Padova
Affermatasi già nel corso del XII sec. come uno dei più autorevoli poli di azione politica della terraferma veneta e decollata nel 1222 anche come grande sede internazionale di studi, la città-stato comunale di Padova ebbe i suoi primi contatti con Federico II solo indirettamente e per via negativa. Nel 1220 fu indirizzata infatti al giovane marchese Azzo VII d'Este una lettera dell'imperatore, rinnovata nel marzo 1221, con la quale, confermandogli i tradizionali privilegi signorili di cui godeva, diffidava contemporaneamente i padovani dal recargli molestie e li invitava anzi a restaurare la rocca e il loro palazzo di Este, rimasti diroccati in seguito a una campagna militare sferrata dal comune padovano contro di lui nel 1213. L'episodio, conseguente all'iniziativa di protezione accordata a uno dei più potenti vassalli imperiali dell'Italia settentrionale, rimase tuttavia isolato, anche perché Padova avrebbe ben presto abbandonato questo suo congiunturale indirizzo antiestense. Nei confronti dell'Impero, del resto, Padova si era comportata dopo la pace di Costanza con grande pragmatismo, tenendo fondamentalmente conto dei propri interessi nel mutevole quadro delle discordie intercittadine della Valle padana. In realtà, fu solo in seguito all'affacciarsi dello spettro della restaurazione dei diritti imperiali, con la convocazione della grande dieta imperiale a Cremona per la Pasqua del 1226, che anche Padova si affrettò a dare un attivo contributo alla riesumazione della Lega lombarda, fin dalla riunione preparatoria di S. Zenone al Mozzo del 6 marzo. Si ignora invece in quale momento gli stessi governanti padovani abbiano spedito a Mantova "contra imperatorem" (Bonardi, 1899, p. 306) un contingente di duecento cavalieri. E ciò mentre, in ossequio ai propri doveri di fedeltà alla Corona, il suo maggiore dinasta territoriale, Azzo VII d'Este, continuava a seguire l'imperatore nei suoi spostamenti (nell'aprile a Ravenna e nel maggio a Parma). Scongiurato il pericolo di una restaurazione imperiale e riconciliatosi nel 1227 Federico II con le città padane grazie anche alla mediazione pontificia, Padova nondimeno si segnalò negli anni successivi per la fedeltà a una linea di diffidenza e di ostilità verso Federico, grazie anche a una stabilità interna che la preservò dal furoreggiare delle lotte di partito e dai repentini cambiamenti di governo che afflissero, ad esempio, Verona.
La tradizionale prevalenza in città di un vasto aggregato clientelare vicino al casato estense orientò la politica estera su posizioni sostanzialmente avverse a quelle dello schieramento regionale che aveva quali leaders i da Romano e Salinguerra Torelli. Tale scelta di campo, in linea di principio non ancora correlata a una precisa opzione contro o a favore dell'Impero, fu in realtà abilmente sfruttata dal comune padovano a proprio vantaggio. In ogni caso, Padova di fatto si affermò, in sintonia con i rettori della Lega e con i loro obiettivi, come il più autorevole agente di stabilizzazione nello scenario del Veneto di terraferma.
A partire dal 1230 la posizione di Padova quale pedina decisiva della Lega, sempre più ostile nei confronti di Ezzelino, si accentuò, mentre a tessere la trama delle cruciali scelte politico-diplomatiche della città diveniva via via più decisiva la figura del priore Giordano Forzatè, grande fiduciario della Curia romana e guida di una influente e affollata congregazione diocesana di monaci 'albi'.
Dal 1232, il passaggio dei da Romano nello schieramento imperiale finì per condizionare definitivamente la collocazione politica della città, anche se abilmente Federico II non trascurò di dar fiato a suoi eventuali sostenitori locali (a Cividale del Friuli il 29 marzo 1232 concesse ad esempio a S. Maria di Praglia, potente monastero protetto dai conti Maltraversi, un privilegio di conferma della piena giurisdizione su quattro villaggi, ricevendo seduta stante un giuramento di fedeltà dall'abate Lanfranco, in presenza anche dell'arcidiacono della cattedrale di Padova, Enrico). Tra il 1235 e il 1236 il patto di ferro con Milano suggerì l'anomala doppia podesteria di Ottone di Mandello, il quale offrì la massima garanzia di fedeltà alla causa dei collegati e non a caso sferrò una grande offensiva devastatrice nelle terre dei da Romano. Al momento della discesa dell'imperatore nella Marca trevigiana nel febbraio 1236, Padova si trovò pertanto a rappresentare il fulcro della resistenza antimperiale nel Veneto. Conquistata e selvaggiamente saccheggiata Vicenza nell'autunno del 1236, lo stesso imperatore, prima di abbandonare il Veneto per la Germania, su consiglio di Ezzelino attaccò e devastò Carturo, forte castello in riva al Brenta nel nord del Padovano, ed ebbe modo di ammirare il possente borgo murato di Cittadella, da poco fondato dai padovani. In preda al panico e incerti sul da farsi, mentre il podestà veneziano abbandonava in tutta fretta la città, costoro consegnarono ad Azzo VII d'Este il vessillo comunale col compito di contrastare militarmente le truppe imperiali e affidarono a un collegio di sedici maggiorenti le sorti dello stato. Vi furono però defezioni e addirittura segrete intese di gran parte di costoro con Ezzelino e gli imperiali. Lo stesso marchese, incalzato dal vicario imperiale Geboardo di Arnstein, accampato a Monselice con Ezzelino, scelse di porsi a servizio dell'Impero, in cambio dell'incolumità dei suoi castelli. La città, abbandonata a se stessa, il 25 febbraio 1237 finì per scendere a patti con la comitiva imperiale.
In seguito all'occupazione, fu immediatamente costituito un podestà, che assunse contemporaneamente anche la carica di vicario imperiale per tutta la Marca trevigiana, inaugurando con ciò una prassi rimasta in vigore anche oltre la morte di Federico II. Ad assumere tale doppio ufficio fu Simone da Chieti, personaggio di spicco fra i collaboratori meridionali di Federico II. Iniziava in tal modo un'ambigua forma di predominio dell'Impero sulla città, che era garantita di fatto soprattutto dall'eccezionale potere personale di Ezzelino. Questi fin da subito condizionò pesantemente l'attività dei podestà-vicari, impegnandoli in campagne militari, incarcerazioni, esili e confische a danno dei suoi personali oppositori, identificati tout court come ribelli all'Impero. Verso la fine di gennaio del 1239 lo stesso Federico II fece il suo ingresso trionfale nella città, la quale ancora coltivava l'illusione di un suo intervento moderatore nei confronti del sempre più largo arbitrio di Ezzelino. Durante il suo breve soggiorno padovano, trascorso, per quanto sappiamo, fra il palazzo abbaziale di S. Giustina, il castello di Noventa (dove alloggiava la consorte Isabella e lui stesso si recava per cacciare), la piazzaforte di Cittadella e la camera specialis Imperii di Monselice, l'imperatore in realtà sembra essersi appiattito sulla volontà dell'indispensabile Ezzelino. Se infatti liberò qualche incarcerato, confinò d'altronde in varie città padane e soprattutto nel Sud il fior fiore dei magnati e dei notabili padovani, i cui nomi, sia pure spesso alterati e storpiati, ci sono noti grazie a una lista di obsides relegati nel Regno di Sicilia comprendente anche parecchi piacentini e milanesi (Il registro della cancelleria, 2002, pp. 313-350).
Con l'allontanamento del Forzatè, liberato dalla prigione ma affidato alla sorveglianza del patriarca di Aquileia, e poi con la cattura e l'incarcerazione da parte di Ezzelino dell'abate di S. Giustina Arnaldo da Limena, cui per qualche tempo Federico aveva accordato la propria protezione, si consumò insomma lo smantellamento della più intransigente e robusta classe dirigente 'guelfa' e antiezzeliniana che il Veneto potesse vantare. A cementare il rapporto dell'imperatore col da Romano contribuì indubbiamente anche la scomunica papale, che giusto in occasione delle festività pasquali colpì Federico a Padova e suscitò una pubblica appassionata difesa di Pier della Vigna di fronte ai padovani radunati nel Prato della Valle. Sul finire di maggio, designato Tebaldo Francesco "potestatem Padue et imperialem vicarium in Marchia Tarvisina et generaliter a flumine Ollii usque ad Tridentum" (Rolandino da Padova, 1906-1908, p. 66) e consultato l'astrologo Teodoro, l'imperatore mosse l'esercito generale di Padova alla volta di Treviso, nel frattempo ribellatasi, e con un solenne privilegio la donò assieme a Castelfranco Veneto alla città che l'aveva ospitato. L'aperta ribellione del marchese d'Este e di non pochi altri magnati della Marca trevigiana, invano invitati dall'imperatore a una dubbia pacificazione, sciolse definitivamente il nodo. Il bando conseguentemente fulminato contro di essi era ormai chiaro preludio dell'imminente abbandono di fatto di Padova e delle altre città venete nelle mani di Ezzelino da Romano. Richiamato Tebaldo Francesco nell'aprile 1242, l'imperatore inviò quale podestà-vicario a Padova Galvano Lancia, di cui Ezzelino aveva sposato la sorella Selvaggia, figlia illegittima dello Svevo, solo nel luglio dello stesso anno.
Ripudiata Selvaggia, il 'signore' della Marca, presi a pretesto certi crimini di peculato, rimosse Galvano dall'ufficio ("de paduana potestaria extraxit"; ibid., p. 79) e lo fece incarcerare assieme a due giudici e cavalieri del suo staff, senza apparente opposizione dell'imperatore. Intronizzando personalmente nel marzo 1244 al posto del Lancia il bresciano Guizzardo di Realdesco, Ezzelino iniziava in tal modo anche formalmente la politica di diretta nomina dei podestà padovani che assommavano in sé anche il titolo di 'vicari' imperiali nell'Italia nordorientale.
Un indizio del favore che il sovrano continuò comunque ad accordare alla città veneta sembra potersi riscontrare nell'afflusso di personale proveniente dai territori tedescofoni e slavofoni dell'Impero all'Università di Padova nel 1241. Nel 1247 si ha peraltro ancora notizia di una canipa imperialis curie in cui si registravano gli introiti "dei poderi imperiali e di parecchi altri poderi del Padovano e di parecchi monasteri e laici di Venezia" (Bortolami, 1992, p. 229). Pur tuttavia, è innegabile che Padova era ormai alla mercé di Ezzelino, vero plenipotenziario imperiale nelle regioni venete. Nemmeno la rimozione nel 1249 del capitano imperiale apulo che era stato posto a presidio della rocca federiciana di Monselice, città minore del Padovano in cui si trovavano ancora nell'età di Federico II dei Reichsgüter (ad esempio un lacus imperatoris), valse a incrinare l'antica intesa col sovrano svevo del da Romano e la sua piena signoria su Padova e sulla Marca trevigiana.
fonti e bibliografia
A. Bonardi, Liber regiminum Paduae, Venezia 1899; fondamentale, dal punto di vista cronachistico, la narrazione di Rolandino da Padova, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, a cura di A. Bonardi, in R.I.S.2, VIII, 1, 1906-1908.
Vanno inoltre tenuti presenti: Gerardo Maurisio, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (aa. 1183-1237), a cura di G. Soranzo, ibid., VIII, 4, 1913-1914, e il Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, a.a.1207-1270, a cura di L.A. Botteghi, ibid., VIII, 3, 1916.
Tra le più recenti pubblicazioni contenenti nuova documentazione si ricorderanno almeno: E. Cristiani, La consorteria da Crespignaga e l'origine degli Alvarotti di Padova (secoli XII-XIV), "Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici", 1, 1967-1968, pp. 173-237; T. Pesenti Marangon, Università, giudici e notai a Padova nei primi anni del dominio ezzeliniano (1237-1241), "Quaderni per la Storia dell'Università di Padova", 12, 1979, pp. 1-62; C.F. Polizzi, Ezzelino da Romano. Signoria territoriale e comune cittadino, Romano d'Ezzelino 1989.
Per l'elenco degli obsides Padue mandati in ostaggio nel Mezzogiorno v. la recente edizione offerta da Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 2002.
Il privilegio rilasciato nel 1232 a Praglia è riprodotto in S. Bortolami, Formazione, consistenza e conduzione del patrimonio fondiario. Dalle origini al 1448, in L'abbazia di S. Maria di Praglia, a cura di C. Carpanese-F. Trolese, Cinisello Balsamo 1985, p. 33.
Su Padova nell'età di Federico II gli studi principali di riferimento sono: A. Rigon, Un abate e il suo monastero nell'età di Ezzelino da Romano: Arnaldo da Limena († 1255) e S. Giustina di Padova, in S. Benedetto e otto secoli (XII-XIX) di vita monastica nel Padovano, Padova 1980, pp. 55-86; S. Bortolami, Fra 'alte domus' e 'populares homines'. Il comune di Padova e il suo sviluppo prima di Ezzelino, in Storia e cultura a Padova nell'età di Sant'Antonio, a cura di Id.-A. Rigon, ivi 1985, pp. 3-75; S. Collodo, Arnaldo da Limena, abate di S. Giustina. Storia di una tradizione agiografica, in Ead., Una società in trasformazione. Padova dall'XI al XIV secolo, ivi 1990, pp. 3-34; S. Bortolami, 'Honor civitatis'. Società comunale ed esperienze di governo signorile nella Padova ezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992, pp. 161-239; A. Rigon, Religione e politica al tempo dei da Romano: Giordano Forzatè e la tradizione agiografica antiezzeliniana, ibid., pp. 389-414; S. Bortolami, Monselice "oppidum opulentissimum". Formazione e primi sviluppi di una comunità semiurbana del Veneto, in Storia, cultura e arte di un centro "minore" del Veneto, a cura di A. Rigon, Treviso 1994, pp. 101-171.
Per uno sguardo all'intero scenario veneto si tenga presente infine G.M. Varanini, La Marca Trevigiana, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 48-64.