PACIFISMO
(XXV, p. 879)
Il p., come rifiuto della guerra e impegno per la soluzione nonviolenta dei conflitti, ha segnato profondamente la seconda metà del 20° secolo, sviluppando idee e movimenti che si sono misurati con gli avvenimenti internazionali, le vicende nazionali e le culture ed esperienze politiche più diverse.
Dal passato, il p. ha ereditato diverse tradizioni ideali. Il p. liberale, che confidava negli esiti pacificatori dell'estensione del capitalismo, del libero commercio e della crescita economica su scala mondiale, ha avuto fino alla seconda guerra mondiale una grande influenza, soprattutto nei paesi anglosassoni e del Nord Europa. Il p. socialista, nelle sue varie ramificazioni, importante anche in Italia, legava il superamento della guerra alle trasformazioni economiche e sociali. Il p. cristiano, con radici profonde nelle origini del cristianesimo, nelle sette protestanti e nella tradizione francescana, sottolineava la responsabilità morale del credente di fronte alla guerra. Il p. nonviolento, ispirato all'opera di M.K. Gandhi, poneva l'accento sui mezzi per raggiungere la pace e sulla necessità di un impegno delle persone, basato su principi religiosi o etici, per la riduzione della violenza non solo tra gli stati, ma anche nella società. Il p. giuridico si concentrava invece, dai tempi di Kant, sulla ricerca di ordinamenti internazionali capaci di superare la guerra, e condusse alla creazione di importanti istituzioni sovranazionali come le Nazioni Unite.
Questi filoni del p., insieme a molti altri con radici, per es., nelle religioni orientali, nei movimenti delle donne, nelle campagne antimilitariste, in teorie sociali o in formazioni politiche particolari, hanno subito nel 20° secolo una ridefinizione importante con la seconda guerra mondiale. L'esigenza di opporsi sia al fascismo e al nazismo da un lato, sia a un eventuale nuovo conflitto mondiale dall'altro, ha avuto l'effetto di spiazzare le culture e le forze pacifiste così come si erano affermate nel periodo tra le due guerre. Ma è stato soprattutto l'inizio dell'era nucleare, con l'esplosione della prima bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945, a trasformare l'obiettivo stesso del p.: non più solo il superamento dei conflitti armati tra stati, ma la sopravvivenza dell'umanità in un mondo capace di distruggersi completamente. La genesi dell'era nucleare si è associata al consolidamento, alla fine degli anni Quaranta, di un sistema internazionale che divideva i paesi europei nei blocchi contrapposti del Patto Atlantico e del Patto di Varsavia, con l'avvio della corsa al riarmo, sia nucleare che convenzionale, tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
In questo contesto, il p. dell'immediato dopoguerra ha mantenuto, in Europa occidentale, il carattere di lotta antifascista e d'opposizione all'imporsi del potere politico ed economico degli Stati Uniti, sostenuto dalla supremazia militare. In Italia un punto di riferimento rilevante è stato l'articolo 11 della Costituzione che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Strette dagli schieramenti internazionali, le tradizioni pacifiste liberali e cristiane si sono ridotte a percorsi di coscienze individuali mentre le forze politiche a esse ispirate accettavano alleanze militari come la NATO e l'installazione nei paesi europei occidentali di basi per bombardieri e missili nucleari statunitensi e, in Gran Bretagna e Francia, il successivo sviluppo di armi atomiche nazionali.
Il p. socialista e comunista è stato, nella seconda metà degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta, l'oppositore principale dell'escalation nucleare e del consolidamento della ''guerra fredda''. Molte campagne pacifiste e antinucleari sono state ispirate in particolare dai partiti comunisti, con appelli internazionali, campagne d'informazione, petizioni che puntavano ad allargare la sensibilità dell'opinione pubblica e lo schieramento politico contrario alla strategia militare degli Stati Uniti. Queste iniziative erano spesso sostenute da organismi come il Consiglio mondiale per la pace, promosso dall'Unione Sovietica, che da un lato utilizzava la retorica pacifista e dall'altro era impegnata nella rincorsa della supremazia nucleare degli Stati Uniti.
In Italia l'esperienza principale di questo tipo è stata quella del movimento dei ''partigiani della pace'', che si è variamente incontrata con l'elaborazione di pensiero di alcuni intellettuali e gruppi sia della sinistra sia di tradizione cattolica, come G. La Pira a Firenze, o nonviolenta come A. Capitini a Perugia, che organizzò il 24 settembre 1961 la prima marcia per la pace PerugiaAssisi. Nel resto d'Europa si sono sviluppate dinamiche analoghe, e la riflessione e la pratica del p. ha mantenuto stretti legami con la politica della sinistra, in particolare con lo spazio concesso ai temi della pace e del disarmo nei programmi dei partiti socialdemocratici, laburisti e comunisti. Al di fuori della sinistra, l'impegno maggiore è stato quello dei gruppi nazionali legati alla War Resisters' International nell'ambito del p. nonviolento, e alle chiese protestanti (quaccheri, ecc.) nell'Europa settentrionale.
Dalla metà degli anni Cinquanta di particolare rilievo è stata la vicenda del p. inglese, con l'opposizione alla decisione del governo di costruire una bomba atomica britannica. Venutasi a inserire in una storia pacifista già ricca e articolata, quest'esperienza ha condotto a un modello specifico di rifiuto politico e morale delle armi nucleari, l'''unilateralismo'', e a una forte organizzazione non partitica, la Campaign for Nuclear Disarmament (CND), fondata nel 1958 e diretta inizialmente dal filosofo B. Russell, dal pacifista cristiano C. Collins e dal laburista M. Foot. Oltre ai ricorrenti tentativi (con esiti alterni) di far adottare dal Labour party una politica di disarmo nucleare unilaterale, il CND organizzò con successo fino ai primi anni Sessanta le ''marce di Pasqua'' da Aldermaston a Londra e una serie di azioni dirette, con sit-in nel centro di Londra e presso le basi militari.
Negli anni Sessanta la situazione internazionale vide allentarsi i rigori della ''guerra fredda'', con i primi accordi sugli esperimenti nucleari, con una maggiore stabilità in Europa e con le aperture della chiesa cattolica attraverso il Concilio Vaticano ii. Intanto, fuori dall'Europa, si andava consolidando il processo di decolonizzazione con il connesso affermarsi dei movimenti di liberazione nazionale nel Terzo Mondo, e acquistava crescente rilevanza la guerra del Vietnam. Le rivolte del 1968 aprirono in tutti i paesi nuovi spazi di critica radicale della politica e della società, entro cui si svilupparono nuovi movimenti, destinati a intrecciarsi con il p., come la nuova sinistra, l'anti-imperialismo, il femminismo, l'ecologismo.
Tra la metà degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta queste vicende portarono a una relativa eclisse del p., che seguì percorsi particolari nei diversi paesi, spesso all'interno dei suoi diversi filoni. In Italia, negli schieramenti di sinistra divenne predominante la mobilitazione a favore del Vietnam, con il mutamento dell'approccio pacifista nel senso della solidarietà antimperialista. Nel mondo cattolico si svilupparono nuovi fermenti, con l'impegno di persone come don L. Milani ed E. Balducci, e le loro prese di posizione a favore dell'obiezione di coscienza, condannata dai tribunali dell'epoca. Il p. nonviolento stava approfondendo il lavoro impostato da Capitini e vedeva nascere le nuove iniziative del Partito radicale, mentre maturavano la particolare esperienza educativa di D. Dolci in Sicilia e l'impegno degli scienziati coinvolti nelle Conferenze di Pugwash. Tra il 1968 e la fine degli anni Settanta la nuova sinistra avviò una critica delle istituzioni militari non tanto quali strutture di preparazione alla guerra, quanto soprattutto per il carattere repressivo della loro organizzazione, favorendo la crescita di un movimento di opposizione tra i giovani di leva e i militari di orientamento democratico, che portò alla creazione di rappresentanze sindacali tra le forze armate.
A livello internazionale le culture pacifiste alimentarono le elaborazioni e le esperienze più diverse, arricchendosi e radicandosi in situazioni sociali particolari. Negli Stati Uniti, le campagne di M.L. King mostravano un legame evidente con il movimento per i diritti civili e il ricorso ai metodi della nonviolenza. In Gran Bretagna, con il caso della Lucas Aerospace, nascevano nel movimento sindacale le prime iniziative per la riconversione civile dell'industria militare. In tutto il mondo il movimento femminista coinvolgeva nella critica al sistema patriarcale anche il potere militare, mentre il movimento ecologista avviava le campagne contro le centrali nucleari, mettendo a fuoco il legame tra modello energetico e armi atomiche.
Ma l'epoca della distensione intanto volgeva al termine. Nel 1979 la stretta della ''guerra fredda'' tornò al centro della scena, con nuove tensioni sorte tra USA e URSS per l'invasione sovietica dell'Afghānistān e lo spiegamento dei missili SS-20, a cui la NATO rispose con la decisione d'installare entro il 1983 in Europa i nuovi missili Cruise e Pershing II. Il ritorno della minaccia nucleare nel cuore dell'Europa, la nuova fase di riarmo Est-Ovest e il tentativo degli Stati Uniti, con l'amministrazione Reagan, di restaurare sull'Europa occidentale un'egemonia in declino, facendo ricorso a una rinnovata supremazia militare, ebbero l'effetto di rilanciare in pochissimo tempo un grande movimento pacifista in tutto l'Occidente. Una piattaforma comune è stato l'Appello per il disarmo nucleare in Europa (1980) che chiedeva di liberare il continente "dal Portogallo alla Polonia" dalle armi nucleari, e mirava al superamento del sistema dei blocchi, aprendo per la prima volta un dialogo tra i pacifisti dell'Ovest e i gruppi pacifisti indipendenti dell'Est. Inoltre, l'European Nuclear Disarmament (END), animato dallo storico inglese E.P. Thompson, si veniva affermando come un centro di coordinamento internazionale, promovendo annualmente le ''Convenzioni END'' alle quali partecipavano migliaia di persone e centinaia di gruppi nazionali.
Le campagne contro gli euromissili mantennero tuttavia caratteristiche nazionali differenziate, segnate dalla varietà di culture verdi, socialdemocratiche e religiose in Germania, dalla tradizione unilateralista in Gran Bretagna, dall'attività delle chiese protestanti in Olanda, dall'impegno della sinistra in Italia. Le iniziative si concentrarono soprattutto intorno alle basi destinate alla installazione di missili (in Italia presso la base di Comiso, in Sicilia) con manifestazioni e ''campi per la pace''. La pratica della nonviolenza venne rapidamente acquisita da parte di tutti i settori del p. e si diffusero nuove forme di lotta, come i sit-in e le catene umane, che circondavano le basi militari o univano tra loro luoghi distanti ma di valore simbolico. Petizioni, ''referendum autogestiti'' e richieste di consultazioni popolari rappresentarono le altre iniziative che raccolsero in Italia l'adesione di milioni di persone. Le campagne pacifiste culminarono il 22 ottobre 1983 con manifestazioni contemporanee in molte capitali europee, tra le più grandi per affluenza della storia recente. Si calcola che oltre cinque milioni di persone abbiano manifestato in quei giorni in Europa. Nonostante queste proteste popolari, i governi e i parlamenti nazionali confermarono la scelta d'installare i missili, che nei mesi successivi giunsero nelle basi previste. Il contrasto tra le scelte militari di riarmo e i principi della democrazia, della sovranità nazionale e della volontà popolare resta una delle questioni di fondo sollevate dal pacifismo.
Le campagne pacifiste svoltesi degli anni Ottanta hanno avuto effetti che vanno al di là delle scelte politiche in senso stretto. Sui temi della pace si sono moltiplicate iniziative nel campo della didattica e della scuola, da parte di scienziati, giuristi, medici e rappresentanti di altre professioni. In Italia un tentativo di raccogliere questa varietà di esperienze ha portato alla nascita, nel 1988, dell'Associazione per la pace.
Uno degli aspetti più importanti del p. degli anni Ottanta è stato l'emergere di un radicato p. femminista.
Il punto di partenza simbolico è nel 1981, quando un gruppo di donne inglesi (Women for life on earth) raggiunsero la base di Greenham Common destinata a ospitare i missili Cruise, attrezzando un ''campo per la pace'', che ospitava solo donne e destinato a durare per anni. Le iniziative andavano dall'intralcio ai lavori di preparazione della base, al blocco dei cancelli, all'invasione della base, all'inseguimento dei convogli dei Cruise una volta installati. La sfida dell'illegalità (che costò processi e carcere) era rigorosamente nonviolenta e l'esclusione degli uomini dal campo accentuò la contraddizione tra il comportamento pacifista delle donne e le azioni repressive dei militari. Analoghe esperienze vennero poi realizzate in tutta Europa, e Greenham Common rimase come esempio tra le donne di un p. più personale e di testimonianza, senza forme organizzative tradizionali e con strategie nuove.
Si è venuta così sviluppando una riflessione femminista internazionale che ha assunto come modello il tema della nonviolenza, criticando i modelli maschili di aggressività e oppressione sulla donna, le forme di potere maschile mutuate dal modello della guerra e della vittoria del ''forte'' sul ''debole''. La ricerca di modelli umani di società a misura di donna è venuta alimentandosi dalla rilettura di testi come Le tre ghinee di V. Woolf e Cassandra di Ch. Wolf. In Italia il mondo femminista ha resistito al riproporsi di un modello femminile mite, materno e pacifico, e più che ad azioni dirette nonviolente si è dedicato a scambi con le donne "dell'altro blocco'', pacifiste e dissidenti di Cecoslovacchia e Germania est, e ad approfondire la critica della guerra e la ricerca di modelli di conflitto diversi, che tenessero conto della cultura della ''differenza sessuale''.
L'impatto così pervasivo del p. non ha risparmiato le stesse diplomazie; il rifiuto di massa delle armi nucleari ha finito per condizionare progressivamente le posizioni dei governi sulle strategie militari e sui negoziati per il disarmo. L'influenza più rilevante del p. si ritrova nel nuovo modo di pensare dell'Unione Sovietica in coincidenza con l'avvento di M.S. Gorbačëv, che rompe con la logica dell'equilibrio strategico che aveva alimentato il riarmo nucleare, e adotta il concetto di difesa "sufficiente''. Si apre così la via per riduzioni "asimmetriche'' delle armi atomiche e delle forze convenzionali, con il ritiro degli euromissili pochi anni dopo la loro installazione per effetto del trattato INF (Intermediate Nuclear Forces).
Alla fine degli anni Ottanta si assiste a un accelerarsi delle trasformazioni all'interno dell'Unione Sovietica e del blocco dell'Est e, nella fase di transizione in Germania est, Ungheria e Cecoslovacchia, un ruolo chiave viene svolto proprio dai gruppi indipendenti − chiese, gruppi civici, Charta 77- che erano stati gli interlocutori dei pacifisti occidentali. Con la fine della ''guerra fredda'', con il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e con la successiva dissoluzione dell'URSS, anche per il p. si chiude un'epoca, che lo aveva visto così a lungo stretto nella morsa dei blocchi, concentrato sulla questione del disarmo e sulla necessità assoluta di evitare lo sterminio di un conflitto nucleare. Tuttavia le grandi aspettative di una nuova era senza la minaccia della guerra vengono presto deluse. L'Occidente non procede verso un disarmo radicale e i ''dividendi economici'' della pace restano sulla carta. L'invasione irachena del Kuwait nell'agosto 1990 apre una nuova crisi internazionale che porterà alla Guerra del Golfo, combattuta contro l''Irāq da una coalizione di paesi occidentali (tra cui l'Italia) e arabi moderati, sotto la guida degli Stati Uniti e con la copertura dell'ONU.
Il p., che in Italia e nel resto dell'Occidente era da tempo impegnato nella questione mediorientale (con iniziative, come quella a Gerusalemme nel Natale 1989, insieme a palestinesi e pacifisti israeliani), di fronte alla crisi del Golfo risponde contribuendo alla liberazione degli ostaggi occidentali bloccati in 'Irāq, tentando azioni di diplomazia popolare, cercando strade per evitare la guerra e ottenere il ritiro iracheno e la democratizzazione del Kuwait.
Mentre si sviluppa un'intensa discussione sulla natura "giusta'' o "ingiusta'' della guerra, riprendono in Europa le manifestazioni contro la partecipazione al conflitto, anche da parte delle ''donne in nero'', gruppi di donne vestite a lutto che si radunano regolarmente nelle piazze di molte città, riprendendo la forma di testimonianza silenziosa lanciata tre anni prima da un gruppo di pacifiste israeliane contro l'occupazione dei territori palestinesi.
Il ruolo svolto dall'ONU nell'avallare l'iniziativa degli Stati Uniti nella Guerra del Golfo, il profilarsi di un nuovo scontro tra Nord e Sud del mondo e l'annuncio del presidente statunitense G. Bush di un nuovo ordine mondiale, pongono al centro della riflessione pacifista degli anni Novanta la questione dell'ordinamento internazionale e degli strumenti per un suo governo democratico, capace di prevenire e risolvere i conflitti senza ricorrere alla guerra. La via maestra seguita dal p. diventa la riforma e la democratizzazione dell'ONU, riconoscendo il ruolo del p. giuridico nella nuova situazione internazionale. Particolarmente attive su questo tema sono le reti internazionali di organizzazioni non governative che hanno fatto avanzare il dibattito sull'''ONU dei popoli'', soprattutto nei paesi anglosassoni, ma anche in Italia e Spagna. In Italia questa tradizione, tenuta viva da personalità come N. Bobbio, viene rafforzata dall'impegno di giuristi, dalla Fondazione Lelio Basso di Roma e dal Centro per i diritti dell'uomo e dei popoli di Padova. Le iniziative, anche delle associazioni pacifiste, si fanno più intense con la pubblicazione nel 1992 dell'Agenda per la pace del segretario dell'ONU, B. Boutros Ghali, che propone un rafforzamento dei poteri e dell'iniziativa autonoma dell'ONU, proposte che tuttavia non trovano riscontro nelle posizioni ufficiali dei governi. Le richieste principali del p. sulla questione delle Nazioni Unite sono la riforma e l'allargamento del Consiglio di sicurezza e l'abolizione del potere di veto delle grandi potenze; il riconoscimento di maggiori poteri alla Corte internazionale di giustizia dell'Aia come strumento non solo per dirimere le controversie tra i governi, ma anche per perseguire i paesi che violano il diritto internazionale e i diritti umani; la creazione di una seconda assemblea delle Nazioni Unite che raccolga non i rappresentanti dei governi, ma quelli della società civile di tutti i paesi.
L'esigenza di un soggetto sovranazionale capace di assicurare la pace e di controllare i conflitti locali ha condotto a interventi dell'ONU e dei ''caschi blu'' in un numero crescente di crisi internazionali. Molte di queste sono legate non tanto a scontri tra stati, ma all'emergere del nazionalismo e di tensioni etniche, specie nell'Europa dell'Est e nell'ex Unione Sovietica. Il p. in Europa e in Italia ha affrontato questi nuovi conflitti individuandone le radici nel limitato sviluppo della società civile, nel ripiegamento su identità nazionali o localistiche di fronte alle difficoltà d'integrazione internazionale. Protagonista di questo rinnovato impegno pacifista è l'Helsinki Citizens' Assembly, un coordinamento nato all'inizio degli anni Novanta tra centinaia di associazioni e movimenti dell'Europa occidentale e soprattutto orientale, che si rifà alla Carta di Helsinki sul dialogo in Europa e sulla difesa dei diritti umani e che ha tra i suoi ispiratori l'inglese M. Kaldor.
I conflitti armati tra le diverse repubbliche e gruppi etnici dell'ex Iugoslavia, culminati con la guerra in Bosnia, rappresentano gli esiti più gravi di questo ritorno dei nazionalismi, portando, per la prima volta dopo decenni, combattimenti su larga scala nel cuore dell'Europa. Mentre l'ONU manca ancora di una capacità d'intervento sovranazionale e il "realismo'' della politica dei governi si dimostra incapace di fermare i combattimenti tra le forze serbe, croate e bosniache, il p. europeo, con quello italiano in prima fila, sperimenta azioni sistematiche d'interposizione nonviolenta, di diplomazia popolare e soprattutto di solidarietà e sostegno alle vittime della guerra, alle popolazioni civili, ai rifugiati, ai disertori e agli obiettori di coscienza.
Solo dall'Italia migliaia di volontari di diversa ispirazione − di sinistra, cristiani, nonviolenti − si recano regolarmente nell'ex Iugoslavia, con iniziative promosse soprattutto dal Consorzio italiano di solidarietà e dal gruppo cattolico ''Beati i costruttori di pace''. Sul piano culturale, queste esperienze portano il p. più vicino alle tematiche della solidarietà e della giustizia, e ne accentuano la dimensione sovranazionale e l'impegno progettuale concreto.
È questa una nuova caratteristica del p. degli anni Novanta di fronte ai conflitti etnici, al nazionalismo e all'aggravarsi delle divisioni tra Nord e Sud del mondo.
Bibl.: S. Melman, The peace race, New York 1961 (trad. it., Torino 1965); A. Capitini, La nonviolenza oggi, Milano 1962; In cammino per la pace, a cura di A. Capitini, Torino 1962; R. Aron, Pace e guerra fra le nazioni, Milano 1970; S. Melman, Pentagon capitalism: The political economy of war, New York 1970 (trad. it., Capitalismo militare, Torino 1974); N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna 1979; G. Rochat, Antimilitarismo oggi, Torino 1980; E.P. Thompson, Zero option, Londra 1982 (trad. it., Torino 1982); New Left Review, Exterminism and cold war, ivi 1982; M. Kaldor, The baroque arsenal, ivi 1982; J. Galtung, There are alternatives!, Nottingham 1983 (trad. it., Torino 1984); R. Jungk, Menschenbeben, Monaco 1983 (trad. it., L'onda pacifista, Milano 1984); L. Cortesi, Storia e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare, Napoli 1984; D. Johnstone, The politics of the Euromissiles, Londra 1984; R. Giacomini, I partigiani della pace, Milano 1984; E.P. Thompson, The heavy dancers, Londra 1985; B. Brock-Utne, Educating for peace. A feminist perspective, New York 1985 (trad. it., La pace è donna, Torino 1985); E. Balducci, L'uomo planetario, Brescia 1985; Id., Peace movement in Italy, in World encyclopedia of peace, Oxford 1986; IPRI, I movimenti per la pace, 3 voll., Torino 1986, 1989; P. Ingrao e altri, Missili e potere popolare, Milano 1986; A Papisca, Democrazia internazionale, via di pace, ivi 1986; The quest for peace, a cura di R. Vayrynen, Londra 1987; N. Bobbio, Il terzo assente, Torino 1989; Democrazia, rischio nucleare, movimenti per la pace, a cura di L. Cortesi, Napoli 1989; J. Hinton, Protests and visions, Londra 1989; E.P. Thompson, Oltre la guerra fredda, in Giano, ricerche per la pace, 4 (1990); M. Kaldor, The imaginary war, Oxford 1990; G. Pontara, Antigone o Creonte?, Roma 1990; N. Bobbio, Una guerra giusta? Sul conflitto del Golfo, Venezia 1991; Filosofi per la pace, a cura di D. Archibugi e F. Voltaggio, Roma 1991; G. Salio, Le guerre del Golfo. Le ragioni della nonviolenza, Torino 1991; Campagna Venti di Pace, Addio alle armi. Un'alternativa di pace per l'Italia e l'Europa, Fiesole 1991; A.Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Perugia 1992; Campagna Venti di Pace, Il vizio della guerra. Alle radici dei nuovi conflitti, Roma 1992; B. Boutros Ghali, Agenda for peace, New York 1992 (trad. it., Milano 1992); M. Walzer e altri, But was it just?, ivi 1992 (trad. it., Milano 1992); D. Archibugi, R. Falk, D. Held, M. Kaldor, Cosmopolis. È possibile una democrazia sovranazionale?, Roma 1993; C. Ingrao, Salaam, Shalom, ivi 1993; L'Italia e la Nato, a cura di S. Minolfi, Napoli 1993.