palatali
Le consonanti palatali si realizzano mediante il sollevamento del dorso della lingua verso la volta palatina, nella parte mediana della cavità orale (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di; ➔ consonanti). La struttura del canale fonatorio è complessivamente molto simile a quella assunta per la produzione della vocale [i], ma con un ulteriore sollevamento del dorso della lingua fino a impedire, parzialmente o del tutto, il passaggio dell’aria. Se, partendo dalla posizione di [i], la lingua si solleva di poco, superando appena la linea vocalica, la consonante prodotta è [j], approssimante palatale sonora (➔ semivocali).
Il termine approssimante, introdotto da Ladefoged (1964), indica un fono consonantico caratterizzato da un diaframma non abbastanza aperto da generare un suono vocalico, ma al tempo stesso non abbastanza stretto da mettere in turbolenza il flusso d’aria passante, come accade nelle consonanti fricative. Quella delle approssimanti è quindi una zona articolatoria molto ridotta, contigua a quella tipica della vocale [i] e, per questo motivo, il suono prodotto è molto simile a quello della vocale. A lungo considerata come semivocale, [j] è oggi dall’IPA (➔ alfabeto fonetico) definitivamente classificata tra le consonanti e definita approssimante palatale sonora. In italiano [j] occorre in posizione iniziale prevocalica (per es., in parole come ieri [ˈjɛːɾi], iodio [ˈjɔːdĭo]) o in posizione intervocalica (per es., in parole come aia [ˈaːja], buio [ˈbuːjo], soia [ˈsɔːja]). In contesto postconsonantico l’elemento di tipo i viene invece prodotto come vocale breve (piove [ˈpĭɔːve], fiato [ˈfĭaːto]). Sul piano acustico i due suoni [i] e [j] sono molto simili, essendo caratterizzati da una stessa struttura formantica (➔ fonetica acustica, nozioni e termini di). Ciò che distingue la vocale dall’approssimante è solo una riduzione dell’intensità del segnale, conseguenza acustica della riduzione areale a livello palatale nel caso della consonante. La fig. 1 mostra gli spettrogrammi delle parole piove e iodio.
Se, partendo dalla posizione di [j], solleviamo ulteriormente il dorso della lingua, cominciamo a percepire un fruscio, dovuto alla stretta diaframmatica. Questa posizione articolatoria, tipica delle fricative palatali [ç] e [ʝ], rispettivamente sorda e sonora, non trova riscontro nel sistema fonologico dell’italiano. Un ulteriore sollevamento del dorso della lingua provoca il contatto tra le due pareti, contatto che può avvenire o soltanto nella parte centrale, lasciando all’aria la possibilità di passare ai lati della lingua, o in maniera totale, interrompendo completamente il flusso dell’aria.
Nel primo caso la consonante prodotta è l’approssimante laterale palatale sonora [ʎ], consonante molto particolare nel suo meccanismo articolatorio, piuttosto difficile da produrre. Compare solo in 20 lingue delle 451 analizzate dall’UPSID (UCLA Phonological Segment Inventory Database), pari al 4% del totale. Tra le lingue che hanno tale consonante, l’italiano e lo spagnolo. Per la difficoltà di produzione, [ʎ] è tra le ultime consonanti a comparire nell’inventario fonetico del bambino, che tende a sostituirla con l’approssimante [j] (Zmarich et al. 2005).
La particolarità della laterale palatale è nella conformazione della lingua, che deve essere sollevata e schiacciata contro il palato, grazie alla contrazione del muscolo stiloglosso. Tuttavia a questa azione di sollevamento, che tenderebbe a ostruire completamente il passaggio dell’aria, deve aggiungersi l’azione di un muscolo intrinseco, il trasverso, che è in grado di restringere la lingua trasversalmente, in modo da lasciare dei varchi ai bordi laterali, consentendo all’aria di fluire liberamente. Il feedback uditivo, che è la base dell’apprendimento del linguaggio, in questo caso non è di grande aiuto, in quanto il suono prodotto da una così complicata azione articolatoria non è molto diverso da quello che si produce con un semplice sollevamento della lingua al di là della linea vocalica, tipico dell’approssimante centrale [j]. In fig. 2 sono schematizzate le posizioni articolatorie di [ʎ] e [j].
Per economia articolatoria, quindi, il bambino tende, come abbiamo detto, a sostituire [ʎ] con [j], e solo in una fase successiva riesce a calibrare le azioni muscolari necessarie alla produzione della laterale. Per analoghi motivi tale sostituzione è frequente in molte parlate regionali italiane, soprattutto dell’area centro-meridionale (Lazio, Umbria, Marche, Abruzzi, Campania): [ˈfijːo] figlio, [ˈmajːa] maglia, [ˈzbajːo] sbaglio. La fig. 3 mostra la parola paglia, realizzata con la laterale [ʎ] e con l’approssimante [j] (parlante di area napoletana).
Il terzo fonema di luogo palatale presente nel sistema consonantico dell’italiano è la nasale sonora [ɲ]. Come tutte le ➔ nasali, [ɲ] è caratterizzata dall’apertura del diaframma rinovelare, mediante lo scostamento del velo pendulo dalla parete posteriore della faringe (fig. 4).
All’altezza dell’ugola, quindi, l’aria fonatoria viene in parte incanalata nella cavità nasale e in parte nella cavità orale. Qui trova un impedimento totale all’altezza del medio palato, grazie al sollevamento del dorso della lingua contro la volta palatina. Il meccanismo è simile a quello utilizzato per produrre [ʎ], ma questa volta la lingua mantiene una forma laminare (il muscolo trasverso in questo caso non è contratto) e sigilla perfettamente il diaframma glottopalatale. L’aria viene dunque convogliata tutta nelle cavità nasali, generando in tal modo il tipico mormorio nasale. Al termine, la lingua si abbassa repentinamente permettendo all’aria di passare liberamente.
Sul piano acustico [ɲ] è caratterizzata, come tutte le consonanti nasali, da una marcata risonanza nelle basse frequenze (intorno ai 250 Hz) e da uno smorzamento nella zona che va dai 500 Hz ai 1500 Hz. Le cavità nasali, infatti, a causa della loro conformazione anatomica agiscono da antirisonatore: l’aria viene dispersa e frenata nelle microcavità che costituiscono le pareti delle due coane, di tessuto mucoso non elastico e non in grado di vibrare. Il risultato percettivo è quello di un mormorio nasale piuttosto indifferenziato rispetto al luogo di articolazione della consonante. Una labiale [m], una alveolare [n], una palatale [ɲ], vengono distinte l’una dall’altra non per quanto avviene acusticamente al loro interno, ma per quanto avviene nelle vocali a contatto. Ad es., in parole quali amo uno sogno, saranno gli andamenti formantici delle vocali a determinare la percezione di una o dell’altra consonante (fig. 5).
L’italiano scritto non aiuta a tenere distinti i tre foni, in quanto utilizza, per il suono [ʎ], una grafia estremamente ambigua: il trigramma gli corrisponde infatti a un unico suono in parole come [ˈʤiʎːo] giglio, a due suoni in parole come [ˈʤiʎːi] gigli, a tre suoni come in [ˈgliːʧine] glicine.
Ladefoged, Peter (1964), A phonetic study of West African languages. An auditory-instrumental survey, Cambridge, Cambridge University Press.
Zmarich, Claudia et al. (2005), La frequenza di occorrenza di consonanti e vocali e delle loro combinazioni nelle sillabe del babbling e delle prime parole dai 10 ai 27 mesi di età, in Misura dei parametri. Aspetti tecnologici ed implicazioni nei modelli linguistici. Atti del I convegno nazionale dell’Associazione italiana di scienze della voce (Padova, 2-4 dicembre 2004), a cura di P. Cosi, Torriana, EDK, pp. 481-510.