortina, prevedeva un notevolissimo slancio della navata mediana a cinque campate. Unica nell'architettura asturiana è la suddivisione delle tre navate tramite colonne; le navate laterali, allontanandosi in modo singolare dal concetto di basilica, sono coperte nella prima campata (e lo erano sicuramente anche nella quinta) da volte a botte trasversali sopraelevate; alle loro semicolonne corrispondevano all'esterno contrafforti scanalati. Una parte della decorazione scolpita è conservata a O. (Mus. Arqueológico; Dshobadze Zizichwili, 1954; Schlunk, Berenguer, 1957; de Luis, 1962; Schlunk, 1974; Escortell Ponsoda, 1978).Il vicino Belvedere, una sala a due piani costituita in pianta da un rettangolo allungato (m 21), disposto in direzione E-O a m 200 dalla chiesa e collocato su un terrazzamento presumibilmente artificiale, venne fornito di logge; a parte la demolita loggia meridionale e le pitture che un tempo lo ornavano, esso si presenta sostanzialmente intatto ed è quindi l'unico edificio di rappresentanza di carattere non sacro conservato in questa regione per l'Alto Medioevo. I due piani della costruzione sono suddivisi ciascuno in un grande ambiente centrale e due piccoli laterali, tra i quali vennero inseriti una volta a botte cinghiata e un pavimento di legno (Noack-Haley, Arbeiter, 1994; Prerrománico asturiano, 1995). L'effetto del piano inferiore è quello di una cantina, perché parzialmente interrato e con la volta impostata molto in basso nell'ambiente centrale buio. Quest'ultimo è concluso sui lati lunghi da due vestiboli, dei quali il meridionale sorreggeva la loggia principale del lato sud e il settentrionale sostiene un ulteriore vestibolo per il piano superiore, raggiungibile tramite due rampe di scale addossate all'edificio. Nel piano superiore, meglio illuminato, la sala e le logge a essa legate tramite passaggi chiudibili erano coperte da volte a botte cinghiata della stessa altezza e da un tetto a spioventi continuo. L'opera muraria, non particolarmente accurata per quanto concerne il taglio della pietra e la disposizione degli strati, risulta di qualità sensibilmente migliore nei contrafforti che le si addossano, nella fattura degli angoli dell'edificio e nelle aree dei timpani; la sala grande era rivestita sicuramente da uno strato di intonaco, ricoperto, insieme alle colonne, da un sottile strato di calce dipinta. Nelle pareti interne delle logge e della sala grande, come sostegni delle arcate cieche, sono state utilizzate colonne scanalate a spirale, raggruppate quattro a quattro, con un comune Faltkapitell (capitello a trapezio con 'pieghe'), decorato con doppie fasce cordonate, figurette e animali. La tendenza a ingrandire l'arco verso il centro aumenta molto sui lati longitudinali dell'interno della sala, mentre le arcature cieche variano per ampiezza e altezza. Recentemente è stato dimostrato che alla base di questa costruzione, così come della forma complessiva del Belvedere, si trova un cosciente calcolo geometrico che determina le forme in modo proporzionale e fissa misure, disposizioni e correlazioni all'interno di un progetto architettonico globale (Arias Páramo, 1993b). Nella parte superiore delle pareti dei lati brevi compaiono due fasce a rilievo verticali, a mo' di 'cinghia' con croci di s. Andrea e croci astili, ricavate da una leggera lavorazione della superficie che le circonda e che trova la sua prosecuzione nei tondi ornati a rilievo situati negli spazi dirisulta tra gli archi. Esse sono presenti, all'interno, anche sui lati longitudinali; inoltre brevi sezioni di fasce 'a cinghia', decorate da figure e mensole, costituiscono il collegamento con gli archi trasversali della volta. I trentadue medaglioni situati negli spazi di risulta meritano particolare attenzione: tra due anelli concentrici di fasce cordonate doppie si trova un tralcio di vite, talvolta abitato da uccelli, il cui cerchio centrale è ornato da quadrupedi e uccelli, in parte fantastici, singoli oppure araldicamente ordinati, con code arrotolate e motivi fitomorfi. Sorprendentemente simile è una transenna di finestra circolare dell'abbazia di Pomposa, risalente al sec. 11°, che però attesta un legame con l'Oriente, come testimonia anche la decorazione di alcuni medaglioni di gusto sasanide del Belvedere di Oviedo.Alfonso III, nipote di Ramiro I, diede il via ad attività di fortificazione; alla sua epoca risale anche l'edicola di fontana, detta Foncalada, conservata a N del centro di O. (Diego Santos, 1994, nrr. 75-77): sebbene ricostruita con materiale originale, essa mostra una buona opera in pietra squadrata a testimonianza di una significativa distanza, dal punto di vista della tecnica costruttiva e della cronologia, da tutte le strutture citate (Ríos González, Estrada García, Chao Arana, 1994).La più importante opera rimasta di Alfonso III a O. è la Cruz de la Victoria, ora nel Mus. de la Cámara Santa, destinata secondo la sua iscrizione alla chiesa del San Salvador e realizzata nel 908 (Amador de los Ríos, 1877; Elbern, 1961; Manzanares Rodríguez, 1972; González García, Suárez Suárez, 1979; Fernández Avello, 1982; Schlunk, 1985; Haseloff, 1990). La Cruz de la Victoria ha forma latina con bracci patenti terminanti in elementi a goccia, altezza doppia della Cruz de los Ángeles e peso triplo; anche se al di sotto della foglia d'oro, nel nucleo ligneo, soltanto il disco centrale presenta lo scomparto per le reliquie, la ricchezza dei materiali e la tecnica di questa croce sono significativamente maggiori. Sul lato anteriore i bracci presentano, per buona parte della loro estensione, tre fasce ornate da pietre preziose, perle, paste vitree e filo di metallo a spirale; notevole, ma molto insolito per la Spagna, è il fatto che il disco centrale e i punti di innesto dei bracci siano decorati con ventotto placchette realizzate in smalto cloisonné, delle quali la maggior parte raffigura pesci, quadrupedi e uccelli, cioè i tria genera animantium (Gn. 1, 20-28), che - e non è l'unico caso - vengono associati con il segno della croce come espressione della nuova creazione. Il lato posteriore presenta alle estremità pietre preziose e sul disco, perle, paste vitree e filigrana. I confronti più prossimi si trovano in opere precedenti di area carolingia: nella Croce delle Ardenne (Norimberga, Germanisches Nationalmus.) per forma d'insieme e castoni; nella coperta del Codex Aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000) per i motivi a foglie in pasta vitrea, la filigrana ornata di perle, i castoni; nell'altare di Vuolvinio in S. Ambrogio a Milano e nella c.d. prima coperta dell'Evangeliario di Lindau (New York, Pierp. Morgan Lib., M.1) per gli smalti. Poiché la Cruz de la Victoria non è un'opera di importazione ma, come recita l'iscrizione, venne realizzata in castello Gauzon, si deve ipotizzare la collaborazione di orafi transpirenaici, oppure si può supporre che artisti asturiani avessero acquisito la tecnica formandosi presso maestri franchi.La terza delle grandi opere di oreficeria di O., la Caja de las Ágatas, conservata al Mus. de la Cámara Santa (Elbern, 1961; Fernández Avello, 1986; Sepúlveda González, 1989; Haseloff, 1990), è uno scrigno rivestito in foglia d'oro ornata da pietre preziose e agata, donato alla cattedrale da Fruela II (m. nel 925) nel 910, anno in cui salì al trono, come si deduce dall'iscrizione sul fondo in argento della cassa, sul quale si trovano i quattro simboli degli evangelisti tra i bracci di una croce; la placca, più antica, della parte superiore del coperchio presenta, oltre alle pietre preziose e a una lavorazione a fasce in almandino, dodici campi in oro e smalto con animali marini e uccelli sull'albero della vita.Alcuni villaggi appartenenti al territorio di O. presentano monumenti romanici degni di nota: Santa Eulalia a Colloto, San Esteban a Sograndio e la chiesa di San Juan de Priorio a Las Caldas, dove si trova l'unico timpano figurato romanico delle Asturie, con il Pantocratore, evangelisti e angeli.Nella città di O. le testimonianze architettoniche importanti conservate per l'epoca romanica (a parte Santa Maria de la Vega) e gotica (a parte Santo Domingo) sono ubicate nell'area della cattedrale: San Pelayo conserva i resti di una sala ad archi di epoca romanica; la Torre Vieja sul lato meridionale della cattedrale, che dovrebbe conservare anche resti di epoca altomedievale, potrebbe risalire all'11° secolo.La Cámara Santa venne trasformata nel sec. 12° (Pita Andrade, 1955; Fernández González, 1993), quando fu voltato il piano principale; le sei coppie di colonne dei lati longitudinali, con capitelli in parte cristologici, presentano fusti decorati quasi per l'intera lunghezza da statue di apostoli di eminente qualità per le belle fisionomie, tutte barbate, e per l'esecuzione del panneggio delle figure allungate; le statue, per le quali le proposte di datazione gravitano intorno al 1170, rappresentano, accanto alla scultura di Santiago de Compostela e di Ávila, un capolavoro dell'arte scultorea tardoromanica in Spagna.L'Arca de las Reliquias, che si trova nel Mus. de la Cámara Santa, è una cassa o altare (lunghezza m 1,19) con ricco rivestimento in foglia d'argento lussuosamente ornato di figure (Gómez-Moreno, 1945; Harris, 1995), variamente datata al 1075 o agli inizi del 12° secolo. Il coperchio a niello presenta la Crocifissione e i lati, lavorati invece a sbalzo, mostrano sulla fronte Cristo in trono nella mandorla con angeli, apostoli ed evangelisti e sugli altri lati scene dell'Infanzia di Cristo e l'Ascensione; accanto a una lunga iscrizione latina colpiscono alcuni caratteri cufici che testimoniano la collaborazione di artisti che appresero la propria arte in ambito islamico. Gli stessi motivi ricorrono anche nel cofanetto d'argento del vescovo Ariano, ora al Mus. Diocesano, di epoca pressoché contemporanea; soltanto iscrizioni cufiche presenta invece la cassa di Santa Eulalia in argento, anch'essa nel Mus. Diocesano. Al sec. 12° risalgono il reliquiario, in forma di dittico, del vescovo Gundisalvo (1162-1175), nel Mus. Diocesano, e il Crocifisso di Nicodemo, in avorio, conservato al Mus. de la Cámara Santa.L'Arch. de la Catedral conserva il Libro de los Testamentos, realizzato sotto il vescovo Pelayo (1101-1130), con notevoli miniature romaniche raffiguranti personalità storiche, in funzione di un'ambiziosa manipolazione di politica ecclesiastica. Il Mus. Arqueológico ospita sale dedicate al Medioevo asturiano (Escortell Ponsoda, 1976; 1978); importante è anche la coll. privata Tabularium Artis Asturiensis.
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