PAESAGGIO
. Si chiama paesaggio in arte un dipinto che ha per oggetto gli aspetti campestri, la natura. Come tale si può dire che l'arte antica, fino all'età ellenistica, non abbia conosciuto il paesaggio: se infatti tanto l'arte egizia come l'assira, e in minor misura la greca arcaica e classica, hanno assai spesso rappresentato, talora diffusamente e con precisione di particolari, talora schematicamente con pochi elementi di carattere più indicativo che realistico, il luogo ove questa o quella scena si svolgeva, tale rappresentazione ha costituito normalmente un accessorio del quadro, non ha formato l'oggetto principale di questo. Vi sono casi tuttavia in cui questa rappresentazione è così ampia, e rivela un così acuto spirito di osservazione della natura che ben si può dire di avere qui i primi esempî di paesaggio: tali sono alcuni rilievi di Tell el Amarna e alcune tavolette dipinte di Tebe, tali alcuni rilievi assiri provenienti dal palazzo di Sennacherib.
Un vivo senso della natura si palesa in alcuni frammenti di pittura cretese-micenea, rappresentanti piante e animali: ma il limitato orizzonte in cui sembra chiudersi la rappresentazione e la trasformazione che assai spesso la fantasia dell'artista fa subire alla realtà, vietano di porre queste fra le vere pitture di paesaggio.
Nell'arte greca arcaica e classica l'elemento paesaggio ha un'importanza assolutamente secondaria, né è raro il caso che gli stessi luoghi in cui la scena si svolge vengano indicati anziché con la rappresentazione naturale e realistica di essi con la loro personificazione sotto figura umana o animale.
È l'arte ellenistica che per prima conosce il paesaggio: ma occorre subito dire che essa ha sempre considerato questo non come vera opera d'arte, ma come elemento di decorazione. La tradizione letteraria ci dà il nome di due pittori di paesaggio di quest'età, Demetrio e Serapione, e la testimonianza di Vitruvio c'induce a porre precisamente in essa l'origine di questo genere di pittura: una diretta derivazione di paesaggi ellenistici, e tra i migliori esempî di essi, dobbiamo considerare le pitture della casa romana dell'Esquilino con scene dell'Odissea, ora conservate nella Biblioteca Vaticana. Sono quadri con ampie vedute di marine, in cui l'episodio mitico sembra avere un'importanza secondaria rispetto agli sfondi. Il paesaggio ellenistico è sempre un paesaggio lieto, sereno, idilliaco; vi si uniscono sovente elementi architettonici: tempietti, tombe, esedre, ecc. Esso passa nella pittura decorativa romana, nella quale tuttavia vi si aggiunge la rappresentazione, di carattere più realistico, della villa in campagna o sul mare, o della città; sembra che a questa introduzione debba riferirsi il passo di Plinio relativo al pittore romano di età augustea Ludio (v.). Infatti le vedute di ville e di città, che mancano nel secondo stile, si fanno invece frequenti nel terzo e nel quarto stile: con quest'ultimo prende gran voga, per il suo carattere esotico e pittoresco, il paesaggio egizio.
Rari sono gli esempî d'ispirazione classica nelle catacombe. Nel Medioevo, nell'arte bizantina subentra all'ideale naturalistico dell'arte ellenistica una concezione sempre più trascendentale; il paesaggio non scompare, ma, meno diffuso, risponde a nuovi principî di astrazione, come si vede nel musaico absidale di S. Apollinare in Classe. Fuori dalle astrazioni a intento simbolico e decorativo medievale il paesaggio ebbe nel Trecento aspetti di travisamento altamente lirico: semplice, austero in Giotto; elemento di suggestione fantastica decorativa-lineare nel Guido Riccio da Fogliano di Simone Martini; di efficacia narrativa negli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, inteso attraverso scomposizioni e intersezioni di piani e astrazioni lineari, che trovano rispondenza nei paesaggi cinesi. La corrente internazionale della pittura gotica (v. gotica, arte) sulla fine del sec. XIV e al principio del XV diede nuovo sviluppo specialmente coi De Limbourg (Très riches heures di Chantilly), e preparò le visioni paesistiche dei Van Eyck (v.), ampie e acute anche se analitiche. Vi aderirono in Italia Gentile da Fabriano e il Pisanello. Poi, indipendentemente da quella corrente, in tutta la pittura italiana del '400 - e prima nella fiorentina - il paesaggio ebbe importanza grandissima anche se studiato come sfondo di composizioni sacre e allegoriche: era parte essenziale della nuova concezione di spazio che informò la pittura italiana del sec. XV. Effetti magici d'interpretazione del tutto moderna si trovano a Siena nel Sassetta, e di ancor più ardita stilizzazione in Giovanni di Paolo. A Firenze di volta in volta i paesi assumono interpretazione altamente lirica ed emotiva in Masaccio, prospetticamente cromatica in Paolo Uccello; spaziale e atmosferica in Piero della Francesca, lineare e astratta nel Botticelli, luminosa nel Pollaiolo, idilliaca in Piero di Cosimo. Nell'Umbria il paesaggio partecipa del carattere contemplativo mistico della composizione col Perugino, mentre è più studiato nei particolari dal Pinturicchio. Nell'Italia settentrionale il Mantegna si compiace di visioni vulcaniche con monti scheggiati e colline ondulose, ma specialmente nella pittura veneta il paesaggio acquista importanza col Carpaccio, con Cima da Conegliano, e soprattutto con Giovanni Bellini, sia per le sue qualità emotive, sia perché diventa base di sinfonie cromatiche ricche e morbide, nella nuova visione tonale. Nei Paesi Bassi nei secoli XV e XVI, prima che altrove, il paesaggio fu coltivato come genere d'arte a sé e primi su tutti i fratelli Van Eyck; Gérard David e il Memlinc, furono fra i loro migliori seguaci. Nel sec. XVI fiorirono Jan Mostaert, Joachim Patenier, Henri de Bles, Pieter Bruegel, Matteo e Paolo Bril, sentirono il bisogno di venire a studiare in Italia, i primi due senza perdere la vivacità del loro stile nazionale; il terzo intese maggiormente la spiritualizzazione dell'arte straniera che s'imponeva sulla realtà oggettiva del mondo sensibile. La Germania alla fine del secolo XV è sotto l'influenza dei Fiamminghi, ma Albrecht Dürer conferì alla pittura di paese un'importanza eccezionale per la sua sensibilità, per il suo alto sentimento poetico, per l'ampiezza di vedute quasi moderne. Albrecht Altdorfer, M. Grünewald, i pittori della scuola del Danubio trasfigurarono fantasticamente il paese. In Italia nel sec. XVI il paesaggio raggiunge un nuovo grado di sviluppo in una visione nuova della natura organizzata e sintetica. Leonardo fu uno dei più degni interpreti della natura. Mediante il chiaroscuro staccò la presenza immediata degli oggetti da un fondo più vago nel quale le forme si dissolvono nei vapori atmosferici, suscitando impressioni di magiche irrealtà. I suoi seguaci, il Boltraffio, Cesare da Sesto, il Solario ristamparono le sue creazioni paesistiche togliendone l'essenza vitale; il Luini e il Sodoma furono dei piacevoli narratori. Non bene definita ancora l'opera paesistica del Bernazzano. Raffaello conferì un'intensità mai più raggiunta alla purezza atmosferica, alle profondità spaziali.
I fiorentini si mantennero più ligi alla tradizione quattrocentesca degli sfondi, ma qualcuno, come fra Bartolomeo e Andrea del Sarto, conferì ad essi una più diretta importanza. Il Correggio fu il solo che s'innalzasse all'altezza della pittura veneta per un'assoluta pienezza di vita. Non vanno dimenticati il Parmigianino, Dosso Dossi, il Barocci, Lelio Orsi. Nell'ampio sviluppo paesistico cinquecentesco il posto dominante spetta ai Veneti. Per il predominio della massa sulla linea, per la luce e l'ombra che regolano i fattori cromatici, per l'azione unificatrice affidata all'atmosfera, Giorgione porta ad altra intensità la visione iniziata dal Bellini. Nella Tempesta dell'Accademia di Venezia c'è il prevalere del paese sulla figura, in uno dei suoi aspetti più fantastici colto ed eternato da una natura contemplativa e vibrante. Tutti i pittori veneti, dai belliniani ai grandi del '500 che si occupano di paese, sono in vario grado sotto l'influenza di Giorgione. Massimo fra tutti Tiziano, che amò e studiò la natura in tutti gli aspetti con un'universalità, una foga e un'ispirazione non più raggiunte. Iacopo Palma fu più prossimo a Giorgione che a Tiziano, con un diverso senso del pittoresco e una minuzia nordica nei vasti scenarî. Il paese del S. Gerolamo del Louvre di Lorenzo Lotto, va direttamente riportato per la sua importanza alla pittura moderna, alla quale richiama anche il Tintoretto, che nei paesi trovò più facile mezzo ai suoi ideali pittorici col prevalere della luce che diviene potente elemento di trasfigurazione fantastica. A questa cerchia di artisti precorritori di forme e concezioni moderne appartiene anche Paolo Veronese per gl'intenti e le tendenze impressionistiche delle ariose vedute di campagna nella villa Barbaro a Maser. Iacopo Bassano ebbe qualità eccezionali nel paesaggio ed esercitò una vasta influenza all'estero specie nella pittura francese del secolo XVII. Bonifazio, Andrea Meldolla, il Cariani, Domenico Brusasorci furono rari paesisti. Gl'incisori Giulio Domenico Campagnola, Nicolò Boldrini, Girolamo Muziano, traducendo i disegni di Tiziano, diffusero il taglio paesistico d'ampio respiro dei Veneziani dando inizio a quella numerosa schiera d'incisori che sceglieranno appunto la pittura di paese a soggetto delle loro composizioni. La tradizione veneziana fruttifica a Roma ed è tramandata in forme nuove al '600 da Annibale Carracci, dal Domenichino, dall'Albani, nel paesaggio classico, che con i francesi Nicolas Poussin, Claude Gellée detto il Lorenese, Gaspare Dughet, tutti operosi a Roma, ebbe sviluppo e fu diffuso all'estero. I Bolognesi, e Annibale Carracci in specie, fusero il gusto decorativo dell'arte toscana con il colorismo veneto, con l'esperienza fiamminga generando il paesaggio più complesso e decorativo che fino allora fosse esistito. Oltre al Domenichino e all'Albani, il Guercino, Francesco Grimaldi, Giambattista Viola, Adamo Elsheimer sono i principali esponenti di questo movimento. Agostino Tassi, scolaro di Paolo Bril, fu il legame diretto fra questi e i paesisti italiani del '600 e a sua volta maestro del Lorenese. Salvator Rosa, che impersonò la pittura di paese napoletana, amò ritrarre gli aspetti più orridi e sconvolti della natura, introducendo lo stile romantico in contrapposizione alla serenità della visione classica. La novità della sua interpretazione esaltò i contemporanei e infirmò in parte il giudizio dei critici posteriori nei riguardi di un'arte troppo manierata e non sufficientemente sincera. Il movimento paesistico del sec. XVII coinvolge tutto il resto d'Italia e troppo lungo sarebbe ricordare i nomi dei numerosi artisti che vi parteciparono.
Nel sec. XV in Francia erano prevalse le concezioni gotiche fiamminghe. Si cominciò poi a riguardare all'Italia, come in Fiandra e in Olanda, e nel sec. XVII saranno tali i contatti, che è impossibile separare i due sviluppi artistici. Il Poussin riconobbe in Tiziano la fonte più viva d'ogni ispirazione e i doni suoi particolari gli assicurarono un'inesausta vena quantunque riguardando agli effetti della sua arte si sia non ingiustamente parlato di accademismo. Il Lorenese ne superò ben presto la fama per una delicatezza di tinte, una trasparenza di atmosfera, una profondità di orizzonti tutta particolare. Poi un decadimento avvenne con Jan Glauber e Jean-François Millet, loro imitatori, e più ancora con Patel le Jeune, Étienne Allegrain, Jacques Courtois, Joseph Parrocel, copisti di questi imitatori che finirono col provocare una legittima reazione. Nel sec. XVII, i Paesi Bassi si staccano dall'Olanda fino allora ad essi strettamente congiunta, e non partecipano al suo risveglio per insistere negli schemi dei primitivi. Solo il Rubens allargò e semplificò, per il vasto impulso che veniva a dare alla pittura fiamminga, anche i paesi, ai quali impresse quel carattere esteriore e tutto decorativo che sarà mantenuto dai suoi successori, fra i quali i due Huysmans non esenti da influenze olandesi, mentre Jan Siberechts, il più originale dopo Rubens, è un isolato per il realismo che lo avvicina al sentimento moderno della pittura. Al contrario dei Fiamminghi, gli Olandesi si trovano all'avanguardia; dopo essere venuti a studiare in Italia, dipingono semplicemente quanto la loro terra offre allo sguardo e al sentimento sulla guida di Pieter Molyn e Esaia Van de Velde. Con Van Goyen, scolaro di quest'ultimo, e uno dei maggiori, scompaiono gli ultimi legami fra scuola olandese e fiamminga. Egli predilige i tenui valori cromatici equilibrati e fusi in un insieme quasi monocromo, e a lui si collega Salomon Van Ruysdael, la cui gamma diverra in seguito più calda e intensa. Jacob Ruysdael, suo nipote, giunge a dare della natura impressioni più penetranti di ogni altro, e a lui si collegano Frans de Hulst, Roelof de Uries, Cornelis Decker, per non parlare di Meindert Hobbema. Questi, meno fecondo di J. Ruysdael, lo supera nella freschezza e spontaneità dell'ispirazione, mentre i successori genereranno vani compromessi tra stile e natura adattando i soggetti al gusto degli amatori. Rembrandt occupa un posto a sé anche nel paesaggio al quale conferì l'impronta del suo genio, talora lasciandosi trasportare dalla fantasia in pitture nelle quali la lotta fra la luce e l'ombra è il vero tema compositivo, talora soffermandosi a fissare imagini tratte dalla natura nelle acqueforti. Nel secolo XVIII in Italia sono ancora i Veneti a dare un'elaborazione definitiva del paesaggio. Caposcuola Marco Ricci, alla cui formazione contribuì il romantico Alessandro Magnasco. Il Ricci risalì anzi fino al Rosa e al Tempesta con un paesismo però più sereno, con fantasia meno sbrigliata, ed ebbe pure tendenze scenografiche che preludiano al Piranesi. I rapporti con l'arte francese e inglese ne raffinarono il tocco. Giuseppe Zais si collega talora a lui, ma più spesso allo Zuccarelli. Questi, di origine toscana, fu un veneto di elezione e quantunque avesse subito il contatto della pittura europea non perdette nulla della spontaneità, dell'emozione idilliaca sua propria. Antonio Diziani, Michele Marieschi s'ispirarono al Ricci e allo Zuccarelli. Il Canaletto e il Bellotto considerati più propriamente come vedutisti ebbero un senso squisito del colore e della luce; Francesco Guardi, se per il capriccio dei motivi deriva dal Magnasco come il Ricci, al quale appunto è di preferenza attratto a riguardare per i paesi, possiede una sensibilità tutta sua, una raffinatezza tale di sensazioni atmosferiche, da essere il vero precursore del pleinairisme francese e del paesaggio inglese di J. M. W. Tunner, R. Bonington, J. Constable. Da lui il Piranesi derivò il capriccio delle sue fantasie. Altri paesisti italiani furono appunto: il Magnasco, nei cui paesi la ricerca dell'effetto scenico diviene quasi febbrile, mentre il "rovinista" Pannini ha un equilibrio tutto classico, il fiorentino Domenico Tempesta, Paolo Anesi maestro dello Zuccarelli, Luigi Garzi, Carlo Antonio Tavella, il cremonese Francesco Bassi, ecc. In Francia ricorderemo Joseph Vernet, Antoine Watteau, Hubert Robert, Louis-Gabriel Moreau che dipinge dal vero quando non si apprezzavano che le composizioni storiche. Contemporaneamente nelle Fiandre si nota una generale decadenza, mentre l'Inghilterra giunge a occupare il primo posto nel movimento europeo, dapprima con gli stessi pregiudizî classici che avevano rivolto all'Italia il Poussin e il Lorenese, ben presto con uno studio diretto della campagna inglese per opera di R. Wilson, seguito da S. Scott, Th. Barker, G. Barrett, che non possono paragonarsi a Old Crome il quale assimilò le migliori qualità olandesi ed ebbe una percezione esatta della natura.
Durante il sec. XIX e negl'inizî del XX il paesaggio è il genere più coltivato; esso è la scoperta della terra, la sorgente di una poesia che allarga smisuratamente il cuore dell'uomo, la più potente forza rigeneratrice di un'epoca e porta in sé, fino dal principio, tutto l'avvenire della pittura moderna. Contribuirono a un così grande successo diverse cagioni. L'uomo moderno, soffocato dal peso della cultura, divorato dalla febbre di una vita tumultuosa, corre a ritemprarsi nella solitudine, fugge verso il mare, verso la campagna, verso la montagna, per trovarvi il colore, la libertà, la varietà, l'energia, cioè la gioia. Egli ama la natura per sé stessa. A differenza dell'arte antica, che generalmente anteponeva la bellezza alla verità e per lo più quella ricercava a spese di questa, lo spirito moderno aspira soprattutto alla verità. Le indagini sulla composizione della luce, sulla rifrazione dei colori, sull'effetto dei corpi nell'atmosfera, portarono alla conquista dei mezzi più adatti a rendere la realtà fisica, incoraggiando la pittura all'aria aperta, e hanno enormemente diffuso il gusto del paesaggio.
Nei primi decennî del sec. XIX i pittori di storia adattano ancora intorno ai loro personaggi una natura determinata linearmente, costruita nelle sue masse come un'architettura; in tal modo nel quadro storico il paesaggio è ancora un accompagnamento della scena umana, di cui prolunga l'espressione in risonanze lontane. Ma presto il romanticismo, liberando la sensibilità, rinnova il modo di sentire la natura, e nello stesso tempo, offrendo nuovi mezzi alla tecnica pittorica, permette di fissarne diversamente il volto. L'anima umana dinnanzi alla natura prova una commozione ingenua, profonda, quasi religiosa; ne deriva un vero panteismo naturalistico. Si vuole la verità, ma non basta che essa sia soltanto osservata, deve essere anche sentita. Allora nasce il paesaggio-sensazione, che disperde come un vento fresco il vecchio intellettualismo; il paesaggio diventa uno stato d'anima; per riuscire espressivo esso ha bisogno di essere patetico, cerca i valori più eloquenti per la sua sensibilità raffinata, preferisce le ore crepuscolari perché più ricche di espressione. Non più, dunque, l'ampia architettura della terra, ciò che è solido, ciò che è permanente, come avevano insegnato i classici, ma ciò che avvolge, che è, nelle sue apparenze, effimero: il cielo vivente e perpetuamente mutevole da cui piove il chiarore, l'aria stessa, la luce, tutte le cose più fuggevoli e sottili. L'uomo non è che uno degl'infiniti elementi dell'universo, e, quando non abbiamo dinnanzi a noi la natura nella sua solitudine assoluta, egli vi appare come una emanazione del paesaggio stesso.
La pittura romantica di paese, che trovò la sua più alta espressione in Francia, intorno al 1830, col gruppo di Barbizon (Camille Corot, Henri Rousseau, Charles-François Daubigny, Jules Dupré, Constant Troyon, Narciso Virgilio Diaz, Jean-François Millet), ebbe larghe ripercussioni europee, dagl'italiani Antonio Fontanesi e Vittorio Avondo, all'ungherese László Páal e allo spagnolo Carlos Haes, fin dopo il 1860, quando la pittura di paesaggio fu quella che meglio corrispose alla nuova filosofia del positivismo, del naturalismo, del determinismo, che dal Comte all'Ardigò, dallo Spencer al Taine, governò l'u̇ltimo terzo dell'Ottocento. Essa, che in Italia aveva avuto una precoce anticipazione naturalistica nel verismo della scuola di Posillipo, animato dì esaltazioni liriche in Giacinto Gigante, più stretto alla terra nei suoi seguaci, incoraggiata dai primi trionfi della fotografia, di nuovo amò la riproduzione oggettiva degli effetti materiali, lo studio del letterale, il culto della bellezza positiva e, dominata poi dall'impressionismo (v.), in cui, attraverso Turner, rifiorivano gl'insegnamenti dei vedutisti veneziani, impose agli uomini una specie di religione naturale. Ma l'impressionismo, che si era annunziato come una liberazione e, trovando in Italia profonde rispondenze programmatiche nel gruppo toscano dei macchiaioli (v.), aveva combattuto la sua bella e feconda battaglia sotto la bandiera della verità e della sincerità, finì in una specie d'involuzione degli stessi principî scientifici da cui era nato, sboccò nel luminismo, nel divisionismo, nel puntinismo, si frantumò, nell'opera dei suoi tardi epigoni, in una serie di manierismi stucchevoli, che infestarono, fino agli ultimi anni del secolo, tutte le esposizioni.
Esemplificare è presso che impossibile, appunto perché fare la storia della pittura di paesaggio dal principio del sec. XIX ai giorni nostri significa ripercorrere tutta la storia dell'arte moderna. In Italia il Piemonte ci offre i vasti, aerati paesi di Massimo d'Azeglio, quelli più fini e poetici dell'Avondo, e, vicino al grande Fontanesi, una serie d'imitazioni del ginevrino Alessandro Calame nelle opere di Carlo Piacenza, Angelo Beccaria, Vittorio Benisson, o le minuzie di Alberto Pasini e l'obbiettivismo un poco fotografico di Carlo Pittara e di Lorenzo Delleani. La Liguria, che nel cenacolo canavese di Rivara vede raccogliersi Alfredo Luxoro, Ernesto Rayper, Alberto Issel, è un porto di mare aperto a tutti i venti e subisce a un tempo gl'influssi dei piemontesi e quelli dei macchiaioli, riecheggianti soprattutto nella maschia vigoria delle visioni della campagna romana di Giuseppe Raggio. In Lombardia Filippo Carcano, convertito definitivamente al paesaggio dopo il 1880, avviluppa campagne e colline nella loro atmosfera con lo stesso studio col quale Tranquillo Cremona cercava l'aria e la luce ambiente attorno alle sue figure, e Mosè Bianchi si salva dal cadere nei "soggettini" di moda accentuando nelle vedute di Chioggia la sua larghezza di tocco, proprio mentre si affermava il movimento divisionista di cui Vittore Grubicy, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Gaetano Previati, Giuseppe Pellizza, Carlo Fornara furono i catecumeni. Venezia con Giacomo Favretto, Luigi Nono, Alessandro Milesi, Pietro Fragiacomo, Ettore Tito, e soprattutto con Guglielmo Ciardi, tornava verso i suoi grandi paesisti e vedutisti del Settecento. Firenze per mezzo di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, dell'Abbati, di Odoardo Borrani, Silvestro Lega, Niccolò Cannicci reagiva ai difetti della vecchia scuola. A Napoli accorrevano dagli Abruzzi prima Filippo Palizzi e più tardi Francesco Paolo Michetti, dalle Puglie Giuseppe De Nittis, a riflettere, insieme con Federico Rossano, Gaetano Esposito e con altri minori, e nei vasti orizzonti e nei cieli profondi gl'insegnamenti della scuola di Posillipo, ed Edoardo Dalbono restava fedele alla maniera dello spagnolo Mariano Fortuny. A Roma il dominio di Nino Costa si sostituiva a quello di Achille Vertunni, mentre nell'associazione In arte libertas si preparava la fortuna di G. A. Sartorio paesista.
Fra i paesi che nella pittura di paesaggio ebbero un grande movimento unitario primeggia la Francia con i pittori del 1830, con gl'impressionisti e i varî gruppi che ne derivarono, fra i quali non trovano diritto di cittadinanza né i grandi paesaggi decorativi del Puvis de Chavannes né quelli di Paul Cézanne che, ripensando a Porussin, avrebbe voluto "marier des courbes de femme à des epaules de collines", né le classiche armonie di J.-R. Ménard. L'Inghilterra offre una larga schiera di acquarellisti, fra cui Thomas Girtin, Peter de Wint, William Müller, John Warley, James Ward, Richard Bonington, John Cotman. Ma la visione diretta e fresca dell'acquerello, trasportata nella pittura a olio, diede largo respiro a qualche tela del Bonington e a tutta l'opera del Constable e del Turner. Nella seconda metà del sec. XIX Cecil Lapson, John Brett, Alfred Tast, W. L. Willie, M. Arnesby Brown, R. Bundrit, A. East hanno continuato le tradizioni della scuola in cui la visione obbiettiva dell'ambiente naturale è sempre nobilitata dallo stile, mentre un gruppo di pittori scozzesi creava un tipo di paesaggio pervaso da un lirismo sottile, fra nebbie evanescenti e luci crepuscolari.
In Germania nella prima metà del sec. XIX dominano Nazzareno Koch, che viene a domandare motivi alla campagna romana e alle Cascatelle di Tivoli, e Kaspar David Friedrich, il quale, formatosi nell'Accademia di Copenaghen, visse poi a Dresda nell'intimità del norvegese Dahl, ma si può dire che solo dopo il 1850 si sia formata una vera e propria coscienza paesistica, che, ripudiando le tendenze letterarie, ha prodotto le sintesi plastiche di Max Klinger, i solidi paesaggi di Hans Thoma e la sensibilità ai problemi della luce di Max Liebermann.
Fra i paesi scandinavi la Danimarca si presenta col fondatore stesso della sua scuola pittorica, Christopher Vilhelm Eckersberg, migliore nelle sue vedute di Parigi e della banlieue che nelle faticose composizioni storiche. In sostanza i migliori paesisti danesi - J. T. Lundbye, P. C. Skovgaard, L. Frölich - studiano in Germania e si raffinano in Francia; essi acquistano tipo nazionale solo negli ultimi decennî del secolo con M. Ancher (numerose versioni delle dune di Skagen) e con F. Syberg (visioni dell'isola Frionie). Il paesaggio svedese è passato dal romanticismo di Carlo J. Fahlcrantz e di Alfred Wahlburg alla robusta sensualità di Anders Zorn e all'obbiettivismo preciso di Ergström Ekegaardh, mentre in Norvegia qualche cosa del sentimento che animava i quadri di J. C. Claussen Dahl, pittore romantico di montagne e di solitudini selvagge, e del suo allievo Th. Fearnley, anche dopo la conversione dall'influenza della Germania a quella della Francia, è rimasto nelle vaste e monotone distese d'acqua di F. Thaulow e nel fascino delle lunghe notti d'estate di E. Munch.
La Svizzera ha avuto una bella fioritura di paesisti - B. Menn, A. Calame, A. Bod-Bovy, A. Boustettern - conclusa in modo tanto diverso nell'accesa poesia con la quale Arnold Böcklin esalta nei suoi paesaggi il segreto della loro essenza fisica e nella tendenza all'astrazione e alla generalizzazione che caratterizza gli aspetti naturali evocati da Ferdinand Hodler.
Gli Ungheresi, che si orientano prima verso Barbizon con L. Páal e verso gl'impressionisti col loro grande P. Szinyei Merse pittore-poeta dell'aperta letizia campestre, fra il 1880 e il 1890 oscillano fra Monaco e Parigi e amano vivere disseminati nella provincia o raccolti in colonie, fra le quali assurge a molta importanza quella di Nagybánya (S. Hollosy, C. Ferenczy, S. Csók, O. Glatz, Béla Iványi-Grünwald, S.-Reti, G. Thorma).
La pittura russa di paesaggio, come la tedesca, cercò prima i suoi motivi in Italia, poi scoprì il fascino della propria terra per merito dei cosiddetti pittori "ambulanti". Si ebbero allora il ciclo delle vedute dei porti russi eseguito dall'Ajvazovskij per ordine dello zar, la serie delle steppe dell'Ucraina, messe alla moda dalle descrizioni del Gogol′ e dai versi del Puškin e dipinte dal Kuindži, i paesaggi minuziosissimi, quasi inventariali, dello Šiškin e quelli del Savrasov. Grande importanza ebbe anche l'azione della società Mir Iskusstva, alla quale fanno capo, fra altri, V. A. Serov e I. I. Levitan, abilissimo nell'accordare gli aspetti della terra russa con la sua tristezza intima.
Il principio del secolo XX ha dato un prestigio considerevole a Paul Cézanne (v.), ha diffuso la sua influenza e ancora più largamente, in modo indiretto, i principî che informarono la sua arte. Codesti principî, intesi ora in modo più stretto, ora in modo più generico, hanno trovato applicazione anche nella pittura di paesaggio. Per gl'impressionisti e per i loro seguaci il colore era una modalità della luce vibrante; essi volevano, per così dire, dipingere il colore della luce, fondevano il tono locale nella vibrazione universale, tendevano a distruggere i volumi sotto la mobile trama dei riflessi. Per il Cézanne, invece, il colore è una modalità del volume; egli rispetta il tono locale e non aspira a dipingere dei fenomeni luminosi, ma delle masse; il suo sforzo è diretto a interpretare razionalmente gli aspetti sensibili della natura. Attraverso gli sbandamenti, il tormento, l'anarchia che hanno caratterizzato il primo trentennio dell'arte del sec. XX, sempre alla ricerca tumultuosa di nuove leggi estetiche - intellettualismo, antintellettualismo, neonaturalismo, cubismo, futurismo, espressionismo, surrealismo, ecc. - è questa, non inventata dal Cézanne, ma da lui istintivamente rievocata e ripresa, la legge profonda che tocca tutte codeste realtà mutevoli. Sia che attraverso il cubismo accentui le linee degli oggetti, sia che con l'espressionismo, il neonaturalismo e il neorealismo si concentri nella rappresentazione totale del carattere, sia che col surrealismo pretenda di esteriorizzare l'intimità, di manifestare pittoricamente la rievocazione totale del sogno, l'arte del sec. XX tende a dare alle cose una stabilità ben decisa, a inscriverle nelle loro linee essenziali e più significative, a trascurare ciò che è estraneo alla loro natura di corpi solidi e pesanti.
La pittura di paesaggio, nella sua generalità largamente intesa, obbedisce a queste leggi. Essa, in quei limiti nei quali può essere riportata a un minimo comune denominatore, dà la più grande importanza alla costruzione, considera gli aspetti naturali dell'universo come rapporti di masse e di volumi, rinuncia agli stupefacenti effetti del colore percorso dalle vibrazioni della luce, per tornare a un cromatismo austero ed essenziale, in cui la severità delle ombre riprende il suo impero.
Nei secoli in cui a stento sopravvive in Occidente, il paesaggio ha larga diffusione in Cina, dove acquista importanza e indipendenza nel secolo VII per opera di Li Sseu-hium, ritenuto fondatore della scuola paesista settentrionale, ben distinta da quella meridionale, fiorente verso il 713, quando la prima decadeva. Da lui la natura fu fantasticamente travisata, mentre in seguito conservò talora un aspetto più reale. Verso la metà del secolo VIII fioriscono il grande Wou-Tao-Tesu che rendeva lo spazio, il moto, il volume e suggeriva alle sue composizioni una realtà interiore, un forte senso di vita, e Wang Wei che figura come fondatore della scuola meridionale e ispiratore del paesaggio cinese in ciò che ha di più raffinato, celebre per certi effetti di neve e liriche interpretazioni di uragani primaverili e brume autunnali. All'epoca delle 5 dinastie i capolavori artistici hanno per soggetto preferito paesaggi monocromi, all'inchiostro di china, con preferenza per gli elementi indefinibili quali lo spazio, l'atmosfera, le brume in cui ogni forma svanisce interpretando così il sentimento cosmico del "taoista". Il più antico e importante di questi paesisti è King Hao (prima metà del sec. X) e in quell'epoca fiorirono pure Kouan T'ong e Li Cheng, pari ai grandi maestri T'ang, Li Tch'eng, Kouo Tchongchou, Tong Yuan e Fan K'ouan che vive ancora nel 1026. I maestri delle 5 dinastie e del principio dell'epoca Song furono modello al paesaggio posteriore che nelle epoche Yuan (1279-1368) e Ming (1368-1662), rimarrà fissato nelle forme primitive. Solo alla fine dell'epoca Ts'ing gl'influssi occidentali, specie francesi, porteranno una visione nuova nell'arte cinese, del tutto moderna e non priva di dissonanze, causate da mondi tanto diversi. (V. tavv. CXLI-CLVI).
La protezione del paesaggio.
Si è cominciato a parlare della difesa del paesaggio in Europa, e poi in tutto il mondo, da quando l'Inghilterra, per bocca di John Ruskin e di William Morris, insorse contro le deturpazioni della natura perpetrate dall'industrialismo moderno. Da allora s'istituirono in tutte le nazioni civili potenti associazioni per popolarizzare, mediante escursioni, pubblicazioni, conferenze, esposizioni fotografiche, l'idea della necessità di provvedimenti legali e di sanzioni positive per far cessare le sconsiderate deturpazioni degli aspetti tradizionali della natura e della sua bellezza. E provvedimenti e sanzioni furono promulgati in varie nazioni, compresa l'Italia.
Ma fu difficile, come lo è ancora, intendersi sull'oggetto che deve essere disciplinato giuridicamente. Paesaggi, siti, monumenti naturali: quale è il significato di queste parole agli effetti di una legge di tutela? V'ha chi di ciascuna di esse ha tentato una definizione. Paesaggio, si è detto, è una parte di territorio, i cui diversi elementi costituiscono un insieme pittoresco o estetico a causa della disposizione delle linee, delle forme e dei colori. Sito è una parte di paesaggio con aspetto particolarmente interessante. Monumento naturale è un gruppo di elementi dovuti alla natura, come rocce, alberi, accidentalità di terreno e simili, che, separatamente o nell'insieme, formino un aspetto degno di essere conservato. Si è anche detto che un paesaggio può comprendere elementi puramente naturali oppure riunire in sé, nel suo insieme, opere dell'uomo, come costruzioni, rovine, campanili, piccoli centri abitati, ecc. Non diremo che codeste definizioni siano perfette in quanto abbraccino veramente tutta la materia, compresa, a nostro avviso, nelle espressioni di bellezze naturali e bellezze panoramiche usate dalla legge italiana dell'11 giugno 1922, n. 778, espressioni più comprensive e significative.
Il punto centrale della legge italiana sta appunto nel distinguere, agli effetti di una sicura tutela, la bellezza che emana da una cosa singola, facilmente determinabile nella sua entità e anche nei suoi confini (e che chiameremo bellezza naturale: la pineta di Ravenna, la cascata di Tivoli, la grotta azzurra di Capri, ecc.), dalla bellezza di un insieme di cose, entità indivisibile di elementi paesistici, non individuabili, tutti concorrenti, come le linee architettoniche di un artistico edificio, a formare un tutto armonico (che chiameremo bellezza panoramica o paesaggio: la Riviera Ligure, la Conca d'Oro, Posillipo, la punta di S. Vigilio sul Lago di Garda, ecc.). A seconda che si tratti dell'una o dell'altra, la disposizione legislativa varia; e, mentre per tutelare la bellezza naturale si procede a una notifica al proprietario nella quale il Ministero dell'educazione nazionale dichiara il notevole interesse pubblico dell'immobile (art. 1, comma 1, e art. 2 della legge), per tutelare la bellezza panoramica si prescrive che il ministero possa imporre, in caso di costruzioni, ricostruzioni, attuazioni di piani regolatori e di ampliamento, distanze e misure e altre norme, affinché il paesaggio non sia ostruito e non ne siano danneggiati l'aspetto e lo stato di godimento (art. 1, comma 2, e art. 4). Tutta l'economia della legge sta in questa distinzione fondamentale, da cui discendono le varie sanzioni.
È da aggiungersi che si è voluto estendere la protezione, oltre che agl'immobili di notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza, anche a quei luoghi, belli in sé, ma soprattutto famosi per una loro particolare relazione con la storia civile e letteraria: es., la rupe di Cuma, alla quale si riannodano le più antiche tradizioni italiche, i boschi della Verna sacri alle tradizioni francescane, la Villa Glori, dove caddero combattendo i fratelli Cairoli, ecc. (art. 1). Si volle anche, a somiglianza di molte disposizioni estere in siffatta materia, proibire l'affissione di cartelli e altri mezzi di pubblicità nei luoghi soggetti alla legge di protezione (art. 5).
All'estero non tutti gli stati hanno emanato disposizioni adeguate all'importante argomento: alcuni si sono limitati a provvedere solo mediante un'intensa propaganda. In Germania fu primo il granducato di Hesse a promulgare una legge (16 luglio 1902) che pose sotto speciale protezione i diversi aspetti della natura, di cui la conservazione è d'interesse pubblico per considerazioni storiche, scientifiche, per singolarità o per bellezza pittorica. Dopo il granducato di Hesse, la Prussia (15 luglio 1907), la Sassonia (10 marzo 1909), il ducato di Sassonia Coburgo (8 aprile 1909) emanarono provvedimenti legali che ebbero sì lo scopo di proteggere il paesaggio, ma assai più quello, d'impedire, con molte cautele, la degradazione delle città storiche. In Francia, dopo un'intensa propaganda del Touring Club e di altri sodalizî, si ebbe la legge 21 aprile 1906, la quale riposa tutta sul catalogo delle proprietà fondiarie, la cui conservazione è ritenuta necessaria per i loro pregi artistici e pittoreschi. Essa è ora sostituita da quella del 2 maggio 1930. Nel Belgio, dopo una prima legge del 12 agosto 1900, in verità molto insufficiente, ne furono promulgate altre due più rispondenti al fine di un'adeguata tutela del paesaggio, la legge 12 agosto 1911 e poi quella del 7 agosto 1931. Il Lussemburgo vi provvide con la legge 12 agosto 1927, seguita dal regolamento 26 aprile 1930. In Giappone si ha la legge n. 44 dell'aprile 1919 per la protezione e la conservazione dei luoghi storici, delle bellezze naturali e degli oggetti preziosi dal punto di vista scientifico o storico, seguita dal regolamento n. 262 del maggio 1919. Anche nel Marocco un dahir del 13 febbraio 1914 provvede alla conservazione dei monumenti storici e dei siti.
Bibl.: H. Wonwentz, Die Gefährdung der Naturdenkmäler, ecc., Lipsia 1904; R. de Clermons, De la protection des monuments du passé, des paysages et des sites, Rapport au Congrès de Liége, 18-24 settembre 1905; F. Cros-Mayrevieille, De la protection des monuments historiques ou artistiques, des sites et des paysages, Parigi 1907; J. Astié, La protection des paysages, Lione 1912; H. Carton de Viart, Pourquoi et comm. défendre nos paysages, Bruxelles 1920; L. Parpagliolo, Il catalogo delle bellezze naturali d'Italia e la legislazione straniera, Milano 1922; id., La difesa delle bellezze naturali in Italia, Roma 1923.