PAIONIOS (Παιώνιος, Paeonius)
1°. - Scultore, originario di Mende. La sua attività si svolge nella seconda metà del V sec. a. C. Fa parte di quella esigua schiera di artisti greci di cui la paternità di una statua conservata è documentata sia dall'iscrizione pertinente, che da Pausania (v, 26, 1). Questa statua ritrovata negli scavi di Olimpia del 1875 rappresenta la Nike che discende in volo dall'alto. La parte inferiore del pilastro di marmo a sezione triangolare, alto un tempo 9 m, si trova tuttora sul luogo originario.
Sul motivo della dedica della statua, Pausania racconta qualcosa di più di quanto non si possa dedurre dall'iscrizione. Questa dice che i Messeni ed i Naupatti dedicarono a Zeus Olỳmpos la decima del bottino tolto ai nemici. Pausania intende chiarire quale sia la vittoria in questione. "A detta dei Messeni" si tratterebbe della vittoria presso Sfacteria (425 a. C.), personalmente però egli pensa alla vittoria in una battaglia contro gli Acarnesi attorno al 455 a. C.
In un altro passo (v, 10, 8) egli nomina P. come autore delle figure del frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia, mentre Alkamenes (v.) avrebbe creato le figure del frontone occidentale.
L'iscrizione pertinente alla Nike, oltre che attribuire a P. la paternità della statua, dice anche che "egli riportò la vittoria per l'esecuzione degli acroterî del tempio". Senza nominare l'autore Pausania descrive gli acroterî del tempio di Zeus: tripodi ai lati, una Nike al centro, tutti dorati (v, 10, 4).
Pausania e l'iscrizione della base concordano nel designare Mende come patria dell'artista. Pausania specifica: "in Tracia" (v, 10, 8).
Questa aggiunta ha indotto alcuni studiosi a trarre la conclusione che P. fosse nativo non già della nota città di Mende nella Calcidica, bensì di un piccolo paese nelle vicinanze di Ainos. Ma un'interpretazione del genere non è assolutamente necessaria poiché anche la Calcidica è spesso definita come tracia. L'incertezza causata da Pausania su quale fosse veramente la vittoria a cui si riferiva l'iscrizione dedicatoria ha dato origine fra gli studiosi ad una disputa tuttora in atto per decidere se la statua della Nike vada datata al 450 o al 420 a. C. I sostenitori della teoria della datazione bassa interpretano l'iscrizione per lo più nel senso che il suo tenore piuttosto generico faccia pensare che si tratti non già di una battaglia specifica ma del bottino di tutta la prima fase della guerra del Peloponneso. Ed in effetti, secondo Tucidide, alla battaglia di Sfacteria avrebbero preso parte soltanto i Messeni e non i Naupatti.
La paternità delle sculture del frontone orientale in Olimpia attribuita da Pausania a P. è considerata dalla maggior parte dei sostenitori della datazione tarda della Nike un errore di Pausania. Si suppone che egli abbia riferito alle sculture dei frontoni l'agone per gli acroterî citato dall'iscrizione della base. A dir il vero gli oppositori di questa teoria hanno obiettato che dalla circollocuzione di Pausania che definisce Alkamenes come secondo miglior artista, non si può dedurre che egli abbia voluto riferirsi ad una gara. Come miglior artista Pausania avrebbe inteso sicuramente non già P. ma Fidia.
Ad ogni modo le testimonianze di Pausania non costituiscono una base sicura per risolvere la questione della datazione.
Non ci sono tramandate altre opere di Paionios. L'ipotesi che il pilastro votivo triangolare dei Messeni a Delfi sia servito da base ad una raffigurazione più antica della Nike di P. è possibile, ma non sicura. Potrebbe aver sorretto anche un tripode.
Le recenti attribuzioni di altre opere a P. non sono basate su tradizioni letterarie, ma esclusivamente sullo stile della Nike. Le opere più importanti attribuite a P. sono le sculture sul frontone occidentale del Partenone (Schrader), il fregio del tempio di Bassae-Figalia (Klein, Giglioli, Hofkes-Brukker) ed alcune Nikai della Balaustrata (Carpenter).
Si ritiene generalmente che della testa della statua della Nike ad Olimpia, o per lo meno di un'altra statua di P., esistano due copie di epoca romana, rielaborate in erme. L'affinità di queste copie con la testa dell'Apollo Ince fu l'unico motivo che indusse a considerarne l'originale come una delle prime opere di P. (Sauer, Pfuhl).
La ricostruzione della statua ad opera dello scultore R. Grüttner è considerata indiscriminatamente come esatta. È soltanto questa che ha reso possibile un'esatta conoscenza della posa della Nike. La cosa migliore è guardarla dal basso, come faceva l'osservatore antico.
Dalla ricostruzione risulta che la dea reggeva con ambo le mani un manto rigonfio e che le grandi ali erano attaccate ben in alto sulle spalle. L'abrasione della superficie del marmo in cui si delineano nettamente i contorni del mento indica che la testa era china e girata verso destra. Un'aquila in volo che nasconde parzialmente l'appoggio del suo piede meno avanzato, sta a significare che la dea si libra tuttora nell'aria. È rappresentata nel momento in cui sceglie il punto in cui toccherà terra. Evidentemente essa corregge ora la direzione in cui - facendo leva sulla resistenza oppostale dal vento - si è lasciata trascinare dalla propria forza di gravità. Infatti le braccia allargate reggono trasversalmente il manto che si gonfia. Inoltre, per la forte tensione della parte sinistra del corpo, essa solleva l'ala sinistra più che l'altra. Dalla posizione china e girata della testa consegue che il movimento è oscillante.
Questa consapevole determinazione della direzione è un elemento completamente nuovo nato da un'ardita fantasia. Questa concezione del motivo del volo è preparata dalla figura della Nike che si libra in volo dalla mano della statua di Zeus di Fidia ad Olimpia. Sembra che questa figura volante sia la prima che si muova direttamente verso lo spettatore (Jahrbuch, 1941, 1 ss.). Ma la Nike di P. è rappresentata mentre vola a quanto si deduce dal manto gonfio d'aria. A questo tipo di rappresentazione fanno da modello alcune figure in corsa del frontone del Partenone. Anche la tendenza di P. a sviluppare in larghezza la sua Nike, a mo' di un rilievo, presuppone la fase più tarda dell'arte del Partenone, e precisamente quella del frontone occidentale. Già per questi motivi va scartata la datazione attorno al 450 a. C.
Un'invenzione propria di P. sembra essere il contrasto fra le vesti che in parte aderiscono al corpo, in parte fluttuano liberamente. Le prime sottili come un velo, le seconde con profondi solchi pieni d'ombra.
Lo stesso contrasto caratterizza il trattamento delle vesti di molte opere della fine del V sec. a. C., e precisamente delle figure del fregio di Bassae, delle sculture di Xanthos e dell'Heraion di Argo, della cosiddetta Aura di Roma e di alcune Nikai della Balaustrata, innanzi tutto di quella che si slaccia il sandalo. Nella cosiddetta Afrodite Fréjus e nei rilievi neoattici di menadi che si rifanno a Kallimachos, il contrasto fra le vesti aderenti al corpo e quelle liberamente fluttuanti è ancor più accentuato che non nella Nike di Paionios.
Soltanto le figure del fregio di Bassae e l'Aura presentano tuttavia una certa affinità con la Nike di P. ossia quella caratteristica stilistica tanto determinante per lo stile delle vesti della Nike: l'aprirsi antitetico e lo scontro delle linee arcuate delle pieghe svolazzanti.
Sia nel fregio di Bassae che nell'Aura come pure nella Nike di Olimpia le pieghe che si aprono vogliono esprimere lo sprigionarsi dell'energia del corpo. Qui non si tratta solo di pieghe che si aprono svolazzando come nella Menade centrale di Kallimachos. In questa figura è manifesta anche la tensione muscolare.
I tratti del volto dall'espressione distaccata e severa hanno ribadito in parecchi studiosi la convinzione che la Nike vada datata attorno al 450 a. C. Però anche l'unica testa conservata delle Nikai della Balaustrata è di forma apparentemente arcaica. Molte teste delle figure del fregio di Bassae sono ancor più somiglianti alla Nike di P. ed anche lo stile del panneggio le è spiccatamente affine. Il confronto con la statua di P. non va limitato dunque soltanto alle forme singole, poiché proprio queste ereditano le antiche tradizioni stilistiche. Così l'Apollo Ince ha in comune la forma della testa ed i lineamenti del volto con la Nike di P. con la quale altrimenti non ha altro a che vedere.
Gli altri tratti arcaici della statua della Nike mirano ad un ben preciso scopo: sottolineare il frazionamento dell'unità organica. L'effetto d'insieme è l'attiva partecipazione della figura volante all'atto stesso del volo. P. l'ha colta per la prima volta nell'opposizione alla forza del vento con una concezione completamente nuova del rapporto fra la Nike e la sua meta. P. avvertiva il rapporto con la dea della Vittoria come qualcosa di personale. Essa non era apparsa soltanto ai Messeni ed ai Naupatti sul campo di battaglia ma anche a lui, al maestro, durante la sua creazione artistica.
Un parallelo interessante può esser costituito dal tetradracma dell'incisore di monete Euainetos coniato per Siracusa attorno al 415 a. C. Qui la figura della Nike porge all'auriga vittorioso oltre la corona anche un pinàkion sul quale, invece del nome dell'auriga, è inciso quello dell'artista.
P. aveva tutte le ragioni di ricordare in segno di gratitudine la sua vittoria per gli acroterî, poiché come artista straniero egli dovette probabilmente a questo successo l'ordinazione della statua della Nike.
È dubbio se avesse portato con sé, dalla sua patria, la Ionia settentrionale, uno stile già formato, poiché lì soltanto l'arte dell'incisione delle monete era giunta ad un livello artistico internazionale. La serie di monete locali presenta un'unità ornamentale chiusa che è qualità testimoniata anche dalla Nike.
Il suo stile si potrebbe definire ornamentale-espressionistico. Il rapporto con i modelli e le opere affini porta a datare la statua della Nike attorno al 420 a. C.
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