PALAZZO
Il termine, che dal punto di vista artistico designa "qualsiasi abitazione sontuosa, notevole per dimensione e per lusso, di ogni tempo e civiltà" (Samonà, 1935, p. 953; Zieger, 1949), deriva dal toponimo lat. Palatium (probabilmente connesso all'indoeuropeo pala 'rotondità'), indicante il Palatino, uno dei sette colli su cui sorse Roma, anzi quello dove Romolo, secondo la leggenda, avrebbe fondato la città.Il passaggio, prima per metonimia e poi per antonomasia, al significato di 'reggia, p. imperiale' avvenne già nel latino classico e si spiega con il fatto che gli imperatori romani, a partire dallo stesso Augusto (31 a.C.-14 d.C.), fissarono, con abile scelta politica, la loro residenza proprio sul Palatino; qui ebbero sede (Lugli, 1935) la domus Flavia e la domus Augustana, costruite da Vespasiano (69-79) e da Domiziano (81-96), e il Septizonium, la monumentale facciata fatta erigere da Settimio Severo (193-211) a racchiudere l'intero complesso edilizio; tra gli edifici imperiali posteriori vanno ricordati anche, pur se lontani da Roma, il p. di Diocleziano (284-313) a Spalato e il Grande Palazzo di Costantinopoli.La vitalità del termine, che ha una continuità di attestazioni scritte (nelle forme palatium, palacium, pallacium, palasium, palascium) in testi latini dall'età imperiale fino all'Alto Medioevo e oltre (Du Cange, 1886; Arnaldi, 1951-1953; Niermeyer, 1976; Novum glossarium, 1985), si spiega anzitutto con il prestigio (non solo architettonico, ma anche e soprattutto simbolico) del p. degli imperatori romani e con la volontà già dei loro successori romano-barbarici di ricollegarsi a tale prototipo. Si hanno così, tra le altre, attestazioni riferite al p. teodoriciano di Ravenna, che divenne il palátion dell'esarca bizantino (Procopio di Cesarea, De bello Gothico, II, 12), e ai palatia dei re longobardi (Paolo Diacono, Hist. Lang., VI, 58). Un deciso aumento nella frequenza delle attestazioni, e quindi nella fortuna della parola, si ebbe poi in epoca merovingia e soprattutto carolingia - si pensi anche a voci derivate come maestro di p. e paladino -, quando con palatium fu indicata la reggia di Aquisgrana (Eginardo, Vita Karoli Magni, XVII).Il termine, tuttavia, aveva esteso ulteriormente la propria sfera semantica, passando a indicare, già nel latino imperiale, non solo la reggia, ma qualunque edificio signorile di grandi dimensioni, più imponente, più ampio e più decoroso di una semplice casa (v.), anche all'interno di una struttura fortificata (v. Castello); d'altra parte, per spiegare la fortuna della parola con riferimento a edifici in muratura, va ricordato che il lat. casa indicava originariamente la capanna e che la sopravvivenza di domus è limitata all'area italiana e a un particolare significato (v. Duomo). Sebbene tardiva, è significativa la definizione che Uguccione da Pisa (1130 ca.-1210) dà di palatium nelle Derivationes: "ampla domus ubi multi vagari possunt" (Novum glossarium, 1985, p. 78), che sembra assegnare al p., rispetto alla casa, specifici compiti di 'rappresentanza'. Ancora medievale è poi l'uso di p. con riferimento a una sede di governo, di tribunale o di uffici pubblici.Almeno a partire dai secc. 8° e 9°, il termine godé di una diffusione europea; innumerevoli sono infatti le attestazioni, oltre che dei palatia regia o imperialia, anche dei palatia publica, questi ultimi, ovviamente, in espansione man mano che si affermavano, in Italia come in Germania, le nuove realtà cittadine e comunali; palatium si trova peraltro riferito, oltre che a case signorili, anche a edifici ecclesiastici, conventi e p. vescovili (si pensi inoltre, per tornare a Roma, al p. Apostolico e in genere ai vari p. papali), al di là delle notevoli differenze di natura architettonica.Come documenta la stessa evoluzione fonetica della parola italiana - e anche dell'antico allotropo toscano palagio, di origine galloromanza (Rohlfs, 1966), a lungo vitale nei testi letterari e dal medesimo significato -, p. è una voce non dotta, ma popolare, di tradizione diretta, che si diffuse del resto (anche come toponimo, specie nel diminutivo palatiolum) in tutto il mondo romanzo (Meyer-Lübke, 19353; Battisti, Alessio, 1954) e che passò anche alle lingue germaniche e alle slave, oltre che al greco. Per quanto riguarda l'italiano, le attestazioni letterarie più antiche, già nel significato di 'edificio signorile' oltre che di 'reggia', si hanno (Battisti, Alessio, 1954; Battaglia, 1984; Cortelazzo, Zolli, 1985) nel marchigiano Ritmo su sant'Alessio (sec. 12°), nella grafia latineggiante palatiu (v. 147), nel Libro di Uguccione da Lodi (sec. 13°), come palasio ("né castelo né roca, grand palasio né tor", v. 28), e poi più volte nel Novellino (fine del sec. 13°), nelle forme p. (anche al pl.) e palagio. Degne di registrazione, infine, sono anche le presenze di p. nelle Laude (26, v. 44; 86, v. 25) di Iacopone da Todi (m. nel 1306), e di palagio nelle Rime (canzone XXXIII, v. 10) di Guittone d'Arezzo (1235 ca.-1294).
Bibl.:
Fonti. - Procopio di Cesarea, La guerra gotica, a cura di D. Comparetti (Fonti per la storia d'Italia, 23-25), 3 voll., Roma 1895-1898; Paolo Diacono, Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann, G. Waitz, in MGH. SS rer. Lang., 1878, pp. 7-187; Eginardo, Vita Karoli Magni, a cura di O. Holder Egger, in MGH. SS rer. Germ., XXV, 1911⁶; Ritmo su sant'Alessio, in Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, I, pp. 15-28; Uguccione da Lodi, Libro, ivi, pp. 597-624; Novellino, a cura di G. Favati, Genova 1970; Iacopone da Todi, Laude, a cura di F. Mancini, Roma-Bari 19803 (1974), pp. 72, 263; Guittone d'Arezzo, Rime, a cura di F. Egidi, Bari 1940, p. 89.
Letteratura critica. - Du Cange, VI, 1886, pp. 98-107; G. Lugli, s.v. Palatino, in EI, XXXV, 1935, pp. 947-951; G. Samonà, s.v. Palazzo, ivi, pp. 953-971; W. Meyer-Lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 19353, p. 505 nr. 6159; K. Zieger, s.v. Palatium, in Pauly-Wissowa, XVIII, 3, 1949, coll. 5-81; F. Arnaldi, Latinitatis Italicae Medii Aevi inde ab a. CDLXXVI usque ad a. MXXII lexicon imperfectum, II, Bruxelles 1951-1953, p. 454; C. Battisti, G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, IV, Firenze 1954, pp. 2725, 2727-2728; G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, I, Fonetica, Torino 1966, pp. 409-410; J.F. Niermeyer, Mediae Latinitatis lexicon minus, Leiden 1976, p. 754; S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, XII, Torino 1984, pp. 378-379, 386-388; M. Cortelazzo, P. Zolli, s.v. Palazzo, in Dizionario etimologico della lingua italiana, IV, Bologna 1985, pp. 863-864; Novum glossarium mediae Latinitatis ab anno DCCC usque ad annum MCC, a cura di Y. Lefèvre, København 1985, pp. 74-87; I. Baldelli, Il linguaggio neologico politico, in Il linguaggio del giornalismo, a cura di M. Medici, D. Proietti, Milano 1992, pp. 9-24: 21-22.P. D'Achille
Palatium fu nel Medioevo in primo luogo la sede dell'autorità sovrana, re o imperatore, e dal punto di vista architettonico l'espressione, tradotta in pietra, della legittimità stessa di tale autorità. A questa valenza, assai specifica e circoscritta in termini semantici, quale reale e assidua residenza del sovrano dotata di carattere di rappresentanza, risulta assai difficile far corrispondere una ben definita tipologia edilizia di complesso palaziale, non esistendo di fatto il tipo del p. ma differenti tipi di edifici che in determinate circostanze assunsero nome e prerogative di questo.In linea generale, tuttavia, componenti essenziali dei complessi palaziali eretti nel Medioevo furono: lo spazio destinato alle funzioni di rappresentanza e di governo, ovverosia l'aula regia; quindi lo spazio a carattere residenziale, più propriamente l'abitazione (camera) del sovrano, della sua famiglia e del più stretto entourage; ancora, lo spazio destinato alle funzioni religiose, private e pubbliche, cioè la chiesa o cappella palatina.In molti casi le cappelle rappresentano le uniche vestigia conservate dei p. e spesso anche l'unico elemento superstite che attesti l'esistenza stessa di una fondazione imperiale o regia, e ciò in ragione dell'importanza, anche dal punto di vista monumentale, che lo spazio cultuale ebbe in tali fondazioni in quanto luogo deputato alla celebrazione delle più importanti funzioni religiose ma adibito anche alla conservazione e al culto delle sacre reliquie 'di Stato', simboli stessi della legittimità dell'autorità regnante (v. Cappella). Affidate quasi esclusivamente all'interpretazione dei dati archeologici restano invece la lettura degli spazi più propriamente residenziali, per i quali di nessun aiuto si dimostra l'analisi comparata delle fonti, assai lacunose nel restituire nozioni utili circa distribuzione e carattere degli alloggi e degli ambienti di servizio, nonché degli spazi di rappresentanza, celebrati nella ricchezza e nello sfarzo delle decorazioni, che tuttavia solo in esigua parte possono ancora oggi mostrare la valenza architettonica originaria, perlopiù in contesti databili a partire dal 12° secolo. Strutturazione e modalità di 'messa in forma' delle componenti principali dell'aula, della camera e della cappella si espressero nel corso dei secoli nella più grande varietà di soluzioni, senza che sia possibile cogliere il segno di un lineare processo evolutivo dell'edilizia palaziale, fatta eccezione per gli aspetti legati alla difesa, che, a partire dal tardo sec. 9°, si qualificarono in termini di priorità assoluta rispetto agli elementi 'tradizionali' di una fondazione regia, e tali da condizionarne in modo determinante l'aspetto. Il carattere di Burg assunto dai p. imperiali, protetti da fortificazioni e contrassegnati da robuste cinte, a prescindere da poche eccezioni, può essere accolto per tipico già dall'epoca ottoniana: le fondazioni sorte per iniziativa imperiale o regia continuarono a fregiarsi del titolo di palatium solo in ragione del valore istituzionale connesso al termine, dal punto di vista delle strutture presentandosi nella maggior parte dei casi in tutto assimilabili alle architetture castellane (v. Castello).D'altra parte, le componenti più legate al concetto di autorità sovrana, e quindi celebrative delle sue funzioni, come l'aula regia, erano state prontamente recepite da quei duchi, conti e vescovi-conti che la disgregazione dell'impero carolingio aveva legittimato nelle prerogative di sovranità sui rispettivi territori: una più articolata attività di governo e le esigenze di dotarsi di strutture di rappresentanza lasciano cogliere all'interno delle loro originarie residenze, sia urbane sia elevate in contesti rurali, un progressivo adeguamento delle strutture ai canoni dell'architettura più propriamente palaziale.A partire dal sec. 12° in Italia e dal 13° Oltralpe, palatium appare definizione corrente anche per gli episcopi, sedi, in contesti urbani, dell'autorità vescovile. Il fenomeno, connesso con il più generale riaffermarsi in tutta Europa delle realtà cittadine, si accompagnò in Italia con quello assai più vistoso dell'adozione del termine p. per gli edifici pubblici, eretti proprio nel corso del sec. 12° dai Comuni quali sedi delle maggiori cariche di governo e a simbolo stesso dell'autonomia comunale (v. Comune).Il rinnovamento edilizio delle città toccò l'apice nel sec. 13° coinvolgendo anche le residenze private (v. Casa): l'assestarsi in quadri istituzionali stabili e in forme di potere oligarchico dei ceti borghesi e l'esigenza da parte di questi di dotarsi di tipi abitativi che fossero espressione del ruolo sociale e politico esercitato segnarono il passaggio a una forma di 'monumentalizzazione' dell'abitazione, con un ruolo decisivo affidato alle facciate, sia nel caso in cui queste intervennero a dare veste unitaria all'accorpamento di più unità abitative, case o case-torri, sia nel caso del tipo edilizio a corpo unico, strutturato su più piani e sviluppato in larghezza, che si andò via via affermando nel Tardo Medioevo.Va da sé che la natura, a un tempo, di massima autorità spirituale e di sovrano temporale rivestita dai papi del Medioevo ebbe esiti particolari, per quanto concerne l'architettura delle residenze ufficiali della corte, indubbiamente legati, sia per il Laterano sia per la sede vaticana, alla singolarità dei luoghi e al carattere degli insediamenti. Tuttavia, valenze del tutto analoghe a quelle riscontrabili nelle coeve fondazioni imperiali si scoprono alla base di molte delle iniziative papali promosse in materia di ampliamento e ristrutturazione soprattutto degli ambienti di rappresentanza, con iniziative tese a rendere manifeste attraverso le architetture le ambizioni e le istanze di supremazia di volta in volta avanzate dalla propaganda pontificia. A partire dal sec. 9° il termine palatium ricorre per l'antico patriarchio Lateranense; al pontificato di Adriano IV (1154-1159) risale la prima attestazione per la sede vaticana (Paravicini Bagliani, 1996, p. 9).La perdita pressoché totale delle strutture architettoniche e l'oggettiva frammentarietà dei dati archeologici finora acquisiti non consentono di risalire, ai fini della restituzione di un quadro d'insieme dell'architettura palaziale altomedievale, a un'epoca anteriore a quella carolingia. Poco è noto dei p. teodoriciani, che i dati archeologici sembrano indicare in rapporto di continuità d'uso con preesistenti strutture imperiali sia nel caso di Ravenna, dove Teodorico pose la propria residenza, sia nel caso dei p. in Verona e Pavia, pure indicati dalle fonti come edificati ex novo dal sovrano ostrogoto e viceversa forse solo impianti restituiti a una nuova funzionalità (Ward-Perkins, 1984; La Rocca, 1993).La tendenza al riuso e all'adattamento di strutture preesistenti nell'ambito dell'edilizia civile sembra contrassegnare anche il primo periodo della dominazione longobarda. Si deve infatti ritenere che sia a Verona sia a Pavia i Longobardi occupassero i palatia teodoriciani (Paolo Diacono, Hist. Lang., II, 27; MGH. SS rer. Lang., 1878, p. 87) . Un restauro nel caso della residenza pavese è attestato già ai tempi di Arioaldo (625-636), ma pressoché nulla è noto circa assetto e caratterizzazione dei vari ambienti. Solo alcuni preziosissimi brani scultorei e la continuità d'uso da parte di sovrani e imperatori attestata dalle fonti fin entro il sec. 10° rimangono a testimoniare la ricchezza e la complessità delle strutture che dovevano caratterizzare il regium palatium di Corteolona, già residenza di Ansprando, padre di Liutprando, e da questi ampliato dopo il 729 (Calderini, 1975).A Benevento, la curtis ducis doveva essersi insediata sin dal sec. 6° nel pretorium romano. Ad Arechi II (758-787), nell'ambito di questa prima residenza ducale, si deve la costruzione del sacrum palatium, forse, come è stato ipotizzato (Rotili, 1990), solo un'opera di ampliamento o adeguamento delle strutture architettoniche preesistenti in funzione della nuova dignità di sovrano che Arechi si trovava a ricoprire con la caduta della Langobardia Maior.Un'imponente attività costruttiva fu promossa sempre da Arechi II nella città di Salerno, sottratta al ducato bizantino di Napoli nel 639-640. Tracce del nuovo p. che egli vi fece erigere, e di cui tramanda una descrizione il Chronicon Salernitanum (12, 30-50; MGH. SS, III, 1839, pp. 479-480), sono state individuate all'estremità del castrum insieme a quelle di un edificio con impianto ad aula rettangolare e abside quadrata, identificato come cappella palatina (Peduto, 1990), e ai frammenti del rivestimento e delle iscrizioni latine in capitali che, a imitazione delle proclamazioni epigrafiche dei monumenti antichi, decoravano tutto il complesso del sacrum palatium (Delogu, 1992).Anche fuori d'Italia, i primi secoli del Medioevo attestano la continuità d'uso delle strutture tardoantiche preesistenti, almeno nelle regioni di forte romanizzazione come la Gallia, dove a partire dal sec. 6° (Staab, 1990), in concomitanza con l'affermazione della dinastia merovingia, il termine palatium dall'originario significato di residenza dell'autorità sovrana aveva assunto un significato istituzionale, designando più in generale la corte regia e il relativo apparato amministrativo.Una significativa svolta dovette segnare la scelta operata dagli ultimi merovingi di eleggere a proprie sedi nuovi centri quali Clichy, presso Saint-Denis, Compiègne, Attigny e Quierzy e, lungo il Reno, fra gli altri, Andernach e Coblenza, inaugurando una politica di fondazioni ex novo, che, ripresa e attuata sistematicamente dai sovrani carolingi, non solo decretò lo spostamento del baricentro degli interessi regi dalle regioni dell'antica Francia verso quelle orientali fra Reno e Meno, ma pose per la prima volta le premesse per lo sviluppo di un'edilizia palaziale che fosse espressione dell'acquisita dignità imperiale dei suoi committenti. Dei p. carolingi solo Aquisgrana (v.) conserva in elevato resti architettonici di una certa consistenza, trattandosi nella maggior parte degli altri casi di impianti leggibili a livello di fondazioni - Ingelheim, Paderborn, Francoforte - o ricostruibili attraverso la documentazione grafica conservata, come Nimega; ma gli scavi hanno ormai chiarito nelle linee essenziali come in tutte le fondazioni carolinge si debba riconoscere, sia pure variamente declinato, il ricorrere di un intento progettuale o per meglio dire di un programma edilizio palaziale. Una notevole uniformità accomuna gli impianti di Aquisgrana (780-800 ca.), Paderborn e Nimega (ultimo quarto del sec. 8°), ma anche il più tardo p. di Francoforte, eretto da Ludovico il Pio nell'820 ca.; un'uniformità che è data in primo luogo dalla scelta del sito: un'ampia superficie aperta entro la quale si distribuiscono gli edifici dell'aula regia, delle strutture residenziali e della cappella che, all'interno del complesso palaziale, individua un polo religioso distinto e contrapposto, in genere anche topograficamente, a quello laico, ma è a questo collegato da un camminamento coperto. Così è per es. nel caso di Aquisgrana, dove un lungo portico, interrotto al centro da un edificio monumentale a più piani disposto trasversalmente, recentemente proposto con funzione abitativa (Meckseper, 1992), presentava ai due estremi lo spazio cultuale da una parte, con la celebre Cappella Palatina, e l'aula regia dall'altra, resti della quale sono stati individuati all'interno del Rathaus eretto nel sec. 14°, con l'annesso Granusturm. A tale schema o modello progettuale, che, ripreso in ambito ottoniano e primo salico, in Germania continuò a improntare l'edilizia palaziale di committenza imperiale per oltre due secoli, si sottrae apertamente il monumentale impianto del p. di Ingelheim, sul Reno - il palatium operis egregii citato da Eginardo (Vita Karoli Magni, XVII; MGH. SS, II, 1829, p. 452) fra le quattro più importanti costruzioni di Carlo Magno subito dopo quella di Aquisgrana -, che si rivela improntato a un programma architettonico di fatto privo di confronti: al posto di una concezione 'aperta', si afferma un blocco spaziale chiuso, articolato attorno a una corte quadrata che per tre lati era circondata da ali di edifici, mentre si apriva sul quarto in un'esedra semicircolare di grandi dimensioni, rafforzata all'esterno da sette torri cilindriche, due delle quali poste ai lati dell'ingresso, e percorsa all'interno da un colonnato. Il partito dell'esedra semicircolare, con ingresso monumentale inquadrato dalle due torri, e del colonnato interno, così come il fatto che il progetto in origine non prevedesse la presenza di alcun edificio religioso con funzione di cappella palatina, lasciano concludere a favore della riproposizione di un modello architettonico oggi non più rintracciabile o dell'elaborazione, in una sorta di assemblaggio, di suggestioni diverse, ma tutte inequivocabilmente attinte alla tradizione tardoantica (Binding, 1996).A tale contesto e più in generale all'ambito mediterraneo d'influsso bizantino, piuttosto che a una presunta tradizione germanica, sembra del resto essersi richiamato il re asturiano Ramiro I (842-850) per la realizzazione del suo complesso palatino posto ai piedi del monte Naranco, presso Oviedo (v.; Gardelles, 1976).Il richiamo che per Carlo Magno e i suoi successori dovette rappresentare l'antica capitale dell'impero è ben noto. Come riporta il Chronicon Moissiacense per l'anno 796 (MGH. SS, I, 1826, p. 303), Carlo aveva voluto che il p. di Aquisgrana fosse chiamato Laterano, e in effetti a Roma sul finire del sec. 8° era proprio il complesso lateranense ad aver assunto le prerogative, oltre che la funzione, di una vera e propria corte, in sostituzione di quella bizantina, e, dal punto di vista delle strutture, a incarnare il tipo della residenza a un tempo privata e di rappresentanza, in particolare dopo che papa Zaccaria (741-752) aveva provveduto a un suo radicale restauro e alla costruzione ex novo di un triclinio (Lib. Pont., I, 1886, p. 432; Di Berardo, 1991) e nel momento in cui papa Leone III (795-816) si accingeva allo scadere del secolo a dotarla di una nuova aula tricora e di un altro triclinio, più tardi noto con il nome di aula Concilii. La definizione stessa del complesso lateranense da quella di patriarchium fino ad allora adottata era mutata in quella di palatium (Paravicini Bagliani, 1996).Al di là di pochissimi brani architettonici e di frammenti dell'originaria decorazione, nulla più resta delle strutture leonine, perdute insieme con tutto il complesso di sale, oratori, appartamenti privati che i papi del Medioevo avevano eletto a propria residenza, quando, con la ricostruzione del nuovo p. del Laterano decisa da Sisto V (1585-1590), si optò per la pressoché totale distruzione del p. antico. Completamente perduti e privi di attendibili riscontri archeologici sono anche gli edifici di rappresentanza, che le fonti attestano edificati dallo stesso Leone III in Vaticano insieme con il palatium destinato ad accogliere i sovrani carolingi nei soggiorni romani.Strutture ricettive appositamente erette per il sovrano in visita, nei primi decenni del sec. 9° sono attestate anche per numerosi monasteri e abbazie regi (Brühl, 1972; Binding, 1996).Mancano dati sufficientemente chiari per la residenza ottoniana di Ravenna (Rizzardi, 1990), che le fonti ricordano ubicata nei pressi del monastero di S. Severo, e per quella che, nel clima della renovatio Romae da lui stesso promossa, l'imperatore Ottone III si fece costruire sul colle Palatino, vicino al monastero di S. Cesario.Poco purtroppo è noto anche dei p. che gli Ottoni fondarono in Germania. Fra questi vanno ricordati Magdeburgo, eletta a capitale da Ottone I, Grone, Pöhlde, Werla, Tilleda, per i quali i dati forniti dall'archeologia sembrano indicare come tratto saliente la scelta di un sito che potesse offrire garanzie di difesa. Si tratta di complessi che, come i precedenti carolingi, si dispongono su superfici sempre di notevoli dimensioni, ma che tuttavia una cinta fortificata condiziona nel loro sviluppo e che alla vocazione di tipo 'urbanistico', propria delle fondazioni imperiali carolinge, sembrano opporre i criteri di una pianificazione attenta a sfruttare a fini difensivi le caratteristiche del terreno, adattandosi a esse piuttosto che sovrapporvisi: gli elementi costitutivi del complesso palaziale restano sostanzialmente gli stessi, ordinati in modo più o meno regolare. A Werla, la cappella palatina presentava una pianta cruciforme e terminazione orientale absidata e occupava il centro dell'area della Burg. A S, nei pressi del muro di cinta, un ambiente rettangolare, dotato di un impianto di riscaldamento a ipocausto, doveva costituire l'edificio di rappresentanza, forse a due piani, con annesso a E un altro ambiente a pianta circolare, che probabilmente prevedeva una copertura a volta e doveva fungere da oratorio privato: uno schema, questo dell'unione di un ambiente a sala con edificio annesso circolare, che richiama assai da vicino gli impianti palaziali dei secc. 10° e 11° sorti nelle regioni orientali dell'Europa per iniziativa dei principi přem'yslidi e piasti, come Ostrów Lednicki o quelli rimasti incompiuti di Giecz e Przemýsl.Una cappella con annesso mausoleo dinastico è chiaramente distinguibile nella residenza comitale di Elten, sul Reno, una Burg la cui importanza si accrebbe notevolmente a partire dal sec. 10° richiedendo l'adeguamento dell'originario impianto alle mutate esigenze: un ampio edificio in legno, con partizioni interne, sostituiva un precedente edificio di dimensioni più ridotte, assommando alla funzione residenziale quella di rappresentanza, evidentemente resasi necessaria. In effetti, le componenti che si è visto caratterizzare gli impianti palaziali di committenza imperiale nel corso dei secc. 10° e 11° divennero materia di riflessione per le residenze delle grandi signorie territoriali che dalla lezione carolingia sembrano aver mutuato la tendenza alla regolarizzazione delle strutture.Tale tendenza a una maggiore strutturazione e specializzazione degli edifici coinvolse si può dire tutte le regioni dell'Europa settentrionale, dalla Germania alla Francia, come attestano, sia pur nella varietà degli impianti, fondazioni come quella del p. d'Andonne (dip. Charente), dovuta ai conti d'Angoulême, o, in forme più compiute, quella del p. ducale di Caen (dip. Calvados), attribuita a Guglielmo il Conquistatore: un insieme, quest'ultimo, di tre costruzioni rettangolari in pietra, disposte più o meno ortogonalmente, e interpretate come aula, camera e cappella. Per le regioni della Francia settentrionale e occidentale, tuttavia, l'indagine sulle strutture a vocazione palaziale, cioè su quegli impianti che a una funzione meramente residenziale ne associano una ufficiale, di rappresentanza, pone di fronte alla necessità di far riferimento in primo luogo al fenomeno di gran lunga più imponente, per diffusione e numero, che caratterizza le fondazioni signorili, almeno per tutto il sec. 11° e per buona parte del successivo: l'affermarsi cioè delle grandi torri-residenza tradizionalmente note come donjons normanni: sono questi edifici a qualificare il panorama dell'architettura palaziale dei secoli in questione, rappresentando peraltro, dopo la conquista dell'Inghilterra, anche la tipologia edilizia ivi importata per funzionare da residenza fortificata dei nuovi dominatori normanni. Fra gli esempi più precoci vanno ricordate la torre-residenza di Ivry-la-Bataille (dip. Eure), tradizionalmente datata ancora entro il sec. 10°, quella di Loches (dip. Indre-et-Loire), eretta dai conti d'Angiò nella prima metà del sec. 11°, il donjon di Montbazon (dip. Indre-et-Loire), del 1050 ca., e, oltre Manica, la torre-residenza di Colchester (Essex) e la stessa White Tower di Londra, dovuta a Guglielmo I il Conquistatore (1066-1087). In tutti prevale un'organica e razionale strutturazione delle parti, che sono quelle proprie del palatium - aula, camera e cappella -, ma integrate all'interno di un unico corpo di fabbrica, a fissare con perfetta chiarezza d'intenti una sorta di programma 'minimale' del p. (Mesqui, 1991). Significativo può apparire al riguardo proprio l'esempio, precocissimo ma formalmente già compiuto, di Ivry-la-Bataille: il vasto edificio rettangolare, di cui non si conserva oggi che il primo livello, risultava diviso in due ambienti tramite un muro divisorio che isolava, su ciascuno dei piani individuati, una sala rettangolare di dimensioni imponenti da uno spazio simmetrico, meno ampio e a sua volta diviso in più ambienti o camere, una delle quali prolungata da un'abside semicircolare verso l'esterno. La restituzione che è possibile oggi fornire consente di ipotizzare, al piano terreno, un ruolo di sala pubblica per l'aula rettangolare e per gli altri ambienti minori voltati quello di magazzini per lo stoccaggio; mentre per quanto concerne il livello superiore, questi ultimi dovevano costituire gli appartamenti privati con, in successione, una 'sala privata', posta in comunicazione con la grande sala, la camera propriamente detta e la cappella, comunicante sia con la camera sia con la grande sala.Accanto a tali impianti, la cui natura di strutture a carattere difensivo resta anche negli esempi più 'aperti' elemento determinante, continuarono a mantenersi vive, forse proprio in virtù del peso della tradizione, le formule ereditate dal mondo carolingio: nell'ambito della ricostruzione del p. reale di Westminster voluta da Guglielmo II il Rosso (1087-1100) negli anni novanta del sec. 11°, il complesso palaziale doveva configurarsi come un insieme di edifici distinti sui quali tutti dominava quello della grande sala (hall) per le pubbliche udienze: un edificio vastissimo, che a lungo rimase il più grande di tal genere mai eretto in Europa, superato solo alla fine del sec. 13° dalla sala del p. della Cité di Parigi (v.); le pareti perimetrali erano percorse nella parte superiore da un cleristorio in tutto simile a quello delle chiese anglonormanne. Una grande sala, suddivisa al suo interno in tre navate da colonne, caratterizzava anche il complesso regio di Clarendon (Wiltshire), risalente agli anni settanta del sec. 12° e dovuto alla committenza di Enrico II: distrutta, un'idea del suo aspetto può tramandare ancora la sala, di dimensioni più modeste, ma di analoga articolazione, di Oakham Castle (Leicestershire), del 1190 circa. Caratteri analoghi alle residenze regie avevano assunto a partire dal sec. 12° anche le grandi residenze vescovili come quella di Hereford, dotata di una grande sala lignea del 1160 ca., o quella che il vescovo Enrico di Blois (1129-1171), nipote di Enrico I e fratello di re Stefano, si fece costruire a Winchester, una splendida domus quasi palatium (Annales monasterii de Wintonia; Rer. Brit. MAe. SS, XXXVI, 2, 1865, p. 51), che gli scavi hanno dimostrato organizzata in due blocchi isolati, posti l'uno di fronte all'altro e divisi da una corte, comprendenti ciascuno una grande aula: la prima, la West Hall, sorta probabilmente intorno al 1100, nella costruzione promossa da Enrico venne a costituire una sorta di sala privata, all'interno di un complesso con funzione residenziale, mentre la nuova East Hall (o Great Hall) rappresentò la grande aula pubblica d'udienza. La presenza di due distinte sale può essere ritenuta elemento caratteristico di gran parte delle sedi vescovili inglesi, ricorrendo anche negli esempi di Lincoln, ancora entro il sec. 12°, e di Wells, con due sale erette rispettivamente dal vescovo Jocelyn nel 1230 ca. e dal vescovo Burnell alla fine del Duecento.L'importanza che la grande sala strutturalmente autonoma continuò a mantenere nel corso del sec. 12° è chiaramente espressa dalla ristrutturazione che l'antica residenza ducale di Caen conobbe al principio del secolo. In sostituzione dell'aula del sec. 11° il p. venne dotato di un edificio a sé stante di notevoli dimensioni, oggi noto con il nome di Echiquier. Di tutto il programma di rinnovamento delle strutture esso costituiva indubbiamente l'elemento di maggior rilievo, non a caso l'unico del complesso che ancor oggi si conservi in elevato. Ad Angers, il p. comitale, nella sua fase di sec. 12°, accoglieva l'edificio della sala lungo un'intera ala dell'impianto rettangolare; gli ambienti retrostanti costituivano probabilmente gli alloggi, mentre altre due costruzioni indipendenti accoglievano la cappella di p. e le cucine. Ancora una grande sala rappresentava il tratto saliente del p. regio di Senlis, sicuramente uno degli esempi più integri e meglio conservati tra gli impianti palaziali regi del 12° secolo. Qui gli edifici a carattere residenziale e di rappresentanza si allineano lungo l'antica cinta gallo-romana con, in successione, un mastio, anch'esso probabilmente adibito a residenza, l'aula e l'insieme vero e proprio degli appartamenti, entrambi strutturati su due piani; al piano terreno tutti gli ambienti erano destinati alle funzioni domestiche, mentre il piano superiore era riservato al re e alla sua corte: oltre alla sala pubblica, fra questa e la camera vera e propria si apriva un ambiente anch'esso di dimensioni notevoli, a costituire una sorta di sala privata. Anche la cappella, parallela all'ala residenziale e a essa collegata, era su due piani; un portico, che al piano terreno fungeva da ingresso al complesso regio, al piano superiore era occupato da una tribuna aperta sulla cappella. A Druyes-les-belles-Fontaines (dip. Yonne), castello eretto intorno al 1170 per i conti di Nevers, tutto il lato del quadrilatero aperto sulla vallata fu occupato dall'ala del p., suddiviso in tre spazi: la sala, al centro, era inquadrata da due corpi di fabbrica destinati alle abitazioni, a loro volta dotati di ulteriori ambienti di servizio.Dalla fine del sec. 11° e nel 12° la maggior parte degli antichi episcopi dovette ricevere veste nuova e monumentale; per lo meno datano a partire da quest'epoca i più antichi episcopi che si siano conservati, i quali peraltro nella documentazione coeva significativamente cominciano a comparire con il nome di palatium. Fra gli esempi più noti è il p. episcopale di Angers, che nel sec. 12° presentava, al di sopra di un piano terreno voltato, un insieme articolato in un'ampia sala, una navata di m 27 di lunghezza, raccordata tramite un'arcata tripla a una sorta di transetto disposto ortogonalmente a formare una pianta 'a tau', secondo una definizione divenuta ormai corrente. Pianta analoga, sebbene frutto con ogni probabilità di campagne costruttive distinte, caratterizzava, in Spagna, il 'Palacio de Gelmírez' di Santiago de Compostela.Il p. vescovile di Meaux, del 1170 ca., presentava invece la grande sala, al piano terreno, divisa in due parti: le due maestose navate, ancora oggi conservate, vennero coperte con volte a crociera costolonata; annessa si eleva, parallela alla sala, la cappella a due piani. Ancora un altro impianto caratterizzava il p. episcopale di Beauvais, dove una grande sala a due appendici laterali era disposta ortogonalmente alla cappella.Nel panorama dell'architettura palaziale romanica, fra gli episodi più suggestivi e singolari si colloca l'attività costruttiva promossa nell'ambito dell'edilizia civile dai sovrani normanni di Sicilia. Appartengono alla fase d'espansione del loro dominio in Italia meridionale e in Sicilia numerosi donjons eretti dai Normanni come propria residenza, in linea con quanto, come si è visto, avveniva parallelamente nei domini francesi e in Inghilterra: saldi torrioni quadrangolari isolati e in posizione dominante, come il donjon di Paternò, eretto ancora entro il sec. 11°, sebbene forse in origine senza il carattere spiccatamente residenziale che oggi lo contraddistingue. P. urbani dei signori normanni sono peraltro attestati, fra gli altri, ad Aversa, Melfi, Conversano, Troia e Gioia del Colle, e in Sicilia a Mileto e a Messina, ma poco è possibile restituire circa il loro aspetto.Tradisce, invece, chiaramente le ambizioni della giovane monarchia, una volta acquisita dalla famiglia degli Altavilla la dignità regia, la serie di costruzioni palaziali da questi promosse a Palermo e tutto attorno alla città: tali residenze, se da una parte mostrano la volontà di dotarsi di edifici degni di un sovrano, orientandosi verso la forma più 'alta' rappresentata dalla tradizione dei p. imperiali, incarnano, dall'altra, un'elaborazione di parametri architettonici del tutto nuovi, notevoli anche per varietà di funzioni e tipologie, a partire dallo stesso p. regio, che Ruggero II elesse a sede politico-amministrativa dello Stato normanno. Eretto nel punto più elevato della città, l'acropoli, esso si configurava come una sorta di cittadella chiusa entro un poligono irregolare costituito da forti torrioni posti ai vertici e collegati fra loro da tratti murari intermedi. Il baricentro era nella Cappella Palatina, ideata con funzioni anche di aula regia (Ćurčić, 1987; Cadei, 1990); insieme con la torre Pisana, nel vertice settentrionale, e l'edificio annesso della Joharia, con la sala c.d. di re Ruggero, rappresenta quanto dell'attuale complesso può ascriversi alla fase normanna. La torre, un blocco parallelepipedo compatto, scandito esternamente da arcature cieche, all'interno si articola su due livelli: un piano inferiore, interpretato come camera del tesoro se non sede stessa della zecca regia, e un piano nobile, con un ampio vano centrale, di m 15 ca. di altezza e copertura a crociera, originariamente tutto ricoperto di mosaici, come l'adiacente sala di re Ruggero. Se i debiti nei confronti della tradizione occidentale possono apparire qui ancora vincolanti - a confronto con la torre Pisana possono citarsi i grandi donjons con funzione di rappresentanza oltre che residenziale -, nel p. suburbano della Favara, o Maredolce, dovuto anch'esso alla committenza ruggeriana, i modelli di riferimento appaiono mutati. Il p. venne eretto su un terrapieno prospettante per tre lati su un lago alimentato artificialmente, con tanto d'isola al centro. L'impianto palaziale vero e proprio era costituito da una corte centrale porticata con la serie degli ambienti, perlopiù voltati a crociera, allineati lungo i lati: il richiamo è alla tradizione della domus romana con peristilio, o forse meglio al modello dei ribāṭ arabi, come quello di Susa, in Tunisia, a questa ispirati (Meier, 1994). L'ala su cui si apriva l'ingresso, l'unica non prospiciente il lago, era occupata da ambienti con funzione pubblica: oltre alla cappella, con presbiterio tripartito e distinto dalla navata, una sala dotata di un proprio ingresso autonomo dall'esterno. Disposizione analoga degli ambienti, qui tuttavia attorno a due corti, presentava anche il p. Altofonte o Parco.Al centro di un ampio giardino, la Zisa venne eretta da Guglielmo I, come recita l'iscrizione in caratteri arabi sull'arco d'accesso all'aula centrale, a celebrazione stessa del suo nome e della sua figura di sovrano. L'edificio, malgrado i rifacimenti il più integro fra i solatia normanni, presenta una strutturazione ancora diversa, per la quale sono state indicate tangenze con la tradizione architettonica profana islamica (Staacke, 1991): a pianta rettangolare, la configurazione è quella di una compatta mole prismatica; la massa muraria, interrotta sui lati brevi da due strette torri rettangolari a mo' di contrafforte, come la torre Pisana esternamente è scandita su tre ordini da una serie di arcate cieche. Tre fornici si aprono sul prospetto principale, quello al centro notevolmente più alto. All'interno gli appartamenti privati sono distribuiti, per ognuno dei tre piani, simmetricamente attorno all'ambiente centrale, un'aula di rappresentanza a pianta cruciforme, elevata in altezza a comprendere quasi l'intero piano superiore; preceduta da un vestibolo e coperta da un'alta volta a crociera raccordata a nicchie laterali tramite piccole volte a muqarnas, accoglie al suo interno i bacini d'acqua di una fontana che, tramite un canale, si collegava con una peschiera all'esterno. Il terzo livello in corrispondenza dell'aula centrale si apre in un ambiente cruciforme con alcove su tre lati. All'interno di un parco, comprendente una serie di padiglioni fra cui Cubula e Cuba Soprana, e per tre lati circondato dall'acqua di un laghetto era anche il p. della Cuba, eretto da Guglielmo intorno al 1180. Come la Zisa, è un alto edificio a pianta rettangolare, con arcate cieche a ritmare la superficie muraria, ma organizzato su un solo piano. All'interno, per l'intera altezza dell'edificio si sviluppa, preceduto da un profondo atrio, un grande ambiente quadrato su cui a sua volta si apre un ambiente cruciforme.Per quanto di segno tutto particolare nelle fonti d'ispirazione come nella scelta delle maestranze, la predilezione accordata dai Normanni di Sicilia alle residenze suburbane, circondate da ampi giardini e laghi artificiali o peschiere, si inquadra all'interno di un fenomeno ampiamente condiviso dai sovrani dell'epoca, come attestano, prime fra tutte, le fondazioni imperiali dovute a Federico Barbarossa. In Italia, la costruzione di nuovi p. da parte del sovrano svevo è attestata per Ferrara, Lodi, Imola, Ivrea e Reggio Emilia: tutte fondazioni che, sorte probabilmente sull'onda delle leggi emanate dopo il 1158 dall'imperatore in materia di palacia e pretoria, dovettero nascondere più un intento propagandistico che reali esigenze di committenza (Brühl, 1972; Romanini, 1989). In Germania, le committenze dello svevo decretarono invece un decisivo incremento delle fondazioni imperiali, segnando, rispetto all'epoca della dominazione salica, un'intensa attività costruttiva tesa tanto al ripristino di antiche fondazioni carolinge, come Ingelheim e Nimega, quanto alla realizzazione di residenze ex novo, destinate a divenire centri della politica territoriale regia: nelle regioni orientali del regno Altenburg e, più tardi, Eger (od. Cheb), al centro Norimberga, a O Haguenau, Gelnhausen e Kaiserslautern; un p. quest'ultimo che il biografo Rahewin descrive eretto con non minore sfarzo delle regge carolinge appena restaurate, delimitato da forti mura ma dotato anche di un parco e di una peschiera (Gesta Friderici, IV, 86; MGH. SS rer. Germ., XLVI, 19123, pp. 344-345). Noto purtroppo solo attraverso alcune indicazioni di scavo, relative all'insieme di aula (Palas o Saalbau) e cappella annessa, e da disegni settecenteschi (Binding, 1996), esso doveva caratterizzarsi per l'impiego al livello della sala di un'articolata sequenza di arcate aperte a mo' di galleria.Partito analogo venne adottato nel Palas del complesso di Gelnhausen, eretto negli anni fra il 1160 e il 1172, su un'isola del fiume Kinzig. Fra le fondazioni sveve sicuramente la più integra che sia pervenuta, si articolava in un insieme di edifici comprendenti, presso l'accesso occidentale, una Torhalle a due navate, con cappella al piano superiore, una torre quadrata immediatamente adiacente e sul lato opposto, lungo il lato nord delle mura, l'edificio del Palas. Originariamente a tre piani, la costruzione è conservata nei muri perimetrali dei due primi livelli: il primo, in parte interrato rispetto al piano di corte, era suddiviso all'interno in due ambienti principali che prendevano luce da strette aperture e dovevano pertanto ricoprire una funzione di servizio; il piano superiore, dotato di un portale d'accesso riccamente decorato, si apre invece sulla corte in una serie di arcate a tutto sesto, ritmate a sinistra in una pentafora e a destra in una coppia di trifore, con capitelli scolpiti; la suddivisione interna doveva ripetere sostanzialmente quella del piano inferiore, ma con evidenti caratteri residenziali; un terzo livello, probabilmente aperto anch'esso a loggiato, doveva contenere l'aula di rappresentanza vera e propria. Intorno agli stessi anni, e forse dalle stesse maestranze, vennero eretti i p. di Haguenau e Norimberga, mentre agli anni ottanta risalgono il complesso palaziale di Kaiserswert, la Burg di Trifels e la ristrutturazione del p., di fondazione salica, di Goslar (v.), quest'ultimo qualificato da un sistema di articolazione della facciata che, nell'assoluta simmetria della composizione, appare quale esito formalmente compiuto di una ricerca che, a partire dalla seconda metà del sec. 12°, sembra connotare la maggior parte delle architetture residenziali e di rappresentanza dell'area tedesca, non soltanto d'ambito imperiale. Lo attestano chiaramente le residenze erette in quest'epoca dai più potenti signori territoriali, principi elettori e ministeriales come, fra le altre, la Burg di Dankwarderode, residenza di Enrico il Leone, presso Brunswick, la Wartburg, del langravio di Turingia Ludovico II, la Burg Münzenberg, del ministeriale Cuno von Hagen-Arnsburg-Münzenberg: tutti esempi nei quali la strutturazione in più piani degli edifici residenziali, la distinzione fra livello degli ambienti di servizio al piano terreno, con rare e piccole aperture, e il piano o i piani superiori nobili, in cui le vaste dimensioni degli spazi di rappresentanza si misurano nella sequenza delle grandi aperture, si lasciano in effetti cogliere quali tratti salienti di un'architettura di 'potenza' non più solo affidata al linguaggio della roccaforte. Nella Wartburg, lo sviluppo del tema della loggia assume caratteri davvero imponenti, riproponendosi su tre livelli nella fronte prospiciente la corte, con un ruolo che in parte è quello di assolvere alla funzione di corridoio di disimpegno per gli ambienti posti all'interno, contribuendo anche alla loro illuminazione, ma che soprattutto è d'apparato.Del resto la ricerca di un'articolazione delle strutture in forme monumentali, la qualificazione delle facciate attraverso il partito delle arcate, l'uso di logge o gallerie aperte, come attestano esempi geograficamente assai distanti o diversi per committenza, furono per il sec. 12° elementi comuni di sperimentazione architettonica per tutti quegli edifici in cui le funzioni pubbliche si coniugavano a esigenze di rappresentatività. A Colonia, il p. eretto dall'arcivescovo Reinald von Dassel (1158-1167), tramandato nel suo aspetto solo da fonti iconografiche seicentesche, presentava al piano superiore una serie continua di archi a formare una vera e propria galleria che percorreva l'intero prospetto, in modo del tutto simile, per quanto è dato rilevare, alla splendida galleria che il vescovo Hugues de Montaigu volle per il suo p. di Auxerre, in questo caso più propriamente galleria di collegamento fra distinti corpi di fabbrica che non loggiato; ma un'analoga qualificazione della facciata caratterizzava per es. il prospetto del p. noto come 'dei re di Navarra' a Estella.Sulla linea delle fondazioni di Federico Barbarossa si pongono i complessi palaziali, più tardi, di Wimpfen ed Eger e il p. di Seligenstadt, ascritti di recente (Binding, 1996) alla committenza di Federico II e attribuiti agli anni venti e trenta del Duecento. Difeso da due possenti torri a pianta quadrata, delle quali quella orientale certamente anche con funzione di abitazione, il complesso di Wimpfen si articolava in una serie di edifici residenziali e di rappresentanza tutti disposti lungo il lato fortificato prospiciente la Neckar, a N. Il Palas vero e proprio, con annessa a E la cappella e conservato nel solo muro perimetrale settentrionale, presentava il piano terreno distinto in tre ambienti, preceduti quasi per l'intera lunghezza del corpo di fabbrica da una sorta di corridoio o vestibolo. L'ambiente a E, più ampio degli altri, era dotato di feritoie sul lato verso il fiume, mentre a O il Palas comunicava attraverso due porte con un ulteriore corpo di fabbrica allineato all'angolo segnato in questo punto dalla cinta fortificata. Il piano superiore doveva grosso modo mantenere la stessa ripartizione dello spazio, ma, sul fronte prospiciente la valle, la sala a E si apriva nella serie di due pentafore e una quadrifora ancora oggi conservate. Un ulteriore piano superiore poteva contenere una sala di rappresentanza estesa per l'intera lunghezza del Palas. Anche a Eger, al di sopra di un primo livello in parte interrato, il Palas, in pianta un rettangolo notevolmente sviluppato in lunghezza, doveva articolarsi in due distinti spazi: a E la sala aperta sulla valle in tre pentafore ordinate simmetricamente; a O due o tre ambienti dotati di camini, preceduti da un corridoio o vestibolo di disimpegno e illuminati sulla fronte settentrionale da finestre gemine e, più in alto, da tre oculi. Nella corte, parallela alla fronte del p., si erge la cappella palatina, anch'essa a due piani: in quello superiore un passaggio doveva probabilmente garantire in origine il collegamento diretto con l'aula. Seligenstadt, p. eretto fra il 1235 e il 1240, del quale si conserva il solo fronte prospiciente il Meno, su due piani, era privo di sistemi di fortificazione e nel suo carattere di residenza isolata sembra riflettere una concezione architettonica più vicina a quella rappresentata dalle domus federiciane costruite in Italia come residenze di caccia che non alla tradizione palaziale di committenza imperiale (Binding, 1996).Al tipo del palatium imperiale poteva forse richiamarsi il p. eretto da Federico II a Foggia, la città destinata nei programmi del sovrano svevo a rappresentare in Italia la vera e propria capitale del regno. Distrutto, restano a documentare la forte connotazione politica che doveva improntarlo solo alcuni frammenti scolpiti murati all'esterno dell'attuale sede del Mus. Civ. della città, insieme all'epigrafe celebrativa della fondazione: oltre alla data, 11 giugno 1223, questa reca il nome del protomagister Bartolomeo da Foggia, responsabile, probabilmente, del cantiere, e un'insistita allusione al diretto intervento del sovrano nel progetto stesso dell'opera. Testimonianze figurative, precedenti la distruzione nel 1790, e alcuni frammenti plastici consentono di ricostruire un ruolo di dimora ufficiale anche per il palatium di Lucera, eretto verosimilmente tra il 1235 e il 1240: una struttura quadrata su tre livelli e corte all'interno, il cui aspetto doveva richiamare assai da vicino quella di un mastio, presentandosi dal punto vista strutturale come una sorta di donjon dilatato attorno al nucleo centrale della corte (Cadei, 1988). Un'ulteriore attestazione del termine palatium è riservata dalle fonti per la fondazione tarda del castello di Lagopesole (v.).Con una mutazione di segno nel concetto stesso di sede dell'autorità sovrana, il luogo dell'imperatore e gli edifici rappresentativi del suo potere furono di fatto costituiti in Italia dai castelli, fondati in gran numero da Federico II in Puglia e Sicilia: destinati a riassorbire anche in chiave simbolica il tipo tradizionale del p., fra questi mostrano preponderanti e spiccati caratteri residenziali e di rappresentanza Castel del Monte (v.) e il Castel Maniace di Siracusa, magnifica residenza aperta sul mare in ampia trifora e dominata dalla grande sala su colonne che trasforma in aula lo spazio quadrilatero della corte.Una funzione residenziale, ma di carattere 'privato', ebbero indubbiamente insediamenti come quelli di Fiorentino, Ordona, la domus vivarii S. Laurentii, la domus di Apricena, quella di Gravina e, in Sicilia, il c.d. castelluccio di Gela: insediamenti che la documentazione federiciana indica generalmente con il termine di solacium, perlopiù inseriti all'interno di tenute e riserve di caccia demaniali. Accanto a questi si collocano le domus di Palazzo San Gervasio (prov. Potenza) e di Marano di Napoli, la cui complessa articolazione è ancora leggibile malgrado la frammentarietà delle emergenze architettoniche (v. Federico II).Anche nel resto d'Europa il fenomeno della 'castralizzazione' del p. (Mesqui, 1993) appare a tutti gli effetti come il tratto dominante dell'architettura residenziale del Duecento e tale da segnare una netta cesura con la tradizione palaziale precedente, assestandosi in una forma tipologica stabile che continuò nel secolo seguente a fornire il principale modello di riferimento per le grandi residenze signorili. Ciò non impedì, tuttavia, che in complessi anche da un punto di vista simbolico di particolare pregnanza si potessero mettere in pratica, aggiornati, schemi propri della tradizione palaziale altomedievale; che, ancora, si continuassero a sperimentare tipi edilizi propri del secolo precedente come la torre-residenza; che, infine, anche all'interno del rigido schema imposto dal castello quadrilatero ad ali si producessero significative varianti e scarti alla regola. È questo il caso per es. del castello-p. comitale di Boulogne-sur-Mer (dip. Pas-de-Calais), edificato intorno agli anni trenta del Duecento, che, pur organizzandosi in impianto castrale a strutturazione geometrica, non adottò la più comune articolazione degli ambienti in ali disposte attorno alla corte, ma continuò a mantenere l'insieme più propriamente residenziale e di rappresentanza, cappella-sala-appartamenti, tutto concentrato in un terzo della cinta poligonale, come blocco di corpi giustapposti. Analoga libertà compositiva attestava il p. di campagna del vescovo di Beauvais a Thiers-sur-Thève (dip. Oise), dell'ultimo quarto del sec. 13°, oggi purtroppo allo stato di rudere: la grande sala di rappresentanza occupava qui tutto un lato della cinta, al di sopra dell'entrata, e la cappella era inserita in una delle torri d'angolo, ma gli ambienti residenziali si posizionavano al centro della corte.Nei confronti del tipo dominante, assai significativa si dimostra la netta contrapposizione segnata, dal punto di vista concettuale, dai due complessi della Cité a Parigi e del p. dei Papi di Avignone (v.). Per quanto nell'uno come nell'altro caso si tratti di impianti frutto di successive fasi, in entrambi si evidenzia fin dall'origine il ricorso a un modello, mantenuto costante, di strutturazione per edifici indipendenti, distinti in base alla funzione, che è ancora quello proprio della tradizione. Per la Cité, addirittura, la chiara individuazione dei tre poli religioso, di rappresentanza e residenziale, disposti ortogonalmente ma collegati fra loro da veri e propri edificigalleria, sembra traduzione fedele dell'impianto palaziale carolingio di Aquisgrana. Il rifiuto del tipo di strutturazioni ad ali indifferenziate appare evidente anche nel p. avignonese, nel chiarissimo programma funzionale adottato negli anni 1330-1340, che contrappone a un nucleo di appartamenti, cappella annessa, sala e ambienti di servizio, incentrato attorno alla torre degli Angeli - sorta di vera e propria torre-residenza -, di carattere esclusivamente privato, un impianto con funzione pubblica, basato invece sul concetto del p. su corte, con aula e cappella disposti ortogonalmente su due lati del complesso. Rispetto all'impianto realizzato sotto Benedetto XII (1334-1342), il successivo ampliamento voluto da Clemente VI (1342-1352) non comportò di fatto che la duplicazione del più antico nucleo 'pubblico' in un altro impianto palaziale su corte, dalle forme geometricamente assai più regolari e 'aggiornate', con la torre degli Angeli posta al centro a fungere da cerniera. Ad Avignone, una declinazione dello stesso tema sala-torre rappresentò il tipo di impianto adottato nella seconda metà del sec. 14° dalle livree cardinalizie, erette per i cardinali residenti in città: in linea generale e sulla base degli scarsissimi esempi ancora leggibili, queste dovevano comporsi di una sala rettangolare dotata nel suo prolungamento di una torre, la cui natura simbolica si associava molto probabilmente a una funzione di appartamento privato. Fra le più integre, la livrea Ceccano presenta al suo interno brani dell'originaria decorazione a finte architetture.L'esiguità delle emergenze architettoniche conservate dell'antica residenza romana presso S. Pietro non consente di stabilire quanto tale modello poté pesare nelle scelte maturate dalla corte pontificia avignonese. Ponendo, forse per la prima volta, le premesse di uno sviluppo a carattere residenziale della sede del Vaticano, verso la fine del suo pontificato Innocenzo IV (1243-1254) aveva fatto erigere, come attesta il cronista del papa Niccolò da Calvi, "palatium, cameras et turrim pulcherrimas" (Steinke, 1984, p. 49): un complesso costituito da un'alta torre, la c.d. torre di Innocenzo III, che assolveva a funzioni residenziali, e da un edificio annesso, la sala Ducale o aula tertia, quale ala di rappresentanza. Inglobato all'interno del complesso palaziale voluto da Niccolò III (1277-1280), questo primo nucleo dei p. del Vaticano denunciava un carattere improntato all'architettura di difesa; un blocco chiuso e compatto assimilabile al tipo del mastio, che per altri versi, tuttavia, nella dimensione rappresentativa di luogo fisico del potere politico e amministrativo riservata alla sala, sembra trovare più di un tema di confronto con le esperienze che erano venute maturando fra il sec. 12° e il primo 13° nelle fabbriche 'cistercensi' dei broletti (v.) lombardi (Romanini, 1989; Pistilli, 1991).Il carattere innovativo che il p. innocenziano dovette rappresentare per Roma e soprattutto per i territori dello Stato pontificio è facilmente leggibile nella funzione di modello, in qualche modo normativa, da questo assunta per le residenze papali di Viterbo, Orvieto, Montefiascone, Rieti. Il p. dei Papi di Viterbo venne costruito in più fasi fra il 1257 ca. e il 1267, in un momento di grande espansione edilizia della città e in connessione con la volontà delle magistrature cittadine di promuovere il definitivo trasferimento della corte pontificia. Servito da uno scalone gettato a superare il dislivello con la piazza del duomo, il piano del grande salone illuminato da bifore poggia su una poderosa costruzione contraffortata verso valle, fortemente improntata ai caratteri dell'architettura militare, all'interno della quale si articolava una serie di sale minori, ambienti di servizio e alloggi per i corpi di guardia, con coperture su archi-diaframma. Attigua alla sala e con questa comunicante, venne eretta la loggia, con la teoria di archi intrecciati a traforo su colonnine che, come in un chiostro, in origine dovevano correre su tutti i lati.Contemporaneamente al p. di Viterbo, in forme meno monumentali e scenografiche, venne eretto il p. papale di Orvieto. I lavori promossi nel 1262-1264 da papa Urbano IV comportarono la costruzione, presso il vescovado, di un corpo di fabbrica articolato in due grandi saloni trasversali sovrapposti, con copertura a botte al piano terreno e ad arconi ogivali al livello superiore; una torre sporgente con coperture a crociera accoglieva al piano superiore la cappella. Incentrato su un unico enorme salone al piano superiore, e su un corpo a due navate con copertura a botte al piano inferiore, venne eretto, sempre a Orvieto, anche il p. Soliano, voluto da Bonifacio VIII (1294-1303), ma che, con il trasferimento della corte pontificia ad Avignone, rimase incompiuto.A Rieti, il p. papale, tradizionalmente riferito agli anni ottanta del Duecento, andò ad addossarsi alle strutture stesse dell'episcopio: anche qui per l'ala di rappresentanza il ricorso fu al tipo dell'ampia sala porticata al piano terreno, a due navate su pilastri, e grande aula al piano superiore. Temi, modalità costruttive, soluzioni architettoniche sembrano anche in questo caso rimandare all'apporto o all'influsso dei cantieri monastici di radice cistercense, che, peraltro, nel Lazio meridionale si erano già resi protagonisti del rinnovamento edilizio di comuni quali Alatri, Ferentino e la stessa Anagni (v.), dove alla lezione cistercense si richiamano a evidenza le soluzioni adottate sia nel p. detto di Bonifacio VIII, sia nel più tardo p. Traietto.Espressione delle grandi famiglie dell'aristocrazia mercantile, saldamente al potere e consce del proprio ruolo politico e sociale, costituì nell'ambito dell'edilizia residenziale il tipo del p. a volumetria compatta, sviluppato in altezza e strutturato in piani sovrapposti, che accoglieva al piano terreno i vani destinati all'esercizio di attività commerciali, mercantili o imprenditoriali, riservando i piani superiori all'abitazione e agli ambienti di rappresentanza.Precoce e compiuta formulazione del tipo si ebbe proprio nei Comuni dell'Italia centrale, dove l'ascesa delle classi borghesi rappresentò il fenomeno di punta fra Duecento e Trecento e dove, nell'ambito dell'edilizia pubblica, l'esigenza di dotarsi di impianti di rappresentanza, destinati nel contempo a fungere anche da residenza degli stessi magistrati, aveva aperto la strada alla sperimentazione del più ampio ventaglio di soluzioni. Ancora tutto in ambito duecentesco, uno degli esempi formalmente più evoluti, tanto da invocare la figura di un architetto di altissimo livello (Brandi, 1985), è rappresentato dal p. Tolomei di Siena: un compatto volume quadrangolare in pietra calcarea scandito in tre livelli da cornici marcapiano, con uno slanciato portale dal profilo archiacuto al centro e due porte ad arco ribassato ai lati, probabilmente ingressi a botteghe o magazzini, aperti sulla fronte dell'alto piano terreno, e due ordini di bifore trilobe archiacute ai piani superiori.Ancora più sviluppato in altezza, per il sovrapporsi dei cinque piani, è il p. Davizzi-Davanzati a Firenze. Portato a compimento probabilmente nella seconda metà del sec. 14° e fra i più integri che si siano conservati, restituisce un'immagine dell'edilizia residenziale fiorentina così come questa dovette evolversi nel corso del Trecento, attentissima nelle proporzioni, animata dall'alternanza dei paramenti lisci o a bugnato e dalle ghiere a ventaglio sulle aperture, generalmente ad arco scemo. Al piano terreno, dal paramento a bugnato, il p. si apre in tre grandi portali; cinque grandi finestre articolano il prospetto nei tre piani soprastanti, in corrispondenza di altrettanti ambienti a sala. All'interno, organizzati attorno a una piccola corte preceduta al piano terreno da un atrio, gli ambienti affacciano su ballatoi sorretti da mensoloni. Camere e locali di servizio si distribuiscono lungo i fianchi prospettanti sui vicoli. Come nel p. eretto a Prato dal mercante e banchiere Francesco di Marco Datini, testimoniano la volontà di adeguamento ai parametri del vivere cortese le decorazioni ad affresco delle sale del Pappagallo e dei Pavoni e quelle della superiore camera nuziale, eseguite ancora entro il Trecento.Nell'Italia meridionale, a parte il caso di per sé singolare di p. Rufolo a Ravello - un impianto quadrilatero che serra al suo interno un cortile con portici e loggiati, inserito in un giardino cinto a sua volta da mura anch'esse quadrilatere e dotate di torri agli angoli, eretto nel 1280 ca. in forme modellate su tipologie di carattere militare, ma restituite tutte a una dimensione puramente decorativa dalla ricchezza dei rivestimenti policromi d'influsso arabo -, l'architettura residenziale privata si affida a pochi per quanto significativi esempi: a Capua il p. di Bartolomeo di Capua (1248-1328), logoteta e protonotario del regno, ancora entro il Duecento, e in Sicilia i p. Chiaramonte, o Steri, e Sclafani di Palermo. La severa mole dello Steri venne eretta ai primi del Trecento: su pianta quadrata, con atrio centrale porticato, contrappone a un piano terreno illuminato da poche feritoie, aperte in alto nella compatta cortina muraria, il piano nobile traforato da grandi aperture bifore e dalle trifore della sala Magna e prospettante in logge sulla corte interna. La ricca decorazione a tarsie di pietra lavica evolve temi propri della tradizione normanna. Dimensioni ancora più imponenti raggiunse il p. Sclafani, del 1330 circa. Analogo nell'impianto, a pianta quadrangolare su corte interna, si articola su tre livelli, ancora piuttosto leggibili malgrado le manomissioni: un piano terreno con aperture monofore e due piani superiori aperti da bifore, al primo livello - quello del piano nobile - arricchite da una fascia di archi intrecciati con intarsi in tufo nero. Pertinenti alla prima metà del sec. 14° dovrebbero potersi giudicare anche le parti conservate dei due edifici dell'osterio Magno e dell'osterio Piccolo, a Cefalù, unici brani superstiti del complesso residenziale della famiglia dei Ventimiglia.A Venezia, l'esempio protoduecentesco di Ca' da Mosto attesta come assai precocemente le unità d'abitazione delle più ricche famiglie di mercanti avessero acquisito forme e dignità di p. a un tempo residenziale e di rappresentanza. Secondo modalità organizzative che rimasero di fatto immutate ben oltre il sec. 14°, Ca' da Mosto si annuncia, sia pure in nuce, fra le prime formulazioni che segnano il passaggio dal tipo della casa-fondaco a quello del palazzetto a planimetria tripartita longitudinale, riproposta identica per entrambi i piani originari e incentrata sull'ampio vano centrale 'passante', aperto sia sul fronte del canale sia sulla corte posteriore, affiancato sui due lati da ambienti minori che, con funzioni di servizio o uffici al piano terreno, accolgono al piano superiore le stanze destinate all'abitazione. A tale schema tripartito corriponde un'impaginazione della facciata che alla disposizione delle arcate del piano terreno fra testate angolari piene sovrappone, ancora leggibile malgrado le manomissioni, un raffinatissimo partito di loggia originariamente eptafora inquadrata alle estremità da due monofore. Unico elemento improntato a dignità figurativa, il prospetto sul canale del p. riflette principi compositivi già formalmente compiuti, frutto di una ricerca orientata su parametri che a buon diritto possono definirsi di natura 'urbanistica' (Arslan, 1970; Maretto, 1986).Pur nell'assoluta specificità costituita dal contesto lagunare, in tal senso la lezione che è dato cogliere si pone in evidente rapporto di analogia con quanto nell'Italia dei Comuni si andava sperimentando in fatto di 'decoro' urbano, con tutte quelle iniziative, cioè, che, perlopiù imposte e dirette ovunque dagli stessi organi di governo, si indirizzavano ormai verso forme di ridefinizione e riqualificazione in senso 'moderno' di tutto il tessuto edilizio cittadino in termini di vera e propria progettazione urbana: temi e modalità d'intervento che, nella ricerca di una definizione geometrica, chiara e ordinata dei prospetti, in particolare degli impianti a blocco edilizio compatto, offrirono, preparandola, più di uno spunto di riflessione all'architettura palaziale del Rinascimento.
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In epoca protobizantina e almeno fino a tutto il sec. 6°, il termine p. (gr. palátion, lat. palatium) appare impiegato nelle fonti per definire esclusivamente la residenza imperiale (per la quale sono attestate anche le denominazioni basíleia e anáktora), in primo luogo quella costantinopolitana - il cui significato simbolico come centro del potere politico è sottolineato spesso dagli appellativi di grande o sacro p. (méga Palátion o hierón Palátion) -, ma anche altre sedi imperiali sia all'interno della capitale, sia nei suoi immediati dintorni, sia in regioni periferiche.La Notitia urbis Constantinopolitanae (secondo quarto del sec. 5°) attesta l'esistenza a Costantinopoli di cinque palatia, anche se ne elenca nel dettaglio solamente tre: il Grande Palazzo (Palatium Magnum) e il Palatium Placidianum, entrambi ubicati nella prima regione urbana, e il Palatium Flacillianum, posto invece nella decima regione. In piena epoca protobizantina il diritto di risiedere in un palatium sembra dunque riconosciuto esclusivamente all'imperatore e alla sua famiglia (Elia Flaccilla e Galla Placidia furono rispettivamente la prima moglie e la figlia di seconde nozze di Teodosio I), mentre, secondo una precisa scansione che sembra tenere conto sia dei fattori dinastici sia dei ruoli pubblici assunti dai diversi personaggi, agli esponenti della cerchia imperiale più ristretta spettava il diritto di risiedere in residenze dallo statuto intermedio tra quello del p. ufficiale e quello della fondazione privata, come le domus divinae Augustarum o le domus nobilissimae (Dagron, 1974, pp. 92-103).Già a partire dall'età di Teodosio II (408-450), ma soprattutto in seguito nel sec. 6° e in età giustinianea, si assiste al fenomeno del moltiplicarsi delle residenze imperiali urbane - costruzione dei due p. nell'area del Bukoleon, a S del Grande Palazzo e a ridosso della costa del mar di Marmara, fondazione del p. nel quartiere delle Blacherne - ed extraurbane, come testimoniano per es. i due p. di Hierón e di Iucundiana, entrambi sulle rive del Bosforo, che Procopio di Cesarea (De Aed., I, 11, 16-17) attribuisce alla committenza di Giustiniano (527-565).Per quanto riguarda le regioni periferiche, pur in assenza di resti archeologici significativi, merita di essere segnalato l'interesse manifestato soprattutto dallo stesso Giustiniano per la costruzione ex novo, la risistemazione o almeno la continuità d'uso dei p. imperiali preesistenti nelle città divenute sedi principali dell'amministrazione periferica dell'impero bizantino. Tale è il caso di Cartagine e di Ravenna, dove l'esistenza di p. imperiali in età giustinianea è testimoniata ancora da Procopio (Anecdota, I, 33); a Ravenna, il p. di Teodorico, talvolta indicato nelle fonti dell'epoca come 'sacro p.' (Ward-Perkins, 1984, p. 167, n. 36), conservò ancora a lungo il suo ruolo, divenendo sede prima del prefetto e poi dell'esarca d'Italia (Porta, 1991). Tale è anche il caso di Roma, dove le fonti (Gregorio Magno, Ep., XIII, 1; Ward-Perkins, 1984, p. 167) testimoniano la continuità del Palatino come simbolo del potere imperiale e la sopravvivenza almeno fino all'ultimo decennio del sec. 7° della carica di curator palatii.Al di là della semplice citazione, le fonti non restituiscono però alcuna informazione circa la struttura e l'articolazione spaziale dei p. imperiali di epoca protobizantina, e i dati ricavabili dalle poche indagini archeologiche fin qui condotte non consentono ricostruzioni attendibili. Il Grande Palazzo di Costantinopoli è noto essenzialmente attraverso una fonte mediobizantina - il De caerimoniis aulae Byzantinae, redatto dall'imperatore Costantino VII Porfirogenito intorno alla metà del sec. 10° -, che ne descrive però gli spazi solo indirettamente, come scenario di ambientazione delle cerimonie di corte che costituiscono l'oggetto principale del trattato. Si tratta dunque di un testo di difficile e non univoca interpretazione in senso archeologico e architettonico, la cui esegesi ha dato origine a ricostruzioni anche sensibilmente diverse tra loro e che comunque si riferiscono appunto alla fase mediobizantina, ultima risultante di una serie di interventi di ampliamento e di riqualificazione del complesso palaziale succedutisi nell'arco di oltre seicento anni.Di fatto nessun dato certo è disponibile a proposito della prima fase del Grande Palazzo, quella di epoca costantiniana, a proposito della quale non appare oggi più sostenibile un'ipotesi ricostruttiva legata a una presunta 'tipologia' più o meno consolidata delle residenze imperiali di epoca tardoantica. Venuti meno i presupposti stessi di tale tipologia (Duval, 1992), gli unici due aspetti che sembrano caratterizzare dal punto di vista simbolico e funzionale il p. costantinopolitano nella sua prima fase sono lo stretto legame topografico e strutturale con l'ippodromo e la contiguità con la piazza porticata dell'Augusteion, diretta erede dello spazio pubblico centrale della Bisanzio antica e severiana.Interessato almeno nella sua porzione settentrionale dal grande incendio che nel corso della rivolta di Nika del 532 distrusse anche le terme di Zeuxippos e la Santa Sofia, il Grande Palazzo vide una prima fase di ricostruzione e di ampliamento sotto Giustiniano, Giustino II (565-578) e Tiberio I Costantino (578-582). Al primo si deve la ricostruzione del complesso della Chalké, una sorta di vestibolo monumentale, posto nella zona nordorientale del p., che Procopio (De Aed., I, 10, 12-20) descrive come un grande rettangolo coperto da una cupola e decorato da lastre di marmo policrome e da mosaici raffiguranti Giustiniano e la sua consorte Teodora al centro di una serie di pannelli illustranti le recenti vittorie militari delle truppe bizantine in Italia e in Africa settentrionale (Mango, 1959). Al secondo e al terzo si devono invece rispettivamente la realizzazione e il completamento della decorazione del Crisotriclinio, una grande sala ottagona coperta a cupola, destinata a ospitare il trono imperiale e a costituire quindi il nucleo centrale del complesso palaziale. Nei due secoli successivi praticamente nessun imperatore bizantino rinunciò all'idea di arricchire ulteriormente il p. con nuovi ambienti o nuove decorazioni: gli interventi più importanti appaiono quelli di Giustiniano II (685-695) - cui si devono la costruzione di due grandi gallerie (Lausiakós e Iustinianós) che mettevano in comunicazione il Crisotriclinio con la porta settentrionale del complesso palaziale (detta degli Skýla) e con la zona dell'ippodromo - e quelli di Teofilo (829-842) e di Basilio I il Macedone (867-886), cui le fonti assegnano rispettivamente la costruzione di alcune nuove sale e l'edificazione della Nea Ekklesia, la grande chiesa che sorgeva sul limite meridionale del palazzo. Essa veniva a consacrare definitivamente la vocazione religiosa di questa parte del complesso - che già da un secolo ospitava una famosa chiesa dedicata alla Vergine, eretta da Costantino V Copronimo (741-775) e considerata la cappella palatina per eccellenza - con un processo che andò completandosi sotto il regno dello stesso Basilio I e del suo successore Leone VI (886-912) con la costruzione rispettivamente dei tre oratori dedicati a s. Clemente, a s. Elia e al Salvatore, e della chiesa di S. Demetrio (Guilland, 1969, I, pp. 311-315).Gli scavi archeologici condotti a più riprese nel periodo interbellico e subito dopo la seconda guerra mondiale (Mamboury, Wiegand, 1934; Brett, Macauly, Stevenson, 1947; The Great Palace, 1958) hanno interessato di fatto solo alcune zone periferiche del complesso del Grande Palazzo, in particolare quella occidentale, a ridosso dell'ippodromo, e quella meridionale, a ridosso delle mura marittime lungo il mar di Marmara (Demangel, Mamboury, 1939). Il nucleo principale - per la sua massima parte posto nell'area in seguito occupata dalla Sultan Ahmet Cami - è stato indagato anch'esso solo nelle sue periferie nordorientale, in corrispondenza dell'area dove doveva sorgere la Magnaura (una grande sala basilicale a tre navate, destinata a ospitare gli incontri con le ambascerie straniere), e orientale, dove, non lontano dal Crisotriclinio, sorgeva il grande peristilio decorato con il celebre mosaico pavimentale di epoca protobizantina (Mosaikenforschung, 1992).Del tutto irrisolta appare inoltre la questione relativa all'esistenza e alle caratteristiche strutturali di un sistema difensivo autonomo del p. imperiale di Costantinopoli. Qualche sporadico accenno nelle fonti (Guilland, 1969, I, pp. 338-339) sembra avvalorare l'ipotesi della presenza di un recinto fortificato a difesa del Grande Palazzo già in epoca protobizantina; più sicuro e documentato è invece l'intervento di riassetto o di radicale riedificazione della cinta muraria voluto da Niceforo II Foca (963-969). La ricostruzione del tracciato di questa cinta è ovviamente del tutto ipotetica: secondo Guilland (1969) è plausibile supporre che essa si raccordasse a O con il tracciato delle mura marittime lungo la Propontide e che si dirigesse verso N, costeggiando il lato orientale dell'ippodromo e raggiungendo prima la porta degli Skýla e poi l'area nordorientale del complesso, che fin dall'epoca protobizantina ospitava le sedi dei diversi corpi di guardia; da qui il muro doveva dirigersi verso E, lasciando forse all'esterno la Chalké, che aveva ormai perso il suo ruolo di ingresso monumentale al p., per ricollegarsi alle mura marittime in prossimità della punta della penisola. Secondo Mango (1992), invece, la nuova cinta si sarebbe sviluppata su di un percorso assai più ridotto, includendo solo il p. del Bukoleon e le sue immediate pertinenze, creando così, all'interno del Grande Palazzo, una residenza specialmente protetta per l'imperatore.Quale che fosse la sua estensione, l'edificazione - o riedificazione - della cinta muraria del p. imperiale da parte di Niceforo II Foca conferì di fatto un limite ben definito alla residenza ufficiale degli imperatori bizantini, creando, sia pure a posteriori, una distinzione tra un suo nucleo centrale e le aree adiacenti, in cui pure sorgevano fin dall'epoca protobizantina altre residenze imperiali.Poco chiara è, in questo contesto, l'ubicazione dell'altro complesso residenziale annesso al Grande Palazzo e noto a partire dall'epoca mediobizantina con il nome di Porphýra: non citato nel De caerimoniis, questo p. è descritto in qualche dettaglio da Anna Comnena (Alexiade, VI, 8), che ne ricorda la forma quadrangolare, sovrastata da un tetto piramidale, e la decorazione interna costituita prevalentemente da lastre di porfido rosso. Più precisa è invece la collocazione topografica, nell'area compresa tra la curva dell'ippodromo e la chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, del p. detto di Hormisdas, eretto già da Costantino il Grande (306-337) per un principe persiano rifugiatosi presso di lui e divenuto residenza privata di Giustiniano nel periodo in cui era ancora principe ereditario. Divenuto imperatore, Giustiniano, che già aveva fatto restaurare e ampliare questo p., lo fece anche collegare al Grande Palazzo attraverso una serie di passaggi, annettendo così di fatto al complesso palaziale centrale anche le chiese dei Ss. Sergio e Bacco e dei Ss. Pietro e Paolo, che aveva fatto erigere nelle immediate vicinanze della sua dimora privata. Ancora più lontano rispetto al Grande Palazzo sorse infine, agli inizi del sec. 10°, la residenza privata di Romano I Lecapeno (920-944), eretta insieme con il monastero del Myrelaion (Bodrum Cami), reimpiegando nelle sue sostruzioni una vasta struttura circolare databile al 5° secolo.La seconda metà del sec. 10° segnò contemporaneamente il punto di arrivo di un processo plurisecolare di ampliamento e arricchimento del Grande Palazzo e il primo annunciarsi di una fase di decadenza destinata a divenire irreversibile nei secoli seguenti. A partire dagli ultimi decenni del sec. 11° la dinastia imperiale dei Comneni avviò infatti il processo di trasferimento della sede imperiale verso il nuovo p. che si andava ampliando e completando nel quartiere delle Blacherne, nella regione nordoccidentale della città, immediatamente a ridosso della cinta muraria teodosiana. Questa zona così periferica rispetto all'antico centro monumentale ospitava già dall'epoca protobizantina un famoso santuario mariano che custodiva la preziosa reliquia del velo (omophórion) della Vergine e un primo nucleo residenziale, edificato tra la fine del sec. 5° e gli inizi del successivo, che si articolava in tre triclini (noti attraverso il De caerimoniis rispettivamente con i nomi di Danúbios, Anastasíakos e Okeanós), in vario modo collegati al triclinio detto della cassa, in cui era appunto conservata la cassa contenente la preziosa reliquia. Su queste strutture preesistenti si impiantò a partire dal 1081 il nuovo p., fatto erigere dal primo esponente della dinastia comnena, Alessio I (1081-1118): noto solamente dalle fonti, esso doveva essere collocato immediatamente a ridosso delle mura teodosiane, tanto da costituire una sorta di fortificazione aggiuntiva in un punto fondamentale per la difesa della città, e conservare intatto nelle sue strutture e nei suoi arredi interni il fasto che aveva sempre caratterizzato le residenze ufficiali e private degli imperatori bizantini (Runciman, 1975). Caratteristiche analoghe doveva avere anche il secondo p. fatto erigere dai Comneni alle Blacherne, quello di Manuele I (1143-1180), che si disponeva a N del precedente, sul declivio verso il Corno d'Oro e i cui resti potrebbero in via ipotetica essere ricercati nelle complesse stratificazioni murarie ancora leggibili in quel tratto delle mura teodosiane (Paribeni, 1988).Situazione documentaria opposta - sostanziale conservazione delle strutture fisiche e pressoché totale assenza di riferimenti nelle fonti - presenta invece il p. di epoca tardobizantina noto con il nome turco di Tekfur Sarayı. Se il legame con la dinastia imperiale dei Paleologhi appare ormai accertato, ancora da determinare rimane invece la cronologia assoluta dell'edificio, che una serie di indicazioni convergenti di ordine storico, architettonico e anche relative alla tecnica costruttiva spingerebbe comunque a datare nella seconda metà del 13° secolo. La struttura pervenuta si presenta con un impianto rettangolare, articolato su tre piani, che doveva costituire la parte residenziale e di rappresentanza di un complesso più vasto, anch'esso posto immediatamente a ridosso e in diretta connessione con un tratto delle mura urbiche. Le strutture interne sono andate perdute, ma il p. conserva ancora la facciata, aperta da un ampio porticato al piano terreno e da due serie di finestre ai piani superiori, scandita e movimentata da più sequenze di archi addossati e arricchita da inserti decorativi in laterizio e ceramica invetriata; la tecnica muraria, a fasce regolarmente alternate di piccoli blocchi di calcare e corsi di laterizi, appare quella tipica dell'architettura paleologa e trova interessanti punti di riferimento, anche cronologici, soprattutto nella coeva edilizia religiosa (Zanini, in corso di stampa).Accanto al Grande Palazzo e alle altre residenze urbane, gli imperatori bizantini disponevano anche di una serie di residenze extraurbane, collocate per lo più nelle immediate vicinanze di Costantinopoli, sia sulla costa del mar di Marmara sia su entrambe le rive del Bosforo. Nella lunga lista di residenze menzionate dalle fonti (Janin, 1950, pp. 137-153) merita di essere segnalato soprattutto il p. di Bryas, fatto costruire da Teofilo in un sito del suburbio asiatico della capitale, archeologicamente identificato nei pressi dell'od. Maltepe: costruita, secondo Teofane Continuato (Chronographia), sul modello del p. califfale di Baghdad, la residenza imperiale si doveva articolare in una serie di padiglioni collegati da giardini irrigati da una fitta rete di canalizzazioni e doveva presentare quale unico segno distintivo della sua funzione ufficiale due chiese, dedicate rispettivamente alla Theotokos e all'arcangelo Michele. Di tutto il complesso rimangono attualmente visibili solo alcuni resti di poderose sostruzioni e una grande cisterna (Eyice, 1959a; 1959b).Alla serie delle residenze imperiali extraurbane deve essere in qualche misura annesso anche il p. di Nymphaeum (od. Kemalpaşa), a O di Smirne, da assegnare all'epoca della dinastia dei Lascaridi, che ressero il potere imperiale bizantino nella fase dell'esilio a Nicea tra il 1204 e il 1261 (Kirilova Kirova, 1972; Buchwald, 1979). Si tratta di un edificio a semplice pianta rettangolare allungata (ca. m 11,525,75), che sorgeva probabilmente isolato e che si sviluppava su quattro piani. La struttura non è stata ancora fatta oggetto di un'indagine archeologica mirata, ma pare possibile ipotizzare che al piano terreno - dove si aprivano verso l'esterno due porte poste sull'asse mediano delle facciate est e ovest - si disponesse un unico grande ambiente, coperto da una serie di volte a botte o a crociera, con un corpo-scale per l'accesso ai piani superiori posto a ridosso del muro d'ambito settentrionale. Al primo piano - l'unico parzialmente leggibile tra quelli superiori - la disposizione spaziale si ripeteva probabilmente in maniera analoga, con una grande sala coperta da volte poggianti su semipilastri addossati alle pareti e dotata nella parte centrale di due grandi aperture in asse con le porte del piano terreno. Il p. di Nymphaeum, che costituì un'importante sede imperiale in qualche misura parallela a quella ufficiale di Nicea, fu residenza abituale di Giovanni III Ducas Vatatze (1222-1254) e vi soggiornò spesso anche Michele VIII Paleologo (1258-1282), creando quindi un legame diretto che potrebbe ben spiegare le evidenti assonanze strutturali che legano dal punto di vista icnografico questo edificio al Tekfur Sarayı di Costantinopoli. A un analogo ambito culturale e architettonico sembrano infine rifarsi anche i più tardi p. ufficiali bizantini, ben esemplificati soprattutto dal c.d. p. dei Despoti di Mistrà (v.), dove probabilmente intorno alla metà del sec. 14° la dinastia emergente dei Cantacuzeni fece ampliare il preesistente p. di epoca crociata per farne la sede di quella che si avviava a divenire un'amministrazione autonoma nell'ormai frammentato impero bizantino.Soluzioni architettoniche meno raffinate e apparati decorativi certamente meno sfarzosi, ma con un identico significato di espressione visibile del potere, caratterizzavano anche, soprattutto in epoca protobizantina e giustinianea, i p. che erano sede delle diverse istanze decentrate dell'amministrazione imperiale, in primo luogo le residenze ufficiali degli alti funzionari preposti alla gestione politica e militare delle province di confine e le residenze episcopali. Per quanto attiene alle sedi di importanti cariche militari, l'esempio più significativo è certamente costituito dal p. di Qaṣr ibn-Wardān (v.), in Siria, che nel sec. 6° fu con ogni probabilità residenza del magister militum per Orientem e le cui strutture sono state oggetto in anni recenti di lavori di scavo e di restauro. Distribuito lungo i quattro lati di una corte centrale, il p. conserva ancora sul suo lato meridionale la zona residenziale e di rappresentanza, strutturata su due piani e organizzata al piano superiore intorno a un grande triconco centrale allungato e coperto a volte (de' Maffei, 1995).Il p. di Qaṣr ibn-Wardān, se da un lato si collega evidentemente con l'edilizia militare tardoromana nelle regioni orientali, dall'altro offre anche qualche punto di riferimento per la comprensione di una serie di edifici a carattere ibrido, residenziale, militare e ufficiale, la cui presenza caratterizza alcune delle città nuove fondate nel corso del sec. 6° lungo il limes orientale dell'impero. Esempi rilevanti di quella che è ancora una tipologia in corso di definizione appaiono soprattutto il c. d. praetorium di Zenobia-Ḥalabiyya (Siria) e un edificio con probabile analoga destinazione parzialmente conservato a Dara, nella Turchia meridionale. Nel primo caso (Lauffray, 1983, pp. 121-123; de' Maffei, 1990) la struttura sorge in stretto legame con le mura urbiche, costituendone un punto nodale anche in funzione difensiva, ma con la sua articolazione su più piani sembra aver potuto svolgere anche un ruolo più complesso come sede del rappresentante del potere imperiale in un insediamento di frontiera che riuniva in sé i caratteri della fortificazione militare e del centro urbano. Nel secondo caso, in un contesto storico e urbanistico sostanzialmente identico a quello di Ḥalabiyya, l'edificio sorge invece isolato, al centro della città, e poggia su una sorta di piattaforma nelle cui fondazioni venne ricavato un vasto ambiente ipoteticamente interpretato come carcere (Furlan, 1988).Soprattutto nelle regioni periferiche e di confine il ruolo e la funzione simbolica del p. come luogo del potere vennero talvolta assunti anche dalle residenze episcopali, sedi di una carica che si trovò spesso, in particolare in età giustinianea, a vedere aggiunte alle proprie specifiche competenze in materia religiosa anche incarichi di natura amministrativa e politica. Sulla base dei pochi complessi conservati - un recente censimento (Müller-Wiener, 1984) ne ha individuati nove: Mileto (sec. 6°-7°), Afrodisia di Caria (sec. 5°-6°), Priene (sec. 5°-6°), Efeso (fine sec. 6°), Side (sec. 5°-6°), Filippi (sec. 5°-6°), Stobi (forse del sec. 5°), Iustiniana Prima (od. Caričin Grad, prima metà del sec. 6°), Salona (sec. 5°-6°) - e delle scarse notizie specifiche nelle fonti, appare difficile tentare di elaborare una vera e propria tipologia delle residenze episcopali provinciali in epoca protobizantina; alcuni elementi comuni meritano tuttavia di essere segnalati e discussi. In linea generale il complesso episcopale seguì le vicende della cattedrale: da ciò consegue la sua collocazione urbana, in una posizione che varia - normalmente in relazione all'antichità dell'impianto originario - da quella dichiaratamente periferica, verificabile per es. a Stobi e Salona, a quella semicentrale che si ritrova per es. a Side. I casi di assoluta centralità della residenza episcopale derivano o da precise e innovative direttive urbanistiche - come per es. la città nuova di Iustiniana Prima, dove nella prima metà del sec. 6° alla residenza episcopale venne assegnata una posizione privilegiata al centro dell'acropoli - o da trasferimenti di sedi più antiche, come nel caso di Mileto, dove probabilmente agli inizi del sec. 7° si deve registrare uno spostamento della residenza episcopale dalla periferia verso il centro monumentale della città antica, con l'intero gruppo episcopale insediato nell'area di un antico tempio pagano. Un secondo elemento comune è costituito dal collegamento tra p. episcopale e chiesa cattedrale, con una scala di valori che può andare dalla contiguità fisica - nel caso di Mileto ciò arriva a determinare l'esistenza di un unico blocco chiuso che comprende basilica e p. (Müller-Wiener, 1984, pp. 110-112, figg. 1-2) - alla semplice vicinanza topografica, che per es. nel caso di Iustiniana Prima dà di fatto origine a una destinazione pressoché esclusivamente religiosa dell'intera acropoli.Assai più variate appaiono invece le tipologie architettoniche, che risentono ovviamente delle tradizioni locali in materia di tecniche costruttive e di distribuzione degli spazi e che non permettono di giungere a una definizione univoca di un p. episcopale tipo. In un contesto architettonico che rimane quello tipicamente tardoantico di un'edilizia che si sviluppa per progressiva 'aggiunta' di spazi e ambienti, elementi comuni a tutte le residenze fin qui individuate, e da considerarsi dunque qualificanti per la funzione e differenziali rispetto alle contemporanee residenze signorili private, vanno ricercati nella presenza di uno o più ambienti di rappresentanza - per lo più in forma di aula rettangolare, dotata o meno di abside, o talvolta in forma di triconco - segnalati spesso da un portale monumentale e collegati tra loro o con altri ambienti del p. con una struttura, il portico monumentale, che, come si è visto, trova sottolineato il suo significato simbolico proprio nel Grande Palazzo di Costantinopoli.Le fonti, soprattutto quelle di epoca protobizantina, distinguono chiaramente i p. per le diverse funzioni ufficiali e simboliche fin qui ricordate da quelli destinati invece a residenza privata degli esponenti dell'aristocrazia in contesti urbani e rurali; per questi ultimi viene infatti generalmente utilizzata la definizione óikos, che appare per converso impiegata per indicare anche le residenze urbane imperiali solo in epoca medio e tardobizantina, allorché la distinzione funzionale e simbolica tra p. imperiale e residenza aristocratica non doveva risultare più così netta.In materia di residenze aristocratiche i dati archeologici e quelli desumibili dalle fonti sono se possibile ancora più avari di quanto lo siano per i p. imperiali: i due soli esempi noti nell'area archeologica centrale di Costantinopoli sono i p. di Lauso (Guilland, 1969, II, pp. 32-35; Mango, Vickers, Francis, 1992; l'identificazione è contestata da Bardill, 1997) e di Antioco (Naumann, 1965), posti nell'area immediatamente a O dell'ippodromo, a ridosso del tratto iniziale della Mese - la principale arteria stradale della Costantinopoli tardoantica e bizantina -, entrambi databili al sec. 5°, ma i cui ambienti principali vennero trasformati - il primo agli inizi del sec. 7°, il secondo nel primo quarto del 6° - in due chiese, dedicate rispettivamente a s. Giovanni Evangelista (Mango, 1985, pp. 58-59) e a s. Eufemia (Mathews, 1971, pp. 61-67). Dal canto loro, le fonti (Magdalino, 1984; 1996, pp. 40-48) sembrano suggerire l'esistenza di un reticolo di óikoi aristocratici adiacenti al Grande Palazzo o dispersi nel tessuto cittadino, ma quasi mai le menzioni si spingono oltre la generica sottolineatura delle grandi dimensioni o della magnificenza delle singole residenze, impedendo di fatto qualsiasi ricostruzione attendibile della loro struttura. Né la situazione documentaria cambia per quanto riguarda l'epoca medio e tardobizantina, a proposito della quale, nell'assoluta assenza di edifici conservati e di dati archeologici, rimangono solo alcune descrizioni di meravigliose residenze aristocratiche - talvolta deliberatamente immaginarie, come nel caso di quella del p. sull'Eufrate contenuta nel Dighenés Akrítes (VII, 42ss.; Mango, 1972, pp. 215-216), talaltra con maggiori pretese di oggettività, come nel caso della descrizione fatta da Teodoro Metochite (m. nel 1332) della propria residenza costantinopolitana (Mango, 1972, pp. 246-247) -, che restituiscono comunque l'immagine consueta di un complesso articolato in un corpo residenziale principale, circondato da una serie di edifici di servizio e soprattutto da vasti giardini, variamente attrezzati da fontane, portici e padiglioni, eredi diretti delle tradizioni romano-ellenistica e araba e anticipatori delle soluzioni architettoniche impiegate nelle residenze privilegiate di epoca ottomana.
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