PACE, Pace
PACE (Pase), Pace. – Non si conoscono l’anno e il luogo di nascita di questo pittore, figlio di Filippo, attivo a Venezia a partire dall’ultimo decennio del XVI secolo.
La prima attestazione documentaria che lo riguarda risale al 1594, quando il suo nome compare nelle liste degli iscritti dell’arte dei pittori, dove risulta immatricolato come «Pase Pase di Felippo Bontecchi» (Favaro, 1975, p. 142). Considerati i tempi tecnici di formazione necessari per entrare a far parte dell’arte, la sua data di nascita non dovrebbe dunque essere successiva alla metà degli anni Settanta. Secondo la proposta formulata da Hans Dieter Huber (2005, p. 100), che ritiene Pace coetaneo di Francesco Montemezzano e Antonio Vassilacchi detto l’Aliense, la sua nascita dovrebbe essere invece anticipata almeno al 1555.
Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile confermare l’ipotesi, ventilata in forma dubitativa da Giulio Lorenzetti (1926, p. 860), di una sua discendenza da Gian Paolo Pace (notizie dal 1528 al 1565: Biffis, 2009), né tanto meno quella di una sua parentela con gli omonimi pittori Giorgio e Antonio, i cui nominativi compaiono nelle matricole dell’arte rispettivamente negli anni 1626-29 e 1631-39 (Favaro, 1975, p. 154: «Zorzi Pase»; p. 145: «Antonio Pese»). Non è però da escludere la possibilità che questi ultimi due possano essere i figli del pittore, impegnati come da consolidata tradizione nella stessa professione paterna.
Sulla sua formazione non si hanno notizie dirette, anche se la critica è concorde nel ritenere che abbia svolto il suo apprendistato nella bottega veneziana dei Caliari a S. Samuele, gestita dopo la scomparsa di Paolo Veronese nel 1588 da un folto gruppo di allievi e seguaci raccolti sotto la sigla collettiva di «Heredes Pauli Caliari Veronensis». Tale ipotesi trova del resto conferma in due documenti del 1598, che certificano la stretta familiarità mantenuta con i Caliari anche a seguito della presumibile emancipazione professionale seguita all’iscrizione all’arte. Il nome di Pace compare infatti come testimone alla stesura del testamento dettato il primo maggio 1598 da Benedetto Caliari, fratello di Paolo, nonché a quella del codicillo aggiuntovi il 27 dello stesso mese (Caliari, 1888). Nello stesso periodo, inoltre, Pace presenziò assieme allo scultore Girolamo Campagna alla stipula dei patti nuziali tra Gabriele Caliari, figlio di Paolo, e Angela Galini, avvenuta nel giugno 1598 (Bratti, 1915).
La prima commissione affidata a Pace di cui si abbia notizia è la realizzazione della pala per l’altare concesso nel 1594 dal capitolo della chiesa dei Carmini di Venezia alla Scuola della beata Vergine del Carmelo, della quale lo stesso pittore era confratello. Tuttora in loco, la grande tela, in passato datata tra il 1592 (Mondini, 1675; Moschini, 1815) e il 1595 (Niero, 1960), venne in realtà eseguita in un momento successivo al 1597, quando la Scuola, constatata l’assenza di liquidità nelle sue casse, provvide a stornare verso l’impresa pittorica parte delle sue elemosine (Pandolfo, 1996); il dipinto fu comunque terminato entro il 1604, quando viene menzionato dal canonico Giovanni Stringa come opera «di recente fattura» (Sansovino, 1604).
L’immagine, sulla cui interessante iconografia si è soffermato Antonio Niero (1960), raffigura nella fascia superiore la Vergine che consegna lo scapolare a s. Simone Stock alla presenza di numerosi dignitari cattolici e in basso una scena di liberazione delle anime dal Purgatorio, funzionale a esaltare il ruolo di mediazione della Confraternita nelle preghiere di suffragio. Soprattutto questa sezione si distingue per la forte accentuazione dell’espressionismo fisiognomico, individuabile quale uno dei tratti più tipici dello stile di Pace, nel complesso connotato da una ricezione passiva degli aulici modelli veronesiani.
All’incirca contemporanea a questa impresa dovrebbe essere la pala con il Martirio di s. Sebastiano (Venezia, Gallerie dell’Accademia), proveniente secondo gli inventari ottocenteschi (Moschini Marconi, 1962, p. 149) dalla distrutta chiesa veneziana di S. Francesco della Croce, dove tuttavia non viene ricordata da nessuna fonte.
Nonostante la presenza della firma autografa «Pase Pace», il dipinto è stato a lungo confuso con un’opera di analogo soggetto realizzata per l’altare Querini nel convento di S. Maria delle Vergini da Antonio Vassilacchi detto l’Aliense, al quale fu per un certo periodo attribuito (ibid.). Datato da Huber (2005) alla fine degli anni Settanta, la sua esecuzione dovrebbe piuttosto cadere non prima della metà dell’ultimo decennio del Cinquecento, alla conclusione dei lavori di restauro della chiesa intrapresi nel 1583 sotto la guida di Antonio da Ponte (E.A. Cicogna, Delleinscrizioni veneziane, I, Venezia 1824, p. 237). Tale cronologia troverebbe anche conferma nel dato stilistico, ancora influenzato dai modi di Gabriele Caliari e dell’Aliense, dalla cui pala per S. Giovanni Evangelista con lo stesso soggetto Pace derivò in particolare la posa e l’espressione del santo (Huber, 2005).
Dallo stesso complesso conventuale di S. Francesco della Croce proveniva anche un grande telero di formato rettangolare raffigurante La lavanda dei piedi (Venezia, Gallerie dell’Accademia; in deposito a Chioggia, chiesa dei Filippini), firmato «Pase Pace fac.». L’opera, che anticamente si trovava «sopra la porta picciola a mano sinistra entrando in chiesa» (Boschini, 1664), fu forse commissionata dalla locale Confraternita del Sacramento che, stando alle guide, possedeva anche la vicina Crocifissione di Giovanni Contarini.
Non se ne conosce la datazione precisa, già fissata tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta (Huber, 2005, p. 102), ma le forme legnose e squadrate, la rigidezza delle pose, la mancanza di profondità dello spazio e l’uniformità tonale lasciano supporre una cronologia più avanzata rispetto al Martirio di s. Sebastiano, da porsi entro lo scadere del primo decennio del Seicento.
L’unica opera grafica attendibilmente attribuita a Pace è costituita da un disegno molto danneggiato, realizzato a inchiostro e acquerello su carta azzurrina, raffigurante Cristo che compie alcuni miracoli davanti agli apostoli (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degliUffizi, inv. 12885), sul cui verso è presente l’iscrizione «Pase Pase».
Sulla base di alcuni confronti stilistici con questo disegno, Hans Tietze ed Erika Tietze-Conrat hanno proposto di assegnare a Pace un ristretto gruppo di schizzi conservati agli Uffizi, tra cui si segnala una riduzione grafica, già riferita a Jacopo Tintoretto, del perduto telero di Veronese con Federico Barbarossa di fronte al pontefice realizzato per la sala del Maggior Consiglio di palazzo Ducale (inv. 1828F), e un modelletto con un’Allegoria della Lega Santa (inv. 12884), entrambi eseguiti con una tecnica mista di forte impronta pittorica. L’attribuzione a Pace dei due disegni, databili verso la metà degli anni Settanta (Huber, 2005, pp. 103 s.), rimane tuttavia molto problematica, e deve accogliersi per ora con ampia riserva.
Al momento non si conoscono ulteriori opere di Pace, anche a causa della scarsa attenzione dedicata dalla storiografia al contesto artistico veneziano di fine Cinquecento. Non è tuttavia escluso che la sua mano si debba individuare anche in altri dipinti di solito ascritti all’ambito degli «Haeredes Pauli», e in particolare in alcune opere assegnate a Gabriele Caliari, il cui stile – come dimostra il caso dell’Immacolata, firmata, ora nella parrocchiale di Liettoli di Campolongo Maggiore, Venezia (Fontana, 2003) – presenta forti affinità col linguaggio pittorico di Pace Pace.
Iscritto all’arte dei pittori fino al 1617 (Favaro, 1975, p. 151), Pace morì, verosimilmente a Venezia, non molto tempo dopo questo anno.
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissima… ampliata dal M.R.D. Giovanni Stringa, Venezia 1604, p. 184r; M. Boschini, Le mineredella pittura…, Venezia 1664, p. 501; F. Mondini, Carmelo il favorito, Venezia 1675, p. 60; A.M. Zanetti il Giovane, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia, Venezia 1733, p. 429; G. Moschini, Guida per la città di Venezia…, II, Venezia 1815, p. 257; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 729; P. Caliari, Paolo Veronese. Sua vita e sue opere, Roma 1888, pp. 184 s.; R. Bratti, Notizie d’arte e di artisti, in Nuovo Archivio veneto, XXX (1915), p. 451; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia1926, pp. 528, 860; H. Tietze - E. Tietze Conrat, The drawings of the Venetian painters in the 15th and 16th centuries, New York 1944, p. 192; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia, II, Opere d’arte del secolo XVI, Roma 1962, pp. 149 s.; A. Niero, La chiesa dei Carmini, Venezia 1960, pp. 21, 39 s.; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 305 s.; A. Zorzi, Venezia scomparsa, II, Milano 1972, pp. 325, 365; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 142, 151; A. Pandolfo, Note per i pittori P. P., Pietro Liberi e Gaspare Diziani nella chiesa di S. Maria dei Carmini a Venezia, in Arte veneta, IL (1996), 2, pp. 66-71; R. Fontana, La Vergine e S. Anna di Gabriele Caliari. Iconografia e committenza, in Venezia e Venezie…, Studi in onore di Massimo Gemin, a cura di F. Borin - F. Pedrocco, Padova 2003, pp. 69-77; H.D. Huber, Paolo Veronese. Kunst als soziales System, München 2005, pp. 100-104; M. Biffis, Di Zuan Paolo Pace, chierico e laico: documenti e riproposte, in Studi tizianeschi, VIII (2009), pp. 48-67; U. Thieme - F. Becker, Künsterlexicon, XXVI, p. 117, sub voce.