PACI
– Famiglia originaria di Porto di Fermo (odierna Porto San Giorgio), che gestì per tre generazioni la maggiore manifattura di maioliche attiva ad Ascoli Piceno.
I Paci riuscirono a concretizzare l’impresa iniziata nel 1787 da Valerio Malaspina, abate del convento olivetano di S. Angelo Magno, e ad assicurare alla fabbrica stessa un successo che, sia pure circoscritto all’ambito piceno, fu certamente considerevole e duraturo. Non meno importante risulta il ruolo che essi assolsero nel campo della promozione culturale, impegnandosi anche in altri settori artistici come la scultura, la pittura e la musica, ma soprattutto esercitando una costante opera di insegnamento nei confronti dei giovani ascolani.
Il capostipite, Giorgio, nacque a Porto San Giorgio il 9 gennaio 1753 da Domenico e da Maria Nicolini. Niente si conosce di lui prima che il suo nome compaia nel rogito relativo al contratto di affitto della fabbrica di maioliche situata negli orti del convento olivetano, stipulato ad Ascoli il 25 maggio 1792 fra Valerio Malaspina, i fratelli Giacomo e Agostino Cappelli, patrizi ascolani, e il conte Francesco Savero Gigliucci; questi ultimi si facevano obbligo «di ritenere in società con loro Giorgio Paci, attuale lavorante di dette majoliche senza che lo possino mandare via durante detto affitto» (Gagliardi, 1992, p. 29). Paci lavorava dunque presso la manifattura prima del 1792, forse sin dal tempo in cui l’industria era diretta da Nicola Giustiniani (1789-91), con il quale potrebbe aver iniziato la sua attività di ceramista. Fino al 1809 i fratelli Cappelli gestirono in proprio la manifattura, come risulta dai ruoli delle imposte comunali dove Agostino è assoggettato a un tributo di 20 lire italiane ed è indicato come «majolicaro» (ibid., p. 31). Nel 1810 i due fratelli furono sostituiti da Giorgio; è lui infatti il destinatario di una missiva da parte del podestà di Ascoli che lamenta il fatto che Paci avesse ingombrato e sporcato alcune strade cittadine con i rottami della sua fabbrica «soggiungendo il divieto di produrre appresso tale imparasso nelle menzoniate vie» (ibid., p. 31). Evidentemente, dopo la soppressione dei conventi e la conseguente espulsione degli olivetani dal convento di S. Angelo, i Cappelli preferirono ritirarsi dall’impresa e Giorgio, in qualità di lavorante anziano ormai ben introdotto nell’attività della fabbrica, assunse la gestione della manifattura: ma si trattò soltanto di una breve parentesi, perché fu presto costretto ad abbandonare i locali ormai di proprietà del demanio. Per quanto concerne l’attività di ceramista, la sua figura presenta contorni sfumati a causa della mancanza di notizie attendibili, anche per la brevità del tempo in cui resse le sorti della fabbrica, essendo morto ad Ascoli nel 1811.
Durante gli anni in cui guidò l’impresa familiare, realizzò stoviglie dalle forme semplici, caratterizzate da decorazioni sobrie, ottenute principalmente con il giallo, il turchino, il verde chiaro, il rosso pallido e il grigio. Pur in un quadro operativo tutt’altro che definito, gli si può attribuire il merito di aver introdotto nell’ambito della manifattura taluni motivi decorativi che ne caratterizzarono la produzione nei decenni seguenti; in particolare la consuetudine di rincorrere a una tecnica imitativa dei marmi e delle brecce orientali e la comparazione di elementi floreali, con le rose in evidenza, che divennero caratteristici della manifattura ascolana.
Scomparso Giorgio, nell’aprile 1812 i suoi figli Luigi, Domenico e Gaetano si rivolsero alla viceprefettura di Ascoli per avere il permesso di poter avviare una fabbrica di maioliche nella città; vista la non competenza di quell’ufficio, il 14 agosto successivo Luigi inoltrò una nuova domanda al gonfaloniere che concesse alla famiglia il permesso di fabbricare e di vendere maioliche nell’edificio posto nell’odierna via Tito Betuzio Barro.
Luigi, figlio maggiore di Giorgio, era nato ad Ascoli nel 1781. Prese in mano le redini dell’azienda rifondata nel 1812 e la diresse fino agli anni della chiusura, intrecciando la propria opera con quelle dei fratelli e dei quattro figli nati dal matrimonio con Elisabetta Loreti. Educato al disegno presso il pittore ascolano Nicola Monti, si dedicò soprattutto al lavoro al tornio e alla creazione di numerosi modelli, affidandone la decorazione ai fratelli minori, Domenico e Gaetano. Rimasto nell’ombra rispetto agli altri familiari che si dedicarono anche alla scultura, ricoprì un ruolo tutt’altro che marginale nella gestione della manifattura; quale fosse il fatturato di questa negli anni in cui la diresse si ricava dal III Quadro parziale del Regno minerale della statistica industriale e manifatturiera dello Stato della Chiesa nell’anno 1824 [...], dal quale risulta che la fabbrica, presso la quale erano impiegati tre uomini e due ragazzi, produceva vasami grezzi e verniciati, cocciame d’ogni sorta da fuoco e da servizio ordinario per un totale di 30.000 pezzi dei quali 26.000 consumati all’interno dello Stato. Luigi morì ad Ascoli nel 1860.
Domenico, secondogenito di Giorgio, nacque ad Ascoli nel1785. Frequentò come i fratelli la scuola di disegno di Monti e seguì gli insegnamenti di Agostino Cappelli che lo avviò alla scultura, indirizzandolo verso forme ancora legate al gusto tardo barocco di Lazzaro Giosafatti.
La statua raffigurante S. Biagio con il bambino guarito, conservata nella cripta del duomo di Ascoli Piceno, mostra infatti nell’ampio snodarsi del panneggio del piviale e nel volto del bambino il persistente richiamo dei modelli giosafatteschi. Soltanto dopo un soggiorno di studio a Perugia presso Francesco Bodi e alcuni viaggi a Roma, Domenico accolse i precetti neoclassici, come mostra la Stele funeraria di Giampietro Siliquini modellata nel 1822 per la chiesa dei Cappuccini di Ascoli; il bozzetto in terracotta, conservato presso la Pinacoteca civica della città, rivela la derivazione dalla Stele di Giovanni Volpato, realizzata da Antonio Canova nella basilica romana dei Ss. Apostoli. Al 1830 risale invece la creazione di un Presepio per la basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi, composto da varie figure policrome a grandezza naturale, modellate con accurata perizia e importante moderato realismo.
Tornato in patria dopo essere stato insegnante di plastica presso l’Accademia di Perugia, Domenico offrì altri saggi della sua abilità, tanto nel campo della scultura funeraria quanto in quello della produzione sacra, apportando questa sua competenza anche nella realizzazione di manufatti in maiolica ornati da rilievi. Morì ad Ascoli nel 1863.
Gaetano, terzogenito di Giorgio, nacque ad Ascoli nel 1786. Si occupò prevalentemente degli aspetti tecnici della manifattura, curando la cottura ‘a gran fuoco’ delle stoviglie e dei grandi vasi da vino e da olio destinati al mercato popolare. Abilissimo nel preparare le vernici, sebbene avesse frequentato con i fratelli la scuola di Monti, non fu raffinato pittore e si dedicò soprattutto alla decorazione floreale, caratterizzata da colori vivi, tratti duri e rapide sfumature, secondo uno stile abbreviato e corsivo destinato ai prodotti di più frequente smercio. Morì ad Ascoli nel 1859.
Dei quattro figli maschi di Luigi, soltanto Vincenzo, nato ad Ascoli Piceno nel 1811 e qui morto nel 1866, trascurò l’attività ceramica per dedicarsi alla fabbricazione di organi mentre i fratelli, pur coltivando anche altre inclinazioni artistiche, coadiuvarono il padre e gli zii nell’impresa familiare, perpetuando così per la terza generazione una pratica che nell’opinione della clientela si identificava con la famiglia stessa.
Emidio, primogenito di Luigi, nacque ad Ascoli nel 1809. Mostrò sempre una spiccata predilezione per la plastica, certo nata nell’ambito della bottega familiare e incoraggiata dall’insegnamento dello zio Domenico. Intorno al 1830, munito di una raccomandazione del frate ascolano Gregorio Nardinocchi, si recò a Roma presso il pittore Giovanni Silvagni che lo indirizzò a frequentare l’Accademia di S. Luca. Grazie agli insegnamenti di Pietro Tenerani, sviluppò presto un’eccellente vena artistica attestata dal gruppo di ispirazione canoviana raffigurante l’Addio di Achille a Peleo, un tempo conservato nella collezione Alessandrini di Ascoli Piceno. Fu forse Tenerani a presentarlo a Tommaso Minardi che lo accolse nel suo studio di pittura a palazzo Colonna, insieme ad altri artisti marchigiani residenti nell’Urbe; ma a dispetto di un’educazione fondata sul più rigido rispetto dei precetti puristi, appresi direttamente dagli stessi promotori del movimento, Emidio si mostrò sempre incapace di porre un freno al proprio furor creativo, segnalandosi più per la sbrigliata inventiva e per la virtuosistica celerità acquisita nel modellare la creta che per la strenua applicazione all’esercizio scultoreo.
Dopo aver collaborato con Tenerani al Monumento funebre di Pio VIII per la basilica di S. Pietro in Vaticano, si segnalò fra gli appassionati d’arte della colonia internazionale dell’Urbe per i bozzetti in terracotta raffiguranti i Costumi di Roma, nati forse in concorrenza, se non in anticipo, con le analoghe figurazioni plastiche di Bartolomeo Pinelli degli anni Trenta. In uno studiolo preso in affitto presso il ponte di S. Angelo, esponeva anche i suoi presepi, le statue di soggetto sacro nonché gruppi di carattere storico o mitologico; ma specialmente colpivano i clienti i vivaci putti che formavano le serie dei dodici Mesi dell’anno, delle Costellazioni, delle quattro Stagioni (Papetti, 1995, pp. 244-247).
Dopo il suo definitivo ritorno ad Ascoli, nel 1844, Emidio fu apprezzato dai concittadini in occasione di allestimenti celebrativi come quello progettato per la visita di Pio IX nel 1857.
Tra il 1850 e il 1875, non ci fu chiesa ad Ascoli che non abbia avuto un apparato decorativo realizzato da Emidio; sebbene molte delle sue opere siano andate perdute nel corso dei successivi rifacimenti, basta guardare gli splendidi stucchi del soffitto della chiesa di S. Tommaso, risalenti al 1872, per apprezzarne le doti di abile improvvisatore, capace di rievocare nell’età sabauda le sprezzature del barocchetto e le cadenze eleganti del classicismo di ascendenza pompeiana: il tutto nel segno di un artigianato eletto e coltivato che fu apprezzato non soltanto ad Ascoli, ma anche a Fermo e in altri centri minori del territorio.
Come collaboratore della manifattura familiare, Emidio mise a frutto la sua abilità di scultore realizzando decorazioni plastiche per stoviglie e vasi ornamentali.
Morì a Roma, in miseria, il 22 novembre 1875.
Giovanni, terzogenito di Luigi, nato ad Ascoli nel 1815, fu il più abile maiolicaro fra i figli di Luigi (Luzi, 1899; Gabrielli,1948). Educato dallo zio Domenico nel campo del disegno, si applicò esclusivamente alla decorazione pittorica delle maioliche modellate dal padre e, avvalendosi dei precetti appresi dallo zio Gaetano, raggiunse un alto livello qualitativo.
Il fatto che i Paci non abbiano mai usato un marchio di fabbrica, se da un lato è indice di una vocazione manifatturiera destinata al commercio locale più che all’esportazione, dall’altro non agevola il riconoscimento delle loro opere e tanto meno aiuta a individuare quelle dipinte da Giovanni. La tradizione cittadina lo dice abilissimo nel genere paesaggistico e nella decorazione floreale, ma i saggi più significativi di questa sua specializzazione, posseduti un tempo dai marchesi Colucci (Papetti, 1995, p. 216) sono andati in gran parte perduti. Privi di figurine, i paesaggi di Giovanni sono caratterizzati da una stesura cromatica rapida e compendiaria: gli smalti lucenti e trasparenti definiscono vedute che indulgono nella descrizione dell’ambiente locale ricco di spunti pittoreschi, piuttosto che nel vagheggiare una natura idealizzata, composta secondo i canoni del paesaggismo settecentesco. Non minore originalità Giovanni mostra nelle decorazioni di carattere floreale che trovano nella ‘Rosa dei Paci’ il motivo di maggiore interesse. Disposti in piccoli mazzi che si adattano alla superficie da decorare, i fiori dipinti sono freschi e vivaci nei loro colori squillanti. Sia che si tratti di festoni o di bouquets campestri, una o due rose di un caratteristico tono sanguigno campeggiano in bella mostra: sono tracciate con sicurezza, grazie a pochi colpi di pennello che delineano i petali esterni e, sfruttando la trasparenza del colore, il cuore carnoso e fragrante del fiore, formato da un viluppo di linee rossastre. Senza ricorrere alla ‘terza cottura’ che poteva garantire migliori risultati ma che avrebbe richiesto un maggiore impegno tecnico, Giovanni emulò decorazioni floreali analoghe elaborate a Faenza, a Pesaro e in altre manifatture ceramiche europee: anche in questa circostanza la sua imitazione non fu pedissequa e banale, assumendo anzi il carattere di un segno distintivo della manifattura ascolana.
Morì ad Ascoli nel 1846.
Giorgio, quartogenito di Luigi, nacque ad Ascoli nel 1820. Come il fratello Emidio, frequentò a Roma lo studio di Tenerani e i corsi dell’Accademia di S. Luca, distinguendosi fra gli allievi dello scultore per la fedeltà ai modelli del maestro. Rinunciando a una brillante carriera nell’Urbe, già negli anni Quaranta ritornò ad Ascoli e partecipò alla decorazione plastica del teatro Ventidio Basso, progettato da Ireneo Aleandri e concluso da Giovanni Battista Carducci.
Di Giorgio sono anche le quattro statue allegoriche che ornano l’atrio e il Busto della soprano Anna la Grange, ‘vedette’ del teatro piceno. In queste opere, come nel Monumento Marcatili della chiesa dei Cappuccini (1853), lo scultore mostra di adeguarsi agli insegnamenti di Tenerani, interpretando con grande fedeltà i precetti del purismo. Questa fase è ben testimoniata anche dalle sculture in stucco realizzate per ornare il baldacchino di gusto neogotico progettato da Giuseppe Sacconi nel 1892 per la cattedrale di Ascoli. Le statue raffiguranti gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa, nonché i medaglioni con i Profeti rivelano i segni di un accentuato realismo, soprattutto nella definizione dei volti severi, incorniciati da barbe fluenti. Tali aspetti emergono in particolare nei modelli in terracotta, conservati presso la Pinacoteca comunale, la prestigiosa istituzione ascolana che proprio Giorgio Paci con Giulio Gabrielli contribuirono a far nascere nel 1860.
Nell’ambito della manifattura ceramica Giorgio ebbe un ruolo secondario, partecipando per lo più alla decorazione plastica dei manufatti e modellando in proprio statuine da presepio assai simili a quelle realizzate dal fratello Emidio. Morì ad Ascoli nel 1914.
Correggendo quanto affermato da Luzi (1899), secondo il quale la manifattura Paci fu chiusa nel 1865, Gagliardi (1993) ha reso nota una lettera inviata da Luigi e Gaetano Paci nel settembre 1856 agli amministratori del Comune di Ascoli Piceno tramite la quale i due maiolicari, «impediti per l’età avanzata e per i mali che ne conseguono a proseguire nell’esercizio della propria professione» (ibid., p. 37),chiedevano di poter cessare la propria attività. Nel 1857 la manifattura risulta ormai definitivamente soppressa: dopo cinquant’anni si chiudeva così un’impresa artistica fondata sulla collaborazione familiare e sul modello della bottega artigianale, una formula che nel pieno Ottocento andava ormai cedendo il passo all’industria.
Fonti e Bibl.: E. Luzi, La ceramica ascolana, Firenze 1889, p. 3; G. Castelli, L’istruzione nella provinca di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1899, pp. 291-298; R. Gabrielli, All’ombra del colle di S. Marco, Ascoli Piceno 1948, p. 297; C. Mariotti, Il monastero e la chiesa di S. Angelo in Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1949, p. 54; G.C. Polidori, Mostra dell’antica maiolica abruzzese (catal., Napoli-Teramo), Cava dei Tirreni 1955, nn. 191 s.; Id., La ceramica in Ascoli Piceno, in La ceramica, 1956, n. 11, pp. 23-27; G. Fabiani, Ascoli nel Cinquecento, II, Ascoli Piceno 1959, p. 272; Id., Ascoli nel Quattrocento, II, Ascoli Piceno 1968, pp. 231-239; G. Gagliardi, Come nacque e si sviluppò la fabbrica dei P., in Piceno economia, IV (1992), pp. 29-31; B. Montuschi, Simboli,per un repertorio dei motivi iconografici della maiolica arcaica dell’Italia centrale, in Ceramica fra Marche e Umbria… Atti del convegno, Fabriano… 1989, a cura di G.C. Boiani, Faenza 1992, pp. 11-30; S. Cuppini, in La scultura nelle Marche, a cura di P. Zampetti, Firenze 1993, pp. 459 s.; G. Gagliardi, Ascoli fu sede di intensa attività della ‘Rosa dei Paci’, in Piceno economia, V (1993), pp. 37 s.; S. Papetti, Ascoli Piceno, Pinacoteca civica. Disegni, maioliche, porcellane, Bologna 1995, pp. 209-213, 216, 244-247; Id., Maioliche e terraglie in Ascoli Piceno, in Fatti di ceramica nelle Marche, a cura di G.C. Boiani, Milano 1997, pp. 225-237; Id., in Il Tempo del bello:Leopardi e il neoclassicismo tra le Marche e Roma (catal., Recanati), a cura di C. Costanzi - M. Massa - S. Papetti, Venezia 1998, pp. 78-90; Id., Da Canova a Tenerani: aspetti della scultura marchigiana del primo Ottocento, in Quei monti azzurri. Atti del convegno, Ancona… 2000, a cura di E. Carini - P. Magnarelli - S. Sconocchia, Venezia 2002, pp. 835-843.