Magonza (1235), pace di
Dall'autunno del 1234 e in seguito all'aperta ribellione di suo figlio Enrico, re di Germania, la situazione tedesca assunse un'importanza centrale agli occhi dell'imperatore Federico II. Tensioni tra padre e figlio erano già sorte da quando Enrico aveva cominciato a governare in modo autonomo. Neppure l'intesa raggiunta nell'aprile 1232, che vincolava Enrico a una rigida subordinazione alle direttive imperiali, aveva determinato alcun cambiamento. Né la politica del re nei confronti delle città ‒ che da un lato favoriva il ceto dirigente borghese, ma dall'altro cedeva di fronte ai signori episcopali ‒, né i suoi tentativi di porre un freno a Corrado di Marburgo, inquisitore papale degli eretici che si comportava con inaudita durezza, si confacevano agli intenti politici di Federico. L'imperatore in Germania puntava alla cooperazione con i principi imperiali, ripromettendosi inoltre di ottenerne l'appoggio nei suoi sforzi diretti a imporre i diritti dell'Impero nell'Italia settentrionale. Naturalmente il successo di questi tentativi, che aveva intensificato a partire dagli anni Trenta, dipendeva in modo sostanziale anche dal consenso del papa. Dalla conclusione della pace nell'agosto del 1230, Federico intratteneva relazioni abbastanza buone con Gregorio IX. Cercò di accreditarsi come zelante persecutore degli eretici e nell'estate del 1234 truppe imperiali arrivarono ad appoggiare il pontefice nella sua lotta contro i romani.
L'insoddisfazione di Federico per il comportamento del figlio in Germania si accentuò ulteriormente quando questi ‒ solo parzialmente al riparo del diritto ‒ nell'estate del 1233 attaccò il duca Ottone di Baviera, nonché il margravio Ermanno di Baden e Goffredo di Hohenlohe, due comprovati sostenitori degli Svevi. L'imperatore revocò senza indugio i provvedimenti presi dal figlio e nel luglio 1234 preannunciò la sua venuta in Germania per l'estate dell'anno successivo. Questa decisione indusse Enrico a ribellarsi apertamente contro il padre. Raccolse alleati in Germania, guadagnando alla sua causa solo pochi principi ecclesiastici e nobili del Meridione tedesco. Invece riuscì a stringere un patto di difesa e di assistenza con la Lega lombarda sotto la guida di Milano, auspicando che in tal modo all'imperatore sarebbe stato precluso l'accesso alla Germania. Tuttavia, agli occhi di Federico, il figlio aveva dimostrato le sue intenzioni di alto tradimento che miravano alla rovina dell'imperatore e dell'Impero.
Le battaglie che scoppiarono a partire dal novembre del 1234 nella Germania meridionale fra partigiani e avversari di Enrico resero ben presto manifesta la debolezza della posizione del re. Nell'aprile 1235 egli fallì nel tentativo di conquistare l'importante città di Worms e Federico rafforzò i cittadini nel proposito di perseverare nella resistenza fino al suo arrivo.
A metà aprile del 1234 l'imperatore si mise in viaggio dalla Puglia alla volta della Germania; in maggio fece il suo ingresso sul suolo tedesco in Carinzia. Si trattenne in Germania fino al principio di settembre del 1237, un soggiorno interrotto soltanto dalla campagna nell'Italia settentrionale dalla fine di luglio all'inizio di dicembre del 1236. Avrebbe fatto ritorno nel Regno di Sicilia solo cinque anni dopo, nel marzo del 1240.
Attraversando l'Austria, la Baviera e la Franconia, Federico si diresse verso il Reno. Ovunque i principi ‒ con l'eccezione del duca Federico d'Austria e di Stiria ‒ si schierarono al suo fianco. Il corteo insolito e fastoso del sovrano, con elefanti, dromedari e saraceni, dovette avere un forte impatto. Tuttavia, decisiva per la presa di posizione dei principi in favore di Federico fu la convinzione che nel dissidio con il figlio l'imperatore fosse nel giusto e che avrebbe avuto il sopravvento, tanto più che la sua condotta nei confronti di Enrico aveva l'energico sostegno del pontefice. Del resto, da chi si era imposto così brillantemente nel Regno di Sicilia avviando con successo una politica di riforme era lecito attendersi le capacità e la volontà di instaurare nuovamente la pace e regolamentare i rapporti in Germania. Naturalmente i principi si ripromettevano, non da ultimo, di ricavare anche vantaggi personali molto concreti dal loro intervento incondizionato a favore dell'imperatore.
In un primo tempo Enrico pensò evidentemente di difendersi manu militari, ma sotto l'impressione del trionfo paterno rinunciò rapidamente a questo progetto. A Worms, all'inizio di luglio del 1235, l'imperatore accettò la sottomissione incondizionata di suo figlio e gli concesse la grazia. Secondo l'opinione dell'imperatore e dei principi imperiali Enrico, violando la sua promessa di obbedienza dell'aprile 1232, aveva sciolto i principi dal loro giuramento di fedeltà perdendo di conseguenza le sue prerogative di re. Poiché Enrico sembrò rifiutarsi di accettare questa situazione, per ordine di Federico fu condotto prigioniero nel Regno di Sicilia dove morì nel 1242.
Subito dopo aver inflitto questa punizione al figlio, il 15 luglio 1235, sempre a Worms, l'imperatore festeggiò con il fasto appropriato le nozze con la sua terza moglie, Isabella, sorella del re d'Inghilterra Enrico III. Sulla base di quest'unione si intensificarono i contatti tra l'imperatore e la casa reale inglese, senza che per questo venissero pregiudicate le buone relazioni svevo-capetingie. Inoltre l'avvicinamento dell'imperatore all'Inghilterra agevolò la definitiva ricomposizione del conflitto fra Svevi e Guelfi e, di conseguenza, il riordinamento duraturo dei rapporti nella Germania settentrionale. Di fatto, già nella dieta di Magonza dell'agosto 1235 si giunse a regolare definitivamente le questioni controverse tra Federico e Ottone di Luneburgo, ultimo discendente della casa guelfa imparentato con i Plantageneti.
La dieta di Magonza già menzionata fu il primo grande momento culminante e, probabilmente, l'evento più brillante e significativo sul piano concreto del secondo soggiorno tedesco di Federico. Il 15 agosto, festa dell'Assunzione della Vergine, si riunirono a Magonza quasi tutti i principi imperiali e molti altri personaggi altolocati con il loro seguito, allo scopo di discutere per una settimana con l'imperatore una serie di problemi sorti in Germania e nell'Impero. Solo di rado, sia prima che in seguito, i potenti del Regno affluirono per incontrarsi in così gran numero. Sulla spianata di fronte a Magonza era stata montata una splendida 'città' fatta di tende per i convenuti e si narrava che lo stesso sultano avesse donato all'imperatore ricoveri tanto sontuosi e insoliti. Molti cronisti riferiscono dell'evento eccezionale e scrivono soprattutto della memorabile festa conclusiva, che esercitò in effetti un fascino particolare sui presenti: il mattino del 22 agosto Federico, indossando le vesti di imperatore, ornato delle insegne della sua dignità e con la corona imperiale sul capo, si recò nel duomo per ascoltare la messa accompagnato dai principi imperiali. Poi invitò i grandi dell'Impero con il loro seguito nell'accampamento davanti alla città, dove aveva fatto allestire per gli ospiti un banchetto sfarzoso. Nessuno di coloro che vissero quella giornata in una posizione di preminenza o come semplici spettatori sarà rimasto immune dal fulgido splendore dell'Impero svevo, dall'atteggiamento e dallo stile di vita munifico e grandioso del suo massimo rappresentante. Allora e nei mesi successivi Federico raggiunse senza alcun dubbio l'acme del suo potere e di certo fu al culmine del suo credito e della sua influenza in Germania.
L'autorità indiscussa dell'imperatore emerge prepotentemente, più ancora che dallo svolgimento esteriore della dieta di Magonza, dai risultati concreti conseguiti. Alla fine di agosto lo Svevo poté riferire alla Curia papale con piena soddisfazione che i convenuti alla dieta di Magonza si sarebbero impegnati all'unanimità a muovere verso l'Italia con due grandi eserciti, sotto il suo comando, nell'aprile dell'anno seguente, per imporvi nuovamente i diritti dell'Impero.
I visitatori della dieta di Magonza vissero anche la solenne conclusione della pace tra le case sveva e guelfa. Inginocchiato di fronte all'imperatore, Ottone di Luneburgo testimoniò la fine dell'odio fra le due famiglie e consegnò i suoi beni allodiali e la sua persona al suo signore imperiale. Questi rimise all'Impero i beni di Ottone con alcuni altri territori controversi e subito dopo, con il consenso dei principi imperiali, infeudò al Guelfo innalzato al rango ducale questo insieme di domini concentrati intorno a Brunswick e Luneburgo. Questa procedura fu attuata nella consueta forma solenne. Il nuovo duca prestò omaggio e giuramento di fedeltà, quindi l'imperatore lo investì del suo feudo consegnandogli come simbolo il vessillo feudale.
Questo tipo di soluzione conferì alla dinastia guelfa una solida posizione di potere riconosciuta dal sovrano e instaurò quindi nel Settentrione dell'Impero rapporti chiari e stabili. Tuttavia l'imperatore, innalzando di rango Ottone, si presentò come un sovrano disposto a rinunciare a diritti che gli spettavano in nome della pace. Federico rafforzò al tempo stesso enormemente la sua concezione dell'ordine interno dell'Impero, che nella sua interpretazione era rappresentato congiuntamente dai principi imperiali e dal sovrano. Esso non poteva prosperare senza la collaborazione attiva, eminente, dei principi, ma contemporaneamente si richiedeva la subordinazione delle membra al capo, il servizio leale prestato dai principi all'imperatore, come premessa imprescindibile della sua forza e della sua affermazione duratura. L'atto di Magonza mostrò in modo inequivocabile ai convenuti alla dieta proprio questo scenario.
La concezione imperiale della costituzione idonea alla Germania e la serietà con cui Federico cercava di assolvere il suo impegno di sovrano per assicurare la pace si esprimono con la massima chiarezza nel documento rilasciato in questa circostanza, che può essere considerato senz'altro il risultato più importante per contenuti e più gravido di conseguenze della dieta, ossia la pace imperiale di Magonza. Il sovrano aveva di-scusso in anticipo con i principi le sue intenzioni, in modo particolarmente dettagliato già in giugno a Ratisbona. A Magonza vi fu certamente l'opportunità di discutere questi temi in maniera conclusiva. Come Federico riferisce nella sua breve premessa, con il consiglio e il consenso dei principi (de consilio et assensu dilectorum principum) venivano solennemente proclamate di fronte all'assemblea di Magonza le regolamentazioni messe in atto. Forse in quest'occasione i convenuti si impegnarono alla loro osservanza con un giuramento (cf. Annales S. Pantaleonis, 1880). In ogni caso, secondo le parole dell'imperatore, esse avevano da subito un valore vincolante per tutti gli abitanti del Regno di Germania; il loro mancato rispetto era punibile in quanto violazione del decus maiestatis. La loro stesura scritta doveva garantirne in modo duraturo l'applicazione senza modifiche né falsificazioni.
Possediamo il testo in latino e in tedesco della pace di Magonza. La versione latina ha la forma esteriore di un documento imperiale solenne e dev'essere considerata la stesura autentica, che riproduce senza ombra di dubbio la volontà del legislatore. È stato tramandato comunque in due sole copie del XIII secolo. Ciò dipende dal fatto che la pace imperiale di Magonza, come primo testo di legislazione, fu proclamata pubblicamente in lingua tedesca già nella stessa Magonza. Questo modo di procedere trovava riscontro nella crescente tendenza, molto generalizzata all'epoca, di sostituire il tedesco al latino nella produzione letteraria, promuovendolo in particolare nella sfera del diritto. Ma lo scopo principale, naturalmente, consisteva nel portare a conoscenza di tutti gli strati di popolazione della Germania le deliberazioni di Magonza nel modo più rapido e diretto possibile. Di fatto, il testo scritto in tedesco ebbe poi la maggior diffusione; sei codices dal XIII al XVI sec. lo tramandano in tre differenti versioni che si discostano l'una dall'altra solo in singoli dettagli. Tutte e tre le versioni riproducono in sostanza i passaggi rilevanti sul piano giuridico della pace imperiale in maniera unanime e corretta, ma non senza piccoli interventi, sintesi o integrazioni; tutte omettono però le motivazioni dell'imperatore o le parti specifiche di un documento imperiale. Quindi è altamente probabile che nessuna delle versioni presenti il testo del quale si diede lettura a Magonza.
La forma esteriore e la lingua della versione autentica, dunque quella in latino, della pace imperiale di Magonza già consentono di riconoscere che l'imperatore attribuiva un'importanza speciale a questo documento. Secondo il modello giustinianeo e in analogia con le Costituzioni di Melfi, al principio del testo Federico, dopo la titolatura per esteso del sovrano, inserì un proemio in cui esponeva le finalità della sua iniziativa legislativa. Ricordava la sua convinzione di fondo, formulata più volte anche altrove, secondo cui il sovrano doveva dare pace e giustizia ai suoi sudditi, ed esprimeva la speranza che la sua opera legislativa potesse assicurare con la massima efficacia questi beni supremi in Germania, perché sostituisse il diritto consuetudinario fino a quel momento largamente predominante, con la sua incertezza e arbitrarietà, a favore dell'univocità della definizione scritta. Egli sottolineava l'eccezionale portata delle sue disposizioni, definendole sacre constitutiones, e faceva espressamente riferimento alla loro compilazione articolata in singoli capitoli a seconda degli aspetti contenutistici. In tal modo rendeva manifesta la sua pretesa di aver creato, con la pace di Magonza, un vero e proprio codice.
Di fatto le singole leggi o costituzioni che seguivano, contrassegnate dagli studiosi moderni con una numerazione da 1 a 29 (di seguito abbreviato in Const. 1-29), trattano in successione dieci diversi ambiti tematici, quindi si possono articolare in dieci capitoli. Si parla della protezione della Chiesa (Const. 1-2), del Handfrieden (accordo di pace confermato da una stretta di mano; Const. 3), dell'ufficio di giudice (Const. 4), della faida (Const. 5-6), della difesa delle regalie (Const. 7-11) e della loro usurpazione (Const. 12-14), del rapporto del padre con il figlio ingrato (Const. 15-21), del bando e del bando inasprito (Const. 22-26), del favoreggiamento dei criminali (Const. 27) e infine dell'insediamento del giudice di corte imperiale e del suo notaio (Const. 28-29). All'inizio di ogni nuovo capitolo l'imperatore spiegava brevemente i principi che l'avevano guidato nella formulazione delle successive leggi. Queste stesse deliberazioni erano spesso introdotte da parole quali statuimus firmiter, districte precipimus, inhibemus, sancimus, iubemus. Inoltre il testo magontino presenta una spiccata somiglianza con le Assise e le Costituzioni di Federico per il Regno di Sicilia.
Senza alcun dubbio la pace imperiale del 1235, con la sua forma esteriore e soprattutto linguistica, poneva fortemente in risalto l'autorità di Federico come legislatore imperiale, il suo ruolo come responsabile ultimo dell'elaborazione dell'ordinamento giuridico e del mantenimento della pace anche in Germania. Quest'atteggiamento improntato a una forte coscienza di sé si spiegava senz'altro, in buona parte, sulla base dei successi politici conseguiti a quel tempo da Federico; rifletteva la sua posizione largamente indiscussa, come pure la particolare atmosfera delle giornate magontine che avvalorò in modo così incisivo il suo credito. Se ciò nonostante il sovrano menzionava espressamente l'importante collaborazione dei principi al corpus di leggi di Magonza, questo dimostra che nemmeno ora rinunciava alla sua convinzione di fondo, acquisita nel corso di un'esperienza decennale e applicata poco prima nei confronti di suo figlio Enrico e di Ottone di Luneburgo: la convinzione che entrambi, imperatore e principi imperiali, rappresentavano congiuntamente l'Impero e insieme, seppure sotto la direzione decisiva dell'imperatore, avrebbero dovuto agire per il suo bene.
Sul piano dei contenuti Federico, con il suo impegno legislativo per la pace in Germania, si riallacciava alla lunga tradizione della legislazione per la pace territoriale dei suoi predecessori. Quando nel Regno di Germania durante la lotta delle investiture, alla fine dell'XI sec., si intensificò la violenza dei conflitti, dapprima singoli vescovi, appoggiati dalla nobiltà, si adoperarono per assicurare nelle loro diocesi tranquillità e pace attraverso lo strumento della tregua di Dio di origine francese. Presto i principi avversari dell'imperatore Enrico IV nella Germania meridionale, prima concentrati sul loro dominio, si unirono a questi sforzi. Importanza decisiva ebbe la pace di Magonza, proclamata dallo stesso Enrico IV nel gennaio 1103, per il cui mantenimento egli si impegnò solennemente insieme a molti grandi dell'Impero, sia ecclesiastici che laici: fu la prima pace imperiale vera e propria ad avere validità per tutto l'Impero ‒ anche se solo per quattro anni ‒ e per la prima volta nella sua formulazione si esprimeva l'autorità dell'imperatore.
Il tentativo nuovo messo in atto da Enrico IV per assicurare la pace nell'Impero non più solo in veste di arbitro giudiziale di singoli conflitti, ma in certo qual modo con un'azione preventiva da legislatore, sulla base di un ordinamento giuridico generale e vincolante per tutti i sudditi, divenne un modello spesso imitato dai suoi successori. Soprattutto l'imperatore Federico I Barbarossa emanò tutta una serie di paci territoriali. Ma ancora nel 1221 e nel 1224, quindi all'epoca del procuratore imperiale Engelberto di Colonia, e nel 1234, in occasione della dieta di Francoforte convocata da re Enrico, furono formulate queste leggi a salvaguardia della pace. Esse sottoponevano, in generale, determinati crimini a pene severe, spesso dolorose, cioè corporali o capitali, e tentavano tramite numerose regolamentazioni restrittive perlomeno di arginare la faida ‒ quella prassi riconosciuta e diffusa di farsi violentemente giustizia da sé in caso di violazione di un diritto. E si dava incarico ai tribunali esistenti ‒ sottolineandone in tal modo l'importanza ‒ di imporre le disposizioni in esse contenute.
La pace imperiale di Magonza rilasciata da Federico si mantiene per molti aspetti entro la cornice precostituita della legislazione delle paci territoriali più antiche. Questo vale, per esempio, sostanzialmente laddove nella Const. 27 è prevista una dura punizione per reati concreti come la ricettazione o l'appoggio attivo prestato a ladri e banditi, soprattutto in caso di recidiva. Con particolare chiarezza emerge naturalmente la sua dipendenza da testi più antichi laddove vengono accolte e convalidate le loro disposizioni. In quest'ambito rientrano la Const. 1, che ingiunge l'obbedienza nei confronti della giurisdizione ecclesiastica; la Const. 3, che per la violazione del Handfrieden, quindi di un'intesa sulla conclusione della faida, prevede come punizione il bando o la perdita della mano; la Const. 6, che prescrive il termine di tre giorni per l'annuncio di una faida; le Const. 7 e 11, che aboliscono i nuovi dazi e le nuove monete introdotti dopo la morte dell'imperatore Enrico VI, o la Const. 12, che fa dipendere l'esercizio del diritto di scorta dall'infeudamento imperiale: tutte queste norme concordano in parte alla lettera con alcune disposizioni della pace di Francoforte del 1234.
Nonostante ciò la pace imperiale di Magonza acquista una sua impronta specifica sulla base dei particolari punti chiave su cui si concentra, e le idee di fondo che hanno determinato e connotato la sua formulazione travalicano più volte palesemente le finalità degli ordinamenti delle paci territoriali emanate fino a quel momento. Regredisce notevolmente l'elencazione di singoli crimini e delle relative pene previste. Invece lo sforzo fondamentale di porre un freno alla faida, in quanto essa sostituisce l'arbitrio al diritto, occupa uno spazio molto ampio. A prescindere dai casi di legittima difesa, chiunque cerchi giustizia viene perciò demandato in primo luogo al tribunale competente e ogni iniziativa personale di vendetta è soggetta a punizione (Const. 5). Solo nel caso di diniego di giustizia da parte del tribunale può rimanere aperta la strada della difesa personale violenta, e comunque solo dopo un termine prefissato, per la cui violazione si poteva incorrere nel bando inasprito (Const. 6). La pace di Magonza prevedeva conseguentemente come pena la perdita della mano o il bando e, in alcune circostanze, addirittura il bando inasprito anche per coloro che non rispettavano l'accordo di pace del Handfrieden (Const. 3). Infine le faide e altre controversie con avvocati ecclesiastici non potevano coinvolgere i beni ecclesiastici (Const. 2).
Un'esperienza molto personale, il conflitto con suo figlio Enrico, indusse il sovrano a trattare in modo straordinariamente dettagliato il rapporto tra il padre e il proprio figlio ingrato (Const. 15-21). Egli non era senz'altro interessato a giustificare a posteriori la sua personale azione punitiva nei confronti di Enrico ‒ era troppo convinto della sua fondatezza e necessità. Forse fu influenzato dal pensiero dei processi in atto contro gli alleati di Enrico. Ma al di là di questo si trattava evidentemente di un problema che per la società del tempo, e in particolare per la nobiltà, assumeva in generale un grande rilievo, essendo spesso fonte di controversie, e quindi richiedeva una regolamentazione sulla base di norme giuridiche chiare. Dunque Federico ‒ come lui stesso dichiara ‒ era intenzionato a inculcare la consapevolezza della mostruosità di un crimine che, secondo la sua ferma convinzione, violava la giustizia naturale e il diritto divino e umano (Const. 21). Per l'azione contro il figlio resosi colpevole e i suoi sostenitori era previsto in ogni caso un procedimento giudiziario minuziosamente regolato, mentre la punizione, a seconda della gravità delle loro colpe, consisteva nella diseredazione o nella privazione del feudo, ma anche nel bando e nel bando inasprito.
Dipendeva dall'importanza del bando e del bando inasprito nella lotta contro chi violava la pace il fatto che la pace imperiale di Magonza fornisse ai giudici indicazioni particolarmente dettagliate sull'imposizione di queste pene. Essi erano tenuti a proclamare pubblicamente il bando; colui che ne era colpito poteva poi essere perseguito da chiunque impunemente e solo a determinate condizioni poteva essere assolto dal bando. Se il colpevole rimaneva soggetto al bando imperiale più di un anno e un giorno, incorreva nel bando inasprito. Chi accoglieva un proscritto ‒ se la sua colpevolezza veniva dimostrata davanti al tribunale ‒ era considerato alla stregua di un proscritto (Const. 22-26). In effetti l'imperatore aveva anche un ulteriore interesse personale per questa materia: lui soltanto infliggeva il bando dall'Impero e puniva i rei di alto tradimento, i cospiratori contro la maestà imperiale o contro l'Impero con il bando inasprito (Const. 24; cf. Const. 28).
A fronte del ruolo centrale assegnato dall'imperatore ai tribunali nella decisione dei conflitti e quindi nel mantenimento della pace, era coerente che il suo corpus legislativo dedicasse molta più attenzione al lavoro e alla funzionalità dell'amministrazione della giustizia di quanto non fosse accaduto fino ad allora in altri ordinamenti analoghi per la pace; del resto, anche questo principio ricorda le Costituzioni di Melfi. Il legislatore imperiale stabiliva in primo luogo che solo uomini dalla condotta ineccepibile erano idonei a ricoprire l'ufficio di giudice. Egli richiamava i principi e tutti coloro ai quali attribuiva direttamente facoltà giudiziali all'obbligo di concludere con una sentenza giusta le controversie a loro sottoposte, secondo il diritto consuetudinario vigente nei loro territori, e di provvedere affinché i giudici a loro soggetti tenessero la medesima condotta conforme alla giustizia; laddove questo non fosse accaduto, annunciava punizioni inflessibili (Const. 4).
La serietà con cui Federico si adoperava per un'amministrazione della giustizia efficace e corretta in Germania emerge con la massima chiarezza alla fine della pace imperiale di Magonza, nella celebre disposizione relativa all'istituzione di un tribunale di corte autonomo. Questa norma prevedeva l'insediamento di un giudice di corte (v. Giudici, Regno di Germania), un iusticiarius, secondo il modello siciliano. Egli doveva distinguersi per la sua condizione di libero, per i suoi principi comprovati e l'eccellente reputazione; in qualità di capo permanente del tribunale di corte in rappresentanza dell'imperatore doveva accogliere le accuse di ogni tipo ed emettere sentenze nel rigoroso rispetto del diritto, senza farsi corrompere, come aveva dovuto giurare all'atto di assumere il suo ufficio. Restavano comunque di competenza dell'imperatore i procedimenti contro principi imperiali e altre decisioni di particolare importanza, come l'imposizione o la revoca del bando imperiale (Const. 28). Il nuovo giudice di corte era coadiuvato da un notaio personale, incaricato di mettere per iscritto i nomi delle persone bandite insieme alle date e ai fatti più rilevanti connessi al loro processo, di sbrigare la corrispondenza del tribunale di corte e inoltre di registrare le sentenze emesse personalmente dall'imperatore. Dalla forma scritta, consueta in Sicilia, l'imperatore auspicava evidentemente anche in Germania una maggior trasparenza e correttezza della giurisdizione. Con la trascrizione delle sue sentenze personali egli si riprometteva esplicitamente che fossero assunte a modello per casi analoghi accrescendo in tal modo la certezza del diritto (Const. 29).
Le disposizioni fin qui non ancora considerate trattavano dell'abuso e della illecita usurpazione di regalie. Concernevano la riscossione di dazi, la scorta, la coniazione e i cittadini che abitavano fuori dalle mura (Pfahlbürger), quindi ambiti tematici già discussi in modo esauriente in precedenti paci territoriali e soprattutto nelle cosiddette leggi a favore dei principi del 1220 e del 1230-1231. Proprio qui emergeva quindi tanto più chiaramente il carattere particolare della pace imperiale di Magonza. Poiché le leggi in favore dei principi assicuravano agli interessati l'esercizio illimitato dei diritti di sovranità menzionati, come pure di tutti gli altri diritti essenziali nei loro territori, l'imperatore nelle sue costituzioni magontine fece passare sotto silenzio questi documenti, lasciando quindi il loro contenuto sostanzialmente inalterato. Analogamente a quanto era già stato disposto nel caso della competenza per l'ordinamento giudiziario in generale e per l'amministrazione della giustizia, l'imperatore tuttavia, anche rispetto alle regalie importanti sul piano economico-politico, metteva in risalto con forza la circostanza che si trattava per loro natura di diritti di sovranità regali finalizzati al bene della res publica, da lui affidati ai principi, i quali li ricevevano direttamente dalle sue mani. La loro amministrazione doveva quindi essere orientata secondo le linee direttive definite dall'imperatore ed era soggetta al suo controllo sovrano. A ciò facevano seguito le corrispondenti disposizioni. Così tutti i nuovi dazi e luoghi di conio istituiti dopo la morte dell'imperatore Enrico VI ‒ i cui detentori non erano in condizione di dimostrare la loro legittimità ‒, come pure gli aumenti dei dazi, dovevano essere aboliti, e l'esazione dei dazi andava utilizzata per la riparazione delle strade. Gli spostamenti liberi e sicuri dovevano essere garantiti costantemente anche nel caso di faide (Const. 7-11). Il legislatore imperiale condannava naturalmente l'esercizio illecito di diritti imperiali. Egli citava espressamente il diritto di scorta e il diritto di pignoramento, tuttavia ribadiva in questo contesto anche il divieto riguardante i Pfahlbürger che integrava con la proibizione dei Muntmannen, cioè della protezione speciale prevista per singoli cittadini nobili (Const. 12-14). Pene severe minacciavano tutti coloro che violavano la legge, per esempio gli esattori dei dazi in caso di recidiva sarebbero stati destituiti dal loro ufficio (Const. 7).
La pace imperiale di Magonza integrò le leggi in favore dei principi del 1220 e del 1231-1232, o meglio definì il complessivo ordinamento politico-giuridico più esteso entro il quale queste leggi avrebbero dovuto trovare posto. Con il corpus magontino di costituzioni Federico assicurò e rese operativi con abilità e risolutezza ‒ senza intaccare il ruolo riservato secondo la sua opinione ai principi nell'Impero ‒ le competenze e i privilegi che restavano alla monarchia in Germania. Fece valere la sua superiore responsabilità e autorità nei confronti della pace e del diritto nell'Impero, rappresentandosi così come istanza propulsiva e creatrice nell'elaborazione dei rapporti interni in Germania, rivendicando le sue competenze legislative in relazione ai settori centrali della politica imperiale con la stessa forza con cui esigeva il controllo sulla prassi dell'amministrazione e della sovranità territoriale dei principi. Per questo il testo magontino, insieme alle leggi in favore dei principi, può essere considerato di fatto come il primo passo verso una costituzione per la Germania. La monarchia e i principi imperiali erano riconosciuti come le due istituzioni determinanti del Regno, i diritti e i doveri che spettavano a entram-bi erano stabiliti per iscritto in forma abbastanza chiara ed esauriente e alla monarchia si concedeva un certo predominio, che tuttavia era solo il risultato della situazione vigente nell'estate del 1235. Ben presto questi sviluppi favorevoli alla monarchia si rivelarono precari e le idee di Federico non poterono realizzarsi in modo duraturo. Rimasero tuttavia attuali i problemi di fondo che egli cercò di risolvere con la sua concezione costituzionale. Quindi gli sforzi tardomedievali diretti all'elaborazione della costituzione imperiale poterono richiamarsi alla sua impostazione ‒ e di fatto così accadde.
In un primo tempo Federico provvide ad applicare le deliberazioni di Magonza. Già nel settembre 1235 il nuovo giustiziere di corte Alberto di Rosswag (presso Vaihingen/Enz, a nord-ovest di Stoccarda) si occupò di una querela che gli era stata sottoposta. Nel febbraio successivo, sotto una sentenza da lui pronunciata è apposto per la prima volta il sigillo speciale del tribunale di corte, e nel gennaio 1237 esercitava queste funzioni il suo successore von Weiler. Lo stesso Federico nel settembre 1237, in un documento per l'arcivescovo di Salisburgo, citava la sua legge magontina in parte addirittura in modo letterale. Già nel settembre 1236, nella sua intesa con il vescovo di Strasburgo, faceva riferimento al divieto dei Pfahlbürger contenuto nella pace di Magonza e re Corrado IV fece altrettanto il 6 ottobre del 1241.
I disordini degli anni Quaranta e il periodo successivo al 1250 crearono una situazione estremamente negativa per l'efficacia del codice di Federico. Non è noto in che misura la Lega renana, fondata nel 1254, fosse intenzionata a ripristinare in modo programmatico l'ordinamento della pace di Magonza. Sembra comunque un dato interessante nel nostro contesto che, dopo il riconoscimento della Lega da parte di re Guglielmo d'Olanda (1247-1256), il suo giudice di corte partecipasse ripetutamente in qualità di suo rappresentante alle assemblee della Lega. Assume inoltre un notevole rilievo il fatto che per re Rodolfo d'Asburgo (1273-1291) la pace imperiale di Magonza emanata da Federico II fu uno strumento importante, del quale si servì nel quadro degli sforzi diretti a restituire credito alla monarchia tedesca. Nel corso del 1281 la rinnovò più volte con validità limitata ai diversi ambiti regionali, nel 1287 e nel 1291 però, secondo l'esempio di Federico, l'estese a tutto l'Impero. Il suo successore Adolfo di Nassau (1292-1298) e suo figlio Alberto (1298-1308) lo seguirono su questa strada, il primo nell'ottobre 1292, il secondo nel novembre 1298. A partire dal regno di Rodolfo, quindi, vi fu di nuovo un giudice di corte permanente.
fonti e bibliografia
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(traduzione di Maria Paola Arena)