Pacifismo
Gli anni Novanta
A partire dagli anni Novanta, il p. si è dovuto confrontare con uno scenario internazionale profondamente mutato. Finita la guerra fredda, è stata superata - con lo scioglimento del Patto di Varsavia e dell'Unione Sovietica - la stagione del bipolarismo, del riarmo nucleare e del rischio di una guerra globale tra superpotenze. Gli anni Novanta hanno visto alternarsi, da una parte, timidi tentativi di costruzione di un nuovo ordine multilaterale democratico fondato sul ruolo centrale delle Nazioni Unite e, dall'altra, la progressiva crescita dell'unilateralismo degli Stati Uniti, insieme a una rapida trasformazione della NATO.
In questi anni l'ONU ha avviato una riflessione sul proprio ruolo ed elaborato alcune proposte concrete - con l'Agenda per la pace (1992) del segretario generale B. Boutros Ghali - per adeguare le proprie funzioni politiche e operative ai nuovi conflitti e alle sfide della sicurezza globale. Le guerre più drammatiche e sanguinose degli anni Novanta - quelle dell'ex Iugoslavia (1991-1999), del Ruanda (1994) e della Somalia (1992-93) - hanno trovato ancora impreparata l'Organizzazione, che non è riuscita né a prevenirle, né a fermarne il corso, nonostante un suo impegno particolarmente importante: nel 1994 nelle zone di conflitto sono stati schierati quasi 100.000 caschi blu (il più alto numero di forze ONU mai utilizzato nel dopoguerra) e decine sono state le risoluzioni approvate dal Consiglio di sicurezza per fronteggiare le crisi. Tuttavia, la proposta dell'Agenda per la pace di dotare le Nazioni Unite di maggiori poteri e autonomia di intervento nel mantenimento della pace non hanno avuto seguito e le aspettative - anche da parte del movimento pacifista - di un loro ruolo più autorevole di fronte ai conflitti e alle sfide della sicurezza del mondo contemporaneo sono rimaste deluse.
Negli stessi anni è cresciuto invece l'unilateralismo americano (o dello schieramento occidentale a guida statunitense), che ha affidato proprio alla NATO la funzione di mantenimento della sicurezza globale e di risposta alle nuove minacce alla pace. Se le Nazioni Unite non sono state riformate, la NATO ha subito invece una radicale trasformazione, e da alleanza difensiva è divenuta istituzione di mantenimento della sicurezza globale, che - secondo la dottrina della 'nuova' NATO - è messa in pericolo non più solo dalle guerre tradizionali, ma dal terrorismo, dai conflitti locali, dai fondamentalismi, dalla instabilità geopolitica. La ratifica di tali cambiamenti è avvenuta nel corso del vertice tenuto a Washington nel 1999 in occasione delle celebrazioni dei quarant'anni dalla sua fondazione. Le conseguenze sono state il suo allargamento a Est, con l'entrata nello stesso anno di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, e un diretto interventismo militare, testimoniato dalla Operation deliberate force (1995) in Bosnia ed Erzegovina e dal più ampio intervento, contro la Serbia, denominato Determinated force e durato 78 giorni (24 marzo-10 giugno 1999).
Negli anni Novanta il p. si è dovuto confrontare, nel mutato panorama internazionale, anche con la realtà delle 'nuove guerre'. Il decennio ha registrato infatti 56 conflitti gravi (major armed conflicts), di cui solo tre hanno coinvolto degli Stati (̔Irāq-Kuwait, Etiopia-Eritrea, India-Pakistan), mentre tutti gli altri sono stati conflitti interni (nazionali, etnici ecc.). Le guerre di questo decennio, inoltre, hanno visto crescere sensibilmente il numero di vittime civili (oltre il 90% del totale), e di rifugiati e sfollati, che alla fine degli anni Novanta hanno raggiunto la soglia dei 50 milioni. Questi conflitti sono stati prevalentemente combattuti da eserciti privati, bande irregolari, clan e tribù, gruppi etnici e nazionalistici, che hanno generato una prolungata e drammatica pressione sulle comunità: oltre alla perdita di vite, le vaste violazioni dei diritti umani, la diffusione della pulizia etnica, la pratica dell'urbicidio (la distruzione delle città), come testimoniato da vicende quali l'assedio e la distruzione di Sarajevo e di Mostar nella ex Iugoslavia o di Mogadiscio in Somalia.
In questo nuovo contesto, alcune delle priorità proprie del p. degli anni Ottanta, come quella del disarmo nucleare, hanno assunto progressivamente un'importanza minore. La fine del bipolarismo e del rischio nucleare ha chiuso quella stagione del p. europeo caratterizzata dalle convenzioni END (European Nuclear Disarmament) e di quello italiano testimoniato negli anni Ottanta dai Comitati per la pace. Nel decennio successivo, oltre al persistere di esperienze e di movimenti rigorosamente ispirati alla non violenza, il p. si è articolato sostanzialmente intorno a tre matrici fondamentali: il p. politico, il p. giuridico, il p. concreto.
Il pacifismo politico. - Attraverso campagne, manifestazioni, appelli, forme di lobbying, il p. politico si propone l'obiettivo di operare cambiamenti nelle istituzioni, nelle politiche, nelle legislazioni. È caratterizzato dalla capacità di produzione diretta di politiche a livello nazionale e internazionale. Esso considera la dinamica pace-guerra una chiave di lettura fondamentale delle relazioni politiche, economiche e sociali contemporanee. La sua azione si concentra su governi, parlamenti, policy makers, nel tentativo di condizionarne la politica e le posizioni. Temi centrali sono il disarmo, la funzione dell'ONU e dell'Europa, la soluzione non violenta dei conflitti.
In Italia un ruolo importante in questa direzione è stato assunto da organizzazioni come l'Associazione per la pace nata nel 1988 (suo lo slogan: 'portare il pacifismo nella politica') e coordinamenti come la Tavola per la pace, fondata nel 1996 dai promotori delle marce per la pace Perugia-Assisi. Il p. politico ha continuato a ritenere centrale la questione del disarmo poiché, nonostante la fine della guerra fredda e della corsa al riarmo, le spese per gli armamenti sono rimaste molto ingenti. In Italia la campagna Venti di pace (1989-2001) e la successiva Sbilanciamoci! (dal 2000) hanno portato avanti la mobilitazione a favore della riduzione delle spese militari, mentre il Comitato contro i mercanti di morte aveva ottenuto nel 1990 l'approvazione di una legge di regolamentazione del commercio delle armi (l. 9 luglio 1990 nr. 185). A livello internazionale sono sorte numerose altre iniziative (con alcune articolazioni anche in Italia): l'International campaign to ban landmines (ICBL), per la messa al bando delle mine antiuomo, fondata nel 1992 e vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1997; la campagna International action network on small arms (IANSA), contro la proliferazione e l'abuso delle armi leggere, e la Coalition to stop the use of child soldiers, contro l'uso dei bambini soldato, nate nel 1998; la campagna Control arms sul commercio delle armi, iniziata nel 2003. Altra importante iniziativa di questo periodo è stata l'Hague appeal for peace che ha rilanciato - con un'affollata conferenza internazionale all'Aja (1999) - i temi più importanti del movimento per la pace.
Il pacifismo giuridico
Il p. giuridico si concentra soprattutto sul ruolo del diritto internazionale e sugli strumenti e le istituzioni che lo regolano per costruire uno scenario di pace nelle relazioni internazionali. Rientra in questo contesto l'azione delle campagne internazionali attive per tutti gli anni Novanta per la costituzione della Corte penale internazionale e l'istituzione di tribunali ad hoc per giudicare i crimini di guerra compiuti nella ex Iugoslavia (1993) e in Ruanda (1994). Il p. giuridico attribuisce centralità al ruolo delle istituzioni sovranazionali e alla piena attuazione del loro mandato, cui si assegna un compito fondamentale nella regolazione delle controversie internazionali. La difesa, l'applicazione e, infine, la promozione dei diritti umani costituiscono gli altri aspetti fondamentali della pace a livello globale.
Un tema che unisce l'azione del p. politico e di quello giuridico è la riforma e la democratizzazione delle Nazioni Unite. Un vasto ventaglio di organizzazioni italiane - coordinate dall'Associazione per la pace - ha promosso dagli inizi degli anni Novanta una campagna nazionale che nel 1995 è sfociata nella organizzazione della marcia della pace Perugia-Assisi, cui hanno partecipato decine di migliaia di attivisti del movimento pacifista. La marcia, ripetuta ogni due anni, si è posta come leitmotiv - pur nella diversità dei temi di ciascuna edizione - la costruzione dell'ONU dei popoli. Le richieste delle organizzazioni pacifiste si sono indirizzate, da una parte, verso la democratizzazione del Palazzo di vetro (abolizione del potere di veto nel Consiglio di sicurezza, partecipazione della società civile alle delegazioni dei Paesi, costituzione di una seconda assemblea su base elettiva) e, dall'altra, verso l'attribuzione di maggiori risorse e poteri all'ONU (per il mantenimento della pace, la costruzione di un ordine economico internazionale, la difesa dei diritti umani ecc.). Stessi obiettivi si sono proposte anche altre iniziative internazionali, quali la Campaign for a more democratic united nations (CAMDUN), l'Action for UN renewal, il World civil society forum.
Un accento particolare è stato posto sul ruolo della società civile globale. In questo contesto si colloca la nascita a Praga nel 1990 della HCA (Helsinki Citizens Assembly) e la sua azione nel corso degli anni Novanta. Si tratta di una rete di centinaia di organizzazioni di cittadini dell'Est e dell'Ovest che ha inteso promuovere, dal basso, l'idea di cittadinanza europea, la difesa dei diritti umani, l'organizzazione di una società civile impegnata per la pace e per la prevenzione dei conflitti, soprattutto nelle nuove realtà dell'Est europeo, attraversate da nazionalismi e nuovi autoritarismi. La HCA è diventata nel corso degli anni Novanta la rete europea più importante in cui, accanto alle organizzazioni pacifiste, sono confluite associazioni civiche, sociali e antirazziste. La HCA ha organizzato anche alcuni importanti meeting a Bratislava (1992), a Ohrid in Macedonia (1993) e a Tuzla in Bosnia ed Erzegovina (1995), con la partecipazione di migliaia di attivisti dall'Europa, dagli Stati Uniti, dal Canada. Nella stessa direzione si è mossa in Italia l'Assemblea dell'ONU dei popoli, con appuntamenti biennali (dal 1995), ai quali hanno partecipato centinaia di esponenti delle organizzazioni della società civile di Paesi di tutto il mondo.
Il pacifismo concreto
Pacifismo concreto è la definizione coniata dal leader ecologista, parlamentare europeo ed esponente del movimento pacifista italiano A. Langer per indicare quelle esperienze e quelle iniziative che mettono in primo piano l'azione diretta, frequentemente sul campo, nelle zone di conflitto.
Queste iniziative, molto diversificate tra di loro, hanno arricchito il p. di specifiche modalità di intervento: la solidarietà e l'aiuto umanitario, le attività di diplomazia dal basso e di volontariato, il sostegno politico alle forze di pace e il lavoro di comunità. La definizione è stata introdotta nella prima metà degli anni Novanta, quando migliaia di italiani ed europei andarono in Bosnia ed Erzegovina e nelle altre Repubbliche della ex Iugoslavia per portare aiuti, proteggere i rifugiati e organizzare iniziative in collaborazione con le forze antiguerra delle diverse comunità. Anche in questo caso non è mancata una dimensione politica, declinata però nella concretezza dell'azione. Esperienze significative di tale movimento - insieme a quella della HCA - sono state quelle del Consorzio italiano di solidarietà (che è una rete di oltre duecento gruppi e associazioni della società civile) e del Verona forum, creato proprio da Langer, per il sostegno alle forze democratiche iugoslave e la riconciliazione. In questo contesto sono anche rientrate iniziative quali la 'marcia dei cinquecento' che, il 10 dic. 1992, ha riunito oltre 500 pacifisti italiani in una marcia non violenta per rompere l'assedio di Sarajevo. Trasversale alle diverse esperienze pacifiste, è il tema della non violenza, diventato in questi anni valore culturale e politico di riferimento del p. e ispiratore di movimenti organizzati e pratiche concrete: dall'obiezione di coscienza alla disobbedienza civile, dall'azione diretta all'interposizione non armata e così via.
Il 21° secolo
Gli eventi che si sono verificati tra il 1999 e il 2001 hanno posto il p. di fronte alle sfide e ai nuovi temi di uno scenario internazionale che appare radicalmente mutato. La 'guerra umanitaria' in Kosovo ha riportato sulla scena in maniera clamorosa l'interventismo dell'Occidente (di Stati Uniti, Paesi dell'Unione Europea e NATO), che ha fatto ricorso a una prolungata azione di guerra internazionale contro la Serbia - non autorizzata dalle Nazioni Unite - per ricondurre stabilità e porre fine alla violazione dei diritti umani nella regione. L'attacco alle Twin Towers dell'11 settembre 2001 ha determinato il confronto del p. con dinamiche che si alimentano reciprocamente: il terrorismo e la dottrina/pratica della guerra preventiva/permanente portata avanti dagli Stati Uniti. L'intervento in Afghānistān (ottobre 2001), ma soprattutto la guerra all'Irāq (marzo-aprile 2003), hanno fatto crescere un forte movimento pacifista a livello globale che è culminato nella giornata del 15 febbraio 2003, quando 110 milioni di persone hanno manifestato in tutto il mondo contro la guerra. Il New York Times ha definito tale movimento "la seconda superpotenza mondiale".
Questo nuovo movimento pacifista si è sovrapposto e identificato con i vasti movimenti sociali antiliberisti che, dopo la contestazione del vertice della WTO (World Trade Organization) a Seattle nel 1999 e il Forum sociale mondiale di Porto Alegre nel 2001, si sono sviluppati in tutto il mondo. I movimenti sociali antiliberisti hanno assunto la causa della protesta contro la guerra come loro tema centrale di azione. La guerra è stata definita 'l'altra faccia del neoliberismo' e lo strumento di dominio globale. L'Italia è uno dei Paesi in cui l'impegno pacifista è stato più consistente. Di particolare importanza si è rivelata la campagna delle 'bandiere arcobaleno' esposte ai balconi e alle finestre di centinaia di migliaia di case, uffici, edifici pubblici. Le manifestazioni sono state imponenti: 800.000 persone alla marcia Perugia-Assisi (14 ottobre 2001), un milione di persone alla marcia a conclusione del primo Forum sociale europeo di Firenze (9 novembre 2002), tre milioni alla manifestazione pacifista a Roma del 15 febbraio 2003. Sono sorti molti nuovi coordinamenti e organizzazioni del movimento per la pace. In Italia il Comitato fermiamo la guerra ha unificato l'intero arcipelago di forze e organizzazioni (compresi partiti e sindacati) contrari alla guerra in ̔Irāq. In altri Paesi le coalizioni e le reti dei movimenti sociali si sono trasformate nelle sedi di coordinamento delle mobilitazioni contro la guerra. La ripresa del movimento pacifista è stata molto significativa anche negli Stati Uniti, grazie all'azione di organizzazioni quali l'United for peace & justice (una rete di 1300 gruppi pacifisti), Peaceful Tomorrows (l'organizzazione delle famiglie delle vittime dell'11 settembre), Democracy now!. Questa mobilitazione è passata in pochi mesi da meeting e manifestazioni isolate di poche centinaia di persone a un diffuso e crescente panorama di iniziative che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone.
La dimensione politica del p. si è riproposta con forza, rilanciando i temi tradizionali della riflessione pacifista sulla guerra, considerata uno strumento di imposizione di interessi economici e di controllo delle risorse, una forma di potere e di dominio, un mezzo per imporre un determinato ordine alle relazioni internazionali. Il p. degli inizi del 21° sec. si è trovato dunque a rielaborare la propria identità e a ripensare le proprie modalità di intervento su un piano globale, intrecciando sempre di più la sua azione con quella dei movimenti sociali e dedicandosi a costruire alternative politiche di pace fondate sul disarmo, la prevenzione dei conflitti, il ruolo delle istituzioni sovranazionali, la costruzione di una cultura di pace. Giustizia economica e sociale, diritti umani e pace appaiono così temi e obiettivi sempre più connessi tra loro, non solo nella riflessione, ma anche nelle pratiche e nelle iniziative concrete.
bibliografia
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