DORIA, Pagano
Nacque a Genova alla fine del sec. XIII da Gregorio.
Il padre fu tra i primi membri della famiglia a preferire all'attività commerciale la guerra di corsa, costruendosi una flotta personale e cercando di far fortuna nel Mediterraneo. Egli si distinse sia nella lotta contro Pisa sia nella caccia alle navi catalane. Membro del ramo doriano uscito sconfitto dalle lotte che travagliarono la famiglia agli inizi del secolo XIV, Gregorio fu riammesso in città con l'accordo del 1307.
È probabile che il D. abbia imitato l'esempio del padre, forse ponendosi al servizio di una delle tante potenze che si contendevano il controllo del Mediterraneo orientale, zona, questa, che egli dimostrò di conoscere assai bene fin dal momento del suo primo comando ufficiale per la Repubblica genovese, nel 1350. In precedenza, di lui sappiamo solo che nel 1314 noleggiò al procuratore dell'arcivescovo di Palermo, Francesco di Antiochia, la sua galera per trasportare il prelato con il seguito da Corneto (l'odierna Tarquinia) nella città siciliana (18 settembre). Nel 1332, come procuratore di Tommaso Doria, fu presente alla vendita di una terra posta nel Savonese (20 agosto).
Nel 1350 lo scontro tra Genova e Venezia assunse l'aspetto di una partita decisiva per il controllo del Mar Nero. Il fallimento dell'accordo tra le due potenze per una difesa comune di Caffa e di Tana, minacciate da Djanibek, khan dei Tartari, e l'insediamento dei Genovesi a Chio, col conseguente riavvicinamento tra Giovanni VI Cantacuzeno e Venezia per un attacco contro i Genovesi di Pera, furono gli avvenimenti che fecero precipitare la situazione. Le ostilità (iniziate nel settembre con piccole scaramucce locali e degenerate con la cattura di alcune navi genovesi nelle acque di Negroponte) furono ufficialmente aperte dall'accordo stretto tra Venezia, l'Impero bizantino e Pietro IV d'Aragona contro Genova. La Repubblica ligure, avvertendo il gravissimo pericolo che minacciava il cuore del suo impero economico, decise di compiere uno sforzo militare e finanziario enorme, per chiudere una volta per tutte la partita.
Affidato il comando delle operazioni al D. (che, quindi, doveva avere già avuto modo di far apprezzare le sue capacità, ma non sappiamo in quali occasioni), nel novembre il doge Giovanni Da Valente impose un prestito forzoso di 300.000 lire genovine, garantito con la creazione della "Compera magna Venetorum". I preparativi tecnici furono affidati a una commissione temporanea nominata dallo stesso doge; furono armate anche parecchie navi mercantili e si imposero arruolamenti, sia obbligatori sia volontari, ad ogni "villa" del distretto genovese (il totale dei marinai imbarcati raggiunse le diecimila unità). Il numero complessivo delle galere affidate al D. fu di sessanta. La flotta partì da Genova il 13 luglio 1351; dopo aver fatto scalo a Gaeta e a Messina (24 luglio), non avendo trovato la flotta veneziana - che si voleva affrontare prima del suo ricongiungimento con quella alleata catalana, previsto al largo delle coste siciliane -, il D. decise di compiere una incursione nel mar Adriatico e si spinse sino a Valona, ottenendo solo la cattura di un legno veneto all'altezza di Corfù.
L'annuncio dell'imminente arrivo della flotta genovese nelle acque orientali ebbe, però, effetti positivi: Niccolò Pisani, che con 22 galere e con l'aiuto di truppetizantine stava assediando Pera, il quartiere genovese di Costantinopoli, preferì rinunciare all'impresa. Il contatto tra le flotte nemiche si ebbe al largo di Modone: il Pisani riuscì a liberarsi dall'inseguimento cui lo sottopose il D. ed a rifugiarsi a Negroponte. Qui venne assediato dal D., alla fine di agosto. L'assedio fu lungo e tormentato anche per i Genovesi, alle prese con gravi problemi di approvvigionamento; inoltre, il tentativo di occupare la città, scavando una galleria sotterranea, non ebbe successo. Durante questi mesi il D. si accordò con l'imperatrice di Bisanzio Anna di Savoia per mettere sul trono il figlio di lei; egli provvide a tenere sotto pressione anche le altre forze nemiche, facendo pattugliare l'Eubea da venti navi affidate a Raffaele Imperiale. Alla fine di ottobre la notizia dell'imminente arrivo della flotta veneto-aragonese (comandata da Pancrazio Giustinian e da Poncio di Santapau) costrinse il D. a rinunciare all'assedio.
Fu fatta rotta verso Chio per completare gli equipaggi che erano stati decimati dallo sfortunato tentativo e per ricostruire le provviste di viveri. Il D. aveva intenzione di dirigersi a Salonicco, per incontrarvi l'imperatrice Anna, ma, informato che essa aveva cambiato i suoi progetti, fece vela su Tenedo, compiendo vari atti di saccheggio (fu occupata Mitilene, costretta a pagare un tributo). Ad Eraclea il D. fu obbligato a sostare per il vento contrario. Scesi a terra per cercare vettovaglie, i marinai furono assaliti dai Greci ed alcuni di loro vennero uccisi. Benché il D. desiderasse passare sopra l'episodio per non irritare l'imperatore, che egli si proponeva di staccare dai suoi alleati, i marinai genovesi si opposero e, con la minaccia di una accusa di viltà, lo obbligarono ad assalire Eraclea, che fu presa e saccheggiata. Qui furono fatte razzie di uomini da vendere come schiavi; vennero anche catturati molti notabili, che il D. fece poi trasportare a Pera, obbligandoli a pagare un riscatto. In loro favore, tuttavia, intervenne il vescovo della città, Filoteo, che si offrì come ostaggio e riuscì a convincere il D. a liberare i prigionieri senza condizioni.
Nel frattempo, i buoni rapporti con gli Osmanli (nemici del Cantacuzeno), non ancora ufficializzati a livello diplomatico, risultarono utili, perché Orhan contribuì a tenere il D. informato sui movimenti della flotta nemica e non fece mancare aiuti in viveri. Giunto il D. finalmente a Pera, ai primi di novembre, la situazione rimase a lungo sospesa: il Cantacuzeno attese l'arrivo della tanto sospirata flotta veneto-aragonese, per riprendere l'assedio al quartiere genovese; i Genovesi, a loro volta, raggiunti dalle navi del D. e liberati per il momento dal pericolo di un attacco nemico, si trovarono alle prese con la scarsità di viveri. Tuttavia, Orhan permise alle navi genovesi di caricare farina in Turchia; altri aiuti vennero dalla colonia di Caffa. Fallito un tentativo di convincere l'imperatore all'accordo, il D. fece saccheggiare Sozopoli.
Agli inizi di febbraio del 1352 giunse nelle acque di Costantinopoli la flotta veneto-aragonese. Il D., per impedire che le navi nemiche si unissero a quelle bizantine, decise con energia di prendere l'iniziativa, approfittando delle traversie che gli avversari avevano incontrato durante la navigazione. Tuttavia, un vento furioso impedì al D. di attuare il suo piano. Il 13 febbraio egli ripartì alla caccia del nemico, che, nel frattempo, era riuscito a riorganizzarsi, pur essendo costretto a fermarsi in alto mare.
Le due flotte si fronteggiarono al largo dell'isola del Principe, benché mancassero solo due ore a sera, il Santapau insistette presso il collega veneziano perché si attaccasse comunque battaglia. Il vento era favorevole agli alleati, per cui il D. preferì tornare indietro, anche a costo di permettere l'unione del nemico con la flotta bizantina. Superata Galata, egli poi cercò di dare ordine al proprio schieramento, sia pure in modo improvvisato, presso la località detta "Diplokonion". La flotta nemica, spinta dal vento furioso, superò di slancio le navi del D., che preferi non inseguirla. Il Santapau ed il Giustinian furono, così, costretti a tornare indietro nel mare in burrasca e ad attaccare battaglia in uno spazio angusto. La battaglia del Bosforo (uno dei più grandi scontri navali del Medioevo) fu caotica, perché nessuno dei contendenti ebbe modo di schierarsi ordinatamente; le navi si divisero in parecchi gruppi che si assalirono in numerosi duelli isolati e violentissimi. Giunta la notte e benché la tempesta continuasse, la battaglia proseguì con incredibile accanimento. Al mattino apparve chiara a tutti l'entità del massacro: gravi furono le perdite subite da entrambi gli schieramenti. Il Santapau, ferito, mori nel marzo a Costantinopoli; nello scontro persero la vita anche il Giustinian ed il viceammiraglio di Valencia, Bernardo de Ripoll. Tuttavia, non ci fu un vincitore, anche se la flotta veneto-aragonese preferì ritirarsi, dando l'illusione ai Genovesi di aver avuto la meglio. In realtà, le perdite furono assai elevate da entrambe le parti: delle sessanta navi che seguirono il D. sedici andarono perdute, mentre i nemici ne persero ventitré.
Cominciò così un lungo periodo di stallo: fino all'aprile le due flotte si fronteggiarono, ma senza prendere iniziative. Il D. rimase a Pera circa 18 giorni; il 3 marzo tentò invano di ingaggiare una nuova battaglia col nemico, che preferì sottrarsi allo scontro, tagliando abilmente la strada alla flotta genovese per il ritorno a Pera. Il D. si vide perciò costretto ad ormeggiare le sue navi sulla costa asiatica del Bosforo in territorio osmanlo. Qui Orhan accolse benevolmente l'alleato, con cui si intensificarono i rapporti. Anche il tentativo, compiuto dal nemico, di convincere il khan a staccarsi dall'alleanza genovese fallì, per cui la flotta veneto-aragonese decise di abbandonare al suo destino il Cantacuzeno e di tornare indietro. L'imperatore, pertanto, fu costretto a venire a patti ed il 6 maggio firmò la pace. Furono riconfermate le convenzioni preesistenti, fatti salvi gli accordi intercorsi tra Orhan ed il D.; fu riconosciuto di nuovo a Genova il possesso di Pera; il Cantacuzeno si impegnò a non accogliere nei suoi porti navi venete o catalane e a navigare nel Mar Nero solo col permesso genovese. Ai primi di giugno il D. salpò da Costantinopoli, facendo rotta verso Altologo e poi verso Chio. Persa la speranza di imbattersi nella flotta nemica, il D. fece ritorno rapidamente a Genova, dove attraccò l'11 agosto. La spedizione si concluse con un parziale insuccesso e come tale fu sentita in città, dove l'ammiraglio non venne festeggiato. Davanti all'enorme sforzo economico ed umano sopportato dalla Repubblica ligure, si erano avute gravissime perdite senza risultati decisivi, perché la potenza veneziana poteva continuare a presentarsi come pericolosa rivale nel Mar Nero.
Due anni dopo il D. fu nuovamente chiamato a guidare una flotta, questa volta contro il pericolo catalano. La Repubblica genovese armò 24 galere, che si diressero verso le Baleari, giungendo il 29 giugno 1354 al largo di Barcellona. L'improvviso arrivo della flotta nemica costrinse le autorità cittadine a far bruciare una cocca ancorata nel porto, per evitare che cadesse nelle mani dei D.; costui proseguì poi alla volta di Alghero, ormai sotto il controllo aragonese, e a metà luglio si presentò al largo della città in schieramento di battaglia. Bernardo Cabrera (che in quelle acque aveva gravemente sconfitto una flotta genovese l'anno prima), confidando nella sua superiorità numerica, si preparò ad attaccare il D., che, sfruttando la maneggevolezza delle sue navi, cambiò per due volte formazione, nella speranza che si aprissero varchi nello schieramento catalano, ma sempre pronto alla ritirata in caso di scontro frontale. Queste manovre, però, non ebbero successo, per cui il D. lasciò le coste sarde e ritornò a minacciare da vicino il litorale tra Narbona, Perpignano e Marsiglia. Passato poi in Adriatico, forte dell'appoggio ungherese, compì una serie di scorrerie contro le posizioni veneziane. Furono saccheggiate Curzola e Parenzo, dove il D. sottrasse i corpi dei santi Mauro ed Eleuterio (trasportati poi a Genova e deposti nella chiesa di S. Matteo). L'ammiraglio veneziano Nicolò Pisani, che aveva a sua volta abbandonato le acque della Sardegna ed era giunto nel settembre ad Otranto, informato dell'accaduto, andò in caccia del D., che si era attestato a Chio; qui lo sorprese, ma non riuscì a spingerlo alla battaglia, perché egli stava aspettando rinforzi da Genova.
Questa versione dei fatti, accettata dai cronisti contemporanei, contrasta con le risultanze dell'inchiesta che sull'operato del Pisani venne condotta dagli avogadori de Comun veneziani; fu il Pisani, infatti, ad evitare lo scontro con le galere genovesi, pur essendo queste male equipaggiate ed in difficoltà. In tal modo, egli permise al D. di ricevere rinforzi dalla Romania. A Cerigo al Pisani fu consegnato un messaggio dal rettore della Canea, che lo invitava a raggiungere Corone, dove avrebbe trovato lettere ducali segrete. Il Pisani si affrettò, giungendovi l'11 ottobre. Secondo la versione dei fatti più diffusa, il nuovo doge Marin Faliero avrebbe ordinato al Pisani di non attaccare il D., ma altre fonti cronachistiche negano che il Faliero abbia dato un ordine perentorio in tal senso.
Rimangono comunque inspiegabili i motivi che consigliarono l'ammiraglio veneziano ad abbandonare le rocche di Motione e Corone, per appostarsi in un luogo così sfavorevole come Portolongo, nell'isola della Sapienza (inizio di novembre del 1354). Qui gli giunse la notizia che la flotta genovese, rafforzata da dieci galere sotto il comando di Visconte Grimaldi, stava risalendo l'Adriatico. Il Pisani, pertanto, fece rafforzare le difese del porto, per attendervi il nemico. Secondo lo svolgimento più probabile dei fatti, il grosso della flotta veneta (21 galere) fu lasciato inutilizzata al molo, con le imbarcazioni incatenate tra loro, perché il Pisani era convinto che bastassero le restanti 14 galere (affidate a Nicolò Querini), per controllare la stretta imboccatura del porto. Il 3 novembre la flotta genovese, forte di 35 galere, si presentò nelle acque di Portolongo. I Veneziani non accettarono battaglia, per cui dapprima il D., ritenendo sfavorevole uno scontro all'interno del porto, decise di tornare indietro, ma fu poi costretto a rinunciarvi per il cattivo tempo. La battaglia divenne, così, inevitabile. Tuttavia, la sua ricostruzione appare problematica: non sono chiari i motivi per cui 15 galere genovesi, condotte da Giovanni, nipote del D., furono lasciate entrare nel porto, riuscendo così facilmente a catturare le navi nemiche all'ormeggio. Anche la flotta del Querini, che si trovava all'imboccatura, fu costretta ad arrendersi, perché presa tra le due squadre genovesi. Il Pisani fu fatto prigioniero e venne portato a Genova; secondo il cronista genovese Giorgio Stella, i nemici catturati furono ben 5.400, mentre le fonti venete offrono cifre minori; il Villani concorda con lo Stella; altissimo fu anche il numero dei caduti (forse 4.000). Il D., al comando di ben 50 galere, dopo averne lasciato 15 ad incrociare nei mari orientali, ritornò da trionfatore a Genova, alla fine di novembre. In segno di gratitudine, la Repubblica assegnò al D. una somma corrispondente al valore del palazzo in cui egli risiedeva; fu inoltre decisa una solenne cerimonia, da svolgersi ad ogni ricorrenza della battaglia.
Secondo il Federici, il D. fu, però, mandato in esilio dal doge Simon Boccanegra nel 1356, non sappiamo per quali motivi; egli è ancora ricordato in vita l'anno seguente. Non si hanno altre notizie su di lui dopo questa data. Nel 1372 un Pagano Doria, console dei Genovesi a Cipro, fu protagonista di un violento alterco col bailo veneto per ragioni di precedenza, durante l'incoronazione del re Pietro II; non è possibile stabilire, però, se si tratti del D. o di un omonimo. Il D. lasciò nella memoria storica genovese l'immagine di grande ammiraglio e cittadino dedito all'amor di patria; egli non avrebbe accumulato neppure la somma necessaria per la sua sepoltura, che avvenne con funerali a spese pubbliche; la sua tomba fu collocata nella chiesa cittadina di S. Domenico (oggi distrutta).
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani, 126: F. Federici, Alberi geneal. delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), I, sub voce; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. III, 4, 10: Foliatium notariorum (ms. sec. XVIII), III, 2, cc. 1v, 155v, 170v, 176r, 181v, 190r, 193-194v, 198v, 201r, 250v, 252v; G. Stellae Annales Genuenses, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, ad Indicem; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CXXXV-CXXXVI; U. Folietae Clarorum Ligurum elogia, Romae 1572, pp. 50 s.; M. Villani, Croniche storiche, a cura di I. Moutier - G. M. Mazzuchelli, V, Milano 1948, p. 335; Liber iurium Reipublicae Genuensis, a cura di E. Ricotti, in Monumenta historiae patriae, IX, Augustae Taurinorum 1857, doc. CCIII coll. 601-606; Annali stor. di Sestri Ponente, a cura di A. Ferretto, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXIV (1904), ad Indicem; Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (955-1797). Regesti, a cura di P. Lisciandrelli, ibid., n.s., I (1960), ad Indicem; I registri della Catena del Comune di Savona, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, n.s., XXVI (1986), p. II, d. 644; Elogi di Liguri illustri, a cura di L. Grillo, I, Genova 1846, pp. 123-131; J. Doria, La chiesa di S. Matteo in Genova, Genova 1860, pp. 8, 30-40, 43-50, 83 s., 110; L. T. Belgrano, Avvertenze circa una iscrizione dipinta nella fronte del palazzo di P. D., in Giornale ligustico, III (1876), pp. 82-95; Id., Prima serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1877), p. 129; V. Lazzarini, La battaglia di Porto Longo nell'isola di Sapienza, in Nuovo Arch. veneto, VIII (1894), pp. 5 ss., 10 ss., 14 s.; C. Manfroni, Il piano della campagna navale veneto-aragonese del 1351 contro Genova, in Rivista marittima, XXXV (1902), 3, pp. 331 s.; G. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medioevo, Torino 1913, ad Indicem; A. Sorbelli, La lotta tra Genova e Venezia per il predominio del Mediterraneo (1350-1355), Bologna 1921, pp. 45-52, 60, 62 ss., 71 ss.; I. Scovazzi-F. Noberasco, Storia di Savona, II, Savona 1927, pp. 101, 111; L. M. Levati, Dogi perpetui di Genova, Genova s.d. [ma 1928], pp. 33 s., 52; R. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna 1938, p. 349; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, ad Indicem; P. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administr. of the island (1346-1566), I, Cambridge 1958, ad Indicem; W. Piastra, Storia della chiesa e del convento di S. Domenico in Genova, Genova 1970, ad Indicem; M. Balard, A propos de la bataille du Bosphore. L'expédition génoise de Paganino D. à Constantinople (1351-1352), in Travaux et mémoires du Centre de recherche d'histoire et civilis. byzantines, IV, Paris 1970, pp. 431-69; G. Meloni, Genova ed Aragona all'epoca di Pietro il Cerimonioso, I, (1336-1354), Padova 1971, pp. 79 s., 92, 100 ss., 105 s., 109, 118, 137 s., 205, 213; II, (1355-60), ibid. 1976, pp. 1, 13 ss.; C. Fusero, I Doria, Milano 1973, pp. 290-294, 296 ss.; G. Forchieri, Navi e navigazione a Genova nel Trecento. Il "Liber Gazarie", Genova 1974, p. 96; G. Petti Balbi, Genova e la Corsica nel Trecento, Roma 1976, ad Indicem; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du XVe, siècle), Roma 1978, ad Indicem; P. Luxardo Franchi, Genovesi ed istituz. genovesi in Dalmazia sul finire del sec. XIV, in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, II, Genova 1982, p. 284; M. Balard, Le minoranze orientali a Genova (secc. XIII-XIV), ibid., III, ibid. 1983, pp. 74, 83; V. Gjuzelev, I rapporti bulgaro-genovesi nei secoli XIII e XIV, in Genova e la Bulgaria nel Medioevo, Genova 1984, p. 105.