PALAMEDE (Παλαμήδης)
Eroe del ciclo troiano, ma sconosciuto a Omero: è ricordato in molte fonti, a partire dai ciclici. Figlio di Nauplio e di Climene (o, secondo alcuni, di Filira o di Esione), è detto nativo di Argo, nei cui pressi pare abbia avuto anche un tempio (secondo alcuni era d'Eubea); ma il suo mito ha elementi che mostrano origine fenicia o contaminazione con miti fenici, e cioè, più che il nome, che pare connesso con παλάμη (remo) - si pensi anche al nome di un fratello di Palamede, Οἴαξ (timone) - la fama della sua sapienza e le invenzioni (alfabeto, numeri, monete) e i calcoli astronomici attribuiti all'eroe. Si dice anche che durante l'assedio di Troia interpretasse alcuni prodigi celesti e spiegasse un'eclissi solare. Partecipò alla guerra troiana e fu quegli che smascherò la pazzia simulata da Ulisse per non intervenirvi. Morì per una vendetta di questo. Secondo la versione che pare canonica (seguita probabilmente da Eschilo, Sofocle, Euripide), Ulisse simulò con uno strattagemma che P. volesse tradire i Greci, corrotto dall'oro di Priamo, e lo fece uccidere.
A P. si attribuivano altre invenzioni, come quelle della scacchiera e del giuoco dei dadi.
Bibl.: O. Jahn, Palamedes, Amburgo 1836; H. Lewy, in Roscher, Lex. der griech. und röm. Mythologie, III, i, col. 1264 segg.