PALAZZO
. Il nome del colle sul quale Augusto e i suoi successori si costruirono la loro dimora (v. palatino), dopo essere passato a indicare la dimora stessa, venne a significare, per antonomasia, la residenza dell'imperatore o del re, o in genere qualsiasi abitazione sontuosa, notevole per dimensioni e per lusso, di ogni tempo e civiltà. Naturalmente l'architettura dei singoli palazzi è strettamente connessa con quella della casa (v.), e in genere con l'architettura civile e militare dei varî popoli.
In Egitto il carattere del palazzo reale e principesco è assai diverso da quello di duratura e imponente maestà delle tombe e dei templi: il palazzo è il luogo di riposo, d'intimità del principe, costituito da spaziosi e leggieri edifici, costruiti non di pietra e di granito, ma di mattoni e di legno, per lo più fuori della città, sulle rive del Nilo o di uno dei suoi canali verso i limiti del deserto, con una successione di villette, di corti, di giardini, tutti recinti da un alto e nudo muraglione non fatto a scopo di difesa, ma per segregare il complesso dal resto del mondo: il palazzo ha l'aria d'una piccola città a sé, provvista di tutto il fabbisogno per una vita appartata. La fragilità stessa di tali costruzioni dà una spiegazione alla scarsità dei ruderi conservati fino a noi: tra i più importanti possiamo ricordare il palazzo di Amenophis III a Medinet Habu; ma, forse più che dalle rovine, un'idea assai chiara e viva della conformazione e della distribuzione interna dei palazzi faraonici ci è data dalle numerose piante e dagli schizzi di palazzi disegnati nelle tombe tebane della XVIII dinastia (fig. 1), e soprattutto negl'ipogei di Tell el-Amārna.
In una veduta prospettica desunta da una di queste piante (fig. 2) vediamo sul davanti il corpo principale dell'edificio, cioè l'ambiente di ricevimento, dove il sovrano riceveva in udienza la folla dei postulanti: un vasto e lungo rettangolo, tutto circondato da mura, in cui si apre solamente una porta, fra due bastioni, che somigliano ai piloni (v.) del tempio egizio; innanzi alla porta è una costruzione larga, forse un bacino per acqua; poi vi è un cortile piantato d'alberi e fiancheggiato da magazzini o da stanze; questo cortile circonda un edificio centrale, con la facciata ornata da un portico a otto colonne, interrotto nel mezzo da un'altra entrata a piloni; esso nell'interno ha un altro cortile minore, nel centro del quale sembra vi sia, su una terrazza accessibile per scalinate, una specie d'altare per le offerte. Ma dietro a questo edificio nella pianta se ne vede un secondo, più vasto ma meno complicato, con un'ampia corte a porticati: è questo probabilmente l'abitazione privata del principe e della sua famiglia; altri cortili sono dietro e tutto attorno per magazzini, scuderie, stalle, e larghi giardini, con vasche, padiglioni, belvederi: luoghi di delizia per il principe, e dimora insieme delle numerose genti d'ogni rango e qualità, necessarie alla corte d'un sovrano orientale.
La facciata del palazzo egizio per lo più era tutta unita, con una fila mediana di colonne; talora invece era divisa in tre corpi, di cui quello centrale sporgente, e le due ali con un porticato a due piani, o sormontate da una loggetta; il padiglione nel mezzo dell'edificio talora assume l'aspetto di una torretta che domina tutta la costruzione. La distribuzione dei vani interni è assai varia e poco conosciuta; le stanze da letto erano probabilmente piccole e oscure, le sale di ricevimento grandi e sontuose; numerose erano le sale da bagno; gli edifici erano per lo più a un solo piano, e sopra vi erano comode terrazze, dove si poteva godere nelle ore migliori la frescura dell'aria libera; per questo scopo le camere stesse avevano larghe finestre, con imposte mobili. Le pareti e i soffitti erano imbiancati a calce, e talora decorati con pitture, a disegni geometrici, o a figure di animali: un modello di freschezza e di vivacità artistica sono, per es., i dipinti del soffitto e del pavimento nel già citato palazzo di Amenophis III a Medinet Habu.
In Mesopotamia, contrariamente all'Egitto, il palazzo reale forma generalmente il centro della città, essendo nello stesso tempo un quartiere a sé, e anche la roccaforte, l'acropoli, tutta circondata da forti mura di difesa e accessibile per una porta monumentale e ben protetta. La disposizione interna degli ambienti però è ancora meno fissa che in Egitto, non essendo in realtà che un agglomerato di diversi edifici differenziati dagli edifici privati soltanto per la maggiore ricchezza, e raggruppati attorno a spaziosi cortili. La mancanza della colonna almeno come elemento ordinario, degli ampî giardini interni e dei loro annessi di ornamento, toglie al palazzo babilonese l'aspetto aggraziato di snellezza e di lussuosità che distingueva quello egizio. L'uso delle diverse ali del palazzo doveva essere distribuito in modo certamente non dissimile da quello dei palazzi egiziani, dovendo contenere ciò ch'è indispensabile per ogni corte orientale, cioè una serie di ambienti ufficiali di ricevimento, un quartiere privato, o "harem", e numerosi locali per lo stuolo degl'inservienti e degli ufficiali di palazzo. Recenti e importanti ritrovamenti in varie città della Bassa Caldea, ci hanno fornito esempî di palazzi fino dalla più antica età sumera: ricordiamo, p. es., il palazzo scavato dal Langdom a Kish, notevole soprattutto per la presenza di una corte a colonnati, con colonne di mattoni; ma poiché tale palazzo ha subito notevoli rimaneggiamenti nei tempi posteriori, poiché il piccolo edificio del re Ur-Nina a Tello, databile verso il 3000 a. C., non si può chiamare un vero palazzo, e il palazzo di Gudea nella medesima località è stato quasi totalmente ricostruito nel sec. II a. C.; poiché a Ur, che ci ha ridato, in un intero quartiere di case private, abitazioni spaziose e lussuose, l'edificio di Ur-Nammu, di struttura identica ai templi, non si può con sicurezza definire come un vero e proprio palazzo reale, e il palazzo a colonnati di Nippur è stato successivamente attribuito a età sumera, micenea, partica: per ottenere un'idea chiara e completa di un palazzo babilonese conviene sempre discendere all'epoca neo-babilonese, ai ruderi cioè di Babele stessa.
Le fonti scritte dànno ragguagli sulla costruzione dei palazzi reali da parte di Nabopolassar, e poi della ricostruzione e dell'ampliamento da parte di suo figlio Nebukadrezzar. Un triplice muraglione che parte dalla porta di Ishtar verso ovest divide il palazzo meridionale (fig. 3), fatto in mattoni crudi su zoccolo di pietra da Nabopolassar e rifatto in mattoni cotti dal suo successore, dal palazzo centrale e da quello settentrionale aggiunti da quest'ultimo. Attorno al cortile principale, A nella pianta, largo m. 60 × 55, si aggruppano gli ambienti ufficiali, tra cui a sud si distingue la gran sala di ricevimento, o sala del trono, con una piccola nicchia per il trono stesso. Le stanze tutto intorno sono certo quelle del governo reale; una porta monumentale conduce dal grande cortile a un secondo a est (B nella pianta) su cui dànno gli uffici amministrativi; attorno a un terzo cortile, C, sono dei piccoli ambienti, verosimilmente per l'abitazione di funzionarî e di artigiani. Una strana costruzione all'angolo adiacente alla porta di Ishtar, con sette lunghi vani sui due lati di un corridoio, e con tracce di fontane e di condutture, è ritenuta la costruzione dei famosi giardini pensili. L'interno degli ambienti più lussuosi era allietato da una decorazione a smalti colorati: ricordiamo, per es., la magnifica decorazione con palmette su fondo azzurro, sulla fronte del cortile centrale. Colossali leoni di basalto, simili a quelli che erano sull'ingresso dei palazzi assiri, come quello di Sargon a Khorsabad fiancheggiavano le porte monumentali del palazzo settentrionale di Babele, le cui pareti erano ornate d'intonaco azzurro, con riquadri incrostati alla maniera di musaici; i pavimenti dei cortili erano in calcare, arenaria e basalto.
Più ricca ancora era l'ornamentazione dei palazzi assiri, dove l'abbondanza della pietra permetteva di applicare alle pareti degli ambienti più ricchi i magnifici e conosciuti fregi in rilievo, quali quelli di Ninive e quelli del palazzo ora menzionato di Sargon a Khorsabad (v. arco, IV, pag. 103). La pianta di quest'ultimo, meglio conosciuta di qualsiasi altra (fig. 4), palesa una disposizione simile a quella dei palazzi di Babilonia nell'aggruppamento intorno ad ampî cortili, nella distinzione fra gli ambienti di ricevimento, gli ambienti privati, i quartieri per i magistrati e gl'inservienti, i magazzini, a cui vanno sicuramente aggiunte qui, come annessi del palazzo, delle costruzioni templari attorno alla zigurrat, l'alta piramide sacrale a gradini. In genere tutti i palazzi assiri palesano una simile partizione di ambienti; e si elevano sopra alte terrazze in mattoni crudi, circondati da muri. Da Tiglatpileser III (745-727 a. C.) nei palazzi assiri comincia a essere usata la colonna, e precisamente nella costruzione detta hilàni, cioè una specie di atrio aperto, o loggia, di solito sulla facciata e ai fianchi delle porte monumentali, con una serie di colonne, per lo più posanti su leoni, tori o sfingi (figg. 5 e 6): particolare architettonico questo preso a prestito dall'architettura hittita.
Dei palazzi dell'impero hittita poco si conosce, a eccezione di quanto si è messo in luce nella capitale, Khatti (l'odierna Boǧazkög), nonché negli scavi di Carchemish e di Zengirli. Il palazzo di Khatti (fig. 7) appartiene al sec. XIV-XIII a. C.; anche in esso una serie di ambienti si aggruppa intorno a un cortile centrale, con cui le stanze comunicano talora attraverso a una specie di loggia; dietro a questi sono altri ambienti, che però guardano verso l'esterno, essendo forniti, contrariamente alle stanze dei palazzi assiri, di finestre. È certa inoltre l'esistenza in questo palazzo di un secondo piano, di cui però non rimangono che poche tracce. Più regolare che nei palazzi mesopotamici è infine la distribuzione, intorno all'edificio principale, di quattro ali di lunghi e spaziosi magazzini; un annesso sull'ala settentrionale ha tutto l'aspetto di un edificio templare. Non molto diverse sono le piante dei palazzetti a hilàni (fig. 8, A e B) di Zengirli, rettangolari entro al recinto rotondo della città. La tecnica costruttiva hittita, però, differisce da quella assira in quanto costruisce in mattoni crudi su uno zoccolo di pietra.
Il frazionamento in piccoli staterelli della Siria e della Palestina nell'epoca preistorica non ha certamente offerto occasione alla costruzione di grandi palazzi reali: fra i più considerevoli finora scavati possiamo ricordare il palazzo addossato al tempio di Nin-Ègal a Qatna, non lungi da Homs (Emesa), costruito intorno al 2000 a. C. Anche dei palazzi principeschi di modeste dimensioni dell'antica Fenicia poco ci è noto se non dai recentissimi trovamenti, non ancora definitivamente pubblicati, a Byblos, Ras Shamra, e altrove. In Palestina solo con l'unità statale raggiunta da Israele verso il 1000 a. C. abbiamo notizia di palazzi degni di tale nome; la principale fonte delle nostre conoscenze è però la descrizione nella Bibbia (I [III] Re, VII, 2 segg.), del palazzo di Salomone, a Gerusalemme. Con Salomone, invero, a quanto ci confermano anche gli scavi tuttora in corso a Megiddo, si sostituisce all'antica misera architettura un'architettura più sontuosa a grandi blocchi, probabilmente insegnata dalle maestranze fenicie. La Bibbia, entro al palazzo di Salomone, descrive, nel recinto della grande corte, anzitutto la "casa del Libano", probabilmente una gran sala di riunione così chiamata dalla provenienza dei materiali in essa adoperati, di 100 cubiti di lunghezza e 50 di profondità, sostenuta da file di colonne di cedro; dietro erano gli appartamenti reali di ricevimento, con la sala del trono, e in fondo l'abitazione privata del re, addossata al muro del tempio. Fra i diversi locali del periodo salomonico rinvenuti negli scavi di Megiddo, degne di menzione sono le immense scuderie reali.
Nell'arte persiana, arte aulica per eccellenza, il palazzo reale costituisce una delle espressioni più grandiose e più caratteristiche; ma la complessità della civiltà e degli elementi cui quest'arte si ispira, conferisce anche all'architettura del palazzo un carattere assai promiscuo. Le pittoresche rovine dei palazzi reali di Persepoli, p. es. (fig. 9), si elevano su una colossale piattaforma, circondata tutt'attorno da salde mura di recinzione; su di essa ogni dinastia erigeva al suo avvento al trono, accanto a quelli dei predecessori, il proprio palazzo, ornandolo di rilievi e d'iscrizioni glorificanti il suo regno e le sue gesta.
Gli edifici sono costruiti di un calcare cristallino grigiastro, come le scalinate, i colonnati, le parti ornamentali; per i pavimenti e i muri secondarî sono usati il battuto e i mattoni, per le trabeazioni e i piani superiori il legname. Nel piccolo palazzo A di Dario riconosciamo la pianta dell'ekàl assiro, e la derivazione dal hilàni hittita; le più magnifiche e solenni costruzioni, dovute a suo figlio Serse, sono il palazzo B, di pianta non dissimile dal precedente, la grandiosa rampa d'accesso C, le cui sontuose decorazioni in rilievo sono state messe completamente allo scoperto solo in questi ultimi anni, la costruzione D, che precorre i tetrapili tanto frequenti nelle città siriache d'età romana, e il famoso apadhànà E, che in fondo non rappresenta che un'ulteriore evoluzione dell'ekàl, in quanto al vestibolo e alla sala centrale, sostenuta da 36 colonne, si aggiungono ora due atrî aperti laterali, pure a due navate. Ad Artaserse II Mnemone (405-359 a. C.) si deve infine l'edificio F, il celebre palazzo delle cento colonne, con la gran sala ipostila di 68 metri di lato.
Nel complesso di questi palazzi non conosciamo dunque che gli ambienti principali, disposti sempre intorno alla sala centrale ipostila, mentre ci sfugge la disposizione e l'aspetto delle singole stanze adibite alla vita privata. Il carattere d'insieme dell'architettura, in cui predominano le snellissime colonne, e gli atrî aperti, è lontanissimo da quello dei palazzi babilonesi, e si avvicina forse più all'architettura egiziana; dall'Egitto sono imitati direttamente inoltre la cornice delle porte e delle finestre, e varî elementi decorativi, come il disco solare; dall'Assiria, oltre che mediatamente il hilàni hittita, provengono la piattaforma, l'uso dei portali a grandi tori androcefali, la decorazione a lastre in rilievo, a cui si alterna la decorazione babilonese a mattoni smaltati, di cui possiamo ricordare il più famoso e imponente esempio nel fregio degli "immortali" del palazzo di Susa.
Una nuova trasformazione, e una nuova contaminazione di elementi disparati, avvertiamo nell'architettura dei palazzi partici, nota per il maestoso esemplare di Hatra (v.), rimasto eretto in mezzo al deserto mesopotamico fino ai giorni nostri, come per gli scavi recenti di Assur, Dura-Europo, Seleucia, Warka, Babele, ecc. Prima i palazzi partici erano costruiti per lo più in mattoni cotti, con decorazioni di stucchi colorati; poi l'architettura divenne più lussuosa, tutta di magnifici blocchi squadrati, come a Hatra.
Se osserviamo uno di questi palazzi, per es., quello di Assur (figg. 10 e 11), vediamo che dell'antica architettura mesopotamica è rimasto ben poco, quasi esclusivamente cioè la divisione parietale a listelli e scanalature verticali, o meglio il senso di tale divisione, poiché ai listelli sono ormai sostituiti, prendendoli dall'architettura ellenistica, i pilastri e le colonne, distribuiti però sulle facciate dei palazzi o dei cortili in modo del tutto anti-classico. Altre forme architettoniche dei palazzi partici prese dall'architettura ellenistica di Seleucia sono il peristilio e il loggiato a stoà; dalla stessa architettura derivano singoli elementi, egualmente trasformati e imbarbariti alla maniera orientale, quali il capitello ionico, il kymation, le zone di perle e di dentelli, ecc., ma una forma architettonica completamente nuova, o di cui al massimo qualche timida traccia s'è voluto riscontrare solo nell'ultima architettura assira, è il liwān, il grande salone aperto verso il cortile, qual'è appunto con termine arabo l'ambiente caratteristico nell'architettura araba, forma architettonica di cui qualcuno ha voluto scorgere un germe nel hilàni hittita, ma che è più probabilmente una nuova importazione, proveniente sia dall'Iran, sia dall'Arabia meridionale. Quattro liwān si aprivano ad Assur nella corte centrale: l'aspetto imponente della loro struttura, in cui domina ormai la vòlta a botte, come quella degli alti e ombrosi corridoi che giravano loro intorno, ci è testimoniata dai ruderi di Hatra (figg. 12 e 13): sulla facciata di questo pittoresco palazzo si alternano le aperture delle gigantesche sale a vòlta con gli archi delle salette più piccole, con gli architravi in cui, alla decorazione di stucchi del palazzo di Assur, si sostituisce, sulla struttura dei bei filari di blocchi alternati larghi e stretti, la decorazione a rilievi in pietra, con teste umane e fogliami, mentre grossi mascheroni umani ornano anche le pareti interne delle aule medesime (fig. 14).
La somma di tutti questi elementi disparati esaminati finora, sembrano contenere i palazzi dell'ultimo regno dell'Oriente antico, quello dei Sassanidi. A tale epoca invero sembrano ormai appartenere indubbiamente il grande e famoso palazzo di Fīrūzābād (figg. 15 e 16) dovuto, pare, al fondatore della dinastia, Ardashīr, e quello di Sarvistan, tanto discussi per il primo apparire in essi della cupola ovoidale a copertura delle grandi sale: in questi, costruiti pure in pietre e malta, accanto alla ripartizione della facciata ancora di tipo mesopotamico, quale si riscontra anche nei palazzi partici, con una nuova disposizione e conformazione dei singoli grandiosi ambienti interni, v'è certo una permanenza più sensibile degli elementi costituenti l'architettura persiana. Più simile ai palazzi partici è infine il palazzo della sede sassanide in Mesopotamia, quello di Ctesifonte, dal gigantesco liwān centrale con vòlta a botte (fig. 17).
I leggiadri e adorni palazzi di Creta (v. cretese-micenea, civiltà XI, p. 875 segg.) palesano, se si vuole, qualche affinità generica con l'architettura dell'Oriente, come la disposizione degli ambienti raggruppati, senza una regola fissa, intorno a un grande cortile centrale e con altri varî cortili minori; ma mostrano soprattutto quell'originalità e quell'indipendenza che l'arte cretese-micenea fa valere in tutte le sue manifestazioni: i palazzi, non cinti di muraglie, si elevano a Creta su diversi piani, con gli ambienti sia aperti sul cortile sia volti verso la facciata esterna, con elementi, come la colonna, di un tipo tutto speciale, con le scalinate solenni, una profusione di pozzi di luce, e un'abbondanza straordinaria di porte e di logge per aumentare la ventilazione degli ambienti. Originale è anche il sistema costruttivo, con gli ortostatai, i muri principali e i pavimenti in gesso alabastrino, e la decorazione con affreschi, rilievi, stucchi, ecc. Solo verso la fine della civiltà cretese-micenea, a cominciare soprattutto dalle città del Peloponneso come Micene e Tirinto, si sostituisce all'antica una forma del tutto nuova, venuta probabilmente dal nord, cioè, entro una poderosa cinta di mura, il megaron (v.), in fondo al cortile, megaron che si può moltiplicare nell'identica struttura tante volte quante lo richieda il bisogno del palazzo.
Nella forma del megaron possiamo forse immaginare il palazzo dei signorotti delle varie città greche nell'età monarchica, ma nulla di essi è a noi pervenuto e, con l'avvento della democrazia, la ragion d'essere del palazzo viene annullata. Tanto più interessanti sono le rovine del palazzetto scavato dalla missione svedese a Bouní, sulla costa settentrionale di Cipro, dove il governo monarchico ha perdurato assai più a lungo che non in Grecia, ma dove anche caratteristici sono i contatti e le promiscuità di tutti i prodotti artistici fra Oriente e Occidente: nelle rovine del palazzo (fig. 18), attribuito agl'inizî del sec. V a. C., si nota il grande peristilio e la maestosa scalinata, attorno ai quali si elevano gli ambienti di maggiore lusso, di cui diversi particolari richiamano l'architettura hittito-anatolica e il liwān arabo, mentre in un'ala aggiunta posteriormente si osserva l'introduzione di elementi architettonici ellenistici col megaron miceneo.
Col sorgere delle dinastie ellenistiche rinasce naturalmente il bisogno del palazzo. L'architettura ne è evidentemente ispirata, almeno da principio, alla casa ellenistica, dalla quale anzi il palazzo a noi meglio conservato di tal genere, quello di Pergamo (fig. 19), si distingue appena, per dimensioni e per lussuosità, essendone impedito un grande sviluppo anche dalla ristrettezza dello spazio sulla vetta dell'acropoli: struttura caratteristica ne è l'ampio peristilio, attorno a cui si aggruppano gli ambienti principali, come la sala del trono, le sale da pranzo e da letto, mentre un altare si eleva in mezzo al cortile, e sulla via dell'acropoli si affaccia una graziosa fontana; a sinistra del palazzo maggiore v'è una sua ripetizione quasi identica, più piccola e più antica; cantine ed edifici domestici erano accanto, verso la grande biblioteca e le costruzioni sacre della terrazza inferiore. Assai più estesi e lussuosi dovevano essere gli altri palazzi delle grandi monarchie ellenistiche, di cui ci è giunto appena il nome: quello d'Alessandria che occupava da solo un terzo della città greca, quello di Siracusa, quello d'Antiochia, che si nascondeva fra i giardini nell'isola dell'Oronte; e non è improbabile che, nelle città d'Oriente, agli elementi ellenistici si mescolassero di nuovo nell'architettura elementi tratti dall'antico palazzo orientale.
Gl'imperatori di Roma, anche nell'architettura dei palazzi, raccolsero l'eredità dei principi ellenistici con rinnovato e moltiplicato splendore. La Domus Augustana (fig. 20) sul Palatino rompe la tradizione della casa romana preceduta dall'atrio, e si conforma ai principî generali della casa ellenistica a peristilio: il palazzo, sopra le possenti strutture a vòlta che hanno livellato a terrazza la cima del colle, è stato eretto nella sua forma definitiva essenzialmente da Domiziano; esso presenta, accanto ai quartieri ufficiali, un appartamento privato e un giardino, in forma di stadio, con portici e statue; nel quartiere ufficiale, che vediamo disposto intorno al peristilio centrale, dal portale maggiore, nel mezzo del loggiato che circonda tre ali del palazzo, si passa al grandioso salone di ricevimento, mentre due porte laterali conducono alla basilica, o tribunale, e alla cappella privata dell'imperatore: il salone maggiore o aula regia, che sorpassava di ben due quinti la navata centrale di S. Pietro, era incrostato di preziosi marmi e decorato di gigantesche statue. Nell'altra parte del palazzo, al di là del peristilio con giardini, si trovava nel mezzo la sala da pranzo, fiancheggiata da ninfei e fontane.
Ancora una volta verso il declino dell'Impero romano le architetture dell'Oriente e dell'Occidente sembrano concorrere per la creazione d'un monumentale edificio, che assomma tutte le esperienze precedenti in un imperituro e armonico insieme, quale è il palazzo di Diocleziano a Spalato (fig. 21): di Diocleziano, il quale si è servito per esso appunto dei medesimi artisti che gli avevano poco prima creato il suo famoso palazzo di Antiochia, nonché la residenza estiva di Dafne. Il palazzo di Spalato è il tipo tardo-romano del palazzo-città, o palazzo-castello fortificato, tutto circondato di solide mura, racchiudente la sede della guardia imperiale, il tempio e la tomba del monarca. Un cardine e un decumano dividono in quattro sezioni, ciascuna accentrata attorno al suo peristilio, l'interno del palazzo, a cui dava accesso da settentrione la Porta aurea; i due rettangoli settentrionali erano occupati dai quartieri delle guardie e dei funzionarî, i due meridionali erano destinati all'imperatore e alla sua famiglia. Questi due ultimi contenevano nella parte mediana da un lato un tempietto e dall'altro il Mausoleo imperiale, sormontato da una cupola; nel fondo, sulla galleria a mare, sorgeva in mezzo la sala del trono, da un lato il triclinio, dall'altro la biblioteca, e gli altri locali privati.
Nulla si è salvato del palazzo di Costantino, che ha fornito verosimilmente il modello ai successivi palazzi bizantini, a Costantinopoli; ma il palazzo-castello di Salona rispecchia con probabilità il tipo dei palatia della tarda età dell'Impero in Italia e nelle provincie; di questi palazzi qualche rudero si è conservato p. es. a Treviri e a Lutezia; e ai tardi palazzi romani si ispirarono certamente quelli dei primi re barbarici, come quello di Teodorico a Ravenna, di cui si conserva l'immagine della facciata, con un arco trionfale in mezzo ai colonnati che sostengono una loggia, nel famoso musaico in S. Apollinare Nuovo (fig. 22), e di cui si rinvennero recentemente alcuni pavimenti in musaico.
Medioevo ed età moderna. - Dal periodo paleocristiano per tutto il primo Medioevo fino all'età romanica scarsissimi sono gli avanzi identificabili dell'architettura civile. Così delle dimore regali, di principi e vescovi, che vanno considerate come i palazzi del periodo anteriore al mille, poche ne sussistono e per lo più mutilate e trasformate.
Tra le cause che contribuirono ad annullare quei monumenti civili dei primi secoli, sono da annoverarsi come principali: il poco rispetto che si ebbe da parte degl'invasori per gli edifici civili in confronto a quelli sacri; e la facilità con cui tali costruzioni, in massima parte realizzate in legno, andarono distrutte dagl'incendî; le cronache monastiche ci parlano di città con palazzi i cui portici di legno prospettavano sulle vie; secondo la tradizione, le prime regge galliche erano di legno. Tuttavia, oltre agli scarsi avanzi cui ci si può riferire, altre fonti di studio sono le approssimate rappresentazioni che si hanno di taluni palazzi in musaici di chiese e in miniature di codici, oltre alla tradizione letteraria tramandata dai testi.
La tradizione letteraria del Medioevo ci offre la descrizione di un palazzo ideale, composto di molte aule, di una grande sala tricora per banchetti, di triclinî e di terme. Questo schema tradizionale potrebbe avere qualche conferma sia nella descrizione, fatta dal Liber Pontificalis, del palazzo Lateranense, il quale avrebbe avuto, secondo il piano della ricostruzione di Leone III, un'aula tricora e un grande triclinio rettangolare absidato, rispondente ad uno schema di pianta romano; sia dagli avanzi di una aula tricora ritrovata negli scavi, fatti presso il cosiddetto palazzo di Teodorico a Ravenna, la quale, per le iscrizioni del suo pavimento musivo, sembra fosse destinata a banchetti. C. Ricci attribuisce questo monumento, detto anche "in calchi" per le porte di bronzo che in antico lo chiudevano, al periodo dell'esarcato ravennate, e lo crede destinato a presidio delle mura costruite dagli esarchi stessi. Il monumento è composto di una sala inferiore stretta e allungata e di una sala superiore, forse un dormitorio militare, cui si accede da scale a chiocciola ricavate nelle torri angolari. Dalla nicchia centrale superiore si sarebbero promulgati gli editti e le leggi.
Il vero palazzo di Teodorico viene vagamente rappresentato dal musaico sopra ricordato di S. Apollinare Nuovo, che ce lo mostra parato a festa con portici anteriori secondo il modo bizantino; il fronte appare scandito da un ritmo di colonne con logge sovrapposte, il corpo centrale si protende in avanti ed è coronato da un frontone; questo elemento, che ha qualche risonanza classica, ricorda invece molto più da vicino, per i suoi archi ribassati iscritti nel frontone e ricadenti sulle colonne, un analogo motivo del palazzo di Diocleziano a Spalato. È probabile che la sontuosa dimora dioclezianea, costruita secondo lo schema ippodamico-romano dei castra, abbia suggerito gli schemi dei palazzi reali del Medioevo, sia in Oriente sia in Occidente fino a Carlo Magno, facendo della reggia una città murata, composta di numerosi padiglioni entro giardini, recinti all'esterno da mura turrite. Questo schema ritroviamo nel palazzo sacro degli imperatori d'Oriente, iniziato da Costantino con un piano topografico simile alla reggia di Spalato. La differenza essenziale tra questi due monumenti sta in questo: che al mirabile ordine classico di quello (scompartito in simmetriche parti da due vialoni incrociantisi ad angolo retto) si sostituisce qui una capricciosa disposizione di fabbriche, collocate a caso in epoche differenti, secondo varie esigenze. Questo palazzo è descritto nel libro delle cerimonie dell'imperatore Costantino VII, studiato e interpretato dal Labarte. Constava l'edificio nel sec. XI di un'accozzaglia di padiglioni costruiti in varî periodi, sovrapposti l'uno all'altro senza ordine prestabilito, per intere generazioni di imperatori, all'ombra di giardini tra portici e logge, scalee e torri, padiglioni rotondi e ottagonali; dalle costruzioni costantinianee del palazzo dei Calchi e dell'Augusteo a quelle di Giustiniano e di Teofilo, dai palagi di Basilio I a quelli di Costantino Porfirogenito e Niceforo Foca. Sul finire del sec. X il lusso della reggia era stupefacente.
Sulla forma architettonica, il Diehl osserva giustamente che questi edifici poco dovessero differire da quelli sacri. Costruiti con gli stessi principî, con le stesse combinazioni di absidi e di cupole, dovevano avere analogo sistema di decorazione in rivestimento marmoreo e metallico, in musaici luccicanti di vivace policromia; con la differenza che, a rappresentazioni e motivi proprî della decorazione sacra, sostituivano quelli profani. Questa unità di sentimento doveva in certo modo amalgamare la varietà disordinata delle masse architettoniche in un assieme omogeneo e magnifico, in cui le più antiche costruzioni propriamente romane, da Costantino a Giustiniano, si sposavano, in un'atmosfera di sfarzo orientale, alle costruzioni posteriori fino al sec. XII, ispirate dallo spirito musulmano.
Accanto a queste costruzioni dei palazzi imperiali, stanno i palazzi privati; di essi si può avere una qualche cognizione osservando i pochi ruderi ancora rimasti: nel cosiddetto palazzo di Giustiniano a Istanbul (fig. 23), nel Tekfūr-Serāy (fig. 24), nel palazzo patrizio di Melnik (Macedonia) e in talune altre costruzioni minori, e nelle tappresentazioni dei codici miniati, segnatamente in quella del manoscritto dello Skylitzes, che è una storia bizantina del periodo tra il sec. VII e il XII. Da questo materiale risulta come l'abitazione bizantina fosse preceduta da un portico a colonne in facciata, e ordinata in due o tre piani con logge. Spesso a una costruzione principale di tre piani facevano ala padiglioni laterali più bassi. L'androne era molte volte fiancheggiato da una torre di difesa. L'uso dei balconi sporgenti era frequente, ricordo probabile di analogo schema romano a Ostia e a Pompei, più che siriaco. La copertura era in massima parte a tetto visibile con due spioventi; ma esistevano numerosi esempî di terrazze con pergole e di cupole. Nel palazzo, all'interno, dominava una grande sala d'onore al primo piano, la quale occupava in altezza l'intero edificio. Nella casa di Giustiniano la facciata si apre verso mare ordinata su tre piani. Il piano nobile ha varî architravi con mostre e cornici di sapore classico, rilegate da un lungo balcone di cui si vedono gli avanzi di robusti mensoloni. All'interno corrispondeva al balcone una grande sala coperta da vòlta a botte, la quale occupava gran parte dell'edificio; una torre proteggeva la costruzione a sud: in essa è ricavato un salone con cupola su pennacchi sferici; verso ovest si accedeva al grande vestibolo, per una porta carrabile arcuata. Il Tekfūr-Serāy, pure a Costantinopoli, è un monumento del sec. XI. Esso fu ritenuto palazzo di Belisario e poi di Costantino Porfirogenito. Consta di una fabbrica rettangolare a due piani costruita tra le due muraglie teodosiane; al piano terreno, l'atrio è seguito da un propileo di quattro colonne. Nei piani superiori si sovrappongono due grandi saloni, di cui l'inferiore, voltato a botte, era probabilmente la sala d'onore. La sua decorazione dà un'idea dell'aspetto delle città bizantine tra il sec. X e il XII; la facciata del palazzo è eseguita in mattoni rossi e marmo bianco in modo da formare disegni geometrici, le arcate del piano terreno e del primo piano hanno una ghiera esterna in risalto. Questa decorazione, che si generalizza dal sec. X in poi, dimostra un influsso nettamente orientale. Il palazzo patrizio di Melnik (sec. X) è composto da un piano terreno e due superiori; all'interno, intorno ad una grande sala che prende tutta l'altezza del fabbricato, si dispongono su due piani gli ambienti laterali, cinque per piano, la decorazione della facciata è anche qui a mattoni e pietre alternati.
Nei palazzi reali d'occidente, l'impianto planimetrico non era fondamentalmente dissimile da quello dei palazzi reali bizantini; anche senza il fasto orientale delle corti greche, e con forme architettoniche diverse, il palazzo occidentale rispondeva al medesimo programma planimetrico: un complesso di edifici entro una cinta fortificata, collegati da portici e gallerie, dove trovavano posto le abitazioni e i servizî proprî a un complesso vitale politico, che fu il nucleo di molte città del nord d'Europa. La parte essenziale del palazzo è la sala delle corti plenarie, nella quale si convocavano i vassalli, si davano banchetti e feste, si ricevevano ambasciatori; lunghe gallerie prospicienti su giardini accompagnavano questa sala, e servivano da ambulacro coperto. Altro elemento principale era la cappella, assai vasta; seguivano gli appartamenti del sovrano, in genere collocati al centro del complesso planimetrico, con ambienti per la residenza estiva e invernale differentemente orientati; poi gli alloggi degli ufficiali del praesidium, quelli dei capitani mercenarî e infine un complesso di altri servizî in padiglioni isolati: gli archivî, le cucine, le scuderie, i galoppatoi, ecc. Dominava il complesso di queste costruzioni un mastio di difesa ove si collocava il tesoro, e nelle cui vicinanze erano ubicate le prigioni. Anche nei palazzi occidentali i piani non furono organici e ordinati secondo un concetto unitario, ma vennero su poco alla volta, in ragione della ricchezza e della disponibilità dei signori che vi si succedettero. Il palazzo reale dell'Isola Parigina presentava un complesso di fabbricati cinti da mura che datavano da Luigi il Santo a Filippo il Bello (figg. 25-26). Secondo il Carlier (Hist. du Duché de Valois) il palazzo di Carlomagno a Verberie era limitato a oriente dalla cappella, a occidente da un vasto fabbricato destinato alle assemblee generali e al parlamento; tra queste due ali, appariva al centro un magnifico corpo di fabbricati su due piani assai elevato: la dimora regale. Sono da ricordare ancora il palazzo dei duchi di Borgogna a Digione e quello dei conti di Champagne a Troyes; quest'ultimo con una sala di m. 58 × 20. Sui palazzi minori pochissime sono le notizie prima del sec. XIV, poiché le dimore più antiche furono costruite in legno, e in seguito, nei primi tempi del regime comunale, i nobili, poco sicuri nelle città, preferirono fortificarsi nei castelli intorno ad esse. Solo nel sec. XIV cominciano ad essere più numerose le abitazioni signorili nelle città; per il momento conviene soffermarsi a trattare dei palazzi musulmani la cui influenza grandissima è risentita nel secondo Medioevo in tutta l'Europa meridionale oltre che a Bisanzio, nella Spagna e nell'Italia del sud.
Nell'abitazione araba, a somiglianza di quella romana, intorno a un cortile loggiato si dispongono i varî ambienti destinati al soggiorno e alla rappresentanza. Sulla facciata esterna non si hanno aperture oltre la porta d'ingresso. Si può avere un'idea della disposizione planimetrica del palazzo arabo, dal Dār al-Baḥr (palazzo del lago), costruito nel sec. X della dominazione fatimita in Algeria. Il grande asse del palazzo è orientato da est a ovest. Un'entrata monumentale si apre sulla facciata est; all'ingresso seguono immediatamente tre sale rettangolari destinate alla guardia del palazzo e all'amministrazione della giustizia. Questo primo nucleo di fabbricati fa da baluardo alla grande corte centrale cinta da portico; questa è occupata al centro da un largo specchio d'acqua dal quale il palazzo viene denominato; sul fondo è chiusa da un corpo di fabbrica formato da tre grandi sale per i ricevimenti ufficiali; la sala centrale, assai grande, era destinata al trono; lateralmente si sviluppavano gli ambienti di abitazione, alle spalle i bagni privati, ubicati in un cortile più piccolo opposto alla grande corte centrale. Lo stesso schema doveva possedere il palazzo di Amman nella Siria transgiordanica, uno dei più antichi palazzi musulmani di cui restano gli avanzi di una severa corte monumentale. Riassumendo, il palazzo arabo del periodo aghlabita e fatimita ha come schema: una corte centrale con portico ricco di fontane, spesso accompagnata da un largo specchio d'acqua: questa corte è protetta verso la fronte d'ingresso da un baluardo in cui si tiene il presidio delle truppe e si amministra la giustizia; sul fondo della corte è l'appartamento di rappresentanza con la sala del trono, e dietro i bagni privati. Il Dār al-Baḥr era chiuso entro una cinta fortificata insieme ad altre due costruzioni, che si ritennero per molto tempo le abitazioni del principe; all'estremità della cinta fortificata si elevava una torre che dominava tutto l'assieme a somiglianza del mastio medievale. Una delle caratteristiche di questa architettura ammadite è la funzione estetica che vi hanno gli avancorpi leggieri e allungati disposti al centro delle facciate.
Dei palazzi arabi costruiti durante la dominazione fatimita in Sicilia non si ha più traccia, malgrado lo splendore che le città siciliane ebbero in quel tempo, dal sec. IX all'XI. Secondo quanto riferisce il geografo Ibn-Ḥawqal la città di Palermo aveva 300 mila ab., splendidi palazzi in marmo, giardini pensili, canali navigabili, ecc. Di ciò nulla rimane. Per avere un'idea dei monumenti arabi ci possiamo riferire ai monumenti normanni dell'isola, in gran parte costruiti da architetti arabi e ispirati dall'arte musulmana. La Favara, detta Castello di Maredolce era, secondo l'Amari, il palazzo dell'Emiro Gia‛far. Costruito nel sec. X, presentava, secondo le testimonianze degli autori arabi, un insieme di corpi di fabbrica attorno a un cortile loggiato, con ampio bacino d'acqua interno, come il Dār al-Baḥr. La Cuba, costruita da Guglielmo II, è in conci intagliati di calcare; la sua pianta rettangolare, secondo la caratteristica di molti monumenti arabi (Fanal, Dār al-Baḥr), fa sporgere al centro di ogni facciata un corpo di fabbrica stretto e allungato a guisa di torre. Le facciate sono decorate da archi ciechi a sesto acuto; in alto, entro l'arco s'incrociano nicchie minori il cui fondo termina a conchiglia. L'interno è occupato da una grande sala centrale coperta a cupola con raccordi a stalattiti e due sale laterali minori; gli avancorpi anteriore e posteriore sono all'interno accusati da nicchie. Più grandioso ed elegante ancora oggi, è il palazzo della Zisa (al-‛Azīzah "la gloriosa", v. avancorpo, V, p. 602). Fu finito da Guglielmo II; come la Cuba, è un fabbricato rettangolare ornato da avancorpi nei lati corti; all'esterno presenta tre ordini di arcature a sesto acuto cui corrispondono finestre. Faceva da coronamento un fregio decorato da caratteri arabi, più tardi sostituito da merlatura. All'interno il monumento possiede due grandi sale sovrapposte; una doppia scala simmetrica all'ingresso conduce al primo piano. Nel salone terreno scende, in una vasca sul pavimento, l'acqua sgorgante da una nicchia decorata a stalattiti; essa percorre un canale che divide il pavimento in scomparti geometrici e rinfresca l'ambiente. Una descrizione del sec. XVI ha fatto supporre che la sala superiore non fosse coperta e che la sala inferiore prendesse luce dall'alto.
In Italia, nel periodo romanico, si hanno costruzioni di data incerta le quali furono poi trasformate e successivamente perdettero in massima parte il carattere primitivo. In Toscana più che palazzi sono case-torri, per il loro aspetto più alto che largo, per l'area breve su cui la pianta è disposta e per il senso di chiuso che ebbero i tipi primitivi. L'aspetto di fortezza è accentuato dalla muratura forte e dai beccatelli che fanno da ballatoio, come nella fiorentina torre dei Foresi.
Poco per volta la forma chiusa si apre in alto, con ampie finestre e in basso con arconi a portico che fanno da fondaco nelle case più umili e decorano le case signorili. Così, per es., nella torre degli Amidei, chiusa in alto ma aperta in basso da alti archi, e nelle casetorri di San Gimignano, aperte anche in alto. A Pisa la natura malferma del terreno costrinse gli architetti ad alleggerire le fabbriche, adottando una struttura di sostegno fatta d'archi e pilastri con un riempimento di muratura più leggiera; questo sistema costruttivo, portò più presto che altrove ad aumentare sempre più il numero di aperture verso l'esterno. L'uso dei portici si era già da tempo diffuso per tutta l'Italia: ad Ascoli la casa lombarda del sec. XII ha grandi bifore al primo piano e una torre; a Roma la caratteristica casa costruita da Nicola, figlio di Crescenzo e Teodora, ha un finto loggiato al piano terreno di poderoso effetto chiaroscurale, e una loggia ad archi con balcone sporgente al piano superiore; questa loggia corrisponde a un'aula del primo piano coperta da vòlte a crociera. Questo modo aperto non è a dire che diminuisse il senso di forza delle dimore medievali; il muro conserva la sua potenza nei paramenti di mattoni, negli arconi poderosi a bozze dei portici che poggiano su robusti piedritti, nei coronamenti che non abbandonano le merlature e i beccatelli. Così Genova ebbe una sua architettura magnifica e potente. Le facciate (variate da policromia in fasce chiare e brune, o in conci grandissimi di rudi bozze al piano terreno, contrastanti col rosso paramento di mattoni) furono sempre aperte nei piani superiori con alte finestre, spartite in trifore e quadrifore da eleganti policromie in marmo, e al piano terreno con largo loggiato, come nel palazzo di Lamba Doria.
Solo Venezia, per ragioni storiche e per la peculiarità del suolo edificatorio ebbe aspetto architettonico affatto diverso dalle altre città d'Italia. I suoi palazzi medievali presentano tutte le caratteristiche che saranno poi del Rinascimento e del barocco; architettura leggiera, traforata da logge che occupano tutti i piani. Tale aspetto presentavano il palazzo di Enrico Dandolo e quello Da Mosto, e le Procuratie Vecchie costruite dal doge Ziani (1172-1178).
L'impianto planimetrico di questi palazzi ha uno schema che si tramanderà per secoli: l'atrio, coperto, è fornito, generalmente, di un ingresso verso il canale; gli corrisponde, nei piani superiori, un'ampia sala nella quale si aprono gli ambienti secondarî. Sul prospetto, questa sala si affaccia, al solito, con un balcone o con un'apertura più ampia, la finestra bifora o trifora.
Oltralpe, l'architettura civile non s'allontana per gran tempo dai castelli, e viene in città soltanto col fiorire del gotico, assumendo un aspetto caratteristico per la maggiore aderenza che l'abitazione possiede, nella sua pianta, ai bisogni della vita. Mentre in Italia è difficile indicare il carattere planimetrico dell'abitazione, oltralpe, lo schema del palazzo signorile di città non ha l'aspetto della dimora isolata, ma conserva, sia pure embrionalmente, il carattere delle antiche costruzioni a padiglione con i suoi servizî distinti.
Soltanto sul finire del sec. XII il palazzo comunale comincerà a sorgere in alcune libere città. Fu ideata in Lombardia su elementi preesistenti, secondo il Toesca, la forma del palazzo comunale che persistette per tutto il Duecento e fu diffusa per tutta l'Italia settentrionale: rettangolare, in due piani, tutto aperto in logge il terreno, a una sola aula il piano superiore; ma in altre parti d'Italia a reggimento comunale, i palazzi pubblici dei secoli XIII e XIV furono più complessi nella disposizione degli ambienti e sviluppati anche intorno a cortili (Siena, Firenze). Anche in Francia le origini dell'età comunale videro le riunioni dei cittadini nelle chiese; ma qui, più che in Italia, il palazzo comunale tardò ad apparire, poiché i signori, assai più potenti e organizzati, ebbero spesso autorità per abolire i comuni già costituiti; per modo che, fino al sec. XV, molte città comunali francesi ebbero la loro costituzione politica abolita e poi riattivata più volte. Per la storia e la struttura architettonica del palazzo comunale v. municipio.
S'apre col Quattrocento il periodo più glorioso per l'architettura italiana che inizia il suo movimento, permeato di spirito classico, da Firenze e passa poi nell'Italia settentrionale per concludersi a Roma nelle sue forme più grandi e mature. Firenze trae il rinascimento classico dai monumenti della sua stessa terra, poiché per tutto il Medioevo mai si era spenta la fiamma dello spirito latino. Le forme perfette che il romanico profuse, da San Miniato al monte al Battistero di S. Giovanni, saranno suscitatrici nel Brunelleschi di forme nuove, di grazia cristallina negli scomparti, d'armonia leggiera e larga nelle logge. Gli artisti venuti di poi, amici e discepoli, seguiranno queste orme lungo il glorioso cammino, più aggraziati ed eleganti taluni, come Donatello e Michelozzo, più severi e romani di spirito altri, come Luciano Laurana e Leon Battista Alberti.
Nell'Italia settentrionale, per la minore ricchezza di reminiscenze classiche e la maggiore infiltrazione di elementi medievali, le idee nuove entreranno più stentatamente e si manifesteranno in particolari forme, ricche di ornati e d'intagli che talvolta diminuiscono l'effetto dell'assieme, frammentandone le masse. A Roma il Rinascimento, vivo già nel Quattrocento con segni sporadici ma significativi, darà il segno ultimo e conclusivo della sua grandezza col Bramante. I palazzi sorti in questo periodo assumono, come tutte le opere architettoniche, caratteri e forme nuove che, determinati a Firenze, si tramanderanno fino ai giorni nostri nei palazzi di tutta l'Italia e d'oltralpe. Il palazzo italiano si stabilizza in una forma cubica, severa all'esterno e più ariosa all'interno per la grande corte a portici, che sarà come il segno della vita intima che vi si schiude. Si rinnova in sostanza il concetto latino della casa con portico interno, sul quale si aprono tutti gli ambienti, concetto che si sposa con l'altro, medievale, di affacciarsi verso l'esterno.
Dalla casa-torre di Toscana e dal palazzo comunale dell'Italia centrale, nasce la nuova forma del palazzo patrizio del Rinascimento fiorentino: un blocco a bugne rudi, segnato da cornici di marcapiano, chiuso in basso come una fortezza e aperto nei piani superiori da bifore, che nei loro particolari hanno sapore classico, ma conservano nello spirito modi già adottati da Arnolfo nel palazzo dei Priori. Il coronamento è una cornice con ornamenti classici, ma l'aspetto massiccio di essa ricorda la risentita rudezza delle cornici a beccatelli.
Un tipo intermedio che contribuisce alla formazione di questo schema si può rilevare in numerose costruzioni trecentesche a blocco quadrato, in cui predomina il muro a paramento liscio di pietra o di mattoni, senz'altro ornamento che la cadenza delle finestre e i ricorsi orizzontali di brevi cornici di marcapiano.
Il palazzo Davanzati a Firenze, il palazzo Tolomei a Siena, il palazzo Buonsignori a Pistoia, sono tra i più caratteristici del genere. Ed eccoci allo schema definitivo del Rinascimento fiorentino nel palazzo Riccardi, costruito circa il 1430 da Michelozzo, nel palazzo Strozzi (v. benedetto da maiano, VI, p. 608), fondato nel 1489 da Benedetto da Maiano, e nell'ancor più rude e medievale palazzo Pitti.
Lo schema generico di pianta, fissato in questi palazzi e poi modello a tutti gli altri italiani fino al Seicento, è il seguente: cortile rettangolare a portici arcuati nel piano inferiore, a cui si sovrappongono in genere due piani forati da finestre ampie e spesso scanditi da ordini sovrapposti di paraste; scalone situato all'estremità del braccio anteriore del portico; androne voltato a botte; corpi doppî di fabbrica attorno al cortile, composti d'una teoria di grandi saloni allineati lungo il perimetro esterno e d'una galleria di disimpegno affacciantesi nel cortile. Questo schema planimetrico, che rimane pressoché invariato sino all'età barocca, si ordina in tre piani. Gli ambienti di cui il palazzo si compone non hanno una destinazione ben definita, poca parte è data al lato materiale della vita: niente piccoli ambienti annessi alle grandi sale, niente cucine separate, niente latrine. Al piano terreno trova posto la guarnigione del palazzo accanto alla porta, all'ultimo piano ammezzato la servitù che v'accede per mezzo di scalette a chiocciola ricavate nello spessore dei muri. Lo scalone è situato agli angoli per non interrompere la continuità della teoria di sale che costituiscono tutto l'appartamento nobile. Viene in onore nel Rinascimento la scala a rampa rettilinea, innovazione puramente italiana delle scale medievali che furono a chiocciola, e oltralpe si perpetuarono fino ai periodi più recenti; solo al tempo del Bramante sarà rimessa in onore la scala elicoidale, di cui il grande architetto farà un monumento, che sarà ripreso poi dal Vignola e dal Bernini.
È tipica di questo schema la pianta del palazzo Strozzi (fig. 27).
Accanto al tipo fiorentino di palazzo-forte, sorge un po' dopo il palazzo a ordini sovrapposti di cui l'archetipo è dato dall'Alberti nel palazzo Rucellai. Il Rinascimento guerriero dei primi tempi assume nuovo carattere di grazia in questo monumento puro. L'idea unitaria del cubo vi permane, varia soltanto l'aspetto totalitario per la novità dei partiti adottati. Le bozze rudi si trasformano in un bugnato geometrico nitidamente inciso sul muro; la larga muraglia viene scandita da lesene che delimitano spazî minori in un ritmo più aggraziato; alla poderosa cornice dei palazzi Riccardi e Strozzi, proporzionata a tutta l'altezza dell'edificio, si sostituisce una più leggiera cornice proporzionata all'ultimo ordine architettonico.
Questo nuovo tipo di palazzo segna un'altra conquista del Rinascimento italiano; la sua forma compiuta si ritroverà a Roma nei primi anni del secolo seguente nel palazzo della Cancelleria e poi nella Farnesina del Peruzzi. Lo stesso schema architettonico del palazzo Rucellai ripete Bernardo Rossellino a Pienza nel palazzo Piccolomini (figg. 28 e 29), se pure con minore raffinatezza di particolari e di proporzioni.
Nell'architettura dei palazzi dell'Italia settentrionale la decorazione ebbe una funzione dominante. Un esempio caratteristico, di cui si abusò in queste regioni, è il pilastro leggermente sporgente e decorato da una caduta di arabeschi, motivo riservato dai Fiorentini all'interno. Dà carattere a questa forma d'arte tutta una serie di palazzi comunali costruiti nel Veneto e in molte città lombarde, palazzi che ripetono il tipo tradizionale lombardo con portico nella zona inferiore e larghe finestre in quella superiore, dove s'affaccia la sala del consiglio, trasformandone però il carattere quadrato medievale con un'aggraziata fioritura decorativa applicata a classici scomparti.
Così a Brescia il palazzo pubblico finito da Iacopo Sansovino, ma iniziato fino dal 1489 dal Formentone; a Verona e a Padova le Logge del Consiglio, che presentano un portico inferiore con archi ricadenti su colonne e, nella parte superiore, una divisione a specchiature simmetriche ottenute con paraste di ordine corinzio, ricche d'intagli e nelle quali la riquadratura classica delle bifore fa assumere a queste nuovo sapore.
Analogo schema presentano i palazzi di Bologna, come i palazzi Fava, Felicini, Bolognini, ecc.
A Venezia l'architettura, iniziata con tanto splendore e originalità di forme già dal Duecento, prosegue il suo cammino autonomo, e solo poco per volta accetta infiltrazioni nuove del Rinascimento, sempre adattandole allo stile locale. Segue concetti e forme già espressi negli esempî più antichi la Cà d'Oro (tav. CLXV), che profonde ornati nel coronamento a guglie avvicinate, traforato come un merletto, e nelle logge simmetriche della facciata ad archi intrecciati in complicato disegno. Interessante lo schema unitario e simmetrico di tutta una serie di palazzi che aprono con ornate sfinestrature sovrapposte in tre piani la parte mediana della facciata e lasciano più piene le testate angolari: i palazzi Foscari, Pisani, Gozzi, Giovanelli, sono esempî del genere, che tramandano questo tipo di scompartitura in palazzi di forme più rinascimentali, come il Contarini e il Manzoni.
La famiglia dei Lombardo, sullo scadere del secolo XV, inizia costruzioni nuove con spirito nuovo. Pietro Lombardo, nel palazzo Loredan Vendramin (v. coducci, X, tav. CXXXV), inquadra elementi classici in una facciata puramente veneta di spirito. Questo palazzo presenta uno dei primi esempî di ordine a colonne sovrapposte, e un primo tentativo d'interrompere la monotonia delle facciate, costruendo due testate angolari che inquadrano i vani d'estremità con un doppio ordine binato. Nel palazzo Grimani, Michele Sammicheli riprodurrà questo partito. Il palazzo Corner sottopone un basamento poco traforato a bugne a un doppio ordine di logge sovrastanti, iniziando un altro tipo di palazzo che avrà poi nel Veneto e altrove molta fortuna.
Fra le più grandiose dimore signorili italiane va fatto cenno del palazzo ducale di Urbino (v. laurana, XX, tav. LXXVI), bellissimo nella sua romantica espressione, malgrado la discontinuità dei suoi varî elementi concepiti da artisti diversi. La fronte verso la piazza è spartita da ampie finestre rettangolari, e divisa orizzontalmente da un marcapiano ornato d'intagli finissimi. La facciata verso ovest, probabilmente di Luciano Laurana, è più severa, serrata tra due slanciati torrioni, e partita a mezzo da una serie di logge sovrapposte.
La pianta, se pure non organicamente congegnata, presenta il tipico cortile centrale, a portico, e nei corpi di fabbrica che lo recingono, una serie di gallerie e saloni, in cui è profusa grande ricchezza di plastica e pittorica ornamentale. L'armonia del cortile lauranesco è perfetta, sia per la proporzione degli archi su colonne del portico terreno, sia per la nitidezza con cui è spartito il muro superiore da finestre rettangolari e paraste.
Ancora più vario, complesso e grandioso è il palazzo ducale di Mantova (v. mantova, XXII, p. 170) adattamento geniale del Rinascimento alle forti costruzioni medievali. I suoi fabbricati principali comprendono il palazzo trecentesco del Capitano e la Magna Domus, il tutto occupa un'area di poco meno di 30.000 mq. Costruzione di epoche e di stili diversi, che contiene cinquecento stanze, quindici giardini, piazze, cortili, chiesa, teatro; bizzarra in alcune parti, come il cortile di Giulio Romano, dai poderosi arconi a terreno, cui sovrasta un ordine di colonne tortili scannellate sorrette da mensole; magnifica nei suoi interni, dai sontuosi saloni affrescati, come l'appartamento del Paradiso, la sala di Troia, o decorati a rilievo come la sala degli Arcieri, la galleria della Mostra, ecc.
Con l'aprirsi del Cinquecento inizia il suo rinascimento Roma, assurgendo a forme perfette per equilibrio e penetrazione classica e imponendo all'Italia prima e poi a tutta l'Europa il segno potente della sua grandezza.
Già nel secolo precedente si hanno i primi auspici di questa grande rinascita nel Palazzo Venezia (fig. 30), che Paolo II iniziò quando era ancora cardinale. La quadrata muraglia esterna ha un carattere medievale, ma all'interno il cortile presenta nuove forme di loggiati, con archi ricadenti su piedritti alla maniera classica, anziché su colonne come correntemente s'usava per influsso toscano. A Roma si fisseranno, in forme definitive, i tipi più comuni dei palazzi italiani; prima col Bramante e poi con Raffaello, Antonio da Sangallo, il Peruzzi, Michelangelo.
Nel palazzo della Cancelleria (tav. CLXVI), cominciato nel 1486 dal cardinal Riario, appare per la prima volta il raggruppamento ritmico dei pilastri, l'introduzione degli avancorpi angolari, l'interposizione di uno stilobate fra i piani e il rilegamento di due piani con un solo ordine. Nel piano terreno la facciata è costituita da un alto zoccolo.
Nei palazzi Iacopo Bresciano e Caffarelli e in quello cosiddetto di Raffaello, si fisserà un tipo nuovo di palazzo, che sarà poi compiutamente sviluppato nel Veneto dal Sammicheli e dal Palladio: zona basamentale fortemente bugnata, aperta da grandi vani arcuati o architravati, piano superiore scandito da un ordine binato di colonne poggianti su uno stilobate che fa da parapetto alle interposte finestre a tabernacolo. Nel palazzo detto di Raffaello si fisserà il tipo del piccolo palazzo privato.
Nella sistemazione del Belvedere (sorta per collegare con due lunghissime gallerie la villa d'Innocenzo VIII al palazzo elevato presso la basilica di S. Pietro da Nicola V e Sisto IV), sarà per la prima volta espressa in modo imperituro la visione scenografica di uno spazio chiuso, e per l'immensità dell'area recinta e per i dislivelli mirabilmente giocati e per l'imponente grandiosità dello sfondo architettonico dominato dal nicchione (fig. 31).
Nel palazzo dei tribunali, iniziato per ordine di Giulio II (fig. 32), si determinerà uno schema planimetrico nuovo, che pone per la sua funzione utilitaria quattro scale agli angoli dell'edificio, in corrispondenza di quattro torri, che avrebbero dovuto raccogliere la facciata in un motivo serrato e unitario. Di questa costruzione incompiuta resta solo una parte del basamento a rudi bozze, lungo la via Giulia.
Nella Farnesina apparirà per la prima volta un fregio che manifesta il piano sottotetto, iscrivendo in eleganti riquadri le piccole finestre che vi dànno luce e allacciandole tra loro con una teoria di festoni e di candelabri. Questo partito avrà in seguito molte imitazioni; celebre, fra le altre, quella della Libreria di S. Marco a Venezia.
Nel palazzo Massimo (fig. 33; v. anche bugnato, VIII, p. 61) s'imporrà per la prima volta a un severo basamento di colonne toscane architravate una zona superiore più chiusa, nella quale si manifesterà liberamente l'aspetto interno del palazzo: il piano nobile con un bell'ordine di grandi finestre a cornice rettilinea sorretta da mensole (uno dei primi esempî del genere), i piani superiori con piccole finestre quadre racchiuse entro aggraziate cornici; si presenterà ancora un esempio nuovo di pianta, in cui il cortile sarà spostato verso il fondo per meglio illuminare i vani interni del palazzo, tutto chiuso dalle fabbriche intorno.
Nel palazzo Farnese (figg. 34 e 35; vedi pure cortile, XI, tavola CXIII) si fisserà il palazzo tipico romano spoglio di decorazioni, con ordini; ogni piano sarà manifestato da una semplice fascia che fa da appoggio a una teoria di finestre tabernacolari a timpani retti e curvi alternati; il coronamento sarà accusato da un robusto cornicione proporzionato all'altezza dell'edificio; gli spigoli saranno rafforzati da un bugnato angolare; sull'asse, al centro della fronte, si aprirà il grande portale.
Nel palazzo dei Conservatori apparirà, per la prima volta, l'ordine gigante che abbraccla più piani (fig. 36).
L'Italia settentrionale continua l'uso dei portici che dà caratteristico sapore ai palazzi cinquecenteschi: a Bologna, il palazzo Malvezzi Campeggi con portico ad archi ricadenti su colonne e finestre arcuate al primo piano, inscritte in riquadri classici, ricordo di motivi quattrocenteschi, e il più classico palazzo Castagnoli; a Milano, il palazzo dei Giureconsulti che presenta un bel portico a colonne binate costruito da Vincenzo Seregni nel 1564 con libertà di motivi e profusione d'ornati.
A Venezia l'architettura si nobilita di originali forme classiche, pur conservando il suo primitivo carattere; vi predomina l'arco a tutto sesto ricadente su piedritti o colonne per interposta trabeazione, e il motivo con zona basamentale bugnata e ordini sovrapposti. Così nel palazzo Corner e nella più severa Zecca; così nella Biblioteca di S. Marco (tav. CLXVI) traforata anche nella zona inferiore da logge con archi. Michele Sammicheli riprenderà nel palazzo Bevilacqua e nel palazzo Pompei di Verona questi motivi, arricchendoli con originali innovazioni. Andrea Palladio farà della sua Vicenza un museo di capolavori: la basilica con la gigantesca sinfonia delle sue logge sovrapposte e profonde, con arconi ricadenti su doppie colonne, presenterà una vigoria chiaroscurale e un sentimento di romanità che di rado è dato cogliere in altre opere assai più pure. Il palazzo Chiericati si presenta come un antico monumento, quasi il peristilio di un tempio a doppio ordine di colonne. Il palazzo Colleoni sovrappone a un basamento bugnato un ordine ionico di semicolonne a spartire il piano nobile, coronato da un attico in cui si aprirono finestre tra gli scomparti degli aggettanti piedritti. Il palazzo Valmarana e la loggia del Bernardo dànno al motivo michelangiolesco dell'ordine colossale una maturità perfetta.
A Genova, per la forte pendenza del suolo, i palazzi assunsero un particolare aspetto. In essi si diede grande importanza alle scale che rilegano con monumentali rampe le parti dell'edificio a diverso livello. In genere nei palazzi maggiori, il cortile grandioso si porta indietro, a un livello assai più alto di quello stradale. Lo cingono da tre lati le fabbriche, al quarto si addossa lo scalone d'onore; dall'androne una larga rampa permette di arrivare all'altezza di questa corte sopraelevata. All'esterno la facciata è resa monumentale dagli alti basamenti su cui i palazzi si elevano per superare il dislivello interno, e dalla grandiosità dei portali che ad esso si giustappongono. Il Palazzo Cambiaso di G. Alessi e poi il Doria-Tursi di R. Lurago (fig. 37, tav. CLXVIII) presentano queste forme, imitate poi in modo perfetto nel secentesco palazzo dell'università, di Bartolomeo Bianco.
La penetrazione del Rinascimento italiano nell'Europa transalpina fu lenta e incerta in principio: la tradizione gotica coi suoi modi costruttivi s'opponeva a una rapida diffusione delle forme nuove. In principio queste forme furono soltanto sovrapposte qua e là all'organismo gotico esistente, e sentite come ornamento superficiale.
Nelle costruzioni civili, e segnatamente nei palazzi signorili, non si poterono adottare direttamente i modelli italiani, perché la struttura di quei palazzi differiva fortemente dall'italiana, sia nell'impianto planimetrico sia negli alzati.
In Francia il palazzo signorile era una derivazione del castello, che ebbe in questo periodo una diffusione grandissima.
A differenza del palazzo italiano, concepito come un blocco unitario e regolare, spartito in elementi, secondo un classico concetto di simmetria, il palazzo francese non si cura della simmetria, le sue singole parti non sono fuse in un volume unitario, ma suddivise in padiglioni, ognuno dei quali corrisponde a una funzione determinata. Lo schema planimetrico conserva il tipo tradizionale, aggruppando i padiglioni secondo esigenze pratiche, senza ordine prestabilito; solo vagamente accenna a un fabbricato centrale di rappresentanza a cui i padiglioni sono collegati. Le scale sono in genere a chiocciola, secondo l'uso medievale, e distribuite in torri rotonde, che si collocano qua e là secondo il bisogno.
L'architettura del Rinascimento si sovrappose a questo disordine, profondendo nuovi ornati su membrature gotiche; e solo lentamente poté penetrare nel profondo e mutare l'impianto generale dei palazzi ch'era frutto di una civiltà secolare. Alcuni lineamenti essenziali vi perdurarono anzi a lungo e si tramandarono poi, in schemi più definiti, all'architettura classica francese dei secoli XVI e XVII. Provengono questi dalla struttura dei tetti ripidissima e apparente, dalle cuspidi, dai camini, dalle finestre ornate uscenti dai tetti per illuminare gli abbaini.
Nella prima metà del secolo XVI, con Enrico II l'architettura si trasforma e diventa più regolare e classica, abbandona la superficiale imitazione dell'ornato quattrocentesco italiano componendosi in masse simmetriche più aderenti alle forme nuove. Lo schema dei palazzi abbandona il pittoresco disordine per inquadrarsi entro una pianta rigorosamente geometrica. Questa nuova planimetria deriva dall'antica: è la regolarizzazione di essa.
Il Lescot disegna per il progetto del Louvre la prima pianta moderna: un cortile centrale chiuso da quattro lati con corpi avanzati sugli angoli, in corrispondenza di quattro padiglioni d'abitazione. Dell'antico palazzo cinquecentesco si conservano solo alcuni elementi ma sono bastevoli a dimostrare come l'impianto costituisse il modello di molti palazzi successivi: una fronte lunga con due ordini di colonne sovrapposti e spartiti secondo un partito di campata ritmica, corpi sporgenti di poco agli angoli del fabbricato e al centro. A parte la disposizione dell'ordine, lo schema distributivo delle masse secondo l'invenzione del Lescot sopravviverà fino ai nostri giorni in tutte le regioni d'Europa di là delle Alpi. Filippo Delorme, autore delle Tuileries, continuò i lavori del Lescot, ma con minore purezza di stile (fig. 38).
Negli altri paesi d'Europa il Rinascimento italiano si propagò e per merito di artisti italiani e francesi e per gli studî che architetti stranieri vennero a compiere in Italia.
Nei Paesi Bassi domina l'influsso francese, il palazzo di Margherita d'Austria a Malines (1517) fu costruito dal Guyot. Nel palazzo comunale di Leida (v. leida, XX, p. 814), il Rinascimento, prima esclusivamente superficiale e decorativo, si fa più profondo e sentito: siamo alla fine del sec. XVI. L'elemento locale, anche nei periodi più maturi, non è mai abbandonato, la costruzione in mattoni vi predomina, alternata a decorazioni e risalti in pietra.
In Ungheria il Rinascimento penetra per influsso di artisti italiani e specie di Pietro Stella. Anche allo Stella si deve, a Praga, la bella sala del Belvedere. In Germania, ov'era viva la tradizione gotica e la costruzione in legno, il Rinascimento penetra molto lentamente e con tendenza assai decorativa; è mescolato con elementi tratti dalle varie arti minori: tarsia, oreficeria, ecc., ed è specialmente influenzato da forme lombarde; ma ad esso non tarda a contrapporsi l'elemento indigeno. Anche per l'Austria si può dire in gran parte lo stesso. Gli è che in queste regioni il Rinascimento non attinse direttamente alla fonte italiana come in Francia; ma vi penetrò di seconda mano, e fu il risultato di complicate mescolanze italiane, francesi, fiamminghe.
In Inghilterra tutta la prima metà del sec. XVI è dominata dallo stile Tudor che rappresenta il gotico tardo; con lo stile elisabettiano comincia a penetrare qualche ornamento classico. Solo nella prima metà del secolo seguente Carlo I, il mecenate degli artisti inglesi, dà impulso al rinnovamento dell'arte inglese, e appoggia Inigo Jones che ne è il sostenitore, e che dal 1615 era soprintendente generale ai lavori della reggia di Londra. Secondo il progetto il palazzo doveva avere un grande cortile centrale e tre altri da ogni lato, ma il Jones non eseguì che la sala dei banchetti, edificio a 2 piani con un ordine inferiore di colonne ioniche e uno sovrapposto di corinzie.
Nella Spagna il Rinascimento penetra con Filippo II ed è segnato dalla costruzione dell'Escoriale, costruzione complessa e grandissima, con una chiesa, un convento, una reggia, una biblioteca, gallerie di quadri. Questa fabbrica, dovuta al Herrera, non possiede legamento delle parti tra loro.
In Italia, durante il periodo barocco, accanto ai palazzi a schema tradizionale costruiti su pianta quadrangolare, si fanno via via sempre più numerosi gli schemi a complesso movimento di masse espresse liberamente in rientranze e aggetti, in contrapposizione di curve concave e convesse. L'elemento scenografico entra a far parte dell'architettura perché essa raggiunga novità e grandezza. Le murature si svuotano e si compenetrano, l'edificio si dilata per fare posto a cortili sempre più grandiosi, gli scaloni aumentano di numero e di ampiezza; alla rampa rettilinea si aggiunge quella elicoidale, più ricca di multiple visioni scenografiche.
I lineamenti tipici del palazzo barocco sono i seguenti: tendenza generale ad aumentare la lunghezza delle fronti del palazzo; maggiore numero di piani sovrapposti (dalla ripartizione tipica su tre piani si passa con il sec. XVIII a quella con quattro, cinque e anche sei piani fuori terra, come nella reggia di Caserta); trasformazione dello schema quadrilatero a cortile chiuso in uno schema a doppio T con almeno un lato prospiciente sul parco, nuovo elemento scenografico che sempre più di frequente si accompagna ai maggiori palazzi; impianti planimetrici a cortili multipli (nel loro schema più semplice con due cortili separati da una galleria trasversa a logge sovrapposte, che lascia intravedere dal primo cortile gli sfondi lontani del parco o di fondali architettonici e negli schemi più complessi con tre o quattro cortili di solito disposti simmetricamente); movimenti delle masse frontali caratterizzati dalla rientranza della parte centrale dell'edificio nello schema a doppio T, dal risalto delle testate angolari e dalla rientranza centrale negli schemi più grandiosi a tre o quattro cortili, dai movimenti curvilinei semplici o composti, dai movimenti delle masse in altezza che alternano parti sopraelevate con parti più basse, dalla predilezione per le logge aperte sovrapposte in sostituzione dei muri forati da finestre che di solito si sovrapponevano nei cortili cinquecenteschi al portico terreno e insieme dalla forma tipica del loggiato secentesco ad archi ricadenti su colonne binate: palazzo Borghese a Roma, università di Genova, palazzo Marino a Milano, palazzo ducale di Modena, ecc.
L'esempio più tipico del palazzo barocco a corpo di fabbrica a doppio T, è il palazzo Barberini a Roma (fig. 39, tav. CLXVII) che raccoglie nella parte centrale rientrante gli elementi più grandiosi e significativi: l'androne con due navate che si succedono in profondità, gli scaloni a rampa ellittica ed elicoidale, i saloni maggiori del piano superiore, lo sbocco monumentale verso il parco con un vialone di sfondo. Questa parte rientrante inserita tra due ali piene è tutta traforata dagli archi delle logge sovrapposte, il cui intradosso è stato disegnato con scorci prospettici per aumentarne l'effetto; l'imponenza di questa parete loggiata è grandissima e per la vigoria chiaroscurale e per il contrasto che vi fanno le ali in cui domina il pieno.
Il palazzo Corsini (fig. 40) è un esempio dello schema planimetrico a tre cortili interni: uno di essi guarda verso il giardino ed è chiuso da un lato con una loggia bassa, gli altri due cortili sono simmetrici rispetto allo scalone d'ingresso per modo che, entrando nell'androne grandissimo, si ha di fronte la visione dello scalone, e ai lati quella dei cortili a logge che s'intravvedono dai passaggi che vi adducono dall'androne.
Il più grandioso esempio italiano di palazzo a quattro cortili è la reggia di Carlo III a Caserta (figg. 41 e 42; caserta, IX, pag. 304). Ideata dal Vanvitelli in uno con la sistemazione edilizia di tutta una zona di città moderna, essa è sfondo a un grandissimo piazzale, da cui s'irradiano in direzioni simmetriche larghi viali che dovevano costituire il nucleo primo della nuova città.
Alle spalle della reggia si stende il parco. Il palazzo ha la pianta d'un immenso quadrilatero diviso in quattro cortili simmetrici da una fabbrica cruciforme, al cui centro è un androne che costituisce il centro d'irradiazione. Ivi converge il movimento che viene suddiviso nei quattro cortili dai larghi passaggi ricavati negli smussi angolari di questo androne centrale, o viene diretto allo scalone che si diparte da un vestibolo situato sul lato destro di esso; scalone immenso, a tripla rampa rettilinea, una centrale di accesso e due superiori che si dipartono da un lungo ripiano intermedio. Nei piani superiori saloni grandissimi si susseguono in interminabile fila; seguono ancora la sala del Trono, la sala degli Alabardieri, quella di Marte e molte altre; e poi il teatro e la cappella. Il sistema della facciata è ordinato in sei piani fuori terra e risponde allo schema a testate angolari e risalto centrale, in cui si aumenta il chiaroscuro e la ricchezza plastica inquadrandovi un ordine architettonico corinzio con colonne su alto basamento bugnato.
Questo schema, che potremo chiamare rettilineo, ha riscontro con quello di palazzo Madama, se completato secondo il progetto originario dello Juvara di cui ci resta un disegno nella stampa del Vasconi (fig. 43). L'ampia fronte del palazzo presenta i corpi angolari e centrale in risalto, scanditi da un ordine corinzio su basamento a bugne; tra colonna e colonna s'inseriscono archi; le testate angolari mettono in evidenza il loro carattere di padiglioni sopraelevandosi di un piano loggiato sul coronamento delle altre fabbriche. La parte costruita si limita all'elemento centrale che contiene il grandioso scalone scenografico a rampe simmetriche.
Un altro schema rettilineo caratteristico presenta il palazzo Litta di Milano, del Richini (tav. CLXVIII), la cui fronte è scandita da un alto ordine di paraste corinzie e suddivisa in tre masse, di cui la centrale predomina sulle ali, perché aggettante e sopraelevata. Il palazzo di Montecitorio (v. bernini, VI, tavola CXCVI) ha una plastica originale per la fronte divisa in tre elementi piani, di cui i laterali inclinati verso l'interno e quello centrale dominato da un attico alto e arricchito da un portale con quattro colonne, unica nota di chiaroscuro in tutta l'ampia facciata.
Fra i tanti schemi di palazzi a facciata mistilinea va qui ricordato il palazzo del collegio elvetico di Milano, del Mangone, poi terminato dal Richini, che oppone all'ampia superficie curva del centro due testate rettilinee; e ancora il più complesso palazzo Carignano (v. guarini, App., p. 179), che crea vivaci movimenti di masse per l'opposizione borrominesca della curva concavo-convessa del centro, con la superficie piana delle due ali, e disegna capricciose partiture decorative con la deformazione caratteristica di tutte le linee d'inquadratura e d'ornato.
Allo schema classico del parallelepipedo con cortile centrale ritorna il Fontana nel palazzo Lateranense (tav. CLXVII), nel quale disegna uno scalone grandissimo a rampe rettilinee, che occupa tutta l'area del cortile addossata alla basilica di S. Giovanni. La stessa inquadratura rettilinea e uniforme conserva il Fontana nel fronte principale del palazzo reale di Napoli, originale tuttavia per il portico inferiore che l'adornava all'esterno (chiuso più tardi dal Vanvitelli), amplissimo deambulatorio di collegamento e sbocco ai varî cortili e al grandioso scalone a rampe rettilinee. Numerosi altri palazzi barocchi traggono anch'essi ispirazione da composte euritmie classiche. Va ricordata la severa magniloquenza del palazzo Odescalchi in Roma, disegnato dal Bernini, con un grande ordine di paraste corinzie che si sovrappongono a un basamento liscio; il palazzo della Gran Guardia Vecchia a Verona, di Domenico Curtoni, che riprende motivi sammicheliani con maggiore robustezza di parti; il palazzo Madama a Roma (v. mezzanino, XXIII, tavola XIV), ecc.
In Francia l'architettura barocca subisce mutamenti più profondi. Nella prima metà del secolo XVII trova favore durante il regno di Enrico IV uno stile severo con poche e semplici modanature, finestre appena inquadrate da qualche fascia e contornate spesso da paraste in pietra a bugne dentate, con fondi d'intonaco colorato.
Sono di questo stile il Palazzo del Lussemburgo, costruito dal Debrosse nel 1615 per Maria de' Medici, e il palazzo Mazzarino (figura 44), costruito dal Mansard. L'architettura muta il suo aspetto in modo deciso al tempo di Luigi XIV. L'ordine colossale viene usato in moltissimi palazzi; s'applica nella facciata orientale del Louvre (v. francia, XV, tav. CXCVII), nel Collegio delle Quattro Nazioni, e più tardi nel palazzo di Piazza della Concordia, del Gabriel.
In questo periodo anche la pianta dei palazzi francesi perde la caratteristica di suddividere le masse in padiglioni impiantati agli angoli di una corte centrale, secondo lo schema dei vecchi castelli francesi; le facciate si arretrano al centro, lasciando avanti le due ali, e formando come un cortile aperto verso l'ingresso. Il corpo centrale prospetta con la fronte opposta verso giardini, e di solito si fa più ornato per adattarsi alla magnificenza di questi. La reggia di Versailles (tav. CLXX; v. anche cortile, XI, tav. CXVI; francia, XV, tav. CXCVI), costruita dal Mansard, durante la seconda metà del sec. XVII servì di modello a tutti i palazzi grandiosi del tempo in Francia, e alle regge d'Europa, come Schonbrunn e Bonn. Questa innovazione, che diede maggiore risalto alle masse, non corrispose a uno schema logico e pratico di pianta. Anche in questa di delinea un netto distacco col passato: alla praticità dei secoli precedenti subentrano lo sfarzo e la grandezza, che sacrifica l'utile al pomposo: scompaiono i disimpegni nei corpi di fabbrica semplici e i saloni si succedono senza definita destinazione.
Questo stile pomposo e solenne di Luigi XIV non tardò a produrre reazioni profonde. Tuttavia non si può disconoscere ad esso il merito d'avere dato sobrietà e grandezza a tutta l'architettura francese dei secoli XVII e XVIII, salvandola dalle più bizzarre contorsioni del rococò.
Questo stile, che caratterizza la forma d'arte del primo scorcio del sec. XVIII, prese le mosse dall'architettura interna, elevata durante il regno di Luigi XIV a forme d'arte squisite per merito di una schiera d'artisti e artieri, decoratori, mobilieri, intagliatori, cesellatori, divenuti celeberrimi in tutta l'Europa. La nuova civiltà volle abbandonare il solido e il massiccio per atteggiamenti più giocondi, in cui l'intimità della casa tornasse a essere più libera e comoda. Gli architetti disegnarono piante con i doppî corpi di fabbrica, intesi a disimpegnare gli ambienti, i saloni si ridussero alla sola parte essenziale, nel centro del palazzo, mentre le ali vennero sistemate con criterî di pratica e di comodità. In Francia questo stile ebbe grande fortuna negl'interni e si propagò per tutta l'Europa; ma negli esterni (eccettuata Nancy che fu tutta rivestita di frivolezze rocaille) attecchì assai poco, segnatamente a Parigi, dove predominarono le tendenze del Perrault e del Gabriel, il primo nella grande facciata, un po' fredda, del Louvre (tav. CLXX), il secondo, più vivace, nel Piccolo Trianon e nella Scuola militare.
Negli altri paesi d'Europa è diffficile cercare una distinzione netta tra barocco e rococò. Quest'ultimo attecchì prestissimo ed ebbe, specialmente in Germania, le forme più goffe e stravaganti.
In Italia lo spirito classico, mai sopito, seppe presto reagire agli eccessi della frivolezza di quello stile, che, mantenutosi più a lungo nel mezzogiorno, fu altrove presto sopraffatto dalle reazioni classiche d'insigni maestri come L. Vanvitelli, N. Salvi, A. Galilei e lo stesso F. Fuga. In arte il fenomeno della rinascita di un ideale classico è stato sempre implicito in ogni reazione contro tendenze estremiste. Il neoclassico va dunque considerato come una particolare reazione alle tendenze leziose e decadenti del Settecento, in relazione con il profondo mutarsi della civiltà; e non come un fenomeno a sé senza precedenti né possibilità di rinnovamenti.
Nel periodo neoclassico, che coincide con l'avvento della borghesia al potere, non è più il palazzo signorile ad avere il dominio incontrastato dell'architettura civile monumentale, ma un altro tipo di palazzo, che chiameremo moderno, dettato dalle esigenze utilitarie della nuova civiltà, la quale si fa sentire sempre più potentemente. Sono le biblioteche, i musei, le università, e tutti gli altri innumerevoli edifici pubblici, che reclamano veste architettonica. Gli architetti di questo periodo non trovano nulla di meglio che sforzarsi di creare opere d'ispirazione antica per i nuovi usi. Si costruiscono così facciate piene dietro peristilî coronati da frontone, si ospitano impiegati d'ogni ufficio pubblico entro templi peritteri.
Gli architetti disegnano edifici senza pratica destinazione, creano palazzi che sono pretensiose ricostruzioni dell'antico. In genere, ovunque si tocca la povertà e l'aridità delle ornamentazioni, canonizzata dallo stile a schemi prestabiliti. In Italia lo stile neoclassico si palesa più moderato e sicuro, raggiunge talvolta maggiori aderenze col corpo dell'edificio in forme eleganti e piene di sentimento. Taluni palazzi di Milano, ove il neoelassico ebbe i maggiori monumenti, sono opere d'arte. Attrazione fatta dalle opere del Piermarini ancora troppo legato all'architettura propria del Settecento, è da segnalare tra gli altri il palazzo Serbelloni (v. milano, XXIII, tav. LXXVI), con la sua bella nitida fronte tutta liscia, appena accentuata al centro dal sobrio motivo classico di quattro colonne ioniche coronate da un frontone; fu costruito da Simone Cantoni, che si rivela uno dei più interessanti architetti neoclassici italiani.
In Francia trionfano gli architetti scientificisti Fontaine e Percier; in Germania Leo von Klenze costruisce a Monaco una serie di palazzi senza destinazione bene definita; il Brongniart erige la nuova Borsa di Parigi con la forma di un tempio perittero; lo Schinkel a Berlino l'Altes Museum, con un prospetto che è un portico antico di gigantesche colonne ioniche.
Con lo Schinkel siamo ormai al romanticismo, tendenza che ebbe profonde radici specie nel Nord europeo e che si palesò presto quanto mai arida e insufficiente. L'architetto moderno, educato alle discipline classiche, portò nella creazione del nuovo gotico e del nuovo romanico abitudini di regolarità classica, di nitidezza e di precisione, improntando le opere realizzate a un freddo contenuto di accademia. Il municipio di Vienna, dello Schmidt (fig. 45), con la sua torre centrale a guglia, le bifore al primo piano, i pinnacoli laterali, è l'espressione tipica di questo periodo di decadimento.
Lo stile storico e l'eclettismo furono la logica conseguenza di questi amori per diverse forme di arte. Poco per volta scaturisce da codeste disparate tendenze eclettiche una più profonda padronanza delle forme, epperò una maggior possibilità di dare forma personale e individuale alle opere. Lineamenti più distinti ha infatti il palazzo di giustizia di Bruxelles del Poelaert (v. bruxelles, VII, pag. 1000); per quanto sia composto del più vario eclettismo, con elementi assiri, greci e romani, la sua mole massiccia ripete l'impostazione delle masse tradizionali di tutti i grandi palazzi del secolo derivati dalla scuola francese: una fronte lunga con tre corpi sporgenti, uno al centro più elevato e due agli angoli.
Sulla stessa impostazione di masse, ma con intenti più tradizionali, il Thiersch costruisce il Palazzo di giustizia di Monaco, che si eleverà a modello dello stile ufficiale di tutti gli edifici pubblici europei di qualche importanza: forma quadrangolare, con quattro cortili interni chiusi, avancorpi laterali e centrale, nel mezzo un corpo di fabbrica molto più elevato terminato da un tetto ripido o da una cupola.
Durante la seconda metà del sec. XIX la costruzione dei palazzi signorili si fa sempre più rara, il monumentale cede via via al pratico; l'abitazione si trasferisce dal palazzo alla casa e alla villa; contemporaneamente le costruzioni di palazzi pubblici, già instaurate dal periodo burocratico da Napoleone in poi, diventano sempre più numerose.
Nelle varie capitali d'Europa s'intensifica la costruzione dei ministeri; in tutte le principali città sorgono edifici di pubbliche amministrazioni: palazzi di giustizia, municipî, banche, palazzi d'esposizione, borse. Questi organismi vanno poco per volta assumendo carattere dai bisogni funzionali, che determinano una cerchia di vincoli entro cui l'edificio nuovo si stabilisce, e che gl'impongono nuove forme architettoniche. Questi vincoli sono caratterizzati dalla necessità di conciliare l'aspetto monumentale imposto dal decoro dell'edificio pubblico con l'organizzazione minuta di tutti i servizî; d'associare in maniera omogenea grandiosi ambienti destinati al pubblico e piccole unità minori, di rispettare leggi edilizie e igieniche sempre più numerose che regolano altezze di piani, ampiezza di cortili e di disimpegni, ubicazioni di particolari servizî, ecc.
L'architettura della seconda metà del sec. XIX e dei primi anni del XX procurò di dare aspetto monumentale a questi edifici, risolvendo il problema della pianta nei limiti d'una rigorosa simmetria, adatta a determinare negli alzati complessi spaziali equilibrati da un ritmo unitario. Nel tipo chiuso, in genere, predomina un cortile principale che fa seguito all'androne carrabile, sul cui fondo si dispone lo scalone d'onore, e simmetricamente ai lati altri cortili chiusi da corpi di fabbrica minori. Nel tipo a padiglioni predomina un padiglione centrale più elevato e grandioso, con gallerie simmetriche sui lati che lo collegano a padiglioni laterali minori. Secondo questi concetti gli edifici di questo periodo hanno in genere un'equilibrata armonia ispirata a ritmi classici e decorosamente rispondente allo spirito tranquillo e un po' piatto di quella civiltà borghese. Gli esempî migliori non rappresentano grandi novità, ma si ambientano serenamente all'edilizia circostante. Così la Cassa di Risparmio in Roma, disegnata dal Cipolla; il palazzo della Banca d'Italia in Roma, del Koch, spartito in tre masse equilibrate e scandito da una teoria di finestroni tabernacolari; il palazzo Boncompagni-Ludovisi di Piombino dello stesso, composta sebbene fredda imitazione dei palazzi romani del '500; il Palazzo dell'esposizione (fig. 46), di Pio Piacentini, che associa un grande fornice centrale a due ali piene; il Palazzo di giustizia del Calderini (tav. CLXIX), con la sua massa poderosa al centro stretta ai lati da corpi di fabbrica più bassi, è decorato da ordini sovrapposti, tagliati da rudi bozze e limitati da forti cornici.
Le correnti neomoderniste del Liberty (instaurate in Inghilterra con la liberty house seguendo le teorie del Morris), non ebbero il potere di cambiare radicalmente l'impostazione classica dei palazzi, in molte regioni d'Europa.
In Germania, le scuole di Düsseldorf e di Berlino continuarono lo stile monumentale tratto dal Rinascimento italiano, nelle opere di Hoffmann, Messel, Gessner, ecc. La scuola viennese, capitanata da Otto Wagner, assorbì le teorie del liberty, ma nutrita com'era di cognizioni classiche, seppe piegarle a forme vive, con un garbo che ancora oggi non dispiace nei palazzi viennesi costruiti dal Wagner e dalla sua scuola.
In Italia, se si eccettui l'edilizia minore, il neoclassico, piantato sulla salda compagine tradizionale, impedì la netta manifestazione delle forme floreali. Il nuovo stile, manifestatosi da noi in ritardo, ebbe sporadiche ed esteriori applicazioni nei palazzi, i quali conservarono struttura e ritmi classici. Così, in Roma, il Palazzo del Parlamento di Ernesto Basile, dalle sagome rinsecchite e dai particolari floreali, si mantiene schematicamente aderente alla tradizione con l'ordine sovrapposto a un basamento bugnato e con gli aggiustamenti volumetrici della composizione. Così il Ministero dell'educazione nazionale in Roma (v. bazzani, VI, p. 440; ministero, XXIII, tavola CIV), di C. Bazzani, ancor più classico e poderoso di elementi, se pur complicato da qualche particolare esotico. Così, il palazzo della Banca d'Italia e della Banca commerciale a Milano nettamente ricorrono come fonte d'ispirazione allo stile lombardo della prima metà del Cinquecento e solo qua e là manifestano in rari particolari infiltrazioni decorative di un tardo floreale.
Tuttavia non mancarono esempî di assoluta inerzia spirituale anche nelle costruzioni più grandiose; così il Palazzo della pace all'Aia, costruito in seguito a un concorso internazionale (arch. Cordonnier, v. l'aia, XX, p. 391), riprende concetti romantici già sorpassati dalle correnti moderniste, con un'architettura in stile della rinascenza fiamminga, vieta esercitazione accademica presto dimenticata.
L'architettura contemporanea si è espressa con nuovi concetti che mettono in preminenza i fattori funzionali sempre più complessi dell'edificio, e bandiscono come inerte e retorico tutto ciò che non aderisce alle nuove strutture del cemento armato e dell'acciaio. Le planimetrie dei palazzi, prima generalmente vincolate dalla simmetria, si compongono con frequenza sempre maggiore in schemi più liberi dettati dalle necessità funzionali. All'equilibrio delle masse simmetriche si cerca di opporre un equilibrio nuovo fatto di volumi dissimmetrici, compenetrati fra loro e traenti espressione dai contrasti fra complessi orizzontali e verticali.
Nell'architettura minore della casa, della villa, degli organismi industriali e sportivi, questi schemi hanno prodotto opere d'altissimo valore, che bandendo una retorica vuota e insignificante mettono in evidenza, con spregiudicata sincerità, l'espressione più intima e significativa dell'edificio. Nel palazzo, all'opposto, non è apparsa ben chiara la possibilità di questi schemi che sembrano poco adatti a esprimere i valori monumentali; e la negazione (voluta da taluni) di questi valori come inutili all'architettura moderna potrebbe essere considerata un segno d'immaturità.
Sta di fatto che una reazione intesa a ristabilire un indirizzo di spirito classico per l'architettura monumentale si va sempre più fortemente manifestando in tutta Europa. In Italia, a dire il vero, la tradizione non è morta mai, ché anzi le tendenze ultramoderne sono giunte in ritardo, quando già si manifestava oltralpe la reazione ad esse; lo attestano molte opere di questo periodo tra le maggiori: il Palazzo di giustizia a Messina (v. messina, XXIII, tav. IV), di squisite forme grecizzanti, quello più recente di Milano dall'austero ritmo quasi romano, la classica mole del palazzo del Ministero dell'aeronautica (tav. CLXIX; il Palazzo delle poste di Catania di spirito palladiano, e molte altre opere monumentali.
I più grandi concorsi internazionali, quello per il Palazzo delle nazioni a Ginevra e l'altro per i Sovieti nell'U. R. S. S., hanno visto trionfare progetti di sentimento classico come se, nell'incerta definizione di tanti indirizzi raziocinizzanti, solo gli attributi superiori delle forme classiche abbiano potuto suscitare espressioni durevoli all'esaltazione simbolica del monumentale.
Per i più importanti palazzi italiani, quali, p. es., quello Ducale di Venezia, della Ragione di Padova, il Palazzo Vecchio di Firenze, del comune di Siena, ecc., v. anche le voci delle rispettive città.
Bibl.: Per il palazzo nell'antichità, v. alle voci corrispondenti alle singole civiltà: babilonia e assiria; cretese-micenea, civiltà; egitto, hittiti; ecc. In particolare e per opere più recenti: per il palazzo di Medīnet Habu: H. Hölscher e J. A. Wilson, Medinet Habu Studies 1928-29, Chicago 1930; per i palazzi hittiti: G. Conteneau, Hittites et mitanni, Parigi 1934; per il palazzo di Bouní a Cipro: E. Gjerstad, The Palace at Vouni, in Corolla archaeologica principi her. Sueciae dicata (Acta Inst. Rom. Regni Sueciae, II), 1932, p. 145 segg.; V. Müller, in Amer. Journ. Arch., 1932, p. 408 segg.; E. Gjerstad, ibid., 1933, p. 588 segg.; per i palazzi partici: W. Andrae e H. Lenzen, Die Partherstadt Assur, Lipsia 1933; per Ras-Shamra: C. F. A. Schäffer, in Syria, X, 1929 segg.; per il palazzo di Diocleziano v. diocleziano; spalato, ecc. Ph. Lauer, Le palais du Latran, Parigi 1911; Adam, Ruins of the palace of Diocl., Londra 1764; L. De Beulie, L'abitation byzantine, Grenoble 1904; E.-E. Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné de l'architecture française du XIe ou XVIe s., Parigi 1854-69; A. Choisy, Hist. de l'architecture, Parigi s. a.; A. Verdier e F. Cattois, Architecture civile et domest., Parigi 1852-58; H. Saladin, L'arch. musulmane, Parigi 1907; G. T. Rivoira, Architettura musulmana, Milano 1914; id., Le origini dell'architettura lombarda, Milano 1908; G. Gozzadini, Delle torri gentilizie di Bologna, Bologna 1880; B Bressan, Torri di Vicenza nel Medioevo, Vicenza 1878; C. Zuradelli, Le torri di Pavia, Pavia 1888; C. Lupi, La casa pisana del Medioevo, in Archivio storico italiano, 1901, pagine 269 segg.; A. Sagredo e F. Berchet, Il Fondaco dei Turchi, Milano 1860; G. Tassini, Alcuni palazzi... di Venezia, ecc., Venezia 1879; A. Schiapparelli, La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze 1908; A. Rubbiani, Il palazzo di Re Enzo, Bologna 1906; G. Zucchini, Il pal. del podestà di Bologna, ivi 1912; G. B. Uccelli, Il palazzo del Podestà, Firenze 1865; A. Rossi, Il palazzo del popolo a Perugia, Perugia 1864; N. Gabiati, Le torri, le case forti e i palazzi medioevali in Asti, Pinerolo 1906; Enlart, Manuel d'archéologie française, III, Arch. civile, Parigi 1903; K. Simon, Studien zum romanischen Wohnbau in Deutschland, Strasburgo 1902; K. M. Swoboda, Römische und romanische Paläste, Vienna 1919; Maggioni e T. Ross, The castellated and domestic architecture of Scotland, Edimburgo 1906; V. Myskousky, Kunstdenkmale d. Mittelalt. u. d. Renaiss. in Ungarn, Vienna 1885; Schayes, Histoire de l'architecture en Belgique, Bruxelles 1816; P. Paoletti, Architettura e scultura del Rinascimento a Venezia, Venezia 1893; A. Haupt, L'architettura dei palazzi dell'Italia settentrionale e Toscana, Roma-Milano 1931; S. Serlio, Le regole generali di architettura... Sopra le cinque maniere degli edifici, Venezia 1537; Ronzani e Lucioli, Le fabbriche civili e militari di Michele Sammicheli, Venezia 1832; P. Letarouilly, Édifices de Rome moderne, Parigi 1856; A. Berty, La Renaissance monumentale en France, Parigi 1864; L. Battifol, Le Louvre et les plans de Lescot, in Gaz. d. Beaux-Arts, 1910 e 1912; I. Gauthier, L'arch. civile en Franchecomté au XVIIe s., Parigi 1899; G. von Bezold, Die Baukunst der Renaissance in Deutschland, Stoccarda 1900; A. Griesebach, Das deutsche Rathaus d. Renaissance, Berlino 1907; Lamperez-y-Romea, Arquitectura mudéjar y del Renacimiento, in Rev. Arch. Biblioth. y Mus., VIII; H. Lemomier, L'art français au temps de Louis XIV, Parigi 1923; M.-A. Pératé, Versailles, Parigi 1904; H. Field e M. Buxney, English domestic architecture of the XVII-XVIII centuries, Londra 1905; C. Martin, La maison bourgeoise en Suisse, Berlino 1912; A. Colasanti, Case e palazzi di Roma, Milano 1912; L. Bertrand, La fin du classicisme et le retour à l'antique, Parigi 1897; A. Memmo, Elementi di architettura Lololiana, ossia l'arte del fabbricare con solidità scientifica e con eleganza non capricciosa, Zara 1834; F. Milizia, Dell'arte di vedere nelle belle arti del disegno, Venezia 1761.