Vedi PAESTUM dell'anno: 1963 - 1973 - 1996
PAESTUM (v. vol. v, pp. 829-840)
Dal 1967 al 1969 è stata intrapresa dalla Soprintendenza alle Antichità di Salerno (sotto la direzione di Mario Napoli) una esplorazione sistematica delle necropoli pestane, che si estendono a N e a S sino a circa 2 km dalla cinta urbana. Il risultato più saliente di tale ricognizione, oltre al suo valore topografico, è consistito nella scoperta di numerose pitture. Nella totalità delle attuali scoperte si tratta non di tombe a camera, ma di tombe a cassone formate da lastroni di pietra calcarea, decorati all'interno da pitture. Queste non erano quindi più visibili dopo la chiusura del sepolcro; esse erano destinate esclusivamente al defunto. Osservazioni tecniche condotte da M. Napoli portano a concludere che queste pitture dovevano essere, almeno in alcuni casi, eseguite di volta in volta su commissione; esse risultano ancora fresche al momento della posa in opera conservando sull'intonaco la traccia impressa delle corde servite per collocarle in sede. Ciò spiega perché le varie lastre di una singola tomba fossero spesso eseguite da mani diverse per accelerare il lavoro.
Tombe a camera e a cassone con pitture erano state scoperte a N della città, fuori Porta Aurea, già a partire dal 1805, mentre successivi scavi condotti saltuariamente fino al 1819 appurarono la presenza di tombe del VI sec. e del IV sec. a. C.; nella stessa zona, lungo il percorso dell'attuale via Tavernelle, furono rinvenute tombe romane, alcune delle quali a carattere monumentale. Più a N, presso il canale del Cafasso, si rinvennero tombe dipinte nel 1895 e altre nel 1932; e ancora più a N, in località Chiuse del Cerro, una vasta necropoli del IV sec. a. C.; nella zona del Gaudo, a non grande distanza dalla ben nota necropoli preistorica, vennero alla luce, tra il 1948 e il 1950, tombe di età romana imperiale, mentre, sulla sinistra del Cafasso, una necropoli del VI sec. a. C., in parte sconvolta da una del IV, restituiva alcuni corredi arcaici intatti, tra cui ceramica attica a figure nere ed una hydrìa decorata nello stile di Fikellura; ancora tra il 1955 ed il 1957, a N-E della città, nelle località Andrinolo e Laghetto, il Sestieri esplorò 251 tombe, in parte lucane ed in parte tardo-arcaiche.
Anche a S della città si ha notizia di rinvenimenti intorno agli inizî del XIX sec.: poco fuori Porta Giustizia urne cinerarie romane e tombe ellenistiche. In località Spinazzo (a SE delle mura) si rinvennero tombe dipinte; nella stessa località fu scavata nel 1859 una tomba a camera dipinta, ed una necropoli del IV sec. a. C. fu esplorata in località Caggiano-Licinella. La contrada Spinazzo è interessata ancora dal rinvenimento di una necropoli del IV-III sec. a. C. negli anni 1948-1950; dal 1955 al 1957 il Sestieri scavò 26 tombe in località Tempa del Prete, circa km 2 a S della città. Nel 1964 fu esplorata dal Voza una necropoli in località Linora, a S-O della città, con tombe a cassa di travertino databili in gran parte al IV sec. a. C.; una sola tomba restituì ceramica del V sec. a. C., mentre fu rinvenuta sporadicamente ceramica della fine del VI sec. a. C. Per completare il quadro topografico basterà dire che ad O della città non si segnalano tombe, ad eccezione di alcune, molto tarde, addossate alla cerchia muraria, mentre ad E sono state individuate solamente tombe databili probabilmente al tardo-antico.
Anche le recenti esplorazioni tra il 1967 e il 1970 sono state eccezionalmente ricche di rinvenimenti, sempre sui lati N e S della città.
A N, nel 1969, sono state messe in luce circa 120 tombe in contrada Laghetto, databili dagli inizî del VI al IV sec. a. C.; tra il 1969 e il 1970, sempre a N, in contrada Andriuolo, oltre ad alcune tombe della seconda metà del V sec. a. C., del tipo a cappuccina, è stata individuata una fitta necropoli di tombe a cassone con una percentuale di un terzo dipinte, databili tra il 340 e il 310 in base ai ricchi corredi vascolari.
In attesa della prossima pubblicazione integrale di queste scoperte non si possono dare che pochi cenni sommarî; anche la cronologia dovrà essere meglio fissata attraverso uno studio più esatto delle ceramiche dei corredi. La maggior parte delle tombe hanno copertura formata da due lastroni disposti a spioventi, il che comporta che le lastre dei lati più brevi sono a forma cuspidata. È spesso nella cuspide, la quale viene a formare una sorta di frontone, che si trovano le raffigurazioni più interessanti. Tutte queste pitture sono eseguite a fresco con un tratto estremamente fluido e disinvolto nel quale assume particolare valore il disegno di contorno; più che vere pitture sono disegni colorati con quel vivace senso del ritmo della policromia, che è proprio delle cosiddette "arti popolari". E di tali tendenze artistiche le composizioni hanno l'inosservanza delle proporzioni naturalistiche e le convenzioni prospettiche. In quanto ai soggetti, il quadro sinora noto delle pitture pestane, con prevalenza di armati a cavallo o di duellanti, viene singolarmente arricchito con frequenti scene allusive al culto dei morti, con deposizione di offerte. In un caso si ha una scena di pròthesis con compianto di donne attorno alla morta, di disegno particolarmente corretto e con costumi che altri monumenti indicano come tipicamente lucani. Di particolare interesse una composizione su tre registri nella quale una processione di offerte, compreso un animale da sacrificio, culmina nella cuspide con una scena che mostra la defunta in atto di porre il piede su una passarella che la condurrà ad una barca dalla quale si sporge ad accoglierla una figura alata.
La testa di questa figura è grande, rotonda e fissa, non partecipante all'azione delle braccia tese verso la defunta. Si è detta, questa pittura, "la barca di Caronte". Ma la figura alata, oltre a non avere alcun tratto con le varie iconografie del Caronte note nel repertorio greco o etrusco, è manifestamente femminlle nella veste e nella sporgenza dei seni; e il volto è piuttosto affine a quello della Gorgone, anche se di aspetto benevolo. Dovrà essere pertanto interpretata come una figura analoga alla Vanth etrusca, ricercandone le affinità nella purtroppo assai scarsamente nota demonologia lucano-campana.
Di particolare rilievo la lastra di un'altra tomba che ha come soggetto principale i pezzi di un'armatura italica (elmo, schinieri e corazza) eseguiti a solo contorno e una piccola figura laterale di un cavaliere con stendardo, del tipo caratteristico per altre pitture pestane già note da tempo. L'interesse di questa composizione risiede anche nello stretto confronto che è possibile istituire con una delle tombe dipinte di Tarquinia (la Tomba Giglioli: M. Cristofani, Il fregio d'armi della Tomba Giglioli, in Dialoghi di Archeologia, I, 1967, p. 288 ss.) confermando i rapporti di influenza fra la Campania, l'Etruria e la Puglia. Dal punto di vista artistico è notevole una composizione di grifi e pantere sopra un'altra lastra tombale che, pur fra scorrettezze di proporzioni, denunzia la derivazione da buoni modelli di cultura ellenistica filtrata attraverso il tramite tarantino, ripetuti qui con notevole e disinvolta forza di disegno.
Questi numerosi documenti vengono a formare un cospicuo arricchimento delle nostre conoscenze sulla pittura artigianale dell'Italia preromana, della quale purtroppo, sinora, le testimonianze erano rapidamente deperite e scomparse. Merito particolare va dato a M. Napoli per averne assicurato la conservazione, soprattutto impedendo una troppo rapida essiccazione delle lastre tratte fuori dello scavo. (Le lastre sono state conservate per quasi due anni in locali non esposti al sole e di relativa umidità, prima di essere collocate nella nuova ala del museo di Paestum).
Sempre nel corso delle recenti esplorazioni tra il 1967 e il 1970, nella zona S, si rinvennero (1967-1969) circa 100 tombe di IV sec. a. C., in località Caggiano-Licinella, prive di pitture ma con ricchi corredi; alcune di esse, a camera, vuote, presentavano il graffito M S e la data 1863, 1864, di una precedente esplorazione. Sempre a S, nella zona Tempa del Prete furono esplorate (1968-1969) circa 40 tombe di VI-IV sec. a. C. In questa stessa zona nel giugno del 1968, in scavo intrapreso per motivi contingenti e senza speranza di rinvenimenti, entro una stretta lingua di terreno racchiusa fra l'incrocio di strade moderne, fu scoperta, a circa 2 km a S di P., una tomba formata da lastroni sui quali sono state condotte pitture ad affresco, che è già entrata nella letteratura archeologica col nome di Tomba del Tuffatore. Le quattro lastre che formano le pareti (circa di m 2 per 1) presentano scene di banchetto; la lastra formante la copertura piana reca la scena del tuffo di un giovane ignudo, che ha dato il nome alla tomba. Probabilmente anche in questo caso le pitture sono state eseguite da due mani diverse. Si notano diversità nella qualità del disegno, correzioni o pentimenti nell'esecuzione rispetto alle linee graffite di abbozzo (da non confondersi, come è stato fatto, con ciò che in affreschi rinascimentali si chiamano "sinopie"). Queste correzioni sono interessanti perché mostrano, in parte, che schemi più arcaici sono stati corretti introducendo elementi spaziali (braccio disteso parallelo al corpo, corretto in braccio flesso e portato a reggere una coppa dinanzi al petto). Tali elementi e il dato fornito da un'unica lèkythos attica trovata nella tomba, portano a datare queste pitture fra 475 e 470.
Esse sono finora l'unico esempio conosciuto di una tomba dipinta di V sec. a Paestum. Sulla qualità delle pitture si è tuttavia equivocato nelle prime pubblicazioni, esaltando in esse a torto "la scoperta della grande pittura greca". In realtà si tratta di un documento senza dubbio molto interessante della cultura pittorica propria all'ambiente di una città coloniale greca in Italia. È la stessa cultura che è documentata anche dalla coeva ceramica dipinta campana, in un aspetto di livello qualitativamente un poco più alto; ma sempre di riflesso e assai lontano dal vigore della pittura greca quale è testimoniata, sia pure indirettamente, dalla coeva ceramica attica.
Per quanto riguarda la scena del tuffo, esclusa in modo assoluto l'interpretazione agonistica e con riferimento all'individualità del defunto, che era stata affacciata in un primo momento, essa va senza dubbio interpretata simbolicamente. Ma è probabile che la simbologia vada intesa in senso generico, senza volerla legare a una particolare iniziazione orfico-pitagorica del titolare della tomba. Lo specchio d'acqua verso il quale è diretto il tuffatore appare quale un fiume gonfio e irruente: in esso è da riconoscere l'Okeanos, il fiume che con nove parti delle sue acque ricinge il mondo mentre una decima parte se ne separa a formare lo Stige profondando sotterra. È là che sarà trascinato il tuffatore percorrendo il passaggio dalla vita alla morte. Al di là del fiume, posto al limite fra la Terra e il Cielo, dimorano le Gorgoni e hanno sede la Notte, Ade e Persefone (Hesiod., Theog., 775 ss.). Il supposto trampolino (per il quale non vi è riscontro né iconografico né lessicale) è in realtà una costruzione in blocchi squadrati a forma di pilone. È stato proposto (Bianchi Bandinelli) di interpretarlo piuttosto come un pilastro che segna il termine della terra (cfr. Herodot., iv, 15, 2; Plat., Crit., 3). Quando, in un secondo tempo, l'Okeanos fiume fu identificato con l'Oceano Atlantico, i pilastri divennero due, le "colonne d'Ercole", che però nei testi greci troviamo sempre indicate come stèlai o pỳlai. Inizialinente il pilone di confine del mondo era uno solo, dato che al di là dell'Okeanos vi era il nulla. Anche gli alberi stilizzati che compaiono sulla lastra del Tuffatore non sono da interpretarsi come elementi paesaggistici, ma puramente ornamentali, inseriti come sono sulla linea di cornice, estranei allo schema originario e fondamentale della composizione.
Museo. - Il museo di P. era sorto nel 1952 col preciso scopo di custodire le sculture arcaiche rinvenute nell'Heraion presso la Foce del Sele ed era stato progettato e realizzato in funzione di esse. L'esplorazione sistematica della città e delle necropoli ha portato un tale arricchimento nel materiale che si presentò subito la necessità di un ampliamento, progettato e attuato in più riprese: la sala Metope (1966) e le sale di Paestum (1969). Esso è organizzato in tre sezioni, una riservata alla preistoria e alla protostoria del territorio fino all'arrivo dei Greci; una seconda al materiale dall'Heraion del Sele e una terza a P. in particolare. La prima sezione è sistemata nella galleria superiore della prima sala; vi sono esposti i materiali della necropoli eneolitica del Gaudo (v. vol. iii, p. 794), con le tipiche ceramiche, le armi e una documentazione grafica e fotografica delle singole tombe; due di queste tombe, scavate in un banco di calcare, sono state ricostruite nel museo. L'Età del Ferro nella piana del Sele è documentata con materiali della necropoli della Arenosola (subito a destra del fiume Sele, non lontana dalla foce), Pontecagnano (v.) e Oliveto Citra (v. vol. v, p. 667). Il materiale di Pontecagnano, notevolmente arricchito, sta trovando in un altro museo la sua sistemazione.
La seconda sezione è sistemata nelle due grandi sale dell'Heraion; vi sono riuniti tutti i trovamenti dal 1934; nella prima le metope, il fregio, i capitelli del thesauròs; i materiali delle stipi votive, con la sequenza tipologica delle rappresentazioni di Hera; le monete d'argento che documentano i centri con i quali il santuario era in contatto; la ceramica fino all'età ellenistica, romana e bizantina. Nella seconda stanza è riunita la documentazione dal tempio maggiore dell'Heraion.
La terza sezione del museo, solo in piccola parte esposta, è dedicata alla città di P. fin dall'epoca della sua fondazione: frammenti di ceramica cipriota (Miceneo III B), ceramica corinzia proveniente dalla necropoli scoperta nel 1969 a N di P.; capitelli e stipi votive dal tempio di Cerere; le terrecotte architettoniche della Basilica con la ricostruzione grafica; le stipi votive dei templi maggiori, con statuette e ceramica; una serie di tavolette in avorio figurate con atleti, danze armate e banchettanti; sculture in terracotta che testimoniano l'esistenza di una scuola di coroplasti nella città. Oltre alle stipi provenienti da santuarî extra-urbani è esposto nel museo anche il materiale del sacello ipogeo, otto vasi di bronzo e un'anfora a figure nere.
Una cospicua parte della sezione pestana è completamente dedicata alla pittura funeraria, tombe a cassone o, meno frequentemente, a camera, con le pareti dipinte all'interno. Notizie di simili ritrovamenti si hanno fin dal 1700, ma poche erano le pitture rimaste: qualche lastra conservata al museo di Napoli, una al Museo Provinciale di Salerno e 10 già in precedenza conservate al museo di Paestum. Le nuove immissioni sono avvenute per il ritrovamentd, nel 1968, della tomba del V sec., nota come Tomba del Tuffatore (v. sopra) e nel 1969, di una necropoli lucana del IV sec. a. C., con numerosissime tombe dipinte, tutte con corredi che permettono una datazione tra il 340 e il 310. Questa sezione del museo, già eccezionalmente ricca, sembra fortunatamente destinata ad ulteriori arricchimenti.
L'ultima sala del museo è dedicata ai grandi maestri della ceramica pestana, e sono anche esposti due vasi con firma rispettivamente di Assteas e Pithon; un altro pittore pestano è stato recentemente individuato, il Pittore di Afrodite, sulla base di un cospicuo e omogeneo ritrovamento nella necropoli della Licinella, a S della città; le sue opere sono esposte in questa sala.
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