DORIA, Pagano
Marchese di Torriglia, conte di Loano, cavaliere gerosolomitano, nacque a Genova nel 1544-45 da Giannettino e da Ginetta Centurione di Adamo. L'assassinio del padre, giovane delfino di Andrea Doria, nella congiura dei Fieschi il 2 genn. 1547, fece sì che il D., come i fratelli Giovan Andrea, Placidia, Geronima, Maria (un Carlo probabilmente era morto bambino), crescesse sotto la tutela del nonno materno, il potente banchiere Adamo Centurione, anche se tutti continuarono ad abitare nella splendida villa di Fassolo accanto al principe. Pare che il D. fosse di costituzione piuttosto fragile, soprattutto dal Punto di vista psicologico, e fosse particolarmente legato al fratello maggiore che invece, disinvolto ed audace fin dalla prima giovinezza, avrebbe presto sostituito il padre nel cuore dell'illustre prozio (nonché nell'attività pratica di grande assentista di Spagna). All'attività marinara comunque, per volontà di Andrea era stato avviato fin da ragazzo anche il D., che, tra il 1560 e il 1561, si trovava nelle Fiandre a fare pratica sulla flotta spagnola.
Dopo la morte di Andrea, Giovan Andrea, erede delle galee, che si era recato subito, nel 1561, in Spagna per ottenere la conferma dei privilegi dell'ammiraglio e, in particolare, dei contratto di asiento che lo aveva legato alla Corona spagnola, chiamò il D. presso di sé a Toledo, dove aveva preso residenza. Ma Giovan Andrea confessa, nella Vita scritta di suo pugno e dettagliata su questi anni, di aver preferito tener nascosti al D. amarezze e disgusti provati durante quei primi contatti con la corte spagnola, sia perché il D. era molto giovane sia perché "conosceva poco molte cose che in quell'età ho visto esser conosciute da altri (Vita, p. 80).
Probabilmente il D. rimase in Spagna anche negli anni successivi, mentre Giovan Andrea tornò a Genova per assumere il comando della flotta di Andrea. Di certo il D. era a Madrid tra la fine del 1563 e il gennaio 1564, per curare direttamente la pratica sull'eredità dei feudi che, confiscati ai Fieschi dopo il fallimento della congiura dove aveva trovato la morte Giannettino, erano stati assegnati nel 1547 da Carlo V ad Andrea Doria, il quale li aveva lasciati in eredità, in massima parte, proprio a Pagano.
Su quei feudi, approfittando di interpretazioni legali sulla ereditarietà, Scipione Fieschi, fratello minore di Gian Luigi, tornava a rivendicare diritti. Siccome l'azione del D. era troppo blanda, Giovan Andrea si fece inviare in Spagna, nel gennaio 1564, come oratore della Repubblica (essendo evidentemente riuscito a convincere il Senato genovese della coincidenza degli interessi dello Stato con quelli dei Doria) per coinvolgere anche don Diego de Mendoza nelle testimonianze in proprio favore nel processo in corso.
Alla fine dell'agosto dello stesso anno i due fratelli salparono insieme dalle coste spagnole su una flotta di cento galee che, sotto il comando di don Sancho de Leyva, andava a porre l'assedio alla fortezza del Pefion de Velez de la Gomera (nota come il Pignone), ai confini di Algeri: l'assedio si concluse vittoriosamente in due giorni. Giovan Andrea aveva affidato al D. il comando delle sue 12 galee e si era imbarcato come volontario al suo fianco, per non sottostare agli ordini dei comandanti spagnoli, e in particolare di don Sancho, che in passate occasioni era stato agli ordini suoi e di Andrea Doria. Al ritorno dalla spedizione, la grande flotta si sciolse, ma il D. rimase col fratello e l'anno dopo, anche senza la presenza della grande flotta spagnola, i due portarono un aiuto decisivo a Malta assediata dai Turchi.
Nel 1566 il D. compì una serie di donazioni a chiese e conventi; ma soprattutto cedette a Giovan Andrea un capitale di 10.000 scudi d'oro, derivato dall'eredità paterna, per consentirgli il mantenimento della flotta e il pagamento dei debiti per la stessa.
Su quelle galee, che egli aveva contribuito a conservare, probabilmente il D. si trovava nel 1571 a Lepanto, a combattere agli ordini del fratello; di certo nel 1573 partecipò alla presa di Tunisi sotto il comando di don Giovanni d'Austria. Il D. era stato nominato colonnello di 3.000 soldati partecipanti alla spedizione che, forte di 12.000 uomini, salpò da Trapani su 80 galee il 7 ott. 1573. Fatto sbarcare l'esercito alla Goletta, Giovanni d'Austria si diresse su Tunisi, di cui si impadroni con relativa facilità. Poi, volendo rendere stabile la conquista, decise di affidare al priore Gabrio Serbelloni la costruzione di un forte tra Tunisi e la Goletta: affidatogli anche il comando supremo, lasciò a difesa il D. con i suoi 3.000 soldati italiani e Andrea Salazar con altrettanti soldati spagnoli. Ma dopo che, ai primi di novembre, don Giovanni, fu salpato col resto dell'armata, il sultano Selī'm venne radunando un grosso esercito e, nel luglio del '74, attaccò il forte. Gli assediati resistettero a lungo; ma il 13 settembre, prima che don Giovanni fosse riuscito a salpare da Trapani, capitolarono. Pare che il D., che si trovava allora gravemente malato, avesse pensato di salvarsi affidandosi a quattro schiavi mori di cui si serviva come guardia del corpo, con la promessa di un ricco riscatto, ma che costoro lo avessero tradito e ucciso, portando la sua testa al pascià.
Alla sua morte, mancando il D. di eredi legittimi, tutti i feudi imperiali prima appartenuti ai Fieschi e che il D. aveva ereditato da Andrea Doria - Torriglia, Santo Stefano, Ottone, Carrega, Garbagan, Cabella e Fontanarossa - passarono al - ramo primogenito, cioè a Giovan Andrea, che al principato di Melfi unì così i feudi di Liguria. Tuttavia il solo feudo di Santo Stefano d'Aveto fu concesso da Ferdinando I ad Antonio Doria, figlio naturale del D., legittimato nel testamento, e che ebbe il titolo di marchese di Santo Stefano. Il feudo fu però venduto nel 1592 da Giovan Battista Doria, figlio di Antonio, al prozio Giovan Andrea, che perciò trasmise anche questo ai suoi figli e discendenti. Del D. rimane, suggestivamente emblematico del suo triste destino, la bella medaglia col sigillo (il sole che attraverso le nubi illumina la campagna) e il motto, in spagnolo, "Aunque os pese".
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. XIV, 3, 13: G. Doria, Vita scritta da lui medesimo, cc. 75. 80; U. Foglietta, De expeditione pro Orano et in Pignonum, Genova 1573, II, pp. 225-237; Id., Istoria della sacra lega contro Selim I, Genova 1598, p. 254; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951, I, pp. 178, 181, 195; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili, Genova 1825, I, c. 30; A. Olivieri, Monete, medaglie e sigilli dei principi Doria, Genova 1858, pp.87 s., 91 s., 94, 103; J. Doria, La chiesa di S. Matteo, Genova 1860, p. 223; G. Avignone, Medaglie della Liguria, in Arch. d. Soc. ligure di storia patria, VIII (1872), 2, p. 522; L. T. Belgrano, Interrogatori ed allegazione causa Scipione Fieschi, ibid., p. 336; C. Manfroni, Storia della marina italiana, Roma 1897, p. 426 n. 4; R. Bracco, Giannandrea Doria, Genova 1960, pp. 219-224; P. Lingua, Andrea Doria, Novara 1984, pp. 198, 201 s.