PAESTUM (XXV, p. 916)
Dopo la fortunata esplorazione, che condusse alla identificazione del santuario di Hera Argiva ('Αργεία o 'Αργῷα) presso l'antica foce del Silaris (Sele) quattro successive campagne di scavo hanno messo in luce il nucleo essenziale del sacro recinto. Le scoperte hanno pienamente confermato la tradizione letteraria classica circa l'ubicazione del Heraion, la sua remota origine, la fastosità dei suoi edifici e la lunga vita, rigogliosamente rinnovatasi nei secoli in grazia della tenace pietà dei fedeli e ad onta delle vicende storiche e dei dannosi eventi che più volte la misero a dura prova. Plinio (Nat. Hist., III, 70), Strabone (VI, 252) e Solino (II, 12) attribuiscono la fondazione del santuario agli Argonauti, dicendolo ancora grandioso e fiorente ai loro giorni, mentre Plutarco (Vita di Pompeo, XXXIV, 3) attesta che la fama delle sue ricchezze attrasse l'avidità dei pirati Cilici: da queste testimonianze è facile desumere che il culto greco risaliva ad età così vetusta da esserne le origini confuse nelle poetiche nebbie del mito e ch'esso persisteva ancora, evoluto ma non mutato, nell'età imperiale romana.
Gli scavi hanno finora messo in luce i resti di: 1. un tempio dorico pseudodiptero con otto colonne sulle facciate e 17 sui lati, databile al 500 circa a. C., riccamente adorno di metope figurate e di modanature a rilievo che rivelano il preciso influsso dello stile ionico; 2. un tempietto tetrastilo prostilo di età più antica (560 a. C. circa) anch'esso ispirato all'amore del fasto e al più raffinato gusto decorativo, come basterebbero a dimostrare i due capitelli d'anta, più simili ad opera di orefice che non d'architetto, se non ne fossero riapparse dodici delle metope scolpite, che sono autentici capolavori della plastica più arcaica e che arricchivano con la vivacità delle loro forme i quattro lati del sacello; 3. un portico o stoa affiancato da due vani minori e preceduto da un avamportico con pilastri: costruito nel sec. IV con materiali dei templi che avevano subito ingiurie da una battaglia o un'invasione, era destinato ad accogliere ed ospitare i pellegrini, che fiduciosi attendevano dalla dea salutare la grazia; 4. un edificio attiguo e coevo, nel quale la presenza di varî forni può far forse riconoscere una officina ceramica; 5. due pozzi sacri o bothroi con annessa ara sacrificale (costruiti alla fine del sec. IV e ancora aperti al culto in età romana), che serbavano nella profondità del loro segreto inviolato le ossa delle vittime, il legno del rogo, le offerte votive e perfino gl'incensi e le resine aromatiche. In varî punti del sacro recinto sono riapparse basi di donarî e stele ed abbondantissima è stata la messe degli ex-voto: la stipe più antica comprende vasi e statuette fittili dell'industria corinzia del sec. VII a. C.; la più recente sembra scendere fino al sec. III a. C. con migliaia di statuette di fine fattura, mentre l'immagine della dea della piena età classica (sec. V-IV) rivive nelle riproduzioni che ne serba una stipe deposta sul finire del sec. III a. C. in loculi thesaurarii all'uopo costruiti. Dalle forme si risale allo spirito del culto, ossia alle qualità che la fede popolare attribuiva alla divinità: era questa concepita come dea dell'amore e della fecondità, protettrice delle nascite e della vita oltremondana, signora celeste e sotterranea della natura e degli umani, partecipe delle virtù di Afrodite e di Persefone a un tempo.
Bibl.: È attualmente in corso di stampa nelle Not. scavi d. R. Acc. dei Lincei, 1937, una relazione preliminare degli scavi redatta da P. Zancani Montuoro e U. Zanotti-Bianco, cui si devono la fortunata ricerca topografica e i successivi scavi. La prima metope arcaica è stata provvisoriamente illustrata da P Z. M. in La critica d'arte, fasc. 1, ottobre 1935, p. 27 segg., tav. 16 seg.