Vedi PALAZZO dell'anno: 1963 - 1996
PALAZZO (v. vol. V, p. 850)
p. 850). Egitto. - Le più antiche vestigia di un ρ. sono state ritrovate nel sito di Hierakonpolis, capitale predinastica dell'Alto Egitto, dove è stata riportata alla luce un'entrata fiancheggiata da mura in mattoni crudi decorate con aggetti e rientranze. Un simile motivo architettonico è testimoniato dal serekh, una riproduzione schematica del p. reale, utilizzato nella scrittura sin dall'epoca protodinastica e all'interno del quale veniva racchiuso il nome del sovrano. Il serekh nasce graficamente dalla giustapposizione della veduta planimetrica e della rappresentazione della facciata di un palazzo. Quest'ultima, proprio come nell'esempio di Hierakonpolis, si presenta come un'entrata monumentale con mura modanate. A partire dalla III dinastia la «facciata di p.» viene utilizzata come motivo decorativo indipendente e conosce un'enorme fortuna, tanto da essere attestata fino in epoca romana. Le pareti esterne dei sarcofagi in pietra dell'Antico Regno riportano spesso, e in forma assai elaborata, simile decorazione consentendo così di avere un'idea di come potesse essere l'alzato del tipico p. egizio delle epoche più antiche. Una delle più belle facciate di p. è raffigurata su un sarcofago (Museo Egizio del Cairo, CG 6170), risalente alla IV dinastia, il quale conserva ancora parzialmente i colori originali. Elemento centrale della decorazione è il portale a due battenti con architrave multiplo, sormontato da una serie di finestre alte e strette. Le mura sono movimentate da aggetti e rientranze, al di sopra delle quali si trovano pannelli con due enormi fiori di papiro intrecciati. La sommità del muro è ulteriormente arricchita da bande con decorazione a motivi geometrici variopinti.
Il p. delle epoche più antiche aveva l'aspetto di una fortezza e, in alcuni casi, prevedeva ambienti rialzati a cui si accedeva tramite una rampa di scale. Queste sommarie informazioni sono deducibili dai geroglifici utilizzati nella scrittura per indicare la parola «palazzo», sempre rappresentato schematicamente come un edificio con uno o due ambienti, circondato da mura con contrafforti. L'aspetto di fortezza non ha però funzione difensiva e serve soltanto a sottolineare la distanza tra il sovrano e il resto della popolazione. In questo senso il p. assume il valore di spazio a sé stante in cui veniva svolto il complesso rituale legato alla perpetuazione della regalità.
I documenti attribuiscono ad alcuni sovrani della I e II dinastia la costruzione o il rifacimento del p. reale di Memfi, la capitale dell'Egitto unificato. Il basamento a gradoni su cui sorgeva quello di Adjib (I dinastia) fu imitato da un privato nella sovrastruttura della propria tomba che ne ha così conservato il ricordo fino ai nostri giorni. L'esistenza di un p. per quasi tutti i sovrani dell'Antico Regno è invece testimoniata dai titoli portati dai funzionari che vi svolgevano il proprio servizio. Da questi è deducibile che il p. di quest'epoca era un'entità architettonica estremamente complessa e articolata in vari elementi. Oltre all'abitazione del sovrano e della sua famiglia, vi trovavano spazio i quartieri amministrativi, gli archivi e le caserme dell'esercito. Leggermente più numerose sono le testimonianze di p. databili al Medio Regno. Sono noti i resti di un ρ. di Amenemḥet I a Tell el-Qirqafa e di quello di Sesostris III a Ezbet er-Rušdī. Meglio conosciuto è il p. all'interno del villaggio degli operai addetti alla costruzione della piramide di Sesostris II a el-Laḥūn. È stato ipotizzato che dovesse servire da residenza al sovrano quando questi visitava il sito per controllare lo stato di avanzamento dei lavori. Il p. sorgeva su una piattaforma (denominata impropriamente «acropoli»), sostenuta da un massiccio muro di mattoni crudi, nel settore NO del quartiere riservato alle dimore dei nobili. L'accesso avveniva tramite un'entrata che immetteva nelle stanze del lato E affacciate sui quartieri residenziali della città; due ingressi secondari conducevano nelle stanze posteriori. Alcuni ambienti erano ipostili e il ritrovamento di uno zoccolo dipinto con vivaci colori indica che le pareti delle stanze erano decorate. Ai piedi dell'«acropoli», a S, vi era un ampio spazio aperto in cui sorgeva un unico edificio, identificato come un posto di guardia. Il p. di Laḥūn andò in disuso prima dell'abbandono totale del sito, come dimostrerebbe lo strato di detriti databili alla XII dinastia accumulatosi sopra le sue rovine.
Conservato assai male è anche il p. di Amenemḥet III a Bubasti che si estendeva su un'area di quasi 1 ha. Su una piattaforma in mattoni crudi, dotata persino di sistema di scolo dalle acque, si trovavano due cortili sui quali si affacciavano una dozzina di sale e stanze. L'orientamento dell'edificio seguiva un asse N-S; l'entrata principale, decorata con un architrave in calcare su cui era rappresentato il sovrano con il vestito del Giubileo, si apriva sul lato N. L'imponenza di tutta la struttura è rilevabile dalle dimensioni della sala principale (21,5 x 15 m) in cui si ergevano sei grandi colonne lignee le cui basi in pietra avevano un diametro di c.a 2 m.
Recenti scavi nella località di Tell ed-Dab'a (l'antica Avaris) hanno riportato alla luce parte di una piattaforma in mattoni crudi su cui doveva trovarsi un'estesa costruzione di epoca hyksos (XV dinastia). L'enorme struttura, che taglia un muro di fortificazione di poco anteriore, è stata interpretata come il basamento per un p., costruito al limite O dell'insediamento. Il parallelo più vicino è con le due strutture molto simili di Deir el-Ballas, pressoché contemporanee. Tra il muro e la piattaforma si trovava un'area di terreno adibita a giardino in cui sono state individuate due diverse fasi di frequentazione. Sebbene le sovrastrutture non siano sopravvissute, l'ipotesi che la piattaforma sia il basamento per un p. sembrerebbe confermata anche dal ritrovamento, nel cumulo di detriti che ricopriva il giardino, di alcuni frammenti di intonaco dipinto con scene che si ispirano ai temi e allo stile dell'arte minoica contemporanea. Simile decorazione ricorre anche nelle strutture palatine del Bronzo Medio di Tell Kabri (Israele) e di Alalakh VII (Tell Atčana, al confine tra Turchia e Siria).
Per quanto riguarda la prima parte del Nuovo Regno, grazie alla testimonianza fornitaci dal testo di incoronazione della regina Ḥatshepsut, è possibile ricostruire parzialmente il p. annesso al Tempio di Ammone a Karnak.
L'edificio si trovava all'interno del témenos, proprio davanti al tempio, a Ν del dròmos. Un portale monumentale dava direttamente a S, sul percorso assiale che collegava il quarto pilone all'imbarcadero a cui attaccavano le barche provenienti dal Nilo. Un portale secondario si apriva invece sul lato O e dava direttamente sul fiume. L'edificio, probabilmente voluto da Thutmosis I, serviva da residenza temporanea per il sovrano in occasione di feste religiose. Il p. di Karnak può essere considerato, sotto molti aspetti, il precursore di quelli che verranno edificati accanto al tempio funerario in epoca ramesside.
P. con diversa funzione è quello fatto costruire da Thutmosis III a Medinet el-Ghurab (Gurob), nella regione del Fayyūm. Anche in questo caso, le fonti testuali forniscono gli elementi necessari all'identificazione della struttura. I titoli portati dai funzionari che vi lavoravano lo indicano come un harem dove risiedevano le donne al seguito delle regine. Il complesso palatino è costituito da due nuclei di ambienti, ognuno circondato da un muro di cinta in mattoni, orientati su un asse SE-NO e separati da uno stretto corridoio. Il nucleo settentrionale aveva una serie di sale ipostile ed è probabilmente da considerarsi il quartiere abitativo, mentre all'interno del muro di cinta meridionale dovevano trovare posto le attività di servizio. All'estremità orientale del p. si trovava un piccolo tempio dedicato a Thutmosis III.
Il p. reale egizio assunse una forma decisamente monumentale nella seconda metà della XVIII dinastia, fino a raggiungere l'estensione di una città. Sembrerebbe che la residenza reale, voluta da Amenophis III a S del suo tempio funerario a Malqata, sulla riva occidentale di Tebe, sia stata concepita per i festeggiamenti dei giubilei del sovrano. Il largo impiego come materiale da costruzione di mattoni crudi (anche nel tempio dedicato al dio Ammone, caso anomalo nell'architettura religiosa egizia), normalmente utilizzati per le abitazioni, sembrerebbe avvalorare l'ipotesi che l'intero complesso sia stato costruito per un'occasione particolare, come può essere, per l'appunto, una festa.
La residenza reale di Malqata era una vera e propria città servita da un colossale porto, collegato al Nilo da un canale. Il centro era rappresentato dal «Padiglione delle udienze», dove si trovava un edificio costruito su una piattaforma, che aveva una finestra dalla quale il sovrano si mostrava alla folla riunita in un cortile antistante. La decorazione era costituita da mattonelle in faïence, di colore verde azzurro, e da un intonaco che presentava tracce di doratura. A Ν del «Padiglione delle udienze» si trovava il grande tempio dedicato al dio Ammone, che fungeva anche da cappella reale e in cui si svolgevano le cerimonie del giubileo. Una porta della città si apriva verso il deserto occidentale, dove passava un'ampia strada. A S della porta si trovavano i quartieri residenziali con le dimore della nobiltà. Subito dietro la porta, era situato il p. Mediano, che alcuni studiosi hanno voluto identificare con l'abitazione dell'erede al trono Akhenaton. Accanto al «Padiglione delle udienze», a S sorgeva l'harem, un complesso costituito da case a pianta tripartita in cui alloggiava il personale addetto al servizio delle dame di corte. Quest'ultime occupavano appartamenti più grandi che potevano avere fino a undici stanze.
L'harem faceva anche da schermo al p. reale che si trovava così isolato, nell'angolo SE del sito, in prossimità del bacino artificiale. Il p. reale è un edificio estremamente complesso con numerosi ambienti ipostili. L'entrata si trova sul lato O ed era perpendicolare all'asse di sviluppo dell'intero edificio. Un lungo corridoio immetteva in un cortile sul fondo del quale si apriva una porta conducente a un secondo corridoio. Da questo si accedeva a un vestibolo e, da qui, all'ambiente ipostilo, fulcro dell'intero p., il c.d. Salone dei banchetti. Sui due lati lunghi della sala si aprivano quattro porte che davano accesso ad altrettanti appartamenti, tutti uguali, in cui si ritiene risiedessero altrettante regine e principesse. Ogni appartamento era costituito da un vestibolo con due colonne, dal quale si passava a una sala di ricevimento, anch'essa ipostila, con un trono. La parte finale di ogni appartamento era costituita da tre stanze. Sulla parete di fondo del «Salone dei banchetti» si apriva una porta che immetteva direttamente nella sala del trono principale, una sala con quattro colonne dalla quale si passava alle stanze private del sovrano. Sale d'udienza sussidiarie completavano la struttura del p. reale.
Le stanze del p. erano intonacate e dipinte. Sulle pareti erano rappresentate soprattutto scene a carattere naturalistico con oche che volano in mezzo alle paludi e animali selvatici che sfuggono ai cacciatori nel deserto. Sul pavimento, soprattutto in corrispondenza dei troni, ricorreva il motivo dei prigionieri asiatici e nubiani. Il soffitto era dipinto di giallo e decorato con avvoltoi dalle ali spiegate.
L'idea di una città-p. fu il motivo ispiratore che guidò anche Akhenaton, successore di Amenophis III, nella fondazione della nuova capitale dell'Egitto, Akhetaton (l'odierna Tell el-'Amārna). In questo nuovo ed effimero complesso di edifici, l'influsso religioso è assai più determinante nelle scelte architettoniche, tanto che, in alcuni casi, è assai difficile decidere se una determinata struttura sia da considerarsi palatina o templare. Un caso abbastanza eclatante è rappresentato dalla c.d. Sala dell'Incoronazione di Semenkhkara, adiacente al p. Ufficiale: un recente studio architettonico ha proposto di interpretare questo enorme spazio a pilastri come un vigneto a pergolato in cui si produceva l'enorme quantità di vino necessaria al culto dell'Aton. La vigna sarebbe servita anche come luogo di svago e passeggiate per la famiglia reale.
Βibl.: E. P. Uphill, The Per Aten at Amarna, in JNES, XXIX, 1970, pp. 151-166; id., The Concept of Palace as «Ruling Machine», in P. J. Ucko, R. Tringham, G. W. Dimbleby (ed.), Man, Settlement and. Urbanism, Londra 1972, p. 721 ss.; J. Assmann, Palast oder Tempel? Überlegungen zur Architektur und Topographie von Amarna, in JNES, XXXI, 1972, pp. 143-155; M. Gitton, Le palais de Karnak, in BIFAO, LXXIV, 1974, pp. 63-73; Β. J. Kemp, The Palace of Apries at Memphis, in MDIK, XXXIII, 1977, pp. 101-108; id., The Harim-Palace at Medinet el-Ghurab, in ZÄS, CV, 1978, pp. 112-133; C. e F. Traunecker, Sur la salle dite «du Couronnement» à Tell el-Amarna, in Bulletin de la Société Egyptologique de Genève, IX-X, 1984-1985, pp. 285-307; E. P. Uphill, Egyptian Towns and Cities (Shire Egyptology, 8), Aylesbury 1988; G. Porta, L'architettura egizia ¿Ielle origini in legno e materiali leggeri, Milano 1989.
(F. Tiradritti)
Vicino Oriente. - La concezione del p. nell'area vicino-orientale pre-classica attiene un ambito di funzioni e di valori simbolici molteplici e strettamente legati all'esercizio e all'affermazione della regalità, e non esclusivamente alle pratiche ufficiali e cerimoniali, fin dagli ultimi secoli del IV millennio a.C. Sebbene, infatti, il carattere specificamente palatino di un edificio pubblico di tipo secolare possa ritenersi attestato dal c.d. p. di Ğemdet Naṣr nella Mesopotamia settentrionale, databile intorno al 3100 a.C., la presenza di complessi non di culto, connessi o meno con le aree templari, e di p. plurifunzionali ricorre già nell'Anatolia preistorica, ad Arslantepe (Malatya, v.) e nel paese di Sumer, a Uruk (Warka), intorno alla metà del IV millennio a.C. La valle dell'Eufrate svolge infatti in tal senso già un ruolo essenziale nello sviluppo della civiltà urbana e, quindi, nell'emergere di poli di accentramento del potere quali i complessi palatini, come testimoniano le evidenze di Arslantepe, ove già alla fine del IV millennio si impianta un complesso unitario di templi, p., magazzini, a organizzazione amministrativa fortemente centralizzata, come mostrano le numerose impronte glittiche apposte sui contenitori di beni. Proprio tra il 3300 e il 2800 si sviluppa nel centro anatolico di Arslantepe una cultura urbana vicina a quella di Uruk, con templi ma anche p., tra i quali spicca un complesso polifunzionale, a carattere amministrativo, economico e ufficiale. Precedenti significativi risalgono inoltre all'età di 'Ubayd (V-prima metà del IV millennio), da siti quali Tell el’Uwaylī e Tepe Gawra.
Mesopotamia e Siria - A Uruk, nel recinto sacro dedicato alla dea Inanna, l’Eanna, sorgono almeno due edifici: l'uno, il c.d. Stampflehmgebāude, in uso fino all'età protodinastica, costituito da tre ampi cortili e da una serie di corridoi che ne scandiscono il perimetro, era adibito all'accumulo e allo smistamento di beni di varia natura, relativi all'economia del sito e alla gestione dell'attività commerciale dell’Eanna. L'altra fabbrica (c.d. Riemchengebāude), anch'essa1 a camera centrale rettangolare, circondata da un unico muro perimetrale preceduto da un vano, ove erano stipati arredi lignei, giare per derrate, utensili, doveva costituire un secondo edificio adibito all'incameramento dei beni destinati al patrimonio templare. Fuori dell’Eanna, infine, ancora all'età di Uruk arcaico, si ergeva il «p.», edificio a quattro sale, perpendicolari ai quattro lati di una grande corte quadrata di 32 m di lato, adibito probabilmente a spazio di ricevimento per parate e cerimonie. La plurifunzionalità delle fabbriche palatine è indicata già nel termine sumerico é-gal «casa grande» (ekallu in accadico) che permarrà fino al I millennio a.C., a designare i p. del potere regale: vi si trovavano le residenze per il re e i suoi famigliari e per una parte della servitù permanente nell'edificio, l'harem per le donne della stirpe reale, i magazzini per i beni deperibili e preziosi, gli archivi, parte delle botteghe e officine, cucine e riserve, quartieri ufficiali e cerimoniali, settori amministrativi dell'economia palatina. Che l'aspetto amministrativo sia centrale nelle prime strutture palatine si coglie anche nel fatto che en («signore») è l'epiteto costante al vertice della gerarchia a Uruk, ove la distinzione tra potere secolare e religioso risulta più sfumata che in altri centri mesopotamici del III millennio e a vantaggio di un centralismo burocratico che garantisca il controllo politico ed economico della società. La definizione di un edificio come p., oltre che alle sue dimensioni e alla monumentalità, fa riferimento ad alcuni fattori poco frequenti nella documentazione disponibile, quali mattoni di fondazione iscritti col nome del re promotore dell'opera e l'occasione dell'impresa edilizia, e altra documentazione epigrafica, come tavolette di testi amministrativi ed economici in stretta connessione alle attività palatine (è il caso degli archivi del p. di Mari, fin dall'età degli šakkanakku, governatori, all'inizio del II millennio).
Ad alcuni di questi requisiti rispondono già il citato p. di Ğemdet Naṣr, posto su una bassa piattaforma, di cui resta una parte centrale a corte aperta, circondata da una serie di vani, e la fronte indicata da una rampa in corrispondenza di un ingresso contraffortato. Questo edificio ha anche restituito un lotto considerevole di centocinquanta tavolette arcaiche iscritte, da considerare tra i più antichi archivi amministrativi noti. Il p. A di Kiš è conservato nella pianta di base, a due blocchi rettangolari, costruiti in successione in breve tempo, intorno al 2700 a.C.: l'uno più a N, riservato agli appartamenti privati e alle attività connesse alla vita palatina, l'altro, con funzioni cerimoniali connesse alla regalità, con portico su una delle fronti e due vani maggiori comunicanti, uno dei quali con un colonnato. Il blocco settentrionale presenta mura perimetrali di forte spessore e una monumentale scalinata di accesso; il prestigio dell'edificio è indicato anche dalla presenza del portico con quattro colonne in mattoni crudi, e dalla c.d. Sala a pilastri, ciascuno di ben 1,50 m di diametro, ancora per buona parte conservati. Un vano di funzione ufficiale doveva essere quello comunicante con il porticato, per la presenza di numerosi resti di tarsie figurative con scene di trionfo sui nemici e di prosperità dei sudditi, che ne ornavano le pareti. Del secondo, e forse più antico, edificio palatino monumentale nello stesso sito, il p. P, resta un settore con un accesso lungo la fronte NE e un'ampia corte quadrata, che funge da snodo della circolazione per questa parte dell'edificio.
Vi si riconoscono i quartieri domestici, a O della corte stessa, mentre i servizi di approvvigionamento idrico e alimentare dovevano essere ubicati a S-SE. Il sistema di contrafforti che scandisce l'intero perimetro del muro principale è un tratto saliente dell'architettura che ricorre anche nel p. A e nel più tardo p. di Eridu. La posizione preminente della città di Kiš nella tradizione mitologica-letteraria e nella storia politica del III millennio può aver determinato una prima decisiva distinzione anche sul piano architettonico del polo secolare del potere rispetto a quello religioso.
La presenza di p. nella Mesopotamia protodinastica della seconda metà del III millennio diventa sistematica e ampia, a Eridu (Tell Abu Šaḥrein), a Mari (Tell Harirī), a Ešnunna (Tell Asmar). A Eridu, nel paese di Sumer e nel periodo di maggiore fioritura delle città-stato sumeriche, si trovano i resti monumentali di due edifici gemelli, di carattere secolare, nel settore Ν dell'insediamento: due complessi a pianta rettangolare sono articolati in varie unità raggruppate intorno a corti maggiori, secondo quel sistema di organizzazione degli spazi avviato con il p. di Ğemdet Naṣr, costruiti in mattoni piano-convessi e comunicanti fra loro tramite un ampio ingresso, e muniti di una doppia cinta di mura perimetrali. Il più settentrionale, fortemente dilavato, conserva ancora un duplice ingresso e risulta indipendente nella circolazione dall'analogo blocco meridionale.
A differenza da Eridu, ove manca un contesto urbano di riferimento, i p. di Mari sono inseriti in un assetto già noto della città; la messa in luce (fin dagli anni '30) di un fiorente centro urbano protodinastico, nelle sue aree di culto, quartieri abitativi e residenziali, complessi palatini regali, ha restituito infatti un quadro finora tra i più esaurienti della topografia urbana di una città mesopotamica intorno al 2500 a.C. La continuità d'impiego della stessa area per edifici palatini regali è documentata dalla presenza di resti imponenti di almeno quattro fasi palatine (c.d. Palais Présargoniques), scoperti in seguito a un sondaggio operato negli anni '60 nella corte principale del complesso di Zimri-Lim. I p. (1-4) sono costituiti nel loro nucleo originario da una sorta di santuario quadrangolare a nicchiature lungo le pareti, la c.d. Enceinte Sacrée, adibito al culto all'interno dell'edificio, mentre all'età di Sargon di Accad e dei suoi successori (2340-2190 a.C.) si sviluppa un ampio settore di rappresentanza con sala a pilastri, forse la sala del trono.
A Ešnunna è stato riportato in luce un edificio articolato, all'estremità Ν dell'insediamento, definito p. Settentrionale, con un insolito sviluppo planimetrico a L; nei suoi due livelli maggiori, con corti e vani, si evidenzia un impiego specifico di alcuni quartieri per tinture e concerie, data l'installazione di canali per lo scolo di liquidi e di vasche, e di officine per la lavorazione di metalli, nel corso della vita piuttosto lunga della fabbrica, fino all'età di Accad, e di cui è conservato forse solo il settore attiguo al lungo percorso che sulla fronte orientale dava accesso in due punti all'intero complesso.
All'età dei sovrani accadici risale l'edificio a pianta quadrata di 90 m di lato e a corti multiple circondato da due serie di vani rettangolari e da una corte vastissima di Tell Brak, nella Mesopotamia settentrionale, considerato più probabilmente una fortezza-avamposto militare e commerciale, e un edificio amministrativo regionale in posizione strategica lungo le direttrici maggiori dall'Anatolia alla Mesopotamia meridionale. I mattoni iscritti al nome del sovrano Naram-Sin di Accad conferiscono al p. un'importanza fondamentale nella pur scarsa documentazione architettonica dell'epoca, ampliata nel corso dell'ultimo decennio dagli edifici-residenze e dai complessi amministrativi messi in luce proprio a Tell Brak. Un vero e proprio p., di cui resta solo un settore esiguo provvisto del muro perimetrale e dell'ingresso, è quello di Tell Wilaya, attribuito anch'esso agli esordì accadici, ridotto a un settore di c.a 25 x 25 m, con ventitre vani, probabilmente organizzati su una o più corti di distribuzione, ormai perdute. Il monumentale complesso palatino a Ebla (Tell Mardikh), eretto prima dell'avvento accadico, ha rivelato l'esistenza di una piena cultura urbana nella Siria settentrionale fin dal III millennio e di una tradizione architettonica locale di alta peculiarità, rappresentata dall'ampio spazio aperto porticato su due lati, allestito con il podio regale e adibito in parte all'archivio di stato, che funge da ala ufficiale e da elemento di raccordo tra i quartieri residenziali e i luoghi di lavoro del p. e il tessuto urbano della città bassa. L'estensione del p. Reale G finora recuperata, di c.a 2600 m2, concerne vari corpi di fabbrica con funzioni differenziate lungo l'asse N-S delle pendici dell'acropoli, con il ruolo di polo economico di riferimento nel modello di «città palatina».
La connotazione spiccatamente religiosa della gestione del potere dei dinasti della III dinastia di Ur (2112-2004 a.C.) si manifesta anche nell'architettura secolare, nel recinto sacro di Ur, sede dei templi cittadini: qui sta l’Ekhursag, il p. di Ur-Nammu e di Šulgi, come recitano le iscrizioni, che ripropone lo schema planimetrico del p. di Tell Brak e di quello di Assur, attribuito dubitativamente nella sua fase più antica all'età accadica. La pratica della divinizzazione dei sovrani, introdotta con gli Accadi e raccolta e potenziata dai dinasti di Ur III, si manifesta anche nell'architettura palatina fuori della capitale, a Ešnunna, ove il governatore del luogo costruisce un tempio per il re divinizzato Su-Sin collegato al suo p. provinciale, e suo figlio Ilušu-Ilia edificò una cappella analoga all'interno dell'edificio palatino.
Le testimonianze architettoniche di rango regale continuano nello stesso periodo anche a Ebla, che nel corso delle più recenti stagioni di scavo degli anni '90 ha restituito settori ampi e centrali di un p. arcaico, contemporaneo agli ultimi sovrani di Ur III, rivelando un livello di fiorente insediamento già intorno al 2100 a.C., anche dopo la violenta distruzione della precedente cultura palatina protosiriana.
Dall'età di Ur III le fabbriche palatine divengono assai numerose, con le egemonie dei regni amorrei; tra esse spicca il p. di Mari, celebre come sede del re Zimri-Lim (1780-1758 a.C.), ma già impiantato alla fine del III millennio. A questa fase si riferisce anche un secondo edificio, nel settore E di Mari, forse impiegato temporaneamente nel corso della costruzione del p. reale maggiore, e destinato a ospitare le tombe dinastiche, di cui sono state esposte la sala del trono e gli ambienti residenziali. Il p. di Zimri-Lim nella sua fase più tarda si estendeva almeno per 2,5 ha e comprendeva trecento vani, con alzati ancora conservati per 4 m. L'apparato dei servizi e delle infrastrutture era costituito da reti fognarie, installazioni da fuoco per medie e alte temperature, cisterne, in ottimo stato di conservazione. La costruzione prevedeva due piani forse sull'intero sviluppo, con il piano-terra destinato prevalentemente a funzioni di servizio e di immagazzinamento, e quello superiore per gli uffici amministrativi e privati-residenziali; il settore ufficiale di ricevimento è collocato al piano-terra, ove il cuore è una corte cui si accede dal dispositivo maggiore di accesso al p. sulla fronte N, vero snodo distributivo della circolazione interna, controllata da sistemi complicati di chiusure di porte secondo una gerarchia di importanza dei quartieri. A NE si trovava il blocco amministrativo, a SO quello di culto, a S i magazzini con accesso indipendente, a E dell'entrata principale, la Porta di Nergal, e, infine, a NO della stessa corte, si apriva il percorso che conduceva alla sala del trono attraverso la «Corte delle Palme», con le pareti intonacate e decorate, sulla faccia S, dai noti affreschi con l'investitura del sovrano alla presenza della dea - signora del p., cui è anche dedicata la statua con ampolla da cui zampilla acqua.
Nuovamente in alta Mesopotamia, a Tell Laylan, affiorano i resti di quella che fu l'antica città di Šekhna nel III millennio e la capitale settentrionale del re assiro Šamši-Adad I, Šubat-Enlil, nei primi secoli del successivo. Verso il 2500 a.C. erano già presenti edifici pubblici e mura urbiche, mentre nella seconda fase di fioritura, nel XVIII sec. a.C., la città bassa era sede di un monumentale p. di pianta analoga ai precedenti mesopotamici, con tre corti principali, fondato da Šamši-Adad di cui restano impronte di sigillo. La qualità e la tecnica costruttive della fabbrica si colgono ancora nelle accurate pavimentazioni e nei particolari architettonico-ornamentali di alcune corti e sale principali. All'età delle dinastie amorree regnanti a Isin e a Larsa risale la fioritura di quest'ultimo sito, che oltre a un'imponente area sacra dedicata al dio Šamaš, ospitava, a Ν di quel complesso, un p., abbandonato prima ancora di essere compiuto, costruito dal re Nur-Adad, alla metà del XIX sec. a.C., come attestano due mattoni iscritti a suo nome rinvenuti all'interno dell'edificio; questo presenta due settori distinti, l'uno per funzioni amministrative, l'altro ufficiali-cerimoniali, incentrate su due vani principali. Anche Assur (Qal'at Šerqat), la capitale storica dell'Assiria fino alla fondazione della nuova città di KarTukulti-Ninurta, fu sede di un imponente p. reale, forse di Šamši-Adad I (1812-1780 a.C.), nonostante la presenza di un testo accadico e l'analogia della pianta con il p. di Naram-Sin a Tell Brak, su più corti rettangolari circondate da due serie di vani paralleli e multipli. Ancora nella Mesopotamia settentrionale si situa Tell ar-Rīma (forse l'antica Qatara), città fiorente all'età paleobabilonese, e nota fino a Mari per il suo sontuoso p. reale, molto probabilmente costruito da Aškur-Addu, alleato di Zimri-Lim e poi reimpiegato dai suoi successori.. Consta di due unità maggiori, ciascuna incentrata su altrettante corti rettangolari adibite a funzioni amministrative e residenziali. Il settore di rappresentanza era costituito da un vano simmetricamente affiancato da due ambienti minori, da cui si accedeva alla sala di ricevimento ufficiale, provvista di una nicchia disposta in posizione assiale all'ingresso e, forse, a un'ampia corte esterna, secondo un dispositivo planimetrico che precorre lo schema di base dei p. neo-assiri. L'età paleo-babilonese vede anche a Uruk la fioritura di un p. reale, a opera di Sin-Kašid, menzionato sui mattoni iscritti e i coni di fondazione rinvenuti al suo interno, costruito fuori dell'Eanna; l'edificio, a pianta trapezoidale e organizzato su quattro corti e un lungo corridoio periferico, conserva ancora la facciata SO per 104 m, la scansione a contrafforti sul perimetro esterno, i bastioni angolari e le evidenze di un secondo piano, crollato nella distruzione violenta.
Un'ampia documentazione di p. proviene anche dalla Siria del Bronzo Medio, in particolare nella fase centrale, l'età paleosiriana arcaica e matura, cui appartengono il p. di Alalakh (Tell Atčana) del livello VII e i p. Occidentale (o Q) e Settentrionale (o P) di Ebla. Il primo, sebbene incompleto nella pianta messa in luce da L. Woolley, doveva raggiungere un'estensione massima di c.a 30 m per poco meno di 100 m, e si articolava in due unità principali giustapposte, raccordate da una corte rettangolare con la parete breve O enfatizzata da un sistema di contrafforti. A SO sono i quartieri residenziali e i magazzini, mentre a NO sta l'ala cerimoniale, con la sala di ricevimento dalle pareti affrescate, portico a pilastri tra due vani e relazione con il vano di fondo, preludio al bīt khilāni, dispositivo planimetrico con portico a colonne in facciata largamente impiegato nel I millennio. Il p. Occidentale di Ebla, che resta a tuttoggi la fabbrica secolare più estesa con i suoi 7500 m2, nella città bassa, con probabile accesso porticato sulla fronte S e con funzioni diversificate e collegate al culto dei sovrani defunti, si imposta su un sistema di corti e di vani perpendicolari al muro perimetrale. I quartieri meglio conservati sono quelli a Ν e a E, adibiti a riserve alimentari; nel blocco di NE si situa una grande sala ancora allestita al momento della scoperta con sedici macine e lisciatoi in posto per la lavorazione delle derrate, incassate su banchi disposti su tre lati del vano. Un secondo edifìcio regale - parte di un ampio riassetto urbanistico della città bassa di Ebla, che diventa nel II millennio area privilegiata nello sviluppo edilizio, religioso e secolare - è il p. Settentrionale, orientato verso la porta urbica di SO, esteso per c.a 3.500 m2, con un ingresso sulla fronte occidentale, e costituito di vari settori, dai quartieri privati a SO, ai servizi a NE, ai magazzini a SE, attigui a due vani lunghi e stretti ancora occupati da trenta giare da provviste, al nucleo (L. 4038) del palazzo. La funzione regale del p. è indicata, proprio in questo ultimo vano, da un arredo circolare in pietra, da un bacino e da un tripode basaltico con supporti a soggetto umano, forse per funzioni cerimoniali.
Sondaggi più recenti all'interno dell'edificio hanno anche rivelato che al di sotto si estende per un'area assai maggiore una seconda fabbrica palatina, risalente ai primi secoli del II millennio. Solo una parte, infine, è stata scavata del p. E, sull'acropoli, corrispondente al settore Ν dell'edificio, costituito da una corte rettangolare appoggiata a O contro il muro perimetrale, che prelude a un ampliamento in questa direzione dell'edificio, su cui insistevano su due lati una serie di vani e sul terzo, a S, una specie di ambulacro porticato, che doveva introdurre, a un livello inferiore, a un altro blocco dello stesso edificio.
A seguito della formazione dello stato di Mitanni nella Mesopotamia settentrionale, intorno al 1500 a.C., e fino alla metà del 1300, la città di Nuzi (l'antica Gasur dei testi protodinastici) fu sede di templi e di p., sebbene non eletta capitale: il p. di Šauššatar (metà XV sec. a.C.) assai esteso e decorato con pitture parietali policrome, presenta corti aperte e quartieri relativi, a vocazione plurifunzionale, interamente circondato da una spessa cortina muraria che a tratti presenta dei contrafforti, e con il nucleo principale costituito da due ampie corti di cui quella settentrionale doveva fungere da grande sala di ricevimento, attigua a due vani longitudinali, di cui il secondo allestito sul lato breve da una piattaforma, come accadrà più compiutamente nei dispositivi planimetrici delle suites reali dei p. neo-assiri. La capitale Assur attesta ancora al XIII sec. la presenza di un p. reale attribuito ad Adad-Nirari I (1305-1274 a.C.), ben differente da quello più antico di Šamši-Adad I, concentrato piuttosto su due corti che indicano altrettanti complessi, l'una il babānu, che introduce al p., l'altra il bitānu, nell'ala privata-residenziale, secondo un rinnovato criterio architettonico-spaziale che sarà alla base dei monumentali p. assiri del I millennio.
Intorno alla metà del II millennio Tell Brak (l'antica Nagar) recupera un ruolo importante ed è sede di un p. (distrutto dai sovrani assiri nei primi decenni del XIII sec. a.C.) costituito da un complesso ufficiale e da quartieri adibiti a botteghe artigianali, mentre il settore residenziale si trova al piano superiore, testimoniato da due corpi-scala ancora in posto. Al periodo compreso tra gli ultimi secoli del II millennio e il IX sec. a.C., tra il dominio mitannico e quello assiro, appartiene il p. scoperto assai di recente lungo il bacino del Khābūr, a Tell al-Ḥamidiya, nella Siria settentrionale, costruito su tre terrazze all'interno di un muro spesso fino a 12 m, ciascuna con funzioni distinte, amministrative, residenziali e ufficiali. Ogni terrazza consta di un nucleo a corte con vani circostanti, e nel caso della prima, conservava ancora numerose tavolette cuneiformi di tipo amministrativo, databili fino all'età di Salmanassar III; nella seconda, iscrizioni a nome della più alta carica sacerdotale femminile nella gerarchia templare, mentre la terza reca testi di fondazione del suo costruttore, Salmanassar I. L'imponenza e la struttura del complesso hanno fatto supporre che si tratti della sede della capitale dello stato di Mitanni, non ancora identificata.
La presenza di p. si intensifica nel Bronzo Tardo in Siria, come attestano l'edificio di Alalakh livello IV (tra XVI e XV sec. a.C.), attribuito a Niqmepa di Mitanni, con un portico di accesso colonnato, prototipo del già citato bīt khilāni, e due corpi di fabbrica giustapposti, sebbene distinti e non comunicanti fra loro, e provvisti di un secondo piano con lo spicco delle scale nell'angolo di NO. Esito di scavi antichi e di pubblicazioni non esaurienti risulta invece il p. di Qatna (Tell Mišrife), in Siria, per una estensione accertata di almeno c.a 110 x 90 m, a mezzo tra una residenza e una fabbrica palatina regale, incentrato sulla corte rettangolare che forma il nucleo centrale messo in luce, definito «Tempio di Nergal».
Sulla costa siriana, a Ugarit (Ras Šamra) e a Ras Ibn Hānī si trovano almeno cinque edifici palatini, tra i quali spicca il p. Reale di Ugarit, edificato intorno al XIV sec. a.C., e recuperato nella sua interezza; a pianta quadrangolare, con un'estensione di c.a 80 m e una organizzazione per settori aggregati, fu· probabilmente frutto di progressivi ampliamenti, scanditi sovente da piccoli portici colonnati nelle corti antistanti. Il p. di Ugarit fu oggetto delle violente distruzioni operate agli inizi del XII sec. a.C. in tutta la regione, e che condussero all'epilogo della fioritura dell'intera area. La struttura planimetrica e architettonica precisa, il bīt khilāni, può riconoscersi anche nelle residenze di Emar (Meskene), costituite da un portico colonnato dietro il quale stanno le due sale principali longitudinali, e una serie di vani minori attigui alla seconda. A tale nucleo principale, che ha i suoi precedenti nei portici a colonne di Alalakh e di Ugarit, si aggiungevano altri vani, che sopportavano un secondo piano, come di consueto nei complessi palatini.
P. reali furono quelli edificati da Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.) in Assiria, dei quali restano poche tracce oltre alle pitture parietali, e da Kurigalzu (forse il I) nella Babilonia cassita, in altrettanti siti che presero nome da questi due sovrani, Kar-Tukulti-Ninurta e Dūr-Kurigalzu (odierna 'Aqar Qūf). Kurigalzu I edificò un articolato complesso palatino residenziale, religioso e amministrativo nella città omonima, costituito da sei unità maggiori, con corte principale quadrata e tre serie di vani paralleli su ciascun lato. All'estremità NE dell'area palatina sta una fabbrica di impiego ufficiale-cerimoniale, caratterizzata da lunghe gallerie, il c.d. Painted Palace, con ricca decorazione pittorica a temi cerimoniali, preludio delle sfilate di dignitari sui rilievi dei p. neo-assiri.
P. provinciali di alto prestigio in età neo-assira si trovano a Khadātu (Arslan Taş) e a Til Barsip (Tell Aḥmar): nel primo, costruito forse da Tiglatpileser III (744-727), ispirato ai principi spaziali del bitānu e del babānu dei più antichi p. assiri, pienamente formulati con Assurnasirpal II (883-859 a.C.), giacevano ancora arredi pregiati e nel vano maggiore dispositivi mobili per i focolari; il p. di Til Barsip, celebre per le pitture parietali pervenuteci, con scene di omaggio al turtanu, governatore locale, fu costruito da Salmanassar III o dallo stesso Tiglatpileser III, secondo gli schemi consueti dell'edilizia monumentale palatina neo-assira.
Nella prima capitale neo-assira dopo Assur, Nimrud (Kalkhu), fu fondato da Assurnasirpal II il ρ. Nord-Ovest, collegato con un accesso diretto al tempio del dio cittadino Ninurta. La planimetria è basata sulle due corti maggiori, il bitānu a O, su cui insistono i settori adibiti all'amministrazione e all'immagazzinamento, e il babānu, che introduce alla sala del trono scandita, nel suo ingresso principale, dai tori androcefali alati protettori dell'edificio, le lamassatu. A Nimrud si instaurò la tradizione di edificare accanto ai p. reali edifici di carattere militare come l’ekal mašarti, il «Forte Salmanassar», finalizzato a ospitare officine, magazzini, settori amministrativi e apparati militari. Il p. Nord-Ovest, considerato il modello per eccellenza dell'impianto palatino neo-assiro, fu abitato fino all'età di Sargon II (721-705 a.C.), quando la capitale fu nuovamente fissata altrove, in un sito vergine, a Khorsābād, denominato Dūr-Šarrūkin, «la città di Sargon». Qui si dispiega una diversa concezione dell'architettura assira monumentale con un progetto di cittadella fortificata su un'alta terrazza, con l'edificio maggiore, i templi per il dio Nabu e gli altri dei, i p. dei governatori. Nel p. di Sargon II persiste comunque il sistema a due corti maggiori di distribuzione spaziale, connesse fra loro, e di cui la seconda, il babānu, si apre sulla fronte occidentale sulla sala del trono. La maggiore accessibilità e permeabilità degli spazi palatini avviati con Sargon si potenzia con il figlio e successore Sennacherib, che si allontana definitivamente da Khorsābād per stabilire la sede ufficiale della regalità a Ninive (Quyunğiq), antichissima città mesopotamica. Qui costruisce sull'acropoli un immenso p. da lui stesso definito il «p. senza uguali», forse con ingresso principale a SE, caratterizzato dalla moltiplicazione di corti e di gallerie intercomunicanti, ove la sala del trono e la corte ufficiale risultano eccentriche nell'economia della pianta. Vi ricorrono anche portici colonnati e gallerie a pilastri che accentuano il rapporto con l'esterno, diversamente dagli intenti dell'edilizia assira più antica. Assurbanipal (668-631 a.C.) perpetua l'attività edilizia dei suoi predecessori con la costruzione del p. Nord, nella stessa capitale, messo in luce solo in parte, sulla fronte E e S, ma con un ingresso porticato nell'angolo NO che introduceva a una rampa, quindi a una galleria fino al vano principale di questo settore, dedicato negli ortostati parietali scolpiti alle imprese del re a caccia. L'area residenziale è invece incentrata attorno a ama grande corte e alla sala del trono, con l'accesso ai due vani laterali scandito da coppie di colonne. La sontuosità dei p. neo-assiri è testimoniata dagli apparati scultorei che rivestono le pareti delle corti, delle sale, degli ingressi in tutti i p. nelle tre capitali, e che costituiscono mi elemento di forte innovazione. Tali rilievi attengono a temi connessi con la regalità, la guerra e la vittoria sui nemici, le cerimonie ufficiali e le cacce reali, e risultano complemento indissolubile all'architettura monumentale dell'età neo-assira.
L'architettura palatina dell'età di Hammurapi nella capitale Babilonia è purtroppo inaccessibile sotto la falda acquifera, mentre il p. di Nabucodonosor II (604-562 a.C.), celebre per i giardini pensili e la ricchezza di piante esotiche, mostra una concezione diversa da quella delle fabbriche reali neo-assire: vi si accedeva da E attraverso la «Porta Sublime», mentre i giardini pensili erano localizzati nell'ala settentrionale. L'area fortificata, adiacente alla c.d. Porta di Ištar, comprendeva cinque corti, di cui la maggiore si apriva sulla sala del trono, provvista di una grande nicchia al centro della parete lunga, in asse con l'entrata, e con il prospetto ornato di mattoni smaltati policromi; era costituita inoltre di altrettanti quartieri di carattere residenziale, amministrativo, di ricevimento, su schemi planimetrici di tipo domestico, frutto di aggregazioni piuttosto che di un'unitaria concezione architettonica. I soggetti delle decorazioni, animali e vegetali, sono legati alla simbologia della vita e della fertilità, e fanno da contrappunto ai rilievi scolpiti dei p. assiri.
La diffusione del bīt khilāni nel I millennio è testimoniata nella Siria settentrionale a Tell Taynat e a Zincirli (antica Sam'al), ove ricorre nel P. Superiore, sede del governatore d'Assiria e nella sala maggiore provvista di rotaie su cui scorreva il focolare, come nel p. provinciale assiro di Arslan Taş. La formulazione canonica e più monumentale di questa struttura architettonica si riconosce infine nel p. fortificato prospiciente il fiume Khābūr a Guzana (Tell Ḥalaf), eretto su un terrapieno ornato sulla faccia esterna da ortostati scolpiti, che conduce alla terrazza e quindi al colonnato di ingresso al p. vero e proprio, a figure umane stilofore, mostri e leoni tutelari agli ingressi, completato sull'architrave da un'iscrizione che lo designa come il p. di Kapara, il signore locale.
Anatolia. - Il sorgere di p. in Anatolia dopo il periodo preistorico è documentato a partire dal Bronzo Medio, durante il periodo delle colonie paleo-assire come Kūltepe (Kaniš), Acemhöyük e Karahöyük-Konya, mentre testimonianze di spicco riguardano Beycesultan e il p. Bruciato: messo in luce, per un'estensione di 80 m e di quarantasette unità tra vani e corti, il p. Bruciato presenta solidi caratteri costruttivi, nell'impiego integrato di legno e pietra, secondo una formula ancora in uso. I resti conservati sono gli unici lembi rimasti dopo una totale conflagrazione che ha distrutto il piano superiore e le altre ali palatine con le rispettive entrate, particolarmente numerose nella fronte SE. Un vano è considerato un'anticamera con funzioni lustrali; vi è un'importante sala di ricevimento, da cui attraverso la porta O si accedeva a un gruppo di tre blocchi adibiti a riserve e servizi. Si presume che l'entrata principale al p. fosse nell'angolo SO non scavato, che doveva introdurre al nucleo della corte principale e della grande corte antistante lo spazio colonnato. Altre due entrate, messe in luce invece dallo scavo, conducono rispettivamente, a O, verso un'ala adibita a riserve e, a S, a un vano-scala per il piano superiore.
Il momento più significativo resta quello dell'età ittita imperiale ove nella capitale Boğazköy (Khattuša) fu costruito un p. sulla sommità di un'impervia collina, a Büyükkale, protezione naturale dagli invasori. La fase eminente riguarda l'età di Khattušili III e Tutkhaliya IV (1400-1370 a.C.), quando gli edifìci del complesso palatino si estendono per l'intero pianoro, cui si accede da una monumentale entrata sull'angolo NO, fiancheggiata da torri che immettono alle due corti principali, sulle quali insistevano i due blocchi degli edifici pubblici. La funzione di questi resta ancora ignota, tranne che per le due fabbriche E e F, a O della corte superiore, a destinazione domestica, e per l'edificio A, che conteneva l'archivio reale, con duemilacinquecento tavolette. L'edificio D, con grande sala ipostila, era probabilmente la sala di ricevimento ufficiale dei sovrani. A Tutkhaliya IV è da ascrivere anche la residenza palatina periferica di Maşat Höyük a 120 km dalla capitale Khattuša, con funzione anche di protezione delle frontiere a NE. Esteso per 100 m c.a (E-O) e c.a 80 m (S-N), con quarantacinque vani conservati e con probabile entrata a SE, il p. presenta una corte non più ricostruibile nelle dimensioni, ma a pianta quadrangolare porticata, su almeno due lati, e blocchi aggettanti; è possibile un secondo piano, crollato nel piano-terra che è scarsamente provvisto di accessi, e forse raggiungibile in alcuni settori solo dal piano superiore. I gruppi di vani sui prospetti NO e NE, con il corpo maggiore formato da quattro vani lunghi paralleli, erano provvisti di banchette per l'immagazzinamento di granaglie; tavolette e cretule crollate dal piano superiore, come a Khattuša stessa, negli edifici A, E, K, ricorrono nel p. maggiore. L'archivio di Maşat, a contenuto amministrativo e di registrazione di armamenti, è il secondo per entità e importanza dell'età ittita imperiale e risale per lo più a Tutkhaliya III.
Infine, il p. di Tilmen Hüyük, sebbene di dimensioni minori della media dei p. vicino-orientali (35 x 40 m), risulta essere solo una parte di un complesso più ampio consistente di due unità costruite separatamente, e ciascuna planimetricamente Vicina ai p. di Alalakh (livelli VII, IV), risalenti a età più antica.
Palestina. - Nella Palestina del III millennio si riconoscono piuttosto residenze di governatori locali o stranieri dipendenti dalle potenze dominanti, come l'Egitto, mentre lo sviluppo urbano conosce dagli inizi del II millennio una notevole fioritura di insediamenti, ove centri maggiori come Sichern, Megiddo, Ḥazor, Tell el-'Ağğul sono città fortificate, con templi e p., questi ultimi sui modelli, più modesti, di residenze private. A Megiddo, un complesso palatino, a E dell'area templare, comprendeva una serie di vani intorno a corti di distribuzione, mentre a Ḥazor si distingue un complesso palatino, il p. 387 (strati XVII-XVI), forse a due piani e di carattere regale. A Megiddo si erge il p. 5039 (strato XII) su un'area di c.a 1000 m2, ricostruito nello strato XI, su fondazione in pietra e con i pavimenti dei vani ricoperti di intonaco. Si tratta di un'ampia corte fiancheggiata da piccoli vani che persiste fino ai livelli X-IX (p. 4030, p. 4031). L'edificio 2041 di Megiddo presenta invece una planimetria più compiutamente definibile come palatina, per un'estensione massima di 50 x 50 m, con due corti e un portico a colonne, e sistemi di drenaggio delle acque. Dagli ultimi secoli del II millennio e per tutta l'Età del Ferro si riconoscono residenze e p. reali in una più precisa stratificazione sociale-gerarchica; l'evidenza maggiore, al di là delle fonti bibliche, proviene da pochi siti, come Megiddo e Samaria all'età del regno di Israele; il celebre p. di Salomone a Gerusalemme resta infatti dettagliatamente descritto solo nel libro I Re, 7, 6-8 senza riscontri nella documentazione archeologica, mentre due p. dell'età di Salomone sono stati esposti a Megiddo (p. Sud, 1723 e p. Nord, 6000) e interpretati secondo la tipologia del bīt khilāni. P. reali ricorrono più tardi a Samaria e a Ramai Raḥel, entrambi fortificati, come la residenza di Lakiš, formata da un'ampia corte e collegata a una serie di fabbriche che ne fanno un vero complesso palatino, nonostante le dimensioni, che sono generalmente inferiori a quelle degli edifici mesopotamici e siriani. Si tratta del maggiore p. scavato in Palestina, situato al centro originario della collina, in posizione dominante su un'alta piattaforma, ancora conservata (36 x 76 m), relativa alle tre fasi di costruzione e di impiego dell'edificio, che nella sua fase più recente era a pianta quadrata (32 x 31 m) con due serie di vani rettangolari multipli e paralleli sul lato lungo NO e quello breve E, ove doveva forse aprirsi l'ingresso. Elemento particolare è infine rappresentato dalla cinta di mura, spessa 4 m, che connette il p. alle mura urbiche e alla porta della città. A Samaria, capitale del regno di Israele, i resti di un p. reale mostrano nuovamente la cinta fortificata e all'interno una fabbrica, di 80 Χ 178 m di estensione, in seguito ampliata a più di 100 x 200 m con l'impianto di casematte al posto delle mura. Un compatto edificio a pianta rettangolare del periodo israelitico si trova a Ḥazor, preceduto da impianti di età salomonica, e in uso fino alla conquista assira del 732 a.C., costituito da due vani longitudinali circondati su tre lati da ambienti minori, con mura di notevole spessore e in origine un piano superiore.
Elam. - Parallelamente al paese di Sumer fiorisce in Elam fin dal III millennio una cultura locale altamente elaborata e ima civiltà urbana che ebbe il suo fulcro già a Susa, capitale storica del regno; il paese raggiunse l'apice della potenza nel XII sec. a.C. e proprio a Susa si stabilì la sede ufficiale. Qui, sull'acropoli, si eressero due templi maggiori per le divinità del regno, mentre ad Anšan (v.), principale centro dall'Elam orientale, fu costruito un p. adibito anche a funzioni amministrative e artigianali (intaglio delle pietre pregiate). Il «re di Anšan e di Susa» Untaš Gal fondò Dūr-Untaš (odierna Čoqā Zanbil, v.) e vi installò le sedi del culto e del potere, quest'ultimo in un p. costruito presso l'angolo E del perimetro della città, accanto alla porta urbica reale. Il complesso consta di almeno quattro corpi di fabbrica indipendenti, e forse di epoche successive, di cui il primo di carattere funerario. Dopo una lunga pausa, di quattro secoli circa, l'Elam riemerge insieme alla capitale Susa sulla scena politica, fino alla definitiva distruzione da parte del re assiro Assurbanipal (668-631/629 a.C.); solo da notizie indirette si desumono dati sullo splendore delle decorazioni smaltate del p. dei sovrani elamiti (per il periodo achemenide, v. oltre, iran).
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(R. Dolce)
Creta e mondo miceneo. - Il dibattito sui p. minoici e micenei ha di recente riguardato essenzialmente i problemi relativi alla loro definizione, genesi e funzione.
Per quanto concerne il mondo minoico, si può denominare p. un edificio di più piani con una facciata monumentale a O, caratterizzato dalla presenza di una corte centrale di forma rettangolare con orientamento N-S e di altre disposte principalmente a O, da quartieri di residenza e rappresentanza e da magazzini in genere dislocati a O; il complesso presenta vani destinati ad attività manifatturiere, alcune stanze d'archivio e altre con funzione cultuale (P. Warren). In base a tale definizione, fondata sulla documentazione archeologica relativa alla fine del Tardo Minoico IB, si può parlare di p. oltre che per i quattro maggiori edifici noti (Cnosso, Festo, Mallia e Zakros), anche per quello da tempo messo in luce a Gurnià (J. Soles). L'esistenza di un'analoga struttura è stata ipotizzata anche per Chanià.
Riguardo al problema delle origini dei p. minoici, l'ipotesi di una loro diretta filiazione da quelli orientali, già messa in dubbio da J. W. Graham, è stata abbandonata in favore di uno sviluppo architettonico locale (J. F. Cherry). In verità sono ormai noti a Creta, tra la fine dell'Antico e gli inizi del Medio Minoico, edifici di pianta piuttosto complessa in relazione a delle corti (in particolare Vasilikì e Haghia Photià nella zona orientale dell'isola). È tuttavia palese un marcato influsso orientale nella concezione stessa del p. (P. Warren) così come nello sviluppo dell'intera civiltà palaziale minoica (L. V. Watrous), ravvisabile specialmente nell'organizzazione amministrativa: a Festo quest'ultima è attestata già dal Medio Minoico IB, con cretule e tavolette in lineare A.
Una delle principali attività svolte nei p. fu certamente, fin dall'inizio, la conservazione delle derrate agricole prodotte dallo sfruttamento del territorio (K. Branigan), ma con ogni probabilità essi ebbero anche una parte rilevante negli scambi commerciali dell'epoca (G. Kopeke), in particolare nella ricerca dei metalli (M. Wiener), verosimilmente già dall'epoca protopalaziale (Medio Minoico IB-Medio Minoico IIB). La produzione manifatturiera era opera di un ristretto numero di artigiani, i quali dovevano svolgere più mansioni all'interno dei palazzi (L. Platon); questi ultimi inoltre ebbero certamente una notevole importanza come centri religiosi (S. Hiller), connessi, anche in epoca neopalaziale (Medio Minoico Ili-Tardo Minoico IB), con i santuari delle vette (A. Peatfield).
Il momento di costruzione dei primi p. è databile al Medio Minoico IB. A Mallia un deposito di fondazione dell'Antico Minoico IlI-Medio Minoico IA è relativo a un edificio con pavimenti stuccati, già orientato come il p. (O. Pelon).
L'esistenza di una corte centrale, messa in dubbio per le fasi più antiche (S. Damiani Indelicato), sembra invece accertata già nel periodo dei primi palazzi. Una delle sue funzioni doveva certamente essere quella di centro di riunione (E. N. Davis). L'orientamento N-S, che consente di avere almeno una zona in ombra d'estate e buona parte al sole d'inverno, sarebbe dovuto anche alla necessità di aprire a E, forse per ragioni cultuali, la serie di vani che si affacciavano lungo il suo lato occidentale (J. W. Shaw). Il piano superiore era adibito ad attività eminentemente domestiche e di rappresentanza; in esso, lungo il lato settentrionale della corte centrale, doveva trovarsi una sala da banchetti (J. W. Graham). Molto discussa è la funzione delle corti occidentali, sulle quali i p. prospettavano con una facciata monumentale a ortostati: è stata ipotizzata ima loro utilizzazione per feste stagionali legate al mondo agricolo (N. Marinatos), alle quali erano connessi anche rituali di epifania (R. Hägg).
Nel passaggio dai primi ai secondi p. sarebbe stato enfatizzato l'accumulo di beni di prestigio con, viceversa, una riduzione nel numero di partecipanti ai rituali religiosi (J. Moody): l'accesso ai santuari sarebbe avvenuto solo dal p. (G. Gesell). L'organizzazione territoriale nella fase neopalaziale fu probabilmente meno centralizzata (L. Nixon): sono infatti note nell'isola diverse «ville» di quel periodo, assimilabili ai p. per la raffinata architettura (con la sola mancanza della corte centrale) e per le funzioni svolte, compresa quella amministrativa. Sempre nella stessa epoca lo stile architettonico «palaziale» (uso di conci squadrati, polỳthyra, colonne, pareti affrescate, pavimenti stuccati, frequente impiego dei c.d. bacini lustrali) si diffuse anche al di fuori di Creta, ad Akrotiri (Thera), Trianda (Rodi) e al Serraglio di Coo.
Tuttora incerta è la natura delle relazioni fra i varí palazzi. I due modelli interpretativi proposti sono a favore l'uno dell'esistenza di vari regni indipendenti e l'altro di una supremazia, ma solo in epoca neopalaziale, di quello di Cnosso. Problematico appare inoltre, nel medesimo periodo, il rapporto fra il secondo p. di Festo, la villa di Haghia Triada (con le sue numerose tavolette in lineare A) e l'Edificio Τ di Kommòs, con grande corte bordata a Ν e a S da colonnati.
Alla catastrofe che travolse i p. cretesi alla fine del Tardo Minoico IB (tracce di una distruzione intermedia fra la fine dei primi e quella dei secondi p. sono state rinvenute in particolare a Festo) sopravvisse il solo p. di Cnosso, che divenne sede di un'amministrazione che redigeva i propri atti in lineare B. L'opinione di A. Evans secondo la quale solo in questo periodo sarebbe stato costruito il complesso della «Sala del trono» aperto a E sulla corte centrale, con un forte influsso dell'architettura micenea, è stata confutata da S. Mirié e J. W. Niemeier. Sul problema della distruzione definitiva del p. cnossio le recenti ricerche di J. Driessen hanno distinto successivi eventi rovinosi nella vita del p. nel corso del Tardo Minoico III. Grazie alla constatazione che un medesimo scriba avrebbe redatto tanto dei testi cnossi quanto una delle tavolette in lineare Β scoperte a Chanià (J.-P. Olivier) in un contesto del Tardo Minoico IIIB1, la distruzione cnossia può forse datarsi a quel periodo. Non è da escludere che allora Chanià fosse un centro palaziale, come proverebbero anche le anfore a staffa ivi prodotte ed esportate nella Grecia continentale, alcune delle quali con la scritta in lineare Β wa-na-ka-te-ro (L. Godart).
Ancor più che per i p. minoici, anche per quelli micenei la documentazione archeologica disponibile riguarda principalmente il momento relativo alla loro distruzione finale.
Sull'evidenza dei centri meglio noti di Micene, Tirinto e Pylos è stata formulata la definizione di p. miceneo come un edificio che, oltre ad avere due c.d. mègara con accessi indipendenti e aperti su corti di forma quasi quadrata (K. Kilian), presenta delle particolarità architettoniche quali l'uso di conci squadrati e l'impiego di intonaci dipinti. Esso era usualmente all'interno delle cittadelle, che possono essere interpretate come dei p. fortificati (S. Iakovidis) con degli edifici strutturalmente indipendenti, ma di funzioni complementari, quali quelle di immagazzinamento, di redistribuzione delle risorse del territorio amministrato (come testimoniato dagli archivi in lineare B) e di centro di culto. I p. micenei erano inoltre residenza del signore locale, il wanax, la cui esistenza è documentata dalle tavolette in lineare Β e probabilmente anche del lawagetas (cui, secondo K. Kilian, sarebbe stata destinata la minore delle due serie di vani disposti assialmente).
La serie di tre stanze allineate lungo un medesimo asse (c.d. mègaron) è considerato il nucleo dei p. micenei poiché ricorre in modo analogo a Micene, Tirinto e Pylos. L'ultimo e più ampio vano si caratterizzava per la presenza di un grande focolare circolare (molto ben conservato a Pylos), attorno al quale erano quattro colonne disposte a quadrato. Per le sue dimensioni, è da ritenere probabile che esso non servisse unicamente a riscaldare l'ambiente in cui era posto: si pensa quindi a una sua funzione più specificamente cultuale. Sempre nel vano maggiore, contro la parete di destra, al centro, era verosimilmente collocato il trono: ben conservata la base, in serpentino, di quello di Tirinto, con zoccolo decorato da spirali correnti a rilievo (ricostruzione proposta da T. Schulz). Il pavimento aveva una decorazione dipinta.
Il problema della copertura dei p. micenei (in particolare dei tre vani disposti in asse), a lungo oggetto di discussione, non ha finora trovato una soluzione unanime. Non si è tuttavia alieni dal ritenere che fosse utilizzato un tetto a doppia falda (ma con lieve inclinazione), dato che le tegole erano note in epoca micenea, come attesta anche il cospicuo numero di esse rinvenuto a Gla.
Mentre sono note le caratteristiche dei p. alla fine dell'epoca micenea, va verificata l'esistenza di edifici assimilabili, da un punto di vista planimetrico e funzionale, ai più tardi p. già nelle prime fasi micenee, problema che si intreccia con quello delle origini della stessa civiltà micenea. Per quanto riguarda la genesi della tipologia architettonica dei p. è stata formulata l'ipotesi che essi rappresentino lo sviluppo di tipologie edilizie (le c.d. Corridor Houses) proprie della Greeia continentale già nell'Antico Elladico II come, p.es., la c.d. Casa delle Tegole di Lerna, con un corridoio attorno a quelli che paiono essere vani di rappresentanza (P. Darcque).
Si è abbastanza concordi nel ritenere che funzioni palaziali assolvesse il complesso portato alla luce nel Menelàion presso Sparta; ivi la c.d. Mansion I, del Tardo Elladico IIB, avrebbe avuto probabilmente, a sua volta, un precedente mesoelladico (R. L. N. Barber). La Unit IV- 4A di Nichoria in Messenia, del Tardo Elladico IIIA1 (con le precedenti fasi 4B e C, a partire già dal tardo Elladico II) presenta già una disposizione analoga ai p. meglio noti, avendo anche un vano principale con al centro un focolare e un bacino fittile verosimilmente utilizzato per scopi rituali. Inoltre, alcuni resti sotto i p. di Tirinto e Pylos invitano a ritenere che questi edifici sarebbero sorti su strutture più antiche e di analogo carattere. La seducente proposta di K. Kilian di rintracciare a Pylos un p. a corte centrale di tipo minoico, al di sotto di quello meglio conservato, non è stata concordemente accettata. Si può comunque essere sicuri, in particolare sulla base dell'evidenza di Tirinto, che i p. micenei ebbero dei precedenti architettonici, in cui non è tuttavia ravvisabile un diretto influsso dell'architettura minoica, almeno per quanto concerne la disposizione planimetrica.
Tuttora incerti sono i rapporti che legavano i p. micenei fra loro. Il problema si presenta in specie per Micene e Tirinto, probabilmente troppo vicini per essere indipendenti l'uno dall'altro; va peraltro ricordato come anche dalla vicina cittadella di Midea sono ora noti documenti amministrativi in lineare B. Altrettanto complessa si presenta la relazione fra Orchomenòs e Gla in Beozia: nel primo sito un edificio messo recentemente in luce, per le dimensioni e per la presenza di affreschi è stato interpretato come un p. (T. Spyropoulos), mentre nel secondo è da tempo nota la cittadella con un edificio assimilabile a un palazzo. In nessuno dei due casi è però documentata una funzione amministrativa; tale attività era certamente espletata a Tebe (tavolette e noduli), ove i resti del p. sono al di sotto dell'abitato moderno. Oggetto di indagine è pure il rapporto fra i p. e l'espansione commerciale micenea nel Tardo Elladico IIIA-B.
La notevole somiglianza con i p. noti sul continente greco ha indotto a identificare come tale anche l'edificio del livello III-iii (E), del Tardo Elladico IIIA, già da tempo messo in luce a Philakopì di Milo. Tale interpretazione, anche in mancanza di una documentata attività amministrativa, è stata comunque messa in dubbio (P. Darcque).
Un medesimo orizzonte di distruzione sembra abbia coinvolto alla fine del Tardo Elladico IIIB2 i p. di Micene, Tirinto e Pylos; per quest'ultimo centro, M. R. Popham ha proposto una datazione al Tardo Elladico IIIB1. Qualunque sia stata la causa di tale catastrofe (si è oggi inclini a ritenerla di origine naturale), i p. micenei non furono certo ricostruiti, a meno di ritenere tale, e quindi con le medesime funzioni, il c.d. Edificio Β di Tirinto, peraltro di discussa cronologia. Purtroppo quasi nulla è noto del p. che dovette sorgere sull'Acropoli di Atene, il quale sfuggì alle distruzioni del Tardo Elladico IIIB2. Gli edifici recentemente scoperti a Nichoria in Messenia (Unit IV-1) e a Lefkandì in Eubea (il c.d. Heròon, in località Toumba, fin dal principio a destinazione cultuale, secondo l'interpretazione degli scavatori) ripropongono il problema dell'esistenza di strutture analoghe nel Dark Age e quello della tradizione micenea nella prima Età del Ferro in Grecia.
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Per la proposta di ridatare la distruzione di Pylos: M. R. Popham, Pylos: Reflections on the Date of Its Destruction and of Its Iron Age Reoccupation, in OxfJA, Χ, 1991, pp. 315-324. - Per l’Heròon di Lefkandì: M. R. Popham, P. G. Calligas, L. H. Sackett, Lefkandi II. The Protogeometric Building at Toumba, 2. The Excavation, Architecture and Finds (BSA, Suppl. XXIII), Londra 1993; per un'opinione diversa dall'interpretazione cultuale dell'edificio fin dal principio: P. G. Calligas, Hero-Cult in Early Iron Age, in Early Greek Cult Practice, Stoccolma 1988, pp. 229-234; J. P. Crielaard, J. Driessen, The Hero's Home. Some Reflections on the Building at Toumba, Lefkandi, in Topoi, IV, 1994, pp. 251-270.
(N. Cucuzza)
Grecia e mondo greco . - L'incremento notevole delle ricerche sul campo ha portato a un avanzamento sostanziale delle conoscenze dell'architettura palaziale nel mondo greco-romano.
In questo specifico ambito non è semplice stabilire una chiara definizione del termine p. ed elaborare una articolata tipologia pur essendo evidente il riferimento a strutture che riuniscano funzioni residenziali e di pubblico interesse, in rapporto alla persona che esercita il potere in una comunità e alla natura delle forme istituzionali in cui tale potere viene esercitato. Non si può prescindere, dunque, dal concetto di «regalità» quale viene a svilupparsi nella Grecia post-micenea e nelle epoche successive.
Per il periodo più antico, l'età geometrica e arcaica, l'identificazione di una struttura come p. presenta due ordini di problemi: il primo consiste nella distinzione degli edifici pubblici da quelli sacri che - se realmente esistita - è difficilmente individuabile (esemplare il caso, ad Atene, di un edificio abitativo ovale trasformato in luogo di culto dopo una distruzione); il secondo è la identificazione della sede del capo della comunità tra gli altri edifici di abitazione.
Dal punto di vista tipologico conosciamo in questo periodo (c.a 1150-700 a.C.) quasi unicamente edifici absidati, a parte il complesso di Karphì (Creta), ancora nella tradizione micenea. Si tratta di aule a pianta allungata, di misure variabili, normalmente divise in tre vani da muri trasversali, secondo uno schema che corrisponde bene alle descrizioni delle regge omeriche; l'ultima stanza, che occupa sostanzialmente l'abside, ê stata identificata con il θάλαμος. A questi edifici si è voluta attribuire la definizione omerica di perìskeptos (Horn., Od., I, 426; X, 211), con riferimento alla forma curvilinea del retro.
L'esempio più monumentale di questo tipo di edificio è venuto in luce a Lefkandì (v.). Datato alla prima metà del X sec., e trasformato in heròon forse ancor prima del suo completamento, misura m 45 x 10 e presenta un ampio vestibolo in comunicazione con un peribolo che circonda l'intero edificio; dal vestibolo si accede alla grande aula centrale mentre un corridoio su cui affacciano due piccoli ambienti immette nel θάλαμος. In una piccola apertura al centro della parete S si è voluta riconoscere una porta secondaria che, nella descrizione della reggia di Odisseo, Omero chiama 'ορσοθύρη (Od., XXII, 126-137) e che immette nel períbolo meridionale.
Altri edifici simili nella pianta, ma di dimensioni più ridotte, sono ad Antissa (Lesbo) e a Nichoria (Messenia). Ad Antissa a una prima abitazione tripartita (fine del IX sec. a.C.) si sovrappone un altro edificio absidato, per il quale l'assenza del θάλαμος ha indotto a escludere la funzione abitativa.
Un edificio in tutto simile al secondo di Antissa è venuto in luce a Nichoria affiancato alla sede del basilèus, normalmente tripartita (non è sicuro tuttavia che i due edifici siano contemporanei). Un'avvincente interpretazione collega tali ambienti all'uso del banchetto comune (έρανος) ancora una volta menzionato nel racconto omerico, indizio di un'aristocrazia sempre più vitale che contende il potere al basilèus.
Come sede del potere è stato interpretato anche un complesso di Lathouresa (Attica): si tratta di quattro edifici affiancati, due circolari, uno absidato con banchine lungo le pareti e uno rettangolare, che si affacciano su uno spazio comune, verosimilmente coperto, al cui centro si trova un focolare: si tratta di una formula che scinde le diverse funzioni della residenza giustapponendole l'una all'altra e unificandole nello spazio del cortile; compare la forma rettangolare per l'abitazione vera e propria, mentre nella sala per il banchetto si mantiene la più tradizionale forma absidata. D'altro canto la scissione in più corpi architettonici destinati ai diversi aspetti della gestione della vita comunitaria, attestata peraltro nella conformazione della cittadella micenea, segnala evidentemente una maggiore articolazione della struttura sociale e uno sviluppo nella forma istituzionale dell'esercizio del potere.
Nel corso dell'VIII sec. la razionalizzazione dello spazio urbano esclude gradualmente il tipo dell'aula absidata per lasciare spazio al c.d. mègaron rettangolare. Fra le abitazioni di questo tipo, rinvenute soprattutto nell'ambiente insulare, spicca per dimensioni e soluzioni architettoniche la residenza del basilèus di Emporion di Chio (v.), un'aula rettangolare allungata costituita da un vestibolo con due colonne in antis in facciata e da un'ampia sala divisa in due navate da tre colonne centrali. La posizione alla sommità dell'acropoli presso il santuario di Atena ne indica la possibile funzione di reggia.
È raro tuttavia che edifici che offrano la possibilità di una simile identificazione si presentino come una costruzione unica e isolata del tipo di Emporion; in altri casi attestati, come a Zagora (v.) e a Thorikòs (v.), l'aula rettangolare presenta annessi, forse destinati a personale di servizio oltre che all'immagazzinaggio delle derrate. Un vero e proprio insieme abitativo è attestato nel centro della Vecchia Smirne (insediamento fortificato situato alcuni km a Ν di Smirne, v.): intorno al cortile si dispongono numerosi ambienti rettangolari e due silos per la conservazione del grano.
Questo stesso complesso, dopo una fase di recessione, testimoniata dalla disordinata sovrapposizione di edifici ovali (messa in relazione con le invasioni di Lidi e Cimmeri), verrà trasformato in una più monumentale residenza nella seconda metà del VII secolo. Si tratta di un edificio a doppio mègaron in opera poligonale, probabilmente legato a un'altra serie di stanze rettangolari, fra cui è stato riconosciuto anche un bagno, ma la limitatezza dello scavo non permette di comprendere l'intera estensione di questo complesso e la sua reale articolazione.
Del tutto estraneo alla tipologia del mègaron è invece il p. A dell'acropoli di Xanthos (prima metà del VII sec.) che sembra trovare spunto più nelle case a corridoio di tipo miceneo che nel tipo a bīt khilāni, cui pure è stato avvicinato.
Con la sistemazione di una serie di stanze intorno a un cortile, l'abitazione si avvia verso la forma quadrata del tipo a pastàs, che si afferma con il sorgere dell'ideale di vita aristocratico, quando viene meno la preminenza dell'abitazione del basilèus e si dissolve il concetto di reggia. Le esperienze dell'urbanistica coloniale sono la più completa testimonianza di questo dissolvimento.
Con il sorgere delle tirannidi il p. tornerà ad avere un ruolo di rilievo nell'urbanistica: basti pensare all'importanza che esso assume nella descrizione della tirannide fatta da Aristotele (Polit., V, 11, 1313a, 34; 1313b, 25). Gli esempi di p. più celebrati dalle fonti, come la residenza di Policrate a Samo o dei Pisistratidi sull'Acropoli ateniese, sono praticamente sconosciuti dal punto di vista archeologico. Una nuova lettura dei resti e della documentazione lasciata dagli scavatori della residenza di una dinastia locale di Larissa sull'Hermos, già nota da tempo, ne ha permesso una nuova interpretazione. Si riteneva infatti che al primo mègaron orientato a Ν (inizi VI sec. a.C.) si fosse sovrapposto un p. dalle forti connotazioni orientali, del tipo a bīt khilāni, indizio di importanti influenze persiane. La nuova analisi di H. Lauter ha invece messo in luce come anche il secondo p., datato intorno alla metà del VI sec., mantenga il tipo a mègaron tradizionale, verosimilmente con lo stesso orientamento dell'antico; sul lato O di questo nuovo mègaron si aggiungono ambienti più piccoli aperti su un cortile il quale, con successive aggiunte, diventerà interno alla reggia. Il p. reale di Larissa si trova sull'acropoli ed è in stretta connessione con gli edifici sacri della città. A un'iniziale commistione di sacro e profano nelle residenze di età geometrica si sostituisce lo stretto controllo del sacro da parte di chi esercita il potere, concretizzato nella giustapposizione di santuario e reggia. Il rapporto fra il p. e gli edifici sacri è estremamente importante per la comprensione della disposizione dei p. antichi nello spazio urbano.
Una sistemazione non dissimile da quella della reggia di Larissa della metà del VI sec. la ritroviamo in Frigia nel complesso palaziale di Gordion (v.), che, diviso per mezzo di un muro dal resto dell'abitato, si articola con quattro edifici a mègaron, indipendenti ma affacciati su un cortile comune.
Nessuna novità di rilievo è intervenuta a proposito del monumentale complesso di Vounì (Cipro), dove pure esiste un collegamento tra un santuario e il complesso residenziale.
È evidente come nel corso dei periodi orientalizzante e arcaico le più significative sperimentazioni della costituzione di complessi palaziali avvengano prevalentemente nell'area insulare e microasiatica dove i modelli istituzionali risentivano maggiormente della vicinanza di quelli orientali. Tale fenomeno prosegue anche in epoca classica laddove sussistano forme di potere monarchico. Le esperienze democratiche delle pòleis del V sec. determinano, al contrario, condizioni politico-urbanistiche nell'ambito delle quali, naturalmente, il p. non è contemplato.
Riguardo al celebre p. di Alicarnasso (v.) non esistono novità significative, mentre l'esistenza di quello del re licio Pericle a Limyra (v.) è tuttora largamente ipotetica. L'attività di scavo ha permesso invece di conoscere le principali residenze della dinastia macedone: i p. di Pella (ν.) e di Aigai (v.). Essi sfruttano il modello della casa a peristilio dilatandone gli spazi a dismisura, e moltiplicando più volte il nucleo iniziale. Si viene così a costituire un corpo complesso, composto da più corti porticate circondate da ambienti.
A Pella, eletta capitale del regno di Macedonia alla fine del V sec., gli scavi hanno messo in luce i resti dell'estesissimo ρ. , il cui primo impianto si data nella seconda metà del IV secolo. Interessante il rapporto fra il p. e l'impianto urbanistico della città. Nonostante si trovi sull'acropoli, la residenza del re rispetta orientamenti e moduli del reticolo urbano: il pròpylon è in posizione assiale con una delle vie della città bassa, mentre l'asse mediano del corpo centrale del p. corrisponde a quello dell'intera città. Queste corrispondenze con l'impianto urbano si risolvono in un certo schematismo nell'articolazione degli spazi interni al p.: il pròpylon infatti immette in corridoi che distribuiscono i percorsi lateralmente, vanificando la monumentalità dell'accesso, un errore che non sarà commesso nella realizzazione del p. di Aigai. Va ricordato infine che sulle pendici della collina della reggia è stato individuato un edificio teatrale.
Il magnifico complesso di Aigai è attribuito al regno di Antigono e collegato alle ristrutturazioni urbane seguite alle invasioni di Pirro. Dal punto di vista architettonico appare innovativo, per l'edilizia residenziale, lo sviluppo verticale della facciata, in cui è stato possibile riconoscere, dai materiali rinvenuti, un secondo piano con finestre. Per la prima volta si nota anche un'attenzione particolare al rapporto fra costruzione e paesaggio, con la realizzazione di una veranda sul lato N, affacciata sul teatro.
Ancora come un'estensione della casa a peristilio si può leggere il p. di Demetrias (v.), costruito verosimilmente alla fine del III sec., dove la maggiore ampiezza del peribolo Ν del peristilio e la maggiore potenza del colonnato corrispondente indicano la realizzazione di una vera e propria pastàs su scala monumentale. In questo edificio, i cui reali limiti non sono ancora stati individuati, compaiono quattro torri angolari, disposte in modo simmetrico rispetto all'asse N-S: più lontane fra loro le torri settentrionali, più vicine le meridionali. La disposizione di questi corpi di fabbrica, che costituiscono un unicum nella coeva architettura residenziale e trovano forse un precedente nei tetràpyrgoi noti dalle fonti letterarie, indica che la fronte privilegiata è quella S che si apre sulla c.d. agorà sacra. Sull'asse E-O, invece, il p. si trova allineato con un heròon situato in cima alla collina.
Una disposizione meno organica degli esempi finora citati mostrano i p. di Pergamo, semplici case a peristilio disseminate a destra della via che attraversa l'acropoli. L'apparente casualità dello schema è controbilanciata dall'enorme valore ideologico della posizione, a diretto contatto con i maggiori santuari della città; argomento che potrebbe acquistare maggiore pregnanza se si rivelasse fondata la suggestiva ipotesi che identifica come parte del p. reale i resti sottostanti il Traianeum.
L'avanzamento delle conoscenze relative all'architettura palaziale ellenistica non ha contribuito a chiarire, al di là delle interpretazioni delle fonti, la topografia della reggia di Alessandria. Anche nella capitale lagide, tuttavia, recenti ricerche hanno permesso di ricostruire un edificio monumentale datato al regno di Tolemeo III, compreso nell'area dei p. reali, per il quale però non è neanche possibile stabilire con certezza la destinazione funzionale: può trattarsi del témenos di un tempio così come di un'area porticata in relazione con il teatro che le fonti collocano approssimativamente in questa zona della città. Questo rinvenimento non fa che confermare l'immagine della reggia alessandrina come un insieme di edifici pubblici e privati, alternati a luoghi di culto, e disposti in ordine sparso tra meravigliosi giardini.
Al di là delle affinità tipologiche tra i vari edifici citati, l'elemento che ricorre in modo insistente nella realizzazione delle regge ellenistiche è lo stretto legame con la sfera sacrale, che si può estrinsecare sia attraverso una diretta vicinanza, sia attraverso un complesso e interessante sfruttamento di assi ottici e di simmetrie, oppure attraverso entrambi gli accorgimenti. Il p. della città ellenistica tende inoltre ad assorbire progressivamente l'intera sfera di interesse pubblico: oltre alle funzioni più propriamente politiche, che sono alla base della nascita del p., e all'assimilazione del sacro, anche gli edifici per spettacolo gravitano nell'orbita della residenza reale. Questo fenomeno si collega certamente con lo sfruttamento dei pendii alla sommità dei quali sorgono i p., ma le necessità strutturali assumono certamente una valenza diversa: non è un caso che Alessandria, dove era possibile scegliere, il teatro si trovi su un pendio interno al ρ. o che ad Antiochia lo stadio sia isolato insieme al p. reale sull'isola dell'Oronte.
Ai margini del mondo ellenistico compaiono una serie di p. costruiti dalle dinastie locali in cui il modello adottato dai Macedoni e dai loro successori viene variamente accolto e mescolato con influenze esterne.
Il più antico di questa serie è il p. di Seuthopolis, fatto costruire da Seuthis III, re di Tracia e avversario di Lisimaco. Il p. sorge nella zona NE della città a impianto regolare, ma non ippodameo, su un'altura isolata dal resto dell'abitato mediante fortificazioni autonome con torri. Il corpo del p., orientato come l'impianto della città, ma completamente indipendente da esso, è di dimensioni alquanto ridotte e si trova sullo sfondo dell'area fortificata, verso la quale si apre con una sorta di vestibolo ad ante. Il grande spiazzo lastricato di fronte al p. svolge probabilmente la funzione dei peristili nelle regge ellenistiche. Estraneo ai modelli ellenistici e fortemente influenzato dal tipo di reggia orientale è il p. messo in luce nel sito greco-battriano di Ai Khānum (v.), in Afghanistan.
L'incremento delle ricerche nel territorio dello Stato di Israele permette di approfondire la ricezione dei modelli di reggia ellenistica in un ambiente dalle caratteristiche culturali autonome quale quello ebraico. Qui le continue tensioni con le popolazioni limitrofe hanno dato vita a un tipo di residenza difendibile, a volte fortificata, probabilmente quella bàris più volte citata nelle fonti in lingua greca, e di cui un esempio è stato riconosciuto nel monumentale edificio di 'Araq al-Amir (v.).
Gli scavi nel sito del p. invernale degli Asmonei presso Gerico (v.) hanno messo in luce il susseguirsi di numerosi complessi palaziali (II-I sec. a.C.). Il regno di Erode il Grande segnò un vero e proprio fiorire dell'architettura locale, che avrebbe dato in questo periodo interessantissimi esempi di edilizia residenziale monumentale. Del p. di Gerusalemme restano soltanto le descrizioni delle fonti: sappiamo che era difeso da torri e che aveva due sale denominate l'una «di Cesare» e l'altra «di Agrippa» (FI. Ioseph., Aut. lud., XV, 318). Le altre tre residenze monumentali del sovrano sembrano rivelare una scelta precisa nei modelli da adottare. L'ultima delle costruzioni realizzate a Gerico, nel sito dei p. asmonei, mostra una chiarissima affinità con le ville d'ozio del centro Italia: l'adozione dell'opera reticolata per la costruzione di interi padiglioni, del tutto inconsueta nella regione e poco adatta alla pietra locale, denuncia chiaramente l'uso di maestranze provenienti da Roma, e lascia ipotizzare la stessa provenienza anche per l'intero progetto della costruzione. Il riferimento a Roma è d'altronde chiaramente espresso nella dedica dell'intera residenza ad Augusto e Agrippa (Fl. Ioseph., Bell. lud., I, 40, 29). Un ascendente prettamente alessandrino si può invece ravvisare ηélVHerodium, il più importante p. estivo del sovrano, situato poco a S di Gerusalemme: se si prescinde dalla collina fortificata, la residenza reale si articola con portici, peristili e giardini estesi su una superficie vastissima; ciò che richiama maggiormente il modello alessandrino è una serie di apprestamenti monumentali destinati alle celebrazioni funebri del re, in perfetto accordo con quanto ricordano le fonti per il p. di Alessandria. Il più sorprendente p. erodiano, quello di Masada, sfrutta uno sperone roccioso con una sistemazione a terrazze volta a produrre un effetto scenografico sia per chi si avvicinava dalla strada, sia per chi si trovava all'interno della residenza: un modo di relazionare costruzione e paesaggio che non può non ricordare alcuni aspetti dell'architettura pergamena.
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Singoli complessi. - Larissa: Η. Lauter, Die beiden älteren Tyrannenpaläste in Larissa am Hermos, in BJb, CLXXV, 1975, pp. 33 e ss.; W. Hoepfner, art. cit., p. 273 ss. - Gordion: R. S. Young, The 1961 Campaign at Gordion, in AJA, LXVI, 1962, p. 153 e ss. - Pella: M. Siganidou, Το ανακτορικο συγκρότημα της Πέλλας, in AErgoMak, I, 1987, p. 119 ss.; Ρ. Chrisostomou, Λουτρά στο ανακτορο της Πέλλας, ibid., II, 1988, ρ. 113 ss.; M. Siganidou, Το μνημειακό προπυλο του ανακτορου της Πέλλας, ibid., III, 1989, p. 59 ss.; V. Misailidou-Despotidou, Ανασκαφή στο ανακτορο της Πέλλας, ibid., ρ. 63 ss. - Aigai: D. Fandermalis, Beobachtungen zur Fassadenarchitektur und Aussichtveranda im hellenistischen Makedonien, in P. Zanker (ed.), Hellenismus in Mittelitalien. Kolloquium in Göttingen 1974, Gottinga 1976, p. 387 ss.; M. Andronikos, Vergina. The Royal Tombs and the Ancient City, Atene 1984. - Demetrias: AA.VV., Demetrias, I, Bonn 1976. - Alessandria: W. Hoepfner, Zwei Ptolemaierbauten. Das Ptolemaier Weihgeschenk in Olympia und ein Bauvorhaben in Alexandria, Berlino 1971; W. A. Daszewski, Notes on the Topography of Ptolemaic Alexandria, in Studi in onore di A. Adriani, I, Roma 1983, p. 54 ss. - Ai Khānum: P. Bernard, Problèmes d'histoire coloniale grecque à travers l'urbanisme d'une cité hellénistique d'Asie centrale, in AA.VV., 150 Jahre Deutsches Archäologisches Institut. Akten des Kolloquiums, Berlin 1979, Magonza 1981, pp. 108 e 120. - Seuthopolis: D. P. Dimitrov, M. Cičikova, The Thracian City of Seuthopolis (BAR, 38), Oxford 1978. - Licia: H. Metzger, Fouilles de Xanthos, II. L'acropole lycienne, Parigi 1963, p. 15 ss.; J. Borchardt, Zêmuri. Die Residenzstadt des lykischen Königs Perikles, in IstMitt, XL, 1990, p. 109 ss. - Palestina: V. C. Corbo, Herodion, I (Studium Biblicum Franciscanorum, Coll. Maior 20), Gerusalemme 1989; E. Netzer, Masada, 3. The Yigael Yadin Excavations, 1963-1965, Final Report. The Buildings. Stratigraphy and Architecture, Gerusalemme 1991; id., Architecture in Palaestina Prior to and during the Days of Herod the Great, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses..., cit., p. 37 ss. (con ampia bibl. prec.)
(C. Cecamore)
Etruria. - Con il termine p. si indicano, in ambito etrusco, alcuni complessi monumentali, che, pur avendo dal punto di vista planimetrico sviluppi individuali, sono accomunati da una decorazione architettonica analoga a quella templare. Per questo motivo essi furono inizialmente considerati edifici a destinazione sacra. Gli esempi più noti sono quelli di Murlo e Acquarossa, i cui impianti, caratterizzati rispettivamente da uno e da più edifici disposti attorno a una corte scoperta, trovano confronti con alcuni p. del mondo microasiatico (Larissa sull'Hermos) e cipriota (Vounì).
Del p. di Murlo, messo in luce in località Piano del Tesoro, presso Poggio Civitate (v.), sono state individuate due fasi costruttive, datate rispettivamente al terzo venticinquennio del VII sec. e ai primi decenni del VI sec. a.C. L'edificio orientalizzante, costituito da una struttura a L, era decorato da acroteri a ritaglio (tra i più antichi rinvenuti in Europa) e da sime rampanti; fu distrutto da un incendio intorno al 600 a.C. Una ventina di anni dopo il complesso venne totalmente ricostruito: constava ora di diciotto ambienti di diverse dimensioni realizzati nella tecnica dell'argilla pressata (pisé) e disposti attorno a una corte centrale di c.a 40 m di lato. Il cortile era bordato su tre lati da portici coperti, come dimostra il rinvenimento di basi di colonne, in pietra; sul lato O, l'unico a non essere porticato, si apriva un sacello quadrangolare, interpretato come piccolo templum. Di eccezionale interesse è la decorazione architettonica del complesso arcaico, prodotta in argilla locale. Un fregio, formato da lastre di rivestimento eseguite a stampo e dipinte, doveva correre lungo il portico; le lastre, rinvenute in frammenti, illustrano quattro scene figurate: un banchetto, una corsa di cavalli, una processione e un'assemblea di personaggi seduti. A questa fase sono da attribuire, oltre alle antefisse e agli antepagmenta a forma di gorgone, e alle sime laterali con gocciolatoi a teste feline, un gruppo di figure - sedute e stanti - lavorate a tutto tondo; queste, interpretate come divinità poste a protezione dell'edificio, dovevano essere collocate sul columen del tetto del lato N, alternate probabilmente a rappresentazioni fantastiche (gorgoni in corsa). Il p. di Murlo fu demolito tra il 550 e il 530 a.C.: i suoi resti furono in gran parte inglobati in un aggere che rendeva impossibile l'accesso all'interno dell'area precedentemente occupata dall'edificio. Sulla funzione dell’apprestamento sono state avanzate numerose ipotesi: santuario, sede di una lega politico-territoriale, residenza aristocratica. A favore di quest'ultima ipotesi farebbe propendere il ritrovamento di ceramica da mensa e da fuoco, nonché di pìthoi destinati all'immagazzinamento di derrate.
A differenza del p. di Murlo, che sorge in posizione isolata, il complesso monumentale di Acquarossa (v.) si sviluppa su un pianoro tufaceo, urbanizzato a partire dalla fine del VII sec. a.C. Nella zona settentrionale del pianoro, assieme ad altre costruzioni di diverse dimensioni, è stato possibile individuare resti di edifici che, analogamente a quanto riscontrato a Murlo, presentano due fasi costruttive. Il complesso più antico, risalente all'ultimo quarto del VII sec. a.C., era formato da una serie di strutture che ruotavano attorno a una corte triangolare, circondata da portici. La planimetria del complesso trova stretti confronti in ambito greco (edificio F dell'agorà di Atene) ed etrusco-italico (edificio A di Satricum; quinta fase della Regia di Roma).
Alla fase arcaica appartengono due edifici a pianta rettangolare (A e C), disposti ad angolo retto e divisi al loro interno in più ambienti; il primo (A) è situato nella parte settentrionale dell'area, con la fronte rivolta a S; il secondo (C) si trova a E e ha la fronte rivolta verso O. Un portico (che doveva avere colonne in legno e capitelli e basi in peperino, alcune delle quali rinvenute in situ) correva lungo le due strutture e permetteva l'accesso a un cortile scoperto, di forma quadrangolare. La fronte dei due edifici era decorata da antefisse a testa femminile e da lastre dipinte a rilievo, prodotte con tecnica a matrice. Le lastre sono suddivisibili tipologicamente in due gruppi: il primo rappresenta due delle fatiche di Ercole (Ercole e il leone nemeo; Ercole e il toro cretese); il secondo, scene di vita artistocratica (banchetto e scena di danza orgiastica). L'esatto posizionamento dei crolli delle decorazioni architettoniche all'interno del cortile ha permesso di stabilire che i due edifici erano decorati esclusivamente sulle fronti interne e che soltanto l'edificio A doveva presentare contemporaneamente le quattro scene figurate; sull'edificio C, al contrario, erano collocate soltanto lastre con Ercole e il toro cretese. Anche nel caso di Acquarossa, il cui sviluppo appare più disorganico di quello osservato nel p. di Murlo, si è ipotizzata una destinazione di tipo aristocratico. Il complesso sarebbe dunque identificabile con la residenza di un princeps locale; le funzioni religiose, svolte a Murlo all'interno della struttura civile, sarebbero in questo caso assolte da un piccolo sacello, orientato in senso E-O e diviso in due ambienti, situato a S degli edifici sopra descritti.
Le importanti scoperte di Murlo e Acquarossa, che attestano l'uso di terrecotte architettoniche anche in edifici di uso civile, permettono di rivalutare il ruolo svolto dalla Regia di Roma, considerata non più come semplice luogo di culto, ma come vera abitazione regale, sin dalle fasi più antiche del suo sviluppo. È infine possibile stabilire punti di contatto tra architettura palaziale e templare: la pianta del Santuario di Montetosto, costruito tra il 530 e il 520 a.C., a pochi chilometri da Caere - un quadrato di c.a 180 m di lato - è stata infatti confrontata con quella degli edifici sopra citati.
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(L. Asor Rosa)
Roma. - Le fonti letterarie danno notizia delle residenze reali nella Roma arcaica, ma di esse non resta alcuna traccia archeologica cosicché è solo possibile avere un'idea di questi edifici attraverso le testimonianze meglio note dell'Etruria (v.). Soltanto nella tarda repubblica, con il formarsi delle ampie clientele delle grandi famiglie senatorie, la casa romana comincia ad assumere funzioni politiche; Vitruvio (VI, 5,2) spiega esplicitamente che nella casa del nobile devono esservi spazi ampi dove svolgere gli uffici con cittadini e seguaci e che la residenza deve essere lussuosa per aggiungere dignità al proprietario. Solo con la formulazione imperiale, tuttavia, il p. assume realmente il ruolo inconfessato di una reggia. L'eredità delle regge ellenistiche verrà variamente accolta e interpretata nelle residenze imperiali romane, che sembrano sfruttare ora l'uno ora l'altro dei modelli esistenti. Tuttavia le tormentate vicende edilizie del Palatino non permettono di ricostruire in modo plausibile la planimetria d'insieme della residenza imperiale dei primi decenni dell'impero; ci si deve dunque limitare a osservazioni parziali.
Quando Augusto sceglie il Palatino come sede per la sua dimora non segue soltanto una tradizione abitativa che era stata degli aristocratici della tarda repubblica, ma attua una scelta propriamente ideologica: sul colle si trovava la dimora del fondatore ed è nelle sue vicinanze che il princeps stabilirà la propria residenza. Di essa non si conosce l'intera estensione, ma il settore messo in luce presso il Tempio di Apollo si articola verosimilmente intorno a due peristili - l'uno a E, l'altro a O del tempio - con una serie di stanze delle quali nessuna sembra assolvere appieno le funzioni di rappresentanza. In larga parte la casa di Augusto dovette inglobare case già esistenti, come la c.d. Casa di Livia, ma sicuramente furono eseguiti lavori di monumentalizzazione della facciata Ν - almeno dopo l'incendio del 3 d.C. - se Ovidio, salendo dalla Via Sacra, poteva affermare di vedere «il monumentale accesso e i tetti degni di un dio» e credere di trovarsi davanti alla casa di Giove (Trist., III, 31-40). Non è possibile valutare appieno le soluzioni architettoniche adottate dal primo imperatore, si è invece in grado di ricostruire un attento programma di monopolio della sfera sacrale più cara ai Romani, che, ben oltre i suggerimenti riscontrati nelle regge ellenistiche, diventa - con la costruzione del Tempio di Apollo e il trasferimento del culto di Vesta - vera e propria commistione e identificazione: Ovidio potrà affermare che la casa ospita insieme tre dèi eterni (Fast., IV, 951-954).
Gli interventi degli immediati successori di Augusto sono meglio noti dalle fonti letterarie che dalle evidenze archeologiche: recenti studi hanno stabilito che la costruzione detta Domus Tiberiana risale in realtà all'età di Nerone; tale denominazione, che compare nel corso del I sec., dovrebbe dunque riferirsi più che a una costruzione del secondo imperatore, al luogo della sua casa natale.
Alle celebrate realizzazioni di Caligola si attribuiscono i resti di un atrio con piscina ornamentale e di un'altra sala rinvenuti sotto le costruzioni domizianee nell'angolo Ν del Palatino; dal racconto di Flavio Giuseppe (Ant. lud., XIX, 117) dell'uccisione di Caligola si desume che la struttura del p. era ancora quella augustea, nata dall'accorpamento di case repubblicane.
Ben poco è noto delle costruzioni relative alla Domus Transitoria di Nerone, mentre solo con la Domus Aurea si hanno nuovamente le tracce tangibili di un progetto unitario per un nuovo p., del quale non sappiamo quanto fosse stato attuato al momento della morte dell'imperatore. Anche delle realizzazioni relative alla Domus Aurea si conosce realmente solo una parte, mentre per altri settori non è del tutto sicura né l'attribuzione né la destinazione. L'enorme atrio della residenza, in cui si ergeva il Colosso, è stato da tempo identificato con l'area occupata in seguito dalla platea del Tempio di Venere e Roma; di qui si accedeva alla valle dove, intorno al lago - secondo le fonti - si disponevano edifici «simili a città» (Suet., Νer., 31). Il padiglione sul Colle Oppio, il settore meglio noto della residenza, è stato oggetto di ricerche accurate negli anni '70: ne è emerso un p. dalla struttura estremamente complessa, in cui si accostano settori (forse in parte precedenti) più legati alla tradizionale struttura a peristilio, e settori dalle sperimentazioni architettoniche assolutamente inedite. Il complesso si articolava su almeno due terrazze; quella inferiore presentava una facciata porticata estremamente mossa, in cui si aprivano due rientranze pentagonali; meno sicura la presenza di un avancorpo al centro, in corrispondenza dell'aula ottagona. Sulla terrazza superiore, di cui non si conosce l'intera estensione, si è potuta accertare la presenza di un peristilio e di un euripus. Meno chiare sono le realizzazioni neroniane sul Palatino: i bolli laterizi hanno permesso di assegnare a Nerone l'ampia platea rettangolare comunemente detta Domus Tiberiana.
Gli studiosi che hanno analizzato il monumento propongono di ricostruire sulla platea una compatta costruzione quadrata, articolata intorno a un peristilio rettangolare, con avancorpi al centro dei quattro lati; il tutto sarebbe isolato da aree a giardino e chiuso da un portico perimetrale. Questo sarebbe il nucleo principale della Domus Aurea sul Palatino, ma gli elementi su cui si basa una tale ricostruzione, che rappresenta un unicum assoluto nella storia dell'edilizia residenziale antica, sono così labili da indurre a una notevole prudenza anche nella determinazione della destinazione d'uso della platea. Alla Domus Aurea viene inoltre attribuita una serie di strutture riutilizzate nella Domus Flavia e una costruzione rotonda entro un perimetro quadrato, completamente obliterata dalle costruzioni domizianee.
L'attribuzione a Nerone di queste strutture è basata su alcuni bolli laterizi, la cui datazione potrebbe ugualmente scendere all'età di Vespasiano, al quale l'intero complesso viene assegnato secondo una recente ipotesi. Al di là di queste incertezze appare chiara la complessità del progetto neroniano che prevedeva la realizzazione di una città nella città. È stato giustamente osservato come l'estensione della domus inglobi alcuni punti nevralgici per la vita della capitale, come l'arrivo di alcuni acquedotti sull'Esquilino e forse sul Celio o il macellum della città, costruito dallo stesso Nerone sul Celio: siamo forse in presenza di un modello tipicamente orientale in cui lo stesso approvvigionamento della città è sottoposto al controllo del sovrano. Dal punto di vista architettonico e urbanistico il modello del complesso della Domus Aurea è dunque quello alessandrino, soprattutto alla luce delle ultime indagini nell'area dell'Arco di Costantino: forse un diretto riferimento si può riscontrare proprio negli edifici disposti intorno al lago «instar maris» (Suet., Ner., 31), un probabile richiamo alla disposizione portuale della capitale lagide.
Il progetto venne totalmente rivoluzionato dagli imperatori flavi, che sostituirono con edifici pubblici la maggior parte delle opere di Nerone. Alla dinastia flavia dobbiamo l'esempio meglio conosciuto di p., la cui planimetria generale è nota fin dall'inizio del secolo. Solo con le recentissime indagini nella platea del Tempio di Elagabalo si è potuto, però, apprezzare il progetto rabiriano nella sua interezza: qui è infatti venuta alla luce un'intera ala del p. che costituisce il pendant settentrionale della fronte S della Domus Augustana. Si è potuto così accertare che il corpo centrale del p., la Domus Augustana appunto si apre sia a Ν sia a S con un'esedra porticata. Se l'esedra che sovrasta il Circo Massimo può essere dettata da esigenze sostruttive, per il suo pendant settentrionale queste esigenze sono estremamente ridotte. Nella ripetizione della formula architettonica si deve quindi vedere una scelta, più estetica che strutturale, volta probabilmente a conferire maggiore organicità a un progetto che, dovendosi adattare a una variazione di orientamento, rischiava di apparire slegato e casuale. L'esedra Ν affacciava su un'area a giardini, situata su una terrazza di cui non è possibile stabilire l'esatta estensione a Ν e a E.
Le nuove acquisizioni non fanno che confermare la vecchia divisione proposta da tempo fra parte pubblica, identificata con la Domus Flavia, e parte privata della residenza, appunto la Domus Augustana. L'entrata al p., il limite fra lo spazio pubblico urbano e quello dell'imperatore, va individuato con certezza nell'Arco di Domiziano, ma la reale articolazione dell'accesso monumentale resta ancora ignota. L’Aula Regia, il vano centrale del settore di rappresentanza del p., è stata ricostruita, attraverso un'attenta analisi dei dati strutturali e delle coperture possibili, come un'aula alta c.a 30 m e coperta a capriata, con tre ordini sovrapposti di cui l'ultimo sarebbe un colonnato a giorno. A questa ricostruzione corrisponde il verso di un sesterzio domizianeo su cui si suppone raffigurata la parte di rappresentanza del palazzo.
Il progetto di Rabirio riprende modelli planimetrici e formule architettoniche ben note, ma la sua originalità è proprio nella capacità di comporre schemi elastici che rispondano alle esigenze del sito e rispettino, sia pure reinterpretandole, alcune strutture preesistenti, quali quelle rinvenute sotto l’Aula Regia e nel corpo che divide il peristilio centrale da quello inferiore nella Domus Augustana.
La dimora del Palatino rimane l'unica residenza ufficiale degli imperatori fino a Diocleziano. La grande mobilità degli imperatori della tetrarchia provoca invece un proliferare di sedi imperiali, al punto che non sappiamo con sicurezza neppure se alcune città ebbero un titolo ufficiale di capitale: certamente Massimiano risiedette a Milano e Costanzo Cloro a Treviri, Diocleziano passò lunghi periodi a Nicomedia, ma anche a Nicea e ad Antiochia, Galeno cambiò residenza assai di frequente e solo la presenza del celebre arco ha indotto gli studiosi a identificare Salonicco con la sede prediletta. Ognuna di queste città doveva avere strutture importanti per ospitare l'imperatore e l'esercizio del potere. Questi edifici vengono ormai definiti palatia: il codice di Giustiniano regolamenta e distingue nell'uso e nelle funzioni il palatium e il praetorium, mentre nel Codex Theodosianus si regolamenta l'uso dei p. da parte di alcuni magistrati nei periodi di assenza dell'imperatore. Il termine palatium ha quindi una valenza ufficiale e non è un caso che l'eccezionale edificio dioclezianeo di Spalato (v.) sia denominato villa.
A Milano (v.) la localizzazione del p. è assicurata da toponimi sopravvissuti nella topografia moderna: la residenza imperiale era situata nella zona O della città, dove venne costruito anche il circo. I pochi resti archeologici attribuiti al p. non sono sufficienti a formulare ipotesi sull'articolazione planimetrica dell'edificio, ma testimoniano l'assoluta indipendenza della residenza dal reticolo della città. A Treviri (v.) il p. viene edificato nella zona NE della città; qui si trova la celebre Basilica Costantiniana, che, grazie a recenti ricerche, si è potuta inserire in un contesto edilizio più ampio: l'aula, preceduta da un vestibolo absidato a O, si inserisce al centro di un quadriportico con criptoportico, interrompendolo (apparentemente non al centro) sull'asse N-S. Al p. di Costanzo Cloro vengono attribuiti i pochi resti rinvenuti al di sotto della basilica e della cattedrale.
Dal punto di vista archeologico nulla di certo è venuto alla luce a Nicomedia, Nicea, Sirmium (dove alcuni resti sono ipoteticamente attribuiti al p.) e l'unico sito in cui sia possibile esaminare una parte consistente del p. è Salonicco (v.). Esso occupa la fascia più orientale della città e vi si accede attraverso l'arco. Un asse N-S, attraversando l'arco nel senso della larghezza, collega la rotonda, identificata con il mausoleo, con un'aula-vestibolo; l'ingombro di questo asse è occupato a S da monumenti quali il Tempio del dio Cabiro o la Basilica. Il principale complesso venuto alla luce è costituito da un complicato corpo di ambienti disposti su tre lati di un piccolo peristilio e circondati da un ambulacro a sua volta chiuso da ambienti; a SO si trova l'ottagono che, secondo ricerche recenti, è un'aggiunta posteriore e andrebbe identificato, secondo un'ipotesi ancora da verificare, con il Mausoleo di Teodosio. Anche qui non è possibile avere un'idea completa del p., ma possiamo cogliere il carattere di p.-quartiere che occupa un'intera fascia della città ed è in rapporto strutturale con il circo. Secondo recentissime ricerche è probabile che il p. sia nato in prossimità di un altro edificio per spettacoli più antico, forse il teatro-stadio noto da fonti bizantine.
In base a questa brevissima rassegna, della serie di elementi comuni che una parte degli studiosi ha voluto ravvisare nei p. tardoantichi, due soli resistono alle serrate critiche di N. Duval: la posizione periferica della sede imperiale e lo stretto rapporto, a volte non solo topografico, ma anche strutturale, con il circo. Il rapporto con questo edificio per spettacoli è certamente un'eredità assai antica e, se si è voluto obiettare che tale legame era assolutamente casuale a Roma, almeno prima dei Flavi, non va dimenticato che Caligola, senza uscire dal Palatino, poteva assistere ai preparativi del circo dalla Domus Gelotiana (Suet., Cal., 18). Lo stesso legame p.-circo appare comunque rispettato nella residenza di Costantinopoli (v.), ampiamente descritta dalle fonti, di cui il circo è una delle pochissime parti riconosciute.
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(C. Cecamore)
Iran . - Epoca achemenide (VI-IV sec. a. C.). - Sono state oggetto di revisione le planimetrie di due delle principali strutture di carattere palaziale di Pasargade, i p. Ρ e S, entrambi costituiti da una sala ipostila centrale di pianta rettangolare racchiusa rispettivamente da due e da quattro portici. Nel p. Ρ la sala presenta cinque file di sei colonne e a ciascuna estremità del portico NO, più lungo di quello SE, si trova un ambiente distilo. Secondo G. de Francovich, i due spazi che affiancano la sala centrale (nei quali E. Herzfeld poneva altri due portici) sarebbero stati liberi da costruzioni e occupati da alberi e piante. Una medesima utilizzazione è stata ipotizzata dallo studioso per i dieci minuscoli «vani» (cui Herzfeld attribuiva un'improbabile, date le dimensioni, funzione abitativa), siti ai margini della sala. D. Stronach (1978) ritiene invece si tratti di fondazioni per pilastri in mattoni crudi. È pertanto difficile asserire il carattere residenziale di tale struttura «aperta», forse da identificare con una sala per udienze (v. oltre). Nel p. S la copertura della sala è sostenuta da due sole file di colonne e i due portici maggiori (NE e SO) sono di uguale lunghezza. Stronach (1989) ha dedicato particolare attenzione all'organizzazione dei giardini, che nella capitale di Ciro dovevano svolgere un ruolo di grande rilievo.
Nel 1973 sono stati riportati alla luce a Dašt-e Gohar, presso Persepoli, i resti di un edificio palaziale di pianta analoga a quella delle strutture sopra descritte, in particolare del p. S: sala rettangolare (99 x 36 m) con cinque file di colonne e due portici (lati SE e NO) di uguale lunghezza con due file di colonne. La costruzione daterebbe dall'epoca di Cambise (529-523 a.C.), come la non lontana sepoltura regale di Takht-e Rostam; entrambi i monumenti rimasero incompiuti (il p. a uno stadio non molto avanzato dei lavori) probabilmente a causa della morte del sovrano. Si è ipotizzata l'appartenenza di tali strutture a un vasto complesso residenziale - una nuova capitale voluta da Cambise - di concezione simile a quella di Pasargade, del quale la piana del Marvdašt potrebbe celare ulteriori resti.
Le attività di restauro svolte negli anni '70 a Persepoli dai coniugi Tilia hanno consentito di delineare con maggiore precisione la storia costruttiva del monumentale complesso, offrendo spunto a nuove interpretazioni sui singoli edifici e sui loro rapporti (v. persepoli). È stato possibile stabilire che l'originario impianto di Dario (522-486 a.C.), con scalinata d'accesso sul lato S della terrazza, prevedeva un apadāna di dimensioni più contenute e di planimetria affine a quella del p. S di Pasargade e del p. di Dašt-e Gohar (sala centrale rettangolare). La costruzione dell'imponente apadāna di cui sono attualmente visibili i resti (molto probabilmente ispirato a quello di Susa) avrebbe avuto inizio alla fine del regno di Dario, per essere poi in gran parte portata a compimento da Serse (486-465 a.C.) e, forse, da Artaserse I (465-424 a.C.). Nel progetto di ampliamento dell’apadāna concepito da Dario, la facciata principale dell'edificio era situata sul lato E con un'imponente scalinata decorata da bassorilievi; il trasferimento dell'accesso alla terrazza dal lato S a quello O, all'epoca di Serse, fece acquistare rilievo alla facciata Ν dell’apadāna, cui fu conferito carattere monumentale tramite la realizzazione di una scalinata in tutto simile a quella della facciata E (Koch, 1987). A Serse si deve inoltre il completamento del p. di Dario (tačara), nonché l'inizio della costruzione del c.d. harem e dell'immensa «Sala dalle cento colonne». Secondo L. Trümpelmann (1983), l'«harem» sarebbe in realtà un complesso di unità abitative per gli ospiti del sovrano, mentre, riprendendo un'ipotesi di R. E. M. Wheeler, lo studioso individua nella «Sala dalle cento colonne» e nel1'apadāna (come pure nei p. S e Ρ di Pasargade) rispettivamente la sala per le udienze concernenti i casi di ordinaria amministrazione e la sala in cui il Gran Re riceveva i personaggi di alto rango. Ad Artaserse I sono attribuiti ulteriori interventi sulle strutture preesistenti e la costruzione di nuove (p.es. il trìpylon).
Nel suo impianto definitivo il complesso palaziale di Persepoli non può dunque essere considerato attuazione di un progetto unitario risalente a Dario, sovrano che, soprattutto nella prima fase del suo regno, raccoglie e continua l'eredità architettonica dei suoi predecessori. Fu con ogni probabilità Susa il luogo della sperimentazione di una nuova concezione architettonica che, sebbene legata alle tipologie edilizie precedenti, si caratterizza per l'imponenza delle strutture e per una più studiata organizzazione delle stesse nello spazio. Tali principi avrebbero successivamente trovato applicazione anche a Persepoli, ma in gran parte per opera dei successori di Dario.
Gli scavi effettuati a Susa tra il 1968 e il 1978 dalla Delegazione Archeologica Francese in Iran, sotto la guida di J. Perrot, hanno portato alla scoperta di nuove strutture, tra cui si segnalano i propilei di Dario, nel settore NO della «Città regale», e la porta monumentale del p. di Dario sul tepe dell’apadāna (Perrot, 1981). Uno studio di R. Boucharlat (1990) analizza le cause della quasi totale scomparsa delle strutture architettoniche nel sito. Il complesso palaziale non fu oggetto di distruzione deliberata; edificato in terra cruda, esso entrò assai presto in uno stato di decadenza, benché alcune sue parti fossero riutilizzate o integrate in nuove strutture in epoca ellenistica. Non lontano da Susa, nella piana attraversata dal fiume Šawr, è stato riportato alla luce nel 1968 un altro edificio palaziale che un'iscrizione attribuisce ad Artaserse II (405-359 a.C.). La planimetria della struttura principale è quella ormai tradizionale dell’apadāna: sala quadrata ipostila (otto file di otto colonne), portici con doppia fila di colonne su tre lati della sala e quattro torri quadrate agli angoli della costruzione (cfr. apadāna di Susa) (Boucharlat, Labrousse, 1972 e 1979).
Ricorderemo, infine, che le terrazze artificiali di Masjed-e Solaymān e Bard-e Nesānda, già considerate da R. Ghirshman pertinenti a un impianto palaziale (v. vol. V, p. 855), sono state successivamente ricondotte dallo stesso autore a due complessi cultuali (R. Ghirshman, Terrasses sacrées de Bard-è Néchandeh et Masjid-i Solaiman, 2 voll., Parigi 1976).
Epoca panica (III sec. a.C.-III sec: d.C.). - Uno dei monumenti di maggiore interesse è costituito dal p. di Kuh-e Khwāǰa (Sistan, Iran orientale), studiato da E. Herzfeld e poi da G. Gullini. La fondazione del p., che Gullini attribuisce al periodo achemenide sulla base di dati estremamente incerti, è ormai collocata dalla maggior parte degli studiosi in epoca partica; nel corso di questo lungo periodo hanno luogo le trasformazioni nella corte centrale, che viene a essere circondata da ambienti disposti su due livelli; i due grandi iwān sui lati E e O della corte sarebbero un'aggiunta sasanide. Il momento di fioritura del p. di Kuh-e Khwāǰa coincide con la fine del periodo partico, cui risale gran parte dei frammenti di pittura murale in esso rinvenuti (Faccenna, 1981).
A epoca partica (I sec. d.C.) sono state datate le rovine di Qal'a-ye Zohak (Azerbaigian iraniano), dove gli scavi di W. Kleiss hanno riportato alla luce un'area rettangolare fortificata che probabilmente ospitava un complesso palaziale. La struttura di maggior interesse (e meglio conservata) è un padiglione a pianta quadrata con tre ingressi ad arco e copertura a volta, situato a picco sul fiume che costeggia un lato del sito. Nella parte alta delle pareti esterne, al di sotto di una merlatura, è una decorazione in stucco inciso a motivi geometrici e una serie di nicchie scalari. Dalle vicinanze del padiglione e da altri punti dell'area palaziale provengono resti di decorazione architettonica in pietra, tra cui un frammento di capitello o fregio a foglie d'acanto. Sulla base di confronti con il p. di Assur è stata proposta per Qal'a-ye Zohak una datazione al I sec. d.C. (Kleiss, 1973).
Epoca sasanide (III-VII sec. d.C.). - Oltre ai p. di Qal'aye Dokhtar e di Firuzābād (v.), datati all'epoca del re Ardašīr I (224-243 d.C.), è particolarmente degno di menzione il p. di Bišāpur, a SO di Shiraz. Il quartiere palatino occupa il settore Ν della città, con ogni probabilità fondata da Šābuhr I (242-272 d.C.); gli scavi di R. Ghirshman e G. Salles e, più di recente, dell'iraniano A. Sarfaraz hanno portato in luce un settore di indubbio interesse architettonico e decorativo, ma di estensione limitata rispetto all'area totale dell'impianto, quale è indicata dalla fotografia aerea. Fulcro del settore scavato dal Ghirshman è un'ampia sala cui quattro iwān conferiscono una pianta cruciforme (più precisamente stellare); la parte centrale dell'ambiente era probabilmente coperta da una cupola, le pareti erano movimentate da sessantaquattro nicchie rivestite di stucco. Un ambiente attiguo ha restituito ampi resti di una pavimentazione a mosaico policromo figurato, tecnica decorativa assolutamente inusuale in ambito iranico; nonostante la presenza di soggetti cari al gusto locale e destinati a grande successo nella toreutica sasanide (danzatrici, musicanti, figure che intrecciano ghirlande, ecc.), è evidente l'apporto iconografico e, soprattutto, tecnico dell'arte musiva tardo-romana. Suo tramite si ritiene furono gli artigiani fatti prigionieri da Šābuhr nella Siria romana e da lui impiegati per la realizzazione di opere architettoniche e artistiche. Gli scavi condotti dal Centro Iraniano di Ricerca Archeologica hanno riportato alla luce una grande corte con iwān dalle pareti decorate da lesene in stucco, un'altra sala con nicchie semicircolari e ambienti di servizio. Va segnalato che un'interpretazione diversa da quella tradizionale è stata proposta da D. Huff (1993) il quale, in base alla presenza di una sala semisotterranea (forse destinata ad abluzioni rituali) nelle adiacenze dell'ambiente cruciforme e ad altre considerazioni di carattere architettonico, è propenso ad attribuire una funzione cultuale alle strutture descritte, e più in generale all'intero complesso di Bišāpur: il sito potrebbe identificarsi con il monumentale tempio del fuoco di Šābuhr I, forse il Gumbad Gawser ricordato da al-Iṣṭakhrī.
Anche nel sito di Haǰiābād, scavato negli anni '70 da M. Azarnoush, sono emersi i resti di un impianto palaziale. Nel c.d. settore ufficiale del p. sono venuti alla luce i resti di due corti e due iwān, uno dei quali presenta nicchie parietali rivestite di stucco a rilievo. L'uso decorativo dello stucco è testimoniato anche nella sala principale del settore religioso; oltre a frammenti di decorazione parietale a motivi floreali, zoomorfi e geometrici, in questo ambiente si sono preservati resti di sculture, per più busti di figure maschili aristocratiche e figure femminili, alcune delle quali originariamente alloggiate nelle nicchie. Nel p. è stato individuato anche un nucleo residenziale. La datazione del complesso all'epoca di Šābuhr II (309-379 d.C.), proposta dall'Azarnoush (1983; 1994), si basa essenzialmente su confronti iconografici tra alcune sculture in stucco e l'iconografia monetale del suddetto sovrano; l'autore non esclude tuttavia una cronologia alquanto più tarda.
Le strutture della terrazza di Kangāvar (v.), a lungo interpretate come i resti di un tempio di Anāhitā di epoca seleucide e partica, sarebbero pertinenti, secondo uno studio di M. Azarnoush (1981), a un edificio palaziale tardo-sasanide (VI-VII sec.). Traendo spunto da un'ipotesi di O. Grabar, L. Bier (1986) ha dedicato un'approfondita analisi al p. di Sarvestān, tradizionalmente datato a epoca sasanide, modificandone la cronologia e proponendone una diversa interpretazione funzionale: si tratterebbe con ogni probabilità di un tempio del fuoco eretto in piena epoca islamica (IX sec.). Analogo potrebbe essere il contesto cronologico e culturale del p. di Qasr-e Širin.
Sull'architettura palatina partica e sasanide resta ancora molto da chiarire. Le strutture messe in luce dall'archeologia costituiscono un insieme eterogeneo dal punto di vista delle tipologie architettoniche. Accanto a impianti di dimensioni imponenti, per i quali tuttavia un'interpretazione funzionale globale dei diversi settori è ostacolata dalla limitata estensione degli scavi (p.es. Bišāpur) o dall'insoddisfacente stato di conservazione delle strutture (p.es. Ctesifonte), sono testimoniati p. isolati e di dimensioni più contenute, ma dalla planimetria ben leggibile nel suo complesso. È il caso di QaFa-ye Dokhtar, fondazione di Ardašir I, dove tuttavia il sovrano probabilmente risiedette solo nei primi anni di regno. Si dovrà inoltre tener presente l'eventualità che taluni p. fossero sedi di governatori locali. Le nuove scoperte hanno tuttavia apportato nuove conferme sul legame di continuità, a lungo negato, tra le epoche partica e sasanide nel campo delle tipologie e delle tecniche edilizie, nonché della decorazione architettonica (Vanden Berghe, 1987).
Bibl.: Epoca achemenide: E. F. Schmidt, Persepolis, I. Structures, Reliefs, Inscriptions (OIP, LXVIII), Chicago 1953; R. Ghirshman, Notes iraniennes VII. A propos de Persépolis, in ArtAs, XX, 1957, pp. 265-278; id., L'apadana de Suse, in IrAnt, III, 1963, pp. 148-154; id., Arte Persiana. Proto-Iranici, Medi e Achemenidi, Milano 1964, passim; G. Gullini, Architettura iranica dagli Achemenidi ai Sasanidi. Il «palazzo» di Kuh-i Khwaja (Seistan), Torino 1964 (rec. G. Tucci, in EastWest, XVI, 1966, pp. 143-147); G. de Francovich, Problems of Achaemenid Architecture, in EastWest, XVI, 1966, pp. 201-260; F. Krefter, Persepolis. Rekonstruktionen (Teheraner Forschungen, III), Berlino 1971; A. Labrousse, R. Boucharlat, La fouille du Palais du Chaour à Suse en 1970 et 1971, in Cahiers de la Délégation Archéologique Française en Iran, II, 1972, pp. 61-104; F. Krefter, Persepolis. A Propos: Beiträge zur Funktionsbestimmung, in AMI, n.s., VI, 1973, pp. 153-161; D. Stronach, Pasargadae. A Report on the Excavations Conducted by the British Institute of Persian Studies, Oxford, 1978; R. Boucharlat, A. Labrousse, Le palais de Artaxerxès II sur la rive droite du Chaour à Suse, in Cahiers de la Délégation Archéologique Française en Iran, X, 1980, pp. 21-82; W. Kleiss, Zur Entwicklung der achaemenidischen Palastarchitektur, in IrAnt, XV, 1980, pp. 199-211; G. Walser, Persepolis. Die Königspfalz des Darius, Tubinga 1980; J. Perrot, L'architecture militaire et palatiale des Achéménides à Suse, in 150 Jahre Deutsches Archäologisches Institut 1829-1979, Magonza 1981, pp. 79-94; L.Trümpelmann, Zu den Gebäuden von Persepolis und ihrer Funktion, in H. Koch, D. N. MacKenzie (ed.), Kunst, Kultur und Geschichte der Achämenidenzeit und ihr Fortleben (AMI, Suppl. X), Berlino 1983, pp. 225-237; D. Stronach, The «apadana». A Signature of the Line of Darius I, in J.-L. Huot (ed.), De l'Indus aux Balkans. Recueil à la mémoire de J. Deshayes, Parigi 1985, pp. 433-445; P. Amandry, Le système palatial dans la Perse achéménide, in E. Lévy (ed.), Le système palatial en Orient, en Grèce et à Rome. Actes du colloque de Strasbourg 1985, Leida 1987, pp. 159-172; H. Koch, Einige Überlegungen zur Bauplannung in Persepolis, in AMI, XX, 1987, pp. 147-159; R. Schmitt, D. Stronach, in Encyclopaedia Iranica, II, 1987, pp. 145-148, s.v. Apadāna·, D. Stronach, The Royal Garden at Pasargadae: Evolution and Legacy, in L. De Meyer, E. Haerinck (ed.), Archaeologia Iranica et Orientalis. Miscellanea in Honorem Louis Vanden Berghe, Gand 1989, pp. 475-502; R. Boucharlat, La fin des palais achéménides de Suse: une mort naturelle, in F. Vallat (ed.), Contribution à l'histoire de l'Iran. Mélanges offerts à Jean Perrot, Parigi 1990, pp. 225-233; H. Koch, Es kündet Dareios der König. Vom Leben im persischen Großreich, Magonza 1992, p. 73 ss.
Epoca partica e sasanide: R. Ghirshman, Bîchâpour, II. Les mosaïques sassanides (Musée du Louvre - Département des antiquités orientales. Série archéologique, VII), Parigi 1956; id., Arte Persiana. Parti e Sassanidi, Milano 1962, passim; O. Grabar, Sarvistan, a Note on Sasanian Palaces, in Forschungen zur Kunst Asiens. In Memoriam Kurt Erdmann, Istanbul 1969, pp. 1-8; R. Ghirshman, Bîchâpour, I (Musée du Louvre-Département des antiquités orientales. Série archéologique, VI), Parigi 1971; W. Kleiss, Qal'eh Zohak in Azerbaïdjan, in AMI, n.s., VI, 1973, pp. 163-188; J. Schmidt, Qasr-i Širin, Feuertempel oder Palast?, in BaM, IX, 1978, pp. 39-47; M. Azarnoush, Excavations at Kangavar, in AMI, XIV, 1981, pp. 69-94; D. Faccenna, A New Fragment of Wall-Painting from Ghâga Sahr (Kūh-i Hvāğa - Sīstān, Iran), in EastWest, XXXI, 1981, pp. 83-97 (con bibl. prec.); L. Bier, Sasanian Palaces in Perspective, in Archaeology, XXXV, 1982, pp. 29-36; M. Azarnoush, Excavations at Hâjîâbâd, 1977. First Preliminary Report, in IrAnt, XVIII, 1983, pp. 159-176; L. Bier, Sarvistan. A Study in Early Iranian Architecture, Filadelfia-Londra 1986; L. Vanden Berghe, L'heritage parthe dans l'art sasanide, in Transition Periods in Iranian History. Actes du Symposium de Fribourg-en-Brisgau 1985 (Cahiers de Studia Iranica, V), Parigi 1987, pp. 241-252; D. Huff, Architecture sassanide, in Splendeur des Sassanides. L'empire perse entre Rome et la Chine (224-642) (cat.), Bruxelles 1993, pp. 45-61; M. Azarnoush, The Sasanian Manor House at Hājīābād, Iran (Monografie di Mesopotamia, III), Firenze 1994.
V. inoltre le voci firuzābād; iranica, arte; kangāvar; persepoli; susa, con rispettive bibliografie.
(C. Lo Muzio)
Asia centrale. - Negli ultimi decenni sono stati riportati alla luce nel territorio della Battriana alcuni interessanti esempi di architettura monumentale databili tra il II e la metà del I millennio a.C., la cui destinazione palaziale, asserita dai rispettivi scopritori, è tuttavia da considerare con cautela. Di particolare interesse è la planimetria del più antico dei p. che prenderemo in considerazione, quello di Dašlï-3, nell'Afghanistan settentrionale, datato alla prima metà del II millennio a.C. (v. battriana): diversi gruppi di ambienti sono distribuiti all'interno di una corte racchiusa da una cinta quadrata, interamente percorsa da uno stretto corridoio; da ogni lato della cinta si diparte verso l'esterno una serie di ambienti a forma di Τ e L. A una concezione planimetrica affine si ispira un edificio coevo di Sapalli Tepe (Uzbekistan meridionale): anche qui troviamo gruppi di vani disposti all'interno di una corte quadrata, circondata da un muro e da una serie di ambienti a T, due per lato (Askarov, 1973). Un presunto complesso palaziale è stato portato alla luce nella cittadella di Jarkutan (XV-X sec. a.C.). Di pianta quadrata (42 x 42 m), e difeso da una cinta rinforzata da tredici torri, esso comprende c.a quindici ambienti rettangolari (dimore e laboratori) disposti lungo le mura che si affacciano sulla parte centrale della costruzione, nella quale sorge una grande piattaforma. All'ambiente 6, il più ampio (5,2 x 5,4 m), è stata attribuita una funzione cultuale in base al rinvenimento, al suo interno, di un altare del fuoco a pianta circolare.
Sono state interpretate come residenze palaziali altre due strutture portate alla luce nell'Afghanistan settentrionale, non lontano da Dašlï, risalenti alla prima metà del I millennio a.C. Si tratta dei due monumenti di Altïn-10 (I e II). Il primo consiste in un vasto spazio rettangolare racchiuso da una cinta e separato in due corti di uguale ampiezza da una struttura trasversale con piattaforma in mattoni crudi che, a Ν e a S, si prolunga in due gruppi di ambienti uguali e simmetrici; lungo i quattro lati della cinta corre un porticato con pavimentazione in mattoni. Il secondo è di pianta quadrata e comprende una serie di ambienti rettangolari disposti su tre lati di una corte quadrata; sul lato E è situata l'entrata, affiancata da due coppie di ambienti disposti in senso trasversale. Ai quattro angoli del complesso sono due vani quadrati (NO e SO) e due rettangolari distili (NE e SE); al centro della corte si trova una vasca. L'organizzazione interna di entrambe le costruzioni (caratterizzate da planimetrie notevolmente diverse), in cui non è dato riconoscere settori chiaramente differenziati su base funzionale (ambienti residenziali, di parata, di servizio, ecc.), rende ipotetica l'interpretazione di V. Sarianidi secondo cui si tratterebbe di due residenze palaziali, rispettivamente «estiva» e «invernale». Considerato che Altïn-10 I e II trovano i confronti più prossimi in due edifici cultuali achemenidi di Dahan-e Gholamān (Sistan iraniano) si potrebbe supporre che i due monumenti afghani assolvessero, secondo modalità che non conosciamo, una funzione al contempo politica e cultuale.
A epoca achemenide risale il p. di Kalalï Gïr I (Chorasmia). Gli scavi hanno interessato c.a un sesto della sua estensione, tuttavia è stata proposta una ricostruzione completa della pianta. L'edificio occupa un'area quasi quadrata (75 x 80 m), con due corti adiacenti sui lati E e S, e comprende trenta ambienti disposti attorno a due corti interne; una di queste presenta una grande nicchia (largh. 10,5 m, prof. 4,2 m) al centro di ciascun lato. In diversi ambienti erano una o due file di colonne, di cui restano alcune basi in pietra a gradini con toro. Benché ne fosse stata ultimata la costruzione, il p. di Kalalï Gir I non sembra essere stato mai abitato; si è ipotizzato che l'edificio, destinato a ospitare un rappresentante dell'amministrazione achemenide, rimase inutilizzato a causa dell'acquisizione dell'autonomia da parte della Chorasmia (Rapoport, Lapirov-Skoblo, 1963).
Il p. di Ai Khānum (v.), in Battriana (III sec.-metà II sec. a.C.), testimonia in modo esemplare quanto l'architettura palaziale d'epoca greco-battriana abbia accolto e ulteriormente sviluppato l'eredità delle tradizioni locali (muratura in crudo, planimetria delle unità residenziali) e, in generale, dell'Oriente antico (schema generale articolato in diversi settori e corti separati da corridoi). L'apporto greco nel p. di Ai Khānum, che secondo P. Bernard sarebbe stato abitato nella sua fase finale dal re Eucratide (170-145 a.C.), è evidente in determinate tipologie architettoniche (corti porticate), nell'impiego della pietra per colonne e pavimentazioni, nella decorazione (mosaico).
A Nisa Vecchia, la prima capitale degli Arsacidi, sono state riportate in luce alcune delle strutture di un «complesso templare-palaziale». Sebbene non siano stati individuati settori con funzione residenziale, oltre a due strutture cultuali («Tempio circolare» e «Tempio a torre») si segnalano in particolare due edifici monumentali. La «Sala Quadrata» (20 x 20 m), costruita nel II sec. a.C., era un ambiente tetrastilo con cinque entrate, pareti suddivise in due registri sovrapposti, scompartiti da lesene e semicolonne, e copertura piatta, per il quale sono state ipotizzate funzioni molto diverse (sala per ricevimento; mausoleo; tempio del fuoco); intorno agli inizi della nostra era la sala subì significativi rimaneggiamenti (riduzione del numero degli accessi, nicchie con sculture in argilla cruda nel registro superiore delle pareti, colonne a sezione quadrilobata) e, secondo G. A. Pugačenkova, divenne sede del culto degli antenati divinizzati. La «Casa Quadrata» (59,7 x 59,7 m), il cui impianto originario risalirebbe al II sec. a.C., presenta una corte centrale porticata, circondata da dodici ambienti uguali con banchi d'argilla alle pareti e quattro colonne lungo l'asse longitudinale; interpretata dalla Pugačenkova come luogo di deposizione delle spoglie dei sovrani arsacidi, questa struttura si segnala anche per la ricchezza dei materiali rinvenuti (soprattutto i circa quaranta rhytà decorati a rilievo) negli ambienti che, nel corso del tempo, venivano murati e sigillati (su Nisa, v. anche partica, arte).
Le nostre conoscenze sull'architettura palatina d'epoca kuṣāṇa sono ancora lacunose. L'unico monumento che sia stato ricondotto a tale tipologia è il p. di Khalčayan (v.). Tuttavia l'edificio, sia per le dimensioni modeste (35 x 26 m) sia per l'organizzazione degli ambienti (di esiguo numero), si dimostra inadatto a essere interpretato come vera residenza palaziale, essendo più simile a un padiglione probabilmente utilizzato in occasioni di carattere ufficiale o privato (udienze, banchetti o cerimonie). Sull'identificazione del governante raffigurato nel fregio della sala del p. con Heraos, sovrano proto-kuṣāṇa noto dalle effigi monetali, e la conseguente datazione del monumento al I sec. a.C. da parte di G. A. Pugačenkova, sono stati sollevati ragionevoli dubbi, che rendono più plausibile una sua attribuzione al I sec. d.C.
Di dimensioni imponenti (80 x 80 m) e dalla planimetria notevolmente articolata è il p. di Toprak Kala, occupante la parte NO del sito chorasmiano (per la descrizione, v. chorasmia). L'ipotesi che l'edificio, datato al II-III sec. d.C., fosse principalmente adibito a luogo di culto dinastico e che il p. vero e proprio sia da identificare con l'edificio extra muros riportato alla luce a Ν della città, non sembra convincente; sui vari aspetti concernenti l'interpretazione funzionale del monumento si rimanda alle acute considerazioni di F. Grenet (1986). Si può infine osservare che nel p. di Toprak Kala l'apporto della tradizione ellenistico-orientale, esemplificata da Ai Khānum, sembra del tutto assente, mentre è possibile indicare elementi caratteristici dell'architettura palatina chorasmiana del I millennio a.C. (p.es. ambienti con fila centrale di colonne, come nel p. di Kalalï Gïr I). Il p. di Toprak Kala si segnala infine per la ricca decorazione scultorea e pittorica.
Di epoca alquanto più tarda (V-VI sec.) è l'edificio palaziale scavato di recente nel settore settentrionale di Er Kurgan (Sogdiana), probabile residenza di un governatore locale. Di pianta rettangolare (120 x 90 m) e poggiante su una piattaforma in mattoni crudi (alt. 5 m), la costruzione ha rivelato un nucleo di rappresentanza nella sua parte N, costituito da due ambienti circondati su tre lati da un corridoio e preceduti (a E) da un'ampia corte quadrata; tale schema è probabilmente da ricondurre a una planimetria che aveva già trovato applicazione in epoca greco-battriana (settori residenziali del p. e dimore di Ai Khānum) e kuṣāṇa (dimore di Dilberǰin e Dalverzin Tepe).
L'architettura palaziale alto-medievale (VI-VIII/IX sec.) è esemplificata nelle capitali dei principati locali: Afrāsyāb (v.), Varakhša (v.), Qal'a-ye Kakhkakha (v. ustrušana). A Penǰikent (v.) è stata scavata la residenza di Devaštič, governatore della città. Il p. (60 x 40 m) sorgeva nella «corte esterna» della cittadella, a un livello intermedio tra quest'ultima e lo šahrestān. Il nucleo di rappresentanza è costituito da tre grandi ambienti e da un lungo corridoio. La parte SO del gruppo è occupata dalla sala del trono (18,5 x 12,5 m); la metà S dell'ambiente presenta un livello pavimentale più alto, nella sua parte E si conserva un basamento, probabile supporto del trono del governante (sull'altro lato avrebbe potuto esservene uno simile per la consorte; Isakov, 1971); ma è forse più plausibile l'ipotesi che il trono fosse collocato all'interno della nicchia che si apre sul fondo della sala (Abdulloev, 1990). A E della sala del trono si trova un ambiente tetrastilo (11 x 10 m) con banco lungo le pareti e podio aggettante sul lato S; un basamento quadrato con consistenti tracce di combustione, situato quasi al centro dell'ambiente, fungeva probabilmente da sostegno a un altare. Più a Ν è un altro ambiente tetrastilo con banchi lungo le pareti e podio a gradini sul lato N. Della decorazione pittorica e in legno intagliato, che interessava tutti gli ambienti descritti, non restano che esigui frammenti. Il p. cessò di esistere per l'attacco sferrato dagli Arabi nel 721-722 d.C.
Va constatato che la sala del trono (sulla cui identificazione nei singoli complessi le opinioni sono talvolta discordi) è forse l'unico elemento peculiare dei p. alto-medievali, che per il resto non denotano caratteristiche tipologiche distintive, da un lato rispetto alle residenze private, se non per le proporzioni e la ricchezza dell'allestimento decorativo (p.es. dimore di Penǰikent), dall'altro rispetto alle fortezze-castello, sedi dell'aristocrazia terriera, che nell'epoca in questione sorgono numerose in quasi tutto il territorio centroasiatico.
Bibl.: S. P. Tolstov, Po drevnim del'tam Oksa i Jaksarta («Sugli antichi delta dell'Oxus e dello Jassarte»), Mosca 1962; A. Isakov, Dvorec pravitelej drevnego Pendžikenta («Il palazzo dei governatori dell'antica Penǰikent»), in Strany i Narody Vostoka, X, Mosca 1971, pp. 76-82; A. Askarov, Sapallitepa, Taškent 1973; A. Isakov, Raskopki dvorca pravitelej drevnego Pendžikenta («Scavi del palazzo dei governatori dell'antica Penǰikent»), in Arkheologičeskie roboty ν Tadžikistane, XI, 1975, pp. 223-235; P. Bernard, Les traditions orientales dans l'architecture gréco-bactrienne, in Journal Asiatique, CCLXIV, 1976, pp. 245-275; V. Sarianidi, Drevnie zemledel'cy Afganistana («Gli antichi agricoltori dell'Afghanistan»), Mosca 1977, passim; P. Bernard, Problèmes d'histoire coloniale grecque à travers l'urbanisme d'une cité hellénistique d'Asie Centrale, in 150 Jahre Deutsches Archäologisches Institut 1829-1979, Magonza 1981, pp. 108-120, in part. 114-116; A. A. Askarov, Β. Ν. Abdullaev, Džarkutan (k probleme protogorodskoj civilizacii na juge Uzbekistana) («Jarkutan. Sul problema della civiltà protourbana nell'Uzbekistan meridionale»), Taškent 1983; Β. Brentjes, Das «Ur-Mandala» (?) von Daschly-3, in IrAnt, XVIII, 1983, pp. 25-49; J. A. Rapoport, Ε. E. Nerazik (ed.), Toprakkala. Dvorec («Toprak Kala. Il palazzo») (Trudy Khorezmskoj Arkheologo-Etnografičeskoj Ekspedicii, XIV), Mosca 1984; G. A. Košelenko (ed.), Drevnejšie gosudarstva Kavkaza i Srednej Azii («I più antichi stati del Caucaso e dell'Asia centrale»), Mosca 1985, passim; V. Sarianidi, Monumentai Architecture of Bactria, in J.-L. Huot (ed.), De l'Indus aux Balkans. Recueil â la mémoire de J. Deshayes, Parigi 1985, pp. 417-432; F. Grenet, Palais ou palais-temple? Remarques sur la publication du monument de Toprak-kala, in Studia Iranica, XV, 1986, I, pp. 123-135; D. Abdulloev, K strukture tronnykh zalov dvorcov pravitelej Maverannakhra VII-VIII vv.n.e. («Sulla struttura delle sale del trono nei palazzi dei sovrani del Mawarannahr»), in Kratkie Soobščenija. Arkheologija Srednej Azii, Kavkaza i Sibiri, CXCIX, 1990, pp. 28-30; N. J. Nefedov, Nekotorye itogi raskopok dvorcovogo kompleksa Erkurgan («Alcuni risultati degli scavi del complesso palaziale di Er Kurgan»), in Istorija material'noj kul'tury Uzbekistana, XXIV, 1990, pp. 107-116. V. inoltre le bibliografie dei singoli lemmi cui è fatto esplicito rimando nel testo.
(C. Lo Muzio)
India. - L'architettura palatina dell'India preislamica è materia ancora insufficientemente studiata. Data la scarsità della testimonianze archeologiche, le nostre conoscenze sono ancora in gran parte dipendenti dalle fonti letterarie, pur integrate da una ricca documentazione iconografica.
L'attribuzione a un edificio palaziale dell'imponente sala ipostila d'epoca maurya a Kumrāhar (Pāṭaliputra, v.), le cui ottanta colonne in arenaria polita avevano fatto ipotizzare un'ispirazione al modello dell’apadāna achemenide, è tutt'altro che certa, considerato l'assoluto isolamento della struttura in questione, distrutta da un incendio nella metà del II sec. a.C.
Gli scavi di Sirkap (Taxila) rappresentano forse l'unico caso nel subcontinente in cui agli archeologi si sia rivelata quasi nella sua interezza la planimetria di un complesso palaziale (Block Κ), per di più inserito in un tessuto urbano ben leggibile. La costruzione è situata nel centro cittadino, non lontana dall'incrocio tra le due arterie principali, con una fronte di 107 m sulla via principale, e una profondità di 125 m. Le parti più antiche del p. furono realizzate in una muratura di pietrame, rivestita, negli ambienti di particolare importanza, da una fodera in arenaria (kanjūr). Il p. era accessibile tramite tre entrate di modeste dimensioni. Quella principale, situata sulla via principale, immetteva in una corte; da questa, percorso un corridoio, si raggiungeva la «Corte per le udienze private», pavimentata con blocchi di calcare di formato irregolare. A sostegno della copertura era una fila di quattro pilastri. Attorno a questa corte erano raggruppati gli ambienti più ampi e meglio rifiniti del complesso, tra cui una sala da banchetto e un bagno. Più a S era la «Corte della guardia», di dimensioni più contenute, circondata da vani e accessibile dalla via laterale. Le due corti, e gli ambienti annessi, formano un settore di pianta rettangolare nell'angolo SO. A E è stato portato alla luce un secondo settore, suddiviso in due parti da un muro trasversale: nella metà S è una spaziosa corte, secondo J. Marshall destinata alle udienze pubbliche, con ambienti sui lati S e O; essa è accessibile dalla via laterale e comunica, a E, con un insieme di vani ben costruiti, probabilmente adibiti a uffici. Gli ambienti riportati alla luce nella metà Ν del settore si ritiene fossero riservati agli ospiti. Il settore NO del p. è stato identificato con il «quartiere femminile», costituito da una corte a L circondata da ambienti di dimensioni diverse. Più a E è una corte quadrata nella quale sorgeva uno stūpa, del quale si è conservato soltanto il basamento che tuttavia custodiva ancora un reliquiario di scisto grigio a forma di pisside; lungo un lato del basamento erano quattro bacini rituali, dello stesso tipo attestato nel Block A di Sirkap e nel Bhīṛ Mound, ma assenti nei complessi buddhisti dell'area di Taxila. Da qui l'ipotesi del Marshall di identificare la struttura con una cappella dedicata al culto jaina, che probabilmente aveva trovato seguaci nella famiglia dei governanti. A E della corte con stūpa è un insieme di vani di forma e disposizione irregolari; qui è stato rinvenuto un gruppo di sessanta monete indo-scitiche e kuṣāṇa (da Azes I a Kujula Kadphises) e un vaso di terracotta contenente gioielli. Più a E è una residenza dalla planimetria regolare, la cui appartenenza al complesso palaziale non è tuttavia certa.
In base alla tecnica muraria, il p. di Sirkap è stato datato agli inizi del I sec. d.C. Le strutture superstiti da un punto di vista tipologico non denotano elementi specifici che distinguano l'edificio dalle comuni dimore della città; a tale proposito è forse opportuno ricordare che nel resoconto di Apollonio di Tiana (Philostr., Vit. Apoll., II, 25) si sottolinea l'estrema sobrietà del p. reale di Taxila. L'organizzazione planimetrica del complesso trova confronti in edifici dell'area mesopotamica, in particolare i p. partici di Assur, Dura Europos e Nippur, a loro volta riconducibili a modelli assiri (p.es., il p. di Sargon a Khorsābād).
Un altro gruppo di rovine presumibilmente appartenenti a un complesso palaziale (la sua denominazione attuale, Mahal, sembra serbarne il ricordo) ê stato riportato alla luce nella parte alta di Sirkap. Gli scavi hanno interessato una superficie di 94 x 73 m; i limiti Ν e O sono ben definiti dal muro di cinta. Il Mahal comprende un insieme di corti spaziose circondate da ambienti di misure paragonabili a quelle del p. Reale; in due di esse (corti A e B) la planimetria è integralmente leggibile. Si nota tuttavia che l'allineamento regolare che caratterizza le strutture murarie nella corte Β non si riscontra nelle altre corti, che pertanto sono probabilmente da considerare aggiunte posteriori. A giudicare dalla tecnica muraria e dai reperti, assimilabili ai materiali rinvenuti nelle abitazioni di epoca scito-partica della città, il periodo di occupazione del complesso si pone nel I sec. d.C.
I resti di una struttura palaziale d'epoca kuṣāṇa (I-III sec. d.C.) sono stati messi in luce nella cittadella di Sanghol (v.), nel Panjab indiano. Il complesso, per il quale si ipotizza una funzione amministrativa piuttosto che residenziale, includeva una presunta sala per udienze e un edificio comprendente venti ambienti probabilmente adibiti a uffici.
Le rovine di un presunto p. del periodo ikṣvāku (ultimo quarto del II-III sec. d.C.) sono state rinvenute nel corso degli scavi a Nāgārjunakonda (v.).
Ai risultati della ricerca archeologica, allo stato attuale ancora insoddisfacenti, può essere affiancata una documentazione secondaria costituita dall'insieme quantitativamente non trascurabile delle testimonianze letterarie e iconografiche. Sebbene la loro affidabilità sia da considerare con cautela, queste costituiscono per il momento l'unico punto di riferimento per lo studio dell'architettura palatina indiana d'epoca successiva a quella dei resti archeologici sopra esaminati.
Sulla struttura degli edifici palaziali, o su loro singoli elementi, siano informati da testi di varia natura e appartenenza religiosa; in ambito buddhista risulta particolarmente proficua l'analisi dei jātaka e di testi del canone pâli, quali il Mahavagga e il Cullavagga; quanto alla tradizione brahmanica, riferimenti utili si traggono dall’Arthaśāstra, dal Mānasāra, dai Purāṇa e, inoltre, dall’Harṣacarita e dal Kadāmbarī, due opere di Bāṇa, autore dell'epoca del sovrano Harsavardhana (prima metà del VII sec. d.C.). Principale fonte delle testimonianze iconografiche sono le decorazioni a rilievo o dipinte dei monumenti buddhisti (Bhārhut, Sāñcī, Mathurā, Amarāvatī, Ajantā, ecc.).
Il p. era idealmente situato nella piazza centrale della città. L'entrata principale, volta verso una delle porte urbiche, dava accesso a una corte o alla prima di una serie di corti, nelle quali erano edifici adibiti a funzioni diverse. Il nucleo residenziale del complesso (prāsāda), inaccessibile alla gente comune, poggiava su solide fondazioni o su un basamento.
Il prāsāda è di solito indicato nelle fonti come una costruzione a più piani (spesso tre; cfr. rilievi da Bhārhut, Sañcī, Mathurā, Amarāvatī, ecc.). Il piano principale era in genere quello più alto (mahātala, varatala) e ospitava gli appartamenti residenziali; nei livelli inferiori erano uffici, cucine, bagni e altri ambienti di servizio. Sottolineata nei testi, l'importanza dei pilastri (sthūna, staṃbha) trova ampio riscontro nell'iconografia; particolarmente numerosi nel pianterreno, essi erano utilizzati anche nei piani superiori, come si evince dalle testimonianze figurative. Secondo A. K. Coomaraswamy, un'idea delle facciate dei p. potrebbe essere fornita da quelle dei caityagṛha buddhisti (p.es. Bhājā, Kārll, Beḍsā); lo studioso ipotizzava inoltre che il nucleo del pianterreno fosse costituito da una grande sala pilastrata simile all'aula absidata che caratterizza i suddetti monumenti cultuali.
Per quanto riguarda i materiali impiegati per la costruzione dei p., i testi assegnano un ruolo di primo piano al legno (dato che probabilmente spiega la grave lacuna nella documentazione archeologica), utilizzato per coperture, finestre, scale, pavimenti e pilastri, nonché per la realizzazione di «graticci» per la muratura in mattoni cotti. La pietra era usata con maggiore parsimonia (p.es., pilastri e rivestimenti pavimentali).
Bibl.·. A. K. Coomaraswamy, Early Indian Architecture: Part 3, Palaces, in Eastern Art, III, 1931, pp. 180-217 (rist. in A. K. Coomaraswamy, Essays in Early Indian Architecture, a cura di M. W. Meister, Nuova Delhi 1992, pp. 33-68); P. K. Acharya, Architecture of Manasara, IV, Allahabad 1933, p. 423 ss.; J. Marshall, Taxila, I, Cambridge 1951, pp. 171-180; V. S. Agrawala, Palace Architecture in Bāṇa's Harṣacarita: Skandhāvāra, Rājakula, Davalagrha, in Mélanges d'Indianisme à la mémoire de L. Renou, Parigi 1968, p. 722 ss.; L. N. Rangarajan (ed. e trad.), Kautilya. The Arthashastra, Calcutta 1992, p. 150 ss.
(C. Lo Muzio)
Estremo oriente. - Nello studio dell'architettura di Cina, Corea e Giappone è necessario avere presente la forte influenza che la vita religiosa ha avuto e ha nello scandire i ritmi dell'esistenza e nel caratterizzare le espressioni culturali delle società di tali paesi. È in questa prospettiva che vanno quindi compresi i motivi per cui l'architettura «civile» (casa e p., quest'ultimo da intendersi sempre come «complesso palaziale») in Estremo Oriente mantenga una forte caratterizzazione religiosa sia nelle pratiche geomantiche di pianificazione, sia nella destinazione degli spazi architettonici e nella definizione delle regole edili. L'aspetto sacrale dell'architettura è evidente nella tradizione scritta cinese relativa al mingtang («padiglione splendente»). In tale edificio, creazione letteraria dell'epoca dei Zhou Orientali (720-226 a.C.) che voleva esprimere il modello ideale di perfezione architettonica, il sovrano avrebbe vissuto spostando, nel ciclo dell'anno solare, i propri appartamenti, in base a un preciso rituale che fissava l'equilibrio tra il mondo umano e quello cosmico.
Tecniche edilizie. - Di fondamentale importanza nello studio delle strutture palaziali, così come dell'architettura estremo-orientale in generale, sono la peculiarità dei materiali edili e l'originalità delle tecniche di costruzione. Nonostante si faccia uso anche di materiali non deteriorabili quali la pietra, è il legno, di facilissima deperibilità, che deve essere considerato il materiale principe nella costruzione degli edifici. L'impiego quasi esclusivo del legno è forse la causa della scarsità della documentazione archeologica relativa agli alzati, il cui aspetto pertanto può essere ricostruito principalmenie sulla base delle antiche raffigurazioni di p. e dei monumenti più recenti, che acquistano rilevanza tenendo conto del carattere ripetitivo assunto dalla pratica del costruire.
La standardizzazione delle tecniche costruttive prevede una precisa canonizzazione degli elementi costitutivi dell'edificio: 1) piattaforma di base; 2) intelaiatura; 3) sistema di mensole (dougong); 4) copertura. Tenute in forma per mezzo di cassettoni in legno, le piattaforme di fondazione venivano realizzate con il metodo della sovrapposizione di strati di terra pressata (hangtu). Di dimensioni maggiori rispetto alla base degli edifici che dovevano sostenere, le piattaforme, il cui fronte veniva solitamente coperto con pietre, mattoni o balaustre in legno decorate a rilievo, si trasformeranno, verso il V sec. d.C., nelle terrazze con accesso a gradini che ancora oggi caratterizzano molti degli edifici tradizionali cinesi. Originali sono gli accorgimenti funzionali dell'intelaiatura: le travi erano fissate a incastro sull'apice di pilastri disposti in due file parallele, con conseguente assenza del capitello come elemento portante della trabeazione. All'uso di pilastri su file parallele intervallati a una distanza regolare (detta jian), si deve la generale tendenza allo sviluppo in senso longitudinale degli edifici. Il sistema di sostegno e scarico del peso del tetto è anch'esso basato sugli stessi principi tecnici dello scheletro: sulla trave trasversale sono posti due corti monaci verticali che reggono una piccola trave; su questa, vengono a loro volta fissati due altri monaci e una trave, fino al raggiungimento dell'altezza desiderata e l'applicazione del monaco che regge la capriata.
L'elemento che forse più caratterizza l'architettura in Estremo Oriente è però il sistema di mensole (dougong). Si tratta di un complesso di supporto agli sporti di gronda del tetto, realizzato mediante staffe di lunghezza crescente in senso orizzontale poste verticalmente. La moltiplicazione dei moduli delle mensole permette la realizzazione di sporti, o aggetti, sempre più ampi; anche se lo Yingcao Fashi (il più antico manuale di architettura cinese, dell'XI sec. d.C.) fissava nel numero di cinque la quantità massima di moduli di cui avrebbe dovuto essere composta una mensola, pena un eccessivo appesantimento della struttura, nel Nandaimon (Cancello Meridionale, XIII sec. d.C.) del tempio di Tōdaiji, a Nara in Giappone, si trovano sistemi di mensole composti da ben dieci elementi. Una variante al tradizionale sistema di mensole è rappresentata dalla aggiunta di un braccio mensolare inclinato (angdou). Tale modulo, sistemato direttamente sotto il tetto, veniva posto inclinato, attraverso la mensola, fino al lembo della gronda a cui si fissava per mezzo di un modiglione o di un gioco a croce. Il risultato di tale accorgimento era così di ottenere una estensione della capacità di sostegno della gronda da parte della mensola.
Documentazione archeologica. - Due piattaforme di terra pressata (c.a 10.000 m2) dello spessore di c.a 1-2 m, rinvenute presso il sito di Erlitou (Henan), rappresentano le più antiche testimonianze di strutture di tipo palaziale in Cina (inizio II millennio a.C.). Gli edifici erano orientati lungo l'asse N-S e accessibili tramite un ampio portale. Mentre ancora controversa è l'attribuzione del sito di Erlitou alla dinastia Xia, la prima mitica dinastia cinese (XXI-XVII sec. a.C.), sicuramente Shang (XVI-XI sec. a.C.) sono i resti di p. scavati a Zhengzhou e Anyang (Henan). Nel primo di tali siti sono state messe in luce strutture di ampie dimensioni a pianta rettangolare, con tracce di una originaria intelaiatura in legno e copertura a doppio spiovente; nel secondo sito è stato rinvenuto un intero quartiere cerimoniale con edifici di grandi dimensioni tra cui spicca la «Grande Sala» di c.a 30 m di lunghezza. Al di fuori della Pianura Centrale (nell'area delle culture Xia e Shang) testimonianze di strutture palaziali sono state rinvenute a Shierqiao (Sichuan occidentale), Panlongcheng (Hubei), Taixi (Hebei settentrionale), Fengchu e Zhaochen (Shaanxi occidentale). A Shierqiao è stato scavato un edificio a pianta rettangolare (lungh. 12 m) con tracce di intelaiatura in legno e copertura in paglia, databile all'XI sec. a.C. La cittadella fortificata di Panlongchen (XI sec. a.C.), ha rivelato una piattaforma in hangtu di c.a 600 m2 sulla cui sommità erano posti tre edifici di grandi dimensioni a pianta rettangolare. Nello Hebei, a Taixi (XII sec. a.C.) sono stati rinvenuti alcuni edifici di grandi dimensioni a pianta rettangolare con ampi basamenti in pietra dei pilastri. A Fengchu invece (della fase iniziale Zhou, XI sec. a.C.) un complesso palaziale di c.a 1500 m2 presentava una planimetria alquanto articolata con un asse centrale su cui si sviluppavano due cortili e una sala centrale dalla quale si accedeva a camere e cortili secondari. Di particolare originalità è il sistema di copertura che per la prima volta vede l'uso di una fila perimetrale di tegole allo scopo di fissare la paglia del tetto. È invece totalmente in tegole di ceramica la copertura della «Grande Sala» di Zhaochen (XI sec. a.C.), un massiccio edificio a pianta quadrata, con pilastri del diametro di c.a 2 m, che segna l'affermazione dell'uso delle tegole quale metodo di copertura tipico dell'architettura cinese. Del mitico p. di Afang di Qin Shi Huangdi (221-210 a.C.) non rimangono che tracce delle fondazioni insieme a tegole e tubazioni in ceramica, mentre esiste chiara evidenza archeologica dei p. imperiali di Weiyang e Changluo degli Han Occidentali (206 a.C.-25 d.C.) nel sito della capitale Han, Chang'an presso Xi'an (Shaanxi) con perimetri superiori ai 10.000 m. A partire dal V-VI sec. d.C. l'architettura in Estremo Oriente è ben documentata dai complessi templari di Nara (in Giappone V-IX sec. d.C.) e del monte Wutai (Cina, Shanxi, VIII-IX sec. d.C.), mentre più scarse sono le vestigia di coevi complessi palaziali di cui non ci restano che le piattaforme di fondazione. È il caso del Daming Gong, il p. imperiale Tang (618-907 d.C.), i cui resti sono stati individuati nella periferia settentrionale dell'odierna Xi'an (v.), nello Shaanxi. La sezione meridionale di tale struttura si trova attualmente sepolta sotto le fondazioni di edifici della città odierna; in discreto stato di conservazione sono invece le sezioni centrale e settentrionale. L'edificio originario era cinto da un muro in hangtu lungo c.a 2.250 m sul lato occidentale e 1.135 m su quello settentrionale, il cui spessore raggiungeva i 55 m.
All'interno di tale struttura, sono state rinvenute due grandi sale identificate come i padiglioni Hanyuan e Linde, di cui si avevano notizie nei testi storici a partire dalla seconda metà del VII sec. d.C. Della struttura originaria del padiglione Hanyuan (o Sala Anteriore) si sono conservate solo le fondazioni dei muri perimetrali, che erano realizzate in hangtu di uno spessore di 120-150 cm e poste sopra un'ampia piattaforma realizzata con il medesimo sistema. Il padiglione Linde (Sala Mediana) si trovava invece al centro del Saming Gong; le sue fondazioni, sempre in hangtu, erano composte da un duplice terrazzamento cinto di mattoni che al livello del suolo misurava 13 x 7,7 m. Dalle evidenze delle fondazioni dei muri perimetrali, pare che tale padiglione fosse diviso in tre sale maggiori, allineate lungo l'asse N-S mentre ai lati E e O vi erano due edifici di servizio.
Nella penisola coreana, piattaforme di strati di terra pressata per fondazioni di p. sono state rinvenute in siti risalenti alla epoca di Lolang (108 a.C.-3i3 d.C.) e testimoniano la diffusione delle tecniche edili cinesi in tale regione. Di derivazione cinese sono anche i resti dei complessi palaziali risalenti alla c.d. epoca dei Tre Regni (300-668 d.C.), durante la quale il territorio coreano fu suddiviso in aree di influenza tra tre maggiori famiglie: Koguryŏ, Paekche e Siila. Presso Pyongyang, sito della capitale Koguryŏ, è stato rinvenuto un complesso palaziale con edifici fino a 80 x 30 m di superficie, circondati da giardini, laghi e colline artificiali. Appartenenti a una struttura di tipo palaziale sono anche le evidenze rinvenute a Isong Sansong nel territorio di Paekche (Corea sud-occidentale); presso tale sito un'ampia muratura circonda la collina omonima ove sono stati scavati basamenti in pietra per pilastri e i resti di una copertura di tegole in ceramica. Un p. fortificato, rinvenuto presso Kyŏngju (Corea sud-orientale), era verosimilmente la residenza della dinastia Siila. Di tale struttura, la cui pianta ricorda la forma della luna crescente, sono state rinvenute le mura perimetrali e le fondazioni dei vari edifici interni.
In Giappone, l'architettura di p. pare aver risentito fortemente ai suoi inizi dell'influenza della Cina Tang. Nel complesso palaziale di Nara (epoca Nara, 710-784 d.C.) gli edifici principali erano ancora posti lungo l'asse N-S secondo lo schema cinese. Tale influenza viene però superata nella costruzione del Daidari a Kyoto (epoca Heian 794-1182 d.C.), in cui la sola Sala delle Udienze Chodoin rimane disposta lungo l'asse centrale, mentre libere sono la disposizione della Sala dei Ricevimenti (Bukakuin) e del p. Residenziale (Konkyo).
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(M. Orioli)