PACE di Valentino
PACE di Valentino (detto Pacino). – Non si conoscono gli estremi biografici di questo orafo senese documentato a Siena, a Pistoia e presso la corte pontificia tra il 1257 e il 1296.
Le notizie che lo riguardano (Cioni, 2005, pp. 275-299; Le Pogam, 2004, p. 169) mettono in luce il ruolo decisamente rilevante che dovette avere nella seconda metà del Duecento, tanto da essere considerato l’orafo più importante e famoso a Siena prima di Guccio di Mannaia e di Duccio di Donato.
A dispetto delle significative e numerose testimonianze documentarie, la ricostruzione del percorso artistico di Pace di Valentino, in assenza di opere a lui esplicitamente e pianamente ascrivibili, si è presentata problematica. Risalgono al 1257 due pagamenti a «Pacino orafo» per la realizzazione del sigillo dei Signori del Divieto e per i sigilli per i panettieri (Cioni, 2005, p. 277); nel secondo caso è citato insieme agli orafi Filippuccio e Uguccione, ai quali lo legava probabilmente un rapporto di carattere societario. Si può ipotizzare perciò che dovesse avere allora almeno 20-25 anni ed essere nato verso il 1230-1235.
Nel 1264 fu pagato per il globo che ornava l’antenna del carroccio senese (ibid.). Godeva ormai di una fama prestigiosa, come dimostra il fatto che nel maggio 1265 l’Opera di S. Iacopo di Pistoia gli commissionò due oggetti estremamente sontuosi, ora perduti: un grande calice d’oro e una copertura di libro liturgico in argento dorato per la cui realizzazione Pace soggiornò a Pistoia dalla fine di maggio al settembre del 1265.
I documenti relativi (ibid., pp. 278-296) informano minuziosamente sul procedere dei lavori, sull’oro e sull’argento fornito all’orafo in forma di monete, sull’acquisto di perle e pietre preziose, sui soci che ebbe in questa impresa, alcuni dei quali senesi – come «Ugolino Oddorighi» e «Tura Bernardini» – su quanto gli fu corrisposto per il suo lavoro, sugli orafi pistoiesi che coinvolse nella lavorazione delle due opere. Destinate, per la loro preziosità, a essere esposte e non all’uso liturgico quotidiano, facevano parte del tesoro che veniva collocato sull’altare di S. Iacopo. Il grande calice d’oro, del peso di quasi 5 kg (Hueck, 1982, p. 261) e con figurazioni a rilievo, era ornato di una quantità enorme di perle e pietre preziose; la legatura di libro liturgico, in argento dorato, presentava in un piatto la Crocifissione e nell’altro la Maiestas Domini, a sbalzo, rispettando un’iconografia frequente nelle legature di epoca medievale, ed era arricchita con pietre preziose, perle, «turchiesi», smalti e con ogni probabilità anche con un cammeo (Cioni, 2005, pp. 110-114).
Dopo appena cinque anni dal suo primo soggiorno a Pistoia, Pace ricevette dall’Opera di S. Iacopo un’altra commissione prestigiosa: la patena d’oro per il grande calice eseguito nel 1265. Ornata anch’essa di gemme, perle e pietre, e con figurazioni, fu realizzata al tempo degli operai Francesco di Iacopo di Struffaldo e Aldibrandino di Ventura, in carica nel 1270 (ibid., p. 115). Nello stesso periodo l’orafo eseguì per l’Opera di S. Iacopo un altro calice e rifece e dorò un calice acquistato da Messagino e Ubaldecto, operai nel 1267 (ibid.). Il calice nuovo fu poi comprato dagli operai Genovese e Giovanni, in carica nel 1271 (ibid., pp. 115 s.). Hueck (1982) ha supposto, con convincenti argomentazioni di carattere documentario, ma non solo, che esso sia da identificarsi con quello detto di S. Atto (Pistoia, Museo della Cattedrale di S. Zeno): acquisizione critica di grande importanza, approfondita successivamente da Cioni (2005) che ha evidenziato come l’aspetto del calice pervenuto concordi con le citazioni inventariali relative a quello eseguito da Pace nel 1270, e sottolineato che si tratta di un’opera stilisticamente omogenea, nella quale è da escludere il reimpiego di pezzi più antichi (opinione condivisa da Giusti, 2004, pp. 164 s.; favorevole per un’attribuzione del calice a Pace anche Calderoni Masetti, 1996, ma 1997, pp. 89-91). Impossibile dunque, secondo Cioni (2005) che il calice sia quello che nell’inventario pistoiese del 1293 si dice realizzato da Andreuccio di Iacopo (cioè Andrea di Iacopo d’Ognabene) utilizzando due calici notevolmente più antichi (ibid., pp. 117-123), come proposto da Lucia Gai (1984, pp. 56 s., 205 n. 73). L’opera – con la quale si pone in forte continuità il calice eseguito da Guccio di Mannaia per Niccolò IV (1288-92) – rappresenta un fondamentale punto di partenza per la ricostruzione dell’attività di Pace di Valentino.
Cioni (2003, 2005) ha proposto di riferire all’orafo e ai suoi collaboratori anche il reliquiario della testa di S. Galgano, verosimilmente realizzato a ridosso del pulpito di Nicola Pisano per il duomo di Siena (1266-68), e la Croce Santa di Castiglion Fiorentino, dello stesso giro di anni, per la quale Hueck (1982) aveva già avanzato l’ipotesi di una realizzazione da parte di un orafo senese dopo il 1270. Secondo tale ricostruzione sarebbe da escludere l’ipotesi (Calderoni Masetti, 1996, pp. 89-91, 95 s.) di riconoscere in Pace di Valentino l’autore della «tabula super altare» dell’altare di S. Iacopo a Pistoia con figure il cui stile è sensibilmente diverso da quello dei bassorilievi di S. Galgano. Sembra infine che il maestro senese avesse realizzato per l’Opera di S. Iacopo anche una croce d’argento «habentem schultas ymagines evangelistarum et aliorum sanctorum» citata nell’inventario del 31 dicembre 1293 (Gai, 1994, pp. 72 s., 86).
Pace di Valentino fu anche il primo orafo senese attivo presso la corte pontificia, al tempo di Niccolò III, Martino IV, Onorio IV, Bonifacio VIII. Non abbiamo notizie che lo riguardino per il pontificato di Nicola IV e per quello, brevissimo, di Celestino V. Tuttavia, in un atto del luglio 1290, in cui compare come testimone, viene detto «orefice a Roma» (Bulgari, 1959). Nel maggio 1278 faceva parte dei cosiddetti «servientes armorum nigri» della famiglia pontificia (Cioni, 2005, pp. 296 s., n. 60); il 3 maggio 1285, dopo la morte di Martino IV, avvenuta a Perugia il 28 marzo, «magister Pace, aurifex familiaris et serzentis domini pape» (Onorio IV), fu rimborsato per le spese del suo alloggio durante la permanenza della Curia a Perugia (Le Pogam, 2004, pp. 100, 169). Nel gennaio 1296 Bonifacio VIII cedette al maestro senese numerosi beni situati a Montefiascone per servizi – non specificati – che aveva reso e continuava a rendere alla Chiesa e per i quali non aveva ricevuto compensi. Per questa concessione Pace e i suoi eredi erano obbligati a pagare un censo annuo di due lire (Cioni, 2005, pp. 298 s., nn. 65, 66).
Morì prima del gennaio 1300, quando il figlio, Antonio «quondam magistri Pacis de Senis», pagò il censo sui beni di Montefiascone (Cioni, 2005, p. 299, n. 67).
Le Pogam (2004) ha ipotizzato che l’architetto «Johannes Paxe» o «de Paxa» attivo presso la Curia pontificia nel 1284 possa identificarsi con un figlio dell’orafo senese.
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