Vedi PALAZZO dell'anno: 1963 - 1996
PALAZZO
Il nome Palatium indicava a Roma uno dei sette colli sui quali sorgeva la città, precisamente quello sul quale Augusto e la maggior parte dei suoi successori stabilirono la propria residenza. Il termine servì pertanto durante l'Impero ad indicare il luogo nel quale l'imperatore abitava ed esercitava la sua autorità (Cass. Dio, liii, 15, 5) con un preciso riferimento giuridico ai poteri dei quali il princeps era investito.
Con p. deve pertanto intendersi la residenza imperiale destinata a funzioni di interesse pubblico (e non la abitazione che non presenti tali prerogative).
In un secondo momento, in particolare con l'età tetrarchica, il termine servì ad indicare la residenza imperiale anche fuori di Roma, purché destinata a un imperatore in carica (Eutropio, ix, 28, chiama villa il p. di Diocleziano a Spalato, perché sede di un imperatore che aveva abdicato), o le residenze di alti funzionarî.
Sulla base della esperienza romana, con p. si indicò qualsiasi residenza, anche non necessariamente dinastica, purché investita di una precisa funzione di interesse pubblico.
In questo articolo si considerano pertanto solo gli edifici che presentino una pianta definita che corrisponda a precise funzioni di ordine politico e amministrativo (per gli edifici, anche di notevoli dimensioni, destinati a sola abitazione si veda s. v. casa; per quelli anche di grandi dimensioni, che non siano entro il tessuto della città e che presentino carattere residenziale saltuario e non amministrativo si veda s. v. villa).
Ovviamente la imitazione degli schemi architettonici documentati nei p., nelle ville e nelle case, limita necessariamente la definizione sopra enunciata.
(A. Giuliano)
1. - Egitto. - Le prime testimonianze della grande architettura civile egiziana, risalgono al Medio Regno (tale è il caso dell'edificio di Medāmūd, costruito da Sesostris III: XII dinastia), ma occorre giungere alla XVIII dinastia per avere degli esempî perfettamente certi e analizzabili nei particolari. Tuttavia è significativo il fatto che questi p. non sono nella maggior parte delle vere e proprie residenze, bensì costruzioni annesse ai grandi templi funerarî e in cui il faraone, come è stato supposto, faceva solo brevi soste in occasione di qualche solenne festività.
Il palazzo che Ai, l'ultimo re della XVIII dinastia, si fece edificare nel terzo cortile (il più esterno) del suo tempio funerario a Tebe, è il più antico esempio di p. templare conservato, e mostra una pianta assai semplice: attraverso un portico ad otto colonne lignee si accede ad una sala di ricevimento, pure sorretta da colonne, fiancheggiata sui due lati da altre due sale più strette, e comunicante col cortile esterno tramite una finestra, detta "dell'apparizione", dalla quale il re si mostrava ai sudditi. Probabilmente dietro la sala di ricevimento si trovava la sala del trono (la parte S dell'edificio è oggi perduta), secondo uno schema che si fissa in questo periodo per rimanere poi canonico in tutto il periodo di sviluppo dell'architettura egiziana. Infatti, sotto la dinastia successiva, Ramesses II (1301-1234 a. C.) e Merenptaḥ (1234-1220) edificano nel complesso dei loro templi funerarî dei p. del tutto simili a quello di Ai, sia nella disposizione interna, sia in quella esterna (entro il cortile più lontano del tempio).
Non si discosta dal modello ormai canonico neppure Ramesses III (1197-1165) che costruisce nel primo cortile del suo tempio funerario tebano a Medinet Habu un p., il quale presenta la singolare caratteristica di esser stato demolito a un certo momento (non sappiamo per quale motivo) e di esser stato sostituito con un altro, ancor vivo Ramesses III. È particolarmente interessante osservare alcune modifiche attraverso le due successive fasi di costruzione; nel primo palazzo, tutto costruito in mattoni, tranne la facciata che era in pietra, si succedevano, dietro la finestra "dell'apparizione", la grande sala d'udienza, con i capitelli delle colonne a foglie di palma espanse, la sala del trono (da notare che ambedue questi ambienti presentano, secondo la ricostruzione dello Hölscher, il rarissimo particolare di una copertura a vòlte), l'appartamento privato del sovrano e l'harem. Nel secondo p. il portico d'entrata riduce le colonne ad una sola fila, la sala di ricevimento si fraziona in due sale di proporzioni minori, la finestra "dell'apparizione" si trasforma in balcone con sovrastruttura lignea, aumentano le entrate secondarie. Quest'ultimo particolare, unito a molti altri, quali la presenza di un appartamento privato del re assai più completo e confortevole di quello del primo edificio, l'analogia generale della pianta più con il p. menfita di Merenptaḥ (che è prettamente residenziale) che con quelli funerarî sopra menzionati, mostra come il secondo p. fosse stato costruito con l'intento di farne un edificio abitabile dal sovrano, mentre il primo, che comprende quasi unicamente stanze di rappresentanza, doveva essere usato dal re per qualche particolare cerimonia o atto di culto.
Ridotta a deplorevoli resti una grande costruzione a Kahun, la città fondata da Sesostris II (XII dinastia) nel Fayyūm, che sembra doversi considerare un p. reale, bisogna ridiscendere al Nuovo Regno per trovare dei p. costruiti come entità autonome, con fini unicamente residenziali. Il p. di Amenophis III (1413-1377) a Tebe, si componeva di più gruppi di edifici, di cui la parte meglio conservata è l'harem, con disposizione tripartita dei vani che annuncia già quella di el-῾Amārnah. Il p. di Merenptaḥ a Memfi ha invece ancora lo schema degli edifici residenziali templari.
Il complesso più imponente di architettura civile egiziana si realizza durante l'effimera meteora dell'età amarniana. Il faraone Amenophis IV (Aldienaton, 1377-1358 a. C.) fonda una nuova città a Teli el-῾Amārnah, e chiama l'insieme di costruzioni regali "Casa di Aton" (Pr ı'tn) in omaggio al suo dio unico; esse comprendevano il p. S (includente a sua volta i magazzini, l'harem, l'appartamento dei servitori e la residenza ufficiale), l'abitazione privata del re, congiunta al primo complesso mediante un ponte sul Nilo, il p., anticipante in alcune singolari caratteristiche il paràdeisos persiano: si tratta di un p. di piacere accentrato attorno a un enorme specchio d'acqua artificiale, includente padiglioni, chioschi, edifici sparsi fra il verde del parco, uccelliere (?) e un giardino zoologico, con le gabbie per gli animali entro un recinto. Il primo gruppo di edifici occupava tutto lo spazio compreso fra la grande strada reale e il Nilo; vi si possono individuare varî blocchi architettonici, raggruppati nella zona dell'harem intorno a giardini. Il quartiere ufficiale comprendeva lo Wbn ı'tn (= il disco solare brilla), costruzione di non chiara struttura, che probabilmente serviva da entrata monumentale al p., costituito da vasti cortili e da sale a colonne, fra le quali spicca la sala dell'incoronazione, immenso rettangolo formato da sette sale ipostile di diversa grandezza. Anche la dimora privata del re, di là dal fiume, è un rettangolo che può dividersi in tre parti principali: il giardino, i magazzini, e gli appartamenti privati, con la cappella e le stanze delle sei principessine. Risalta immediatamente il carattere di intimità e di raffinatezza di questa residenza, in accordo allo spirito amarniano, rispetto alla fredda sontuosità dei p. precedentemente descritti.. Raffinatezza tanto più notevole se si considera uno degli ultimi p. egiziani, quello memfita di Apries (XXVI dinastia), che è ridotto ad un semplice cortile circondato da stanze; nella pianta, come nella particolarità di essere costruito su una terrazza artificiale, mostra forse un influsso mesopotamico (neoassiro).
Bibl.: W. M. Flinderes Petrie, The palace of Apries (Memphis II), Londra 1909, pp. 1-5; C. L. Wooley, Excavations at Tell el-Amarna, in Journal of Egyptian Archaeology, VIII, 1922, pp. 70-82; T. E. Peet, e altri, The City of Akhenaten, Parte I, Excavations of 1921 and 1922 at El 'Amarneh, Londra 1923, pp. 109-24; U. Hölscher, Medinet Habu Studies 1928-29. The Architectural Survey, Chicago 1930, pp. 14-23; H. Ricke, Der Grundriss des Amarna-Wohnhauses, Lipsia 1932, pp. 63-8 (con bibl. anteriore); J. D. S. Pendlebury, Les fouilles de Tell el Amarna et l'époque amarnienne, Parigi 1936, pp. 110-26; U. Hölscher, The Temples of the Eighteenth Dynasty (= The Excavation of Medinet Habu, II), Chicago 939, pp. 81-2, 114; id., The Mortuary Temple of Ramses III, Parte I (= The Excavation of Medinet Habu, III), Chicago 1941, pp. 39-59; 77-8; W. C. Hayes, Inscriptions from the Palace of Amenhotep III, in Journal of The Near Eastern Studies, X, 1951, pp. 35-6 (con bibl. in nota); J. D. S. Pendlebury, The City of Akhenaten, Parte III. The Central City and the Official Quarters, Londra 1951, pp. 33-105; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, II, L'architecture religieuse et civile, Parigi 1955, passim, in particolare pp. 1004-22 (con bibl. anteriore).
(A. Bisi)
2. - Asia Anteriore. - a) Mesopotamia. Il p. conserva nella valle dei due fiumi, attraverso i due millennî del suo sviluppo, alcuni caratteri distintivi che possono riassumersi nella pianta articolata in una serie di cortili, attorno a cui si accentrano le varie stanze. Varieranno nel tempo i sistemi di decorazione interna, alcuni particolari costruttivi e tecnici, ma questo schema centripeto dei varî ambienti rispetto al cortile principale che si ritrova già nel p. neosumerico di Eshnunna (v.) della fine del III millennio sarà ampliato e arricchito di accorgimenti scenografici in quello di Mari (v.) di alcuni secoli più tardo, per perpetuarsi nelle sontuose residenze dei sovrani assiri del I millennio a. C.
Il p. dei governanti di Eshnunna è adiacente al tempio di Shu-Sin (v. vol. iii, fig. 534) e comprende una grande sala per le più solenni festività, la sala del trono e una cappella privata, cui si accedeva da un lungo corridoio. Un altro cortile metteva in comunicazione la grande sala e quella del trono col tempio di Shu-Sin. È stato supposto che il governatore risiedesse fuori di questo complesso, in cui mancano gli appartamenti privati, oppure al piano superiore, oggi perduto, accessibile mediante una scala.
Il p. di Mari costituisce la più splendida realizzazione dell'architettura civile orientale dell'inizio del secondo millennio a. C.: di forma trapezoidale, si articola in più di trecento vani; perfettamente conservato (tranne il settore meridionale) mostrava all'atto della scoperta muri alti in alcune parti 5 m, recanti complesse scene pittoriche, cucine, bagni in ceramica ancora funzionanti. Il p. era racchiuso in una cinta muraria ed era costituito dalla giustapposizione di più blocchi, con orientamenti differenti, che testimoniano ingrandimenti successivi. Da un'unica entrata monumentale, inquadrata da due torri e preceduta da una rampa a gradini, sul lato N, si penetrava nel vestibolo, indi nell'anticortile; il quartiere ad E di questo era probabilmente riservato ai viaggiatori stranieri, mentre quello ad O, destinato agli ospiti di riguardo del sovrano, comunicava con i quartieri ufficiali, includenti una sala d'udienza, con un podio sopraelevato, la sala del trono che culminava in una tribuna con una maestosa scalinata, situata al termine di uno dei lati corti. Gli appartamenti privati del re e della regina furono identificati nell'angolo N-E del p., ove è più spessa la muraglia di cinta, mentre altri gruppi di stanze, in cui sono stati riconoscuti i quartieri degli scribi, degli intendenti, magazzini e fucine, conferiscono al p. il carattere di piccola città entro la città; da notare infine alcuni perfezionati impianti di ventilazione, di scalda acqua nelle stanze da bagno, di caminetti e un sistema di drenaggio sotto il pavimento, mentre non manca una cappella, fornita di cella ed antecella, nella parte più alta dell'edificio, cui si accedeva attraverso una scenografica fila di sale, cortili e corridoi, e che doveva costituire l'annesso di un tempio, andato completamente perduto.
I p. assiri del I millennio mantengono la cinta muraria fortificata che era già presente a Mari, le pitture nelle stanze nei cortili più importanti, sostituendo tuttavia più frequentemente i rilievi parietali alle pitture ed erigendo colossali figure apotropaiche (Lamassū) alle entrate principali. Una serie di p. si aggiunge a quelli di età medioassira nella parte N della città di Assur per opera di Assurbanipal e Sennacherib. Il p. reale di Khorsābād (v.) che sorge sul lato N della cittadella fu costruito alla fine del regno di Sargon II su una piattaforma, che una rampa inclinata collegava con gli altri edifici della città. Gli appartamenti si articolavano, come di consueto, attorno a cortili; accanto al palazzo era una ziqqurat con rampa elicoidale, mentre nell'interno dell'edificio erano sei piccoli sacrarî. Da notare che un altro p. (F) di Khorsābād reca un particolare che non ricorre nella residenza reale; un portico a pilastri, il quale mette in comunicazione uno dei cortili principali con la spianata; un testo di Sargon menziona il "portico costruito a mò di palazzo hittita", cioè il bīt khilāni (v.); si tratta qui di un elemento architettonico tipicamente nordsiriano e anatolico (v. appresso), usato tuttavia in modo alquanto snaturato dalle sue primitive funzioni: anziché essere parte integrante di un edificio, viene impiegato dagli architetti assiri come semplice mezzo di connessione fra due cortili.
Il palazzo di Nabucodonosor II a Babilonia, menzionato anche da Erodoto (i, 181) fu abitato pure dai Persiani, che vi aggiunsèro una sala ipostila; il particolare più notevole sono le decorazioni in mattoni smaltati e policromi dei cortili e della sala del trono. Infine, va rilevato che nel II sec. a. C., sulle rovine di un antico tempio di Lagash (Tellō, v.) il dinasta arameo ellenizzato Adad-nadinakhe istalla il suo p., che si ispira manifestamente al grande passato della regione nella divisione in due parti, privata e ufficiale, e nella pianta canonica con cortile centrale, oltre che nell'impiego esclusivo di mattoni cotti come materiale da costruzione.
Bibl.: E. Unger, in Reallexikon der Vorgeschichte, I, Berlino 1924, pp. 361 ss., s. v. Baukunst; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954, pp. 73-81, 152-3; V. Place, Ninive et l'Assyrie, I, Parigi 1867, pp. 41-148; G. Loud-Ch. B. Altman, Khorsabad, Part. I, Excavations in the Palace and at a City Gate, Chicago 1936, pp. 12-79, passim; id., Khorsabad, Part. II, The Citadel and the Town, Chicago 1938; R. Koldewey, Die Königsburgen von Babylon, I. Die Südburg, Lipsia 1933; II, Die Hauptburg und der Sommerpalast Nebukadnezars, Lipsia 1932; A. Parrot, Tello. Vingt campagnes de fouilles (1877-1933), Parigi 1948, pp. 309-10; id., Mission Archéologique de Mari, II, Le palais, i., Architecture, Parigi 1958; cfr. anche i rapporti preliminari dello stesso, in Syria, XVII, 1936, pp. 14-31; XVIII, 1937, pp. 65-84; XIX, 1938, pp. 8-21; XX, 1939, pp. 14-20; XXI, 1940, pp. 25-8; C. Preusser, Die Paläste in Assur (= Ausgrabungen der Deutschen Orient-Gesellschaft in Assur, VIII), Berlino 1955.
b) Anatolia - Siria settentrionale. Nelle regioni montuose, ove la pietra è abbondante, le abitazioni tendono ad assumere una fisionomia diversa che non in Mesopotamia, con colonne ed aperture, dovute al più resistente materiale costruttivo usato (v. casa). Le stesse caratteristiche si ritrovano nei p. anatolici, che risalgono quasi tutti al periodo dell'impero hittita, e per i quali talora può sussistere il dubbio che non di costruzioni civili si tratti, bensì di edifici religiosi, come è il caso del più tardo tempio-palazzo di Tell Ḥalāf, data l'assoluta analogia di pianta.
I palazzi anatolici si configurano nell'aspetto di cittadelle fortificate, contenenti più edifici: l'esempio più perspicuo è il castello regio di Büyükkale (Boğazköy), tutto racchiuso da mura: sulla spianata superiore sorgeva il p., di cui restano insignificanti tracce, circondato dall'edificio degli archivî, da una sala d'udienza, da una costruzione del tipo khilāni; ecc. È indicativo il fatto che, in contrapposizione ai grandi complessi architettonici unitarî della Mesopotamia e di Creta, i p. hittiti constino di entità rigidamente isolate fra loro, costituenti tuttavia un nucleo grazie alla disposizione anulare ottenuta con lo sbarramento delle vie e degli accessi ai singoli edifici; questa disposizione ad anelli concentrici, che il Naumann chiama Einschachtelung (imbottigliamento) crea una linea di difesa immediatamente attorno al palazzo.
Caratteristiche parzialmente diverse presenta la sede del governatore di Kültepe: era un grande edificio con le camere raggruppate sui quattro lati di un cortile lastricato (ma potrebbe trattarsi, secondo alcuni, di un tempio); comunque è da notare l'articolazione degli ambienti intorno a un cortile, di tipo cioè più vicino al mesopotamico.
Negli ultimi anni le nostre conoscenze sull'architettura civile anatolica si sono accresciute grazie alla scoperta di un p. a Beycesultan (v.), nell'alta valle del Meandro, il quale, risalendo alla metà del XIX sec. a. C. è il più antico edificio di questa categoria ritrovato nella regione. Esso, pur essendo costruito secondo la tipica tecnica anatolica (pietre non squadrate nella parte inferiore, mattoni rinforzati da travi lignee in quella superiore) non trova l'uguale in Anatolia, sia per le dimensioni imponenti, sia per la pianta che ricorda quella dei grandi p. cretesi (ma anche i p. di Mari, Alalakh, Ugarit); un grande cortile centrale dà accesso ad un vestibolo, sorretto da colonne, e ad una sala di ricevimento, pure fornita di colonne centrali e con loggiato ligneo. Da notare una camera per le abluzioni in prossimità dell'entrata e le insulae o gruppi di ambienti di carattere amministrativo sul lato S del palazzo. Le maggiori analogie sono, come abbiamo già detto, con le grandi residenze di Mallia, Festo, Cnosso; in tutti e due i casi abbiamo le stanze raggruppate intorno ad un cortile centrale rettangolare, le insulae, le entrate a considerevole distanza dal nucleo di recezione, le camere lustrali, le stanze a pilastri, i primi piani raggiungibili mediante scalinate, i magazzini sotterranei. Al posto dell'edificio di Beycesultan, distrutto probabilmente dal re hittita Labarna, sorse un nuovo p. nel XIII sec., di tipo miceneo.
Caratteristiche in parte diverse da quelle sopra descritte mostra l'architettura nordsiriana del II millennio; il p. di Ugarit è solo limitatamente scavato, ma ha già rivelato una cinta in bastioni di pietra con casematte all'interno, simile alle fortificazioni di Tirinto e Micene, e una successione di cortili e di sale, talora a colonne secondo il tipo anatolico; parimenti gli archivî, separati dal resto dell'edificio, ricordano quelli di Boğazköy.
Perfettamente determinabile in tutti i particolari è il p. del livello VII (1780-1595) di Tell Açana (Alalakh), attribuito al re Yamri-Lim; esso era diviso in tre sezioni, collocate su terrazze di differente altezza. Quella settentrionale rappresentava la parte ufficiale, quella centrale racchiudeva gli appartamenti privati, mentre l'ala a S, costituita da un solo piano, a differenza delle altre due, ospitava la parte amministrativa e i servizî. Le particolarità di questo p. (il cortile senza vani all'intorno, usato esclusivamente come elemento di passaggio, la ripartizione in blocchi chiusi, la pluralità dei piani, la mancanza di sale a pilastri) si ritrovano nell'altro p. di Alalakh, del livello IV (XV-XIV sec.) opera di Niqmepa; se alcuni particolari richiamano i p. egei, l'uso di una antisala con due pilastri centrali, che appare qui per la prima volta e costituisce un'anticipazione del bīt khilāni, e gli ortostati di basalto applicati agli zoccoli delle pareti, mostrano l'influsso anatolico.
Dopo alcuni secoli di stasi, dal IX sec. in poi, l'architettura civile rifiorisce nella Siria del N, parallelamente al sorgere dei piccoli stati aramaici indipendenti; fino alla conquista assira si moltiplicano nella regione gli edifici del tipo a khilāni (specialmente a Zincirli), con un'antisala a pilastri, un vano principale collocato trasversalmente, subito dietro la facciata, intorno al quale si raggruppano i vani minori; le entrate e gli stipiti delle porte si adornano di ortostati e di figure a tutto tondo. L'esempio più antico di questo edificio prettamente anatolico, ma che sembra trovare i suoi antecedenti ad Alalakh, è il tempio-p. di Tell Ḥalāf (Guzana), sul quale si modellano poi i p. di Zincirli e di Tell Tayinat; in tutti questi edifici è notevole la pluralità dei piani, quale è mostrata anche da rappresentazioni di p. sui bronzetti di Van e sui bassorilievi assiri che si riferiscono alla conquista di città nordsiriane e urartee.
Sotto la dominazione assira l'architettura della regione assorbe l'influsso mesopotamico: il cosiddetto "palazzo superiore" di Zincirli (secondo venticinquennio del VII sec.) raggruppa alcune costruzioni del tipo khilāni secondo lo schema chiuso della valle dei due fiumi; la disposizione delle stanze è molto simile a quella dei palazzi assiri di Tiglatpileser III ad Arslan TaŞ, (Khadatu) e Till Barsip (Tell Aḥmar); queste residenze, in cui probabilmente il re non abitò mai, dovevano costituire agli occhi degli indigeni la prova più visibile della potenza del paese conquistatore; sono edificate interamente in mattoni: la porta esterna (bābu kamū) dà accesso a una serie di cortili, su cui si articolano l'alloggio del personale di servizio (babānu) e la parte ufficiale con la sala del trono (bitānu).
Bibl.: R. Naumann, Architektur Kleinasiens von ihren Anfängen bis zum Ende der hethitischen Zeit, Tubinga 1955, pp. 345-78 (con tutta la bibliografia anteriore); F. Hrozný, Rapport préliminaire sur les fouilles tchécoslovaques du Kültépé, 1925, in Syria, VIII, 1927, pp. 2-4, tav. I; F. Thureau-Dangin, A. Barrois, G. Dossin, M. Dunand, Arslan Tash, Parigi 1931, pp. 16-41; F. Thureau-Dangin-M. Dunand, Til-Barsib, Parigi 1936, pp. 8-42; K. Bittel-R. Naumann, Bogazköy, II, Neue Untersuchungen hethitischer Architektur, Berlino 1938, pp. 17 ss.; M. von Oppenheim, Tell Halaf, II, Die Bauwerke, Berlino 1950, passim; C. F. A. Schaeffer, Reprise des recherches archéologiques à Ras Shamra-Ugarit. Sondages de 1948 et 1949 et campagne de 1950, in Syria, XXVIII, 1951, pp. 1-21; L. Woolley, Alalakh, Oxford 1955, pp. 91-131; S. Lloyd, Early Anatolia, Harmondsworth 1956, pp. 210-11; S. Lloyd-J. Mellaart, Beycesultan Excavations. Second Preliminary Report, in Anatolian Studies, VI, 1956, pp. 101-23; S. Lloyd, Beycesultan, 1959, Sixth Preliminary Report, ibid., X, 1960, pp. 31-41.
c) Palestina. Soltanto dall'inizio del I millennio a. C. possiamo parlare di veri e proprî p. nell'area siropalestinese, giacché alcune costruzioni che sono state considerate tali dai loro scavatori, a Gezer (Macalister), a Megiddo (Loud), a Tell Beit Mirsim (Albright), sono begli esempî di residenze private del Medio e Tardo Bronzo, ma non hanno carattere monumentale.
Interamente perduto, sommerso dalle successive costruzioni erodiane, è il palazzo che Salomone eresse a Gerusalemme in tredici anni; il passo biblico che lo descrive (I Re, vii, 1-12) menziona la "casa della foresta del Libano" (bēt ya'ar hallēbānōn) che doveva essere una sala ipostila a tre navate, il "cortile delle colonne" (ēlām hā῾ammūdīm) e il "cortile del trono" (ēlām hakkissē') ove il re rendeva giustizia, seduto su un podi6 sopraelevato di sei gradini. Vi erano inoltre la residenza privata del re e quella della principessa egiziana sua consorte. Le ricostruzioni tentate sono tutte insoddisfacenti, giacché le relazioni fra questi diversi edifici restano non chiare; è certo comunque che la dimora reale era contigua al tempio, la casa di Yahweh, facendo parte, con le sue dipendenze e annessi, di uno stesso complesso architettonico, suddiviso, come i palazzi mesopotamici, in una parte pubblica e in una privata, corrispondenti al selamlik e allo ḥarimlik della casa orientale odierna.
È stato affermato che il cortile aperto centrale, attorno a cui si raggruppano i vani, è un'importazione assira degli inizî della Età del Ferro; è altrettanto vero tuttavia che abitazioni con cortile aperto si incontrano in Palestina fin dall'Età del Bronzo (v. casa); comunque è un dato di fatto che con il I millennio le piante dei grandi edifici residenziali si fanno regolarmente rettangolari, con una più equilibrata distribuzione degli ambienti; inoltre, mentre nel periodo del Bronzo il secondo piano dei p. serviva da abitazione privata, nell'età israelitica esso decresce di importanza e viene destinato ai servizi.
Un p. di Megiddo, risalente allo strato IV (1000-8oo a. C.) conserva solo le fondazioni, in pietre irregolarmente tagliate; esso è caratterizzato da un grande cortile cintato, presso un angolo del quale sorgeva il nucleo abitato (impianto analogo si riscontra nel p. di Ramat Rāḥēl). Nella parte orientale, un basamento quadrato di otto pietre sembra sostenesse una torre, cui si accedeva da una scalinata occupante il resto della camera, e che nella ricostruzione sporge al di sopra del primo piano dell'edificio.
Molto meglio conservati sono i p. di Samaria, che si elevano su una spianata occupante la metà occidentale dell'acropoli, cinta da una muraglia; il primo p., le cui fondamenta poggiano sulla roccia, contiene un anticortile, un secondo cortile o sala rettangolare, un vestibolo che dà accesso agli appartamenti privati, accentrati attorno a un altro cortile. Dopo questa prima fase costruttiva che gli scavatori attribuiscono al re Omri (876-869 a. C.), un nuovo edificio incorporò il nucleo originario, espandendo le sue ali verso O e avvicinandosi nello schema ai grandi p. assiri. In questa seconda fase, che si svolse probabilmente sotto Acab (869-850 a. C.), una torre o migdōl fu costruita all'angolo della fronte meridionale, mentre un secondo bastione circondò la spianata, formato da una serie continua di casematte; infine, in un periodo posteriore (età di Geroboamo II?) fu costruito un altro edificio al di fuori della imponente cinta muraria di Acab.
Al periodo post-esilico (V-IV sec. a. C.) risale un p. di Lachish, che sorge sulla spianata di un'antica fortezza israelitica; la metà N è occupata da un cortile, su due lati del quale si apre una serie di stanze non aventi fra loro alcuna comunicazione; un altro lato era occupato da un loggiato, con sul dietro due piccole stanze. Tre gradini conducevano dal cortile alla metà meridionale dell'edificio, diviso in tre appartamenti principali. La triplice ripartizione ricorda la struttura a iwān del primo p. di Vouni, mentre d'altro canto precorre alcuni aspetti delle costruzioni parthiche e sassanidi.
Bibl.: G. Richter, Der salomonische Königspalast, in Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins, XL, 1917, pp. 171-225, tavv. XVI-XVII; P. Thomsen, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, I, Berlino 1924, s. v. Baukunst; C. Reisner, e altri, Harvard Excavations at Samaria 1908-1910, Cambridge 1924, pp. 93-119; A. G. Barrois, Manuel d'archéologie biblique, I, Parigi 1939, pp. 277-82; II, 1953, pp. 446-7; R. S. Lamon-G. M. Shipton, Megiddo I, Seasons of 1925-34, Chicago 1939, pp. 17-24; J. W. Crowfoot, K. M. Kenyon, E. L. Sukenik, The Buildings at Samaria, Londra 1942, pp. 5-20; O. Tuffnel, Lachish, III (Tell ed-Duweir), The Iron Age, Oxford 1953, pp. 78-86, 131-5; R. B. K. Amiran-I. Dunayevsky, The Assyrian Open-Court Building and its Palestinian Derivatives, in Bulletin of the American Schools of Oriental Research, CXLIX, 1958, pp. 25-32; W. F. Albright,, L'archeologia in Palestina, Firenze 1958, pp. 120-1; 155; 185.
(A. Bisi)
3. - Iran. - Il p. achemènide rappresenta il punto terminale di uno sviluppo su cui poco o nulla sappiamo. Il Ghirshman volle vedere le residenze dei primi capi achemènidi in due terrazze artificiali, contenenti i resti di edifici tripartiti a iwān, nella valle del Karun, a Masgid-i Sulayman e Bard-i Nishande; in realtà il loro carattere non è del tutto chiaro, e sembra trattarsi piuttosto di luoghi di riunione o di culto che di veri e proprî palazzi. Questi, che mostrano la felice sintesi di elementi orientali antichi (le terrazze artificiali, le porte protette dalle figure apotropaiche colossali), egiziani (la forma dei capitelli fogliati), ionici (la base a toro delle colonne, simile a quelle dell'Artemision di Efeso), e indigeni (l'aspetto singolarmente dispersivo dei complessi architettonici, che rammentano uno stanziamento nomadico, così come le grandi sale a colonne serbano il ricordo dei padiglioni movibili lignei), sono testimoniati soprattutto nelle tre grandi città reali achemènidi: in ordine di tempo, Pasargade, Persepoli e Susa. Soltanto nelle fonti antiche è rimasta memoria di un altro grandioso p. a Ecbatana.
I caratteri dell'architettura persiana, quali vengono stabiliti al tempo di Dario I (521-486 a. C.), si mantengono immutati per due secoli: si tratta sempre di p. di pianta rettangolare, compatta, con un vestibolo a colonne sulla fronte, che immette in una grande sala ipostila centrale; in genere questa sala è di forma quadrata, sul tipo dell'apadāna (v.), con altri piccoli vani sul di dietro e ai lati, che servono di abitazione vera e propria.
A Pasargade, nella valle del Pulvar, la città fondata da Ciro il Grande, gli edifici della zona reale, non legati fra loro da alcun nesso organico, si disseminano in un vasto parco circondato da un muro. Comprendono l'apadāna, un edificio d'ingresso e il palazzo residenziale, con il lato anteriore occupato da un vestibolo a due file di colonne, quello posteriore da un altro portico con due camerette all'estremità.
Carattere maggiormente scenografico ha il grande complesso di Persepoli (v.) situato su una terrazza rettangolare, in cui si susseguivano l'edificio d'ingresso di Serse, l'apadāna di Dario, la sala del trono di Serse, il palazzo residenziale di Dario, il palazzo di Serse con l'harem, e il cosiddetto Tesoro sul margine estremo della terrazza, addossato alla montagna.
Il p. di Susa, eretto da Dario I e continuato sotto i suoi successori, è quello che più mostra l'impronta mesopotamica, nell'articolazione dei varî ambienti attorno a tre cortili principali, elevantisi su una terrazza, mentre la sala ipostila, ricostruita da Artaserse II sul modello di quella persepolitana di Serse, è un elemento prettamente iranico; per il resto la distribuzione degli appartamenti privati del re a fianco della sala del trono, la decorazione dei cortili e delle sale con pannelli in mattoni smaltati, richiamano l'arte costruttiva mesopotamica, specialmente quella dell'ultimo periodo babilonese.
Bibl.: F. Wachtsmuth, R. De Mecquenem, S. Casson,Achaemenid Architecture, in A Survey of Persian Art, I, Londra-New York 1938, pp. 309-35; R. De Mecquenem, Contribution à l'étude du palais achéménide de Suse, in Mémoires de la Mission Archéologique en Iran, Archéologie susienne, XXX, Parigi 1947, p. i ss., in particolare pp. 96-109; E. F. Schmidt, Persepolis, I, Structures. Reliefs. Inscriptions (= OIP, LXVIII), Chicago 1953; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954, pp. 215-25; G. Scarcia-R. Ghirshman, in Enciclopedia Universale dell'Arte, VII, Roma-Venezia 1962, c. 639-641; 678-686, s. v. Iran.
(A. Bisi)
4. - Grecia. - I p. caratterizzano l'architettura minoico-micenea (v.). A Creta (pur con numerose varianti condizionate dall'ambiente) essi presentano sempre un ampio cortile, magazzini di pianta stretta e allungata e, in quelli di maggiori proporzioni, un ambiente nel quale si vuole riconoscere la sala del trono. Negli edifici più grandi e meglio studiati, come quelli di Cnosso e di Festo, si possono individuare più dettagliatamente le funzioni dei singoli ambienti o quartieri, in particolare di quelli destinati ad abitazione.
La struttura dei p. cretesi lascia intendere una funzione di residenza, amministrazione, magazzino, luogo di riunione; tutti gli interessi della popolazione erano amministrati nei palazzi e le abitazioni al di fuori di essi erano destinate ad una popolazione socialmente meno importante (come può essere documentato dalla suppellettile rinvenuta nelle case o messe in luce nelle vicinanze dei p.).
Un esame alla pianta della città di Gurnià (v.) permette di intendere quanto affermato se si considera il relativo isolamento (se non topografico, architettonico) del p. dal resto delle abitazioni.
La decifrazione degli archivî palatini di tavolette incise nella cosiddetta scrittura lineare B permette da qualche anno di intendere con precisione l'ordinamento e l'amministrazione del p. di Cnosso nella fase micenea e di alcuni della Grecia continentale, e permette di confrontare le funzioni dei p. di Creta ad alcune di quelli mesopotamici. Le notevoli analogie tra i p. cretesi e quello di Mari, per quanto riguarda la pianta, valgono a testimoniare che in essi si svolgevano funzioni analoghe (come la stessa presenza degli archivi può documentare).
Le ville minoiche, caratteristica quella di Haghìa Triada, ripetono schemi caratteristici ai p., ma presentano rispetto ai primi la mancanza di particolari elementi tra i quali gli ampî cortili interni e valgono ad indicare una loro funzione residenziale più che destinata al disbrigo di una complessa economia.
La flessione della civiltà minoica, l'abbandono dei commerci marittimi che ne avevano determinato la ricchezza durante il II millennio e il sostituirsi ad essa di una economia frazionata di tipo agricolo con la conseguenza del moltiplicarsi dei centri abitati situati in generale in località lontane dal mare (Omero [Il., ii, 646 ss.; Od., xix, 174] ricorda ben 90 città nell'isola) determina una minore importanza del tipo di abitazione del palazzo. Di tale carattere può essere indicativo l'agglomerato di Karphi abitato da circa 3.500 abitanti tra il 1100 e il 900 a. C. nel quale l'abitazione del dinasta, pur presentando qualche analogia con i più antichi p. minoici, non appare il centro di interesse dell'agglomerato che doveva trovare la soluzione dei proprî problemi nel largo immediatamente precedente la dimora del re (lontano antecedente delle agorai democratiche), ma non interno ad essa (motivo che si ripete nei magazzini e nei luoghi di culto, adiacenti, ma che non si identificano con l'abitazione reale). Tali caratteri documentano l'inserirsi di motivi più schiettamente democratici nella società a schema tradizionalmente dinastico, e il limite dei p. della prima civiltà greca, come alcuni documentati in Omero.
Con il tipo architettonico dei p. minoici contrasta sul continente quello di alcuni p. micenei, espressione di attività economiche e sociali diverse. Alla apparente disorganicità degli edifici di Creta, i p. di Micene e di Tirinto oppongono invece una precisa definizione degli elementi architettonici costitutivi e particolarmente di quello principale fra essi, il mègaron (v.). Questo, nella sua disposizione nel più interno dell'abitato, presuppone una precisazione gerarchica dei caratteri della società micenea. La sua posizione centrale ne testimonia la funzione di sala di udienza connessa con un rituale che sembra mancare ai p. cretesi; esso, inteso come la parte più rappresentativa del p., diviene nel mondo miceneo rappresentativo della qualità giuridica militare e dinastica, più che economica del sovrano, re assoluto di regni dove l'accentramento burocratico e la gerarchia di funzioni erano l'elemento più caratteristico.
Il carattere fortificato delle cittadelle micenee, la presenza in esse di spazî liberi ove si potessero accampare le popolazioni del territorio circostante in momenti di pericolo, permette di considerarle nel loro insieme come p. (motivo che trova in parte una rievocazione nei poemi omerici).
Con l'inizio del mondo classico (che può essere posto in relazione con la nascita del cosiddetto stile protogeometrico) così come a Creta, si determina nel continente una flessione seguita poi dall'abbandono della vita aristocratica e una sempre maggiore accentuazione della vita democratica. Di conseguenza si va determinando la importanza della agorà; le acropoli, dove i p. erano generalmente situati, divengono santuarî, spesso sulla stessa area prima occupata dal p. miceneo si costruisce il tempio della principale divinità cittadina.
Tale processo avviene con estrema lentezza e può dirsi definito solo nel VI sec. a. C.
Il mondo classico pertanto può dirsi privo di p. con l'eccezione di alcuni ambienti eccentrici (ove le norme democratiche non compaiono o si mostrano solo di riflesso): in essi i più caratteristici sono quelli dell'acropoli di Larisa nell'Eolide asiatica e di Vouni a Cipro.
A Larisa, alla fine del VI sec. è documentato sia il motivo del mègaron, sia quello, di evidente tradizione orientale, del bīt khilāni (v.).
Il p. costruito secondo lo schema del bīt khilāni; fu edificato alla metà del VI sec.; esso, probabilmente destinato ad abitazione o forse a sala di udienza del tiranno della città, presenta un ambiente aperto in facciata, decorata da quattro colonne, che mostra uno scarso sviluppo nel senso della profondità. Ai lati di tale portico (dal quale si poteva accedere a due ambienti retrostanti a pianta quadrangolare) sono due torrioni leggermente avanzati. La ispirazione da modelli orientali è elaborata secondo norme di tipo occidentale testimoniate particolarmente dalla copertura a doppio spiovente con acroterio centrale, dagli elementi architettonici usati nella decorazione, dall'avanzare dei torrioni laterali rispetto alla fronte dell'ambiente centrale.
Si è pensato che fonte di ispirazione per il p. di Larisa sia stato quello di Creso a Sardi, distrutto nell'invasione persiana del 546 a. C. L'ipotesi potrebbe essere confermata dai contatti culturali e politici che le città di Sardi e di Larisa ebbero durante il VI sec. a. C. D'altra parte il confronto più aderente con alcuni padiglioni achemènidi di Persepoli (v.) rende più probabile l'ipotesi che rapporti comuni siano intercorsi tra gli edifici di quelle città e quindi tra le architetture achemènidi e quelle della Grecia asiatica.
Il confronto tra il p. di Larisa e quelli rappresentati su alcune ceramiche del VI sec. (ad esempio il cosiddetto cratere corinzio di Anfiarao, v.) nelle quali si sono volute vedere imitazioni della fronte di p. dei tiranni (ad esempio quello dei Cipselidi a Corinto) rimangono, allo stato dei nostri studî, solo ipotetiche.
Durante il V e il IV sec., l'acropoli di Larisa subisce profonde trasformazioni edilizie. Il tipo del palazzo a bīt khilāni; al quale, attorno al 500 a. C., si è aggiunto un p. dalla pianta che riecheggia quella di un mègaron, si fonde con questo con il risultato di un edificio caratterizzato da un cortile centrale sul quale si aprono gli ambienti di rappresentanza. A questo tipo di edificio, durante il IV sec., se ne aggiunge un secondo di dimensioni ancora maggiori caratterizzato da un analogo schema architettonico. Le successive trasformazioni dei p. dell'acropoli di Larisa (tipiche nella fusione del tipo di edificio a bīt khilāni con quello a mègaron, con il risultato di uno schema caratterizzato da un cortile centrale sul quale si aprono ambienti forniti di colonne in facciata) potrebbe forse aiutare a comprendere come si sia arrivati alla definizione del tipo di edificio a peristilio interno, l'origine del quale è ancora indefinita.
A Vouni, il p., sede di una dinastia dell'isola, sembra presentare come quelli di Larisa, generiche analogie con edifici orientali; analogie comuni alla cultura, quanto mai eclettica, di Cipro. Durante la sua prima fase (500-450 circa a. C.) l'edificio presenta, nella sua parte principale, uno schema rigidamente assiale. Orientato verso S-O presenta in quel punto l'ingresso principale che conduce alle stanze di parata formate da tre vani centrali (posti l'uno di seguito all'altro) che sfociano in una corte centrale nella quale si scende per mezzo di un'ampia scala. Il cortile, caratterizzato da un colonnato che lo borda su tre lati (e che esclude quello d'ingresso) è circondato da ambienti che si aprono su di esso facendone il centro dell'insieme.
Durante il secondo periodo della costruzione (450-380 a. C.), il p. muta carattere: l'ingresso è portato a N (e non si presenta pertanto più assiale rispetto all'edificio), gli ambienti attorno al cortile centrale subiscono alcune modificazioni che snaturano la funzione originaria di quello.
I caratteri del p. di Vouni possono presentare generiche e lontane assonanze con i precedenti orientali, siriani e mesopotamici, e con gli stessi p. di Larisa, per il motivo del cortile interno nel quale si articola la vita dell'edificio; ma anche in questo caso confronti precisi non possono essere stabiliti.
Il mondo classico, in particolare durante il V sec. non conosce il tipo del p., almeno nella Grecia continentale. Il livellamento della vita democratica caratterizza anche l'edilizia privata che, al più, si compiace di una decorazione interna alle abitazioni (come in quella di Alcibiade, decorata da Agatharchos: Plut., Alk., 16). La eccezionalità di alcune abitazioni, come quelle di Milziade o di Aristide (Demost., Olynth., iii, 25-29), deve essere intesa come un caso limite, degno di segnalazione per la stessa singolarità, di fronte alla modestia delle dimore di abitazione anche dei personaggi più abbienti, quale può essere dimostrata dall'esame degli avanzi monumentali o dalle notizie delle fonti letterarie.
Ma già nel V sec. anche nell'ambito dell'architettura domestica si nota una sua particolare inventività. Ad Olinto, le case nel tessuto ippodameo della città, condizionate da precise norme urbanistiche democratiche, presentano un notevole livellamento qualitativo; quelle però nelle immediate adiacenze della città stessa (le cosiddette ville) mostrano particolare qualità architettonica e in particolare alcuni motivi che sembrano preannunciare i caratteri delle case a peristilio caratteristiche del IV sec. e poi dell'ellenismo. Tale motivo si accentua durante il IV sec., quando, alcune case di particolare qualità, tra le quali alcune fornite di peristilio, compaiono nell'ambito stesso delle città ippodamee, sino ad occupare interi settori di esse (che debbono essere intesi come quartieri residenziali destinati alle classi più abbienti). Tale motivo è caratteristico a Priene (v.), nel quartiere situato nella parte più alta della città.
L'uso del tipo della casa a peristilio è caratteristico dell'ellenismo; sviluppatosi per la prima volta in Asia Minore trovò particolare diffusione in quelle città ellenistiche che non fossero sottoposte alle norme restrittive dell'urbanistica ippodamea caratteristica alle città democratiche. La città di Delo è quella più ricca di case a peristilio, alcune di notevoli dimensioni; in Italia, specie a Ercolano e a Pompei, esse sono documentate con particolare evidenza.
Il loro sviluppo dovette essere sempre più intenso a partire dalla fine del IV sec., al termine dell'impresa di Alessandro Magno. Non a caso, tra i primi esempî di p., analoghi, ma di pianta molto maggiore di quella delle case a peristilio (e insieme diverso per l'importanza data all'estensione del peristilio rispetto a quella delle stanze), quello macedone di Palatitza (v.), databile verso la fine del IV secolo.
Accanto al tipo della casa a peristilio, amplificato in qualche caso a p., il mondo ellenistico creò lo schema del p. vero e proprio, atto a ovviare le complesse necessità che negli stati ellenistici andavano presentandosi come conseguenza di un accentramento amministrativo e giuridico che, in particolare nel mondo tolemaico e in quello seleucide, sempre più si articolava attorno alla figura del dinasta.
Purtroppo le nostre conoscenze sui p. ellenistici sono elementari e frammentarie, in particolare per quanto riguarda il mondo seleucide. Le fonti letterarie sono scarse e, quando esistono, parziali, nel senso che il tono elogiativo che esse trasmettono nella descrizione dei p. dei dinasti è quanto mai poco adatto a comprendere la reale funzione di essi. I p. di Alessandria e di Seleucia o di Antiochia, per citare solo quelli più importanti, dovevano avere proporzioni molto notevoli ed occupare quartieri interi delle città alle quali appartenevano. Recinti da mura, con edifici intramezzati da spazi verdi, essi si presentavano quasi come città nelle città. All'interno di essi si svolgeva la vita di corte, amministrativa, giuridica, finanziaria, culturale.
Durante l'ellenismo pertanto il p. assume, da un punto di vista architettonico, una pianta complessa atta allo svolgimento delle varie attività che in esso si svolgono. La parte residenziale di esso è limitata ad un settore dell'intero edificio, spesso l'abitazione del dinasta non fa neppure parte dell'insieme del p. reale. Questo, destinato a funzioni rappresentative, di archivio, giuridiche, deve presentare una somma di ambienti adatti a tali funzioni, che trovano il centro nella sala del trono rappresentativa del potere dinastico.
Naturalmente tali funzioni, e pertanto gli schemi dei p. ellenistici si vanno definendo lentamente durante i tre secoli dell'ellenismo, in particolare nei regni tolemaici e seleucidi, che più degli altri accentuarono l'impronta di monarchia assoluta che Alessandro aveva dato alla propria persona, come dinasta.
L'ellenismo occidentale infatti non presenta p. veri e proprî, e quelli destinati all'abitazione dei dinasti di Pergamo non si differenziano da comuni case a peristilio altro che per la ricchezza e la qualità della decorazione interna sia in pittura che in mosaico (oltre che per la loro situazione topografica, sull'alto dell'acropoli della città, isolati rispetto agli altri quartieri di abitazione, vicini ai magazzini, agli arsenali, alla biblioteca ed ai principali santuarî - separati a loro volta dalla città bassa dall'insieme del ginnasio - nei quali si svolgeva la vita culturale e politica della città secondo una convenzione apparentemente democratica caratteristica dei regni non assoluti durante l'ellenismo).
Le scarse conoscenze dell'architettura seleucide ci fanno rimpiangere di non poter conoscere lo schema del p. di Antiochia, nell'isola sull'Oronte, e non possono essere, almeno sino ad oggi, in alcun modo supplite. L'interessante edificio di ῾Araq el-Emīr nei pressi di Tiro (v.), caratteristico per la mescolanza di motivi architettonici classici e orientali, doveva probabilmente essere un padiglione, non un vero p., e non basta per comprendere i problemi architettonici risolti dagli architetti seleucidi.
Il mondo tolemaico ci offre invece un esempio di un p., ricostruibile sia in pianta che in alzato, destinato a sede residenziale e amministrativa, attraverso il quale è possibile intendere i problemi affrontati dagli architetti tolemaici in quegli edifici: si tratta di un edificio forse costruito verso la fine del II sec., a Tolemaide, probabilmente come sede del governatore tolemaico della Cirenaica (e più tardi usato come sede del governatore romano).
Il p. sorge approssimativamente nel centro della città, orientato da N a S, di pianta rettangolare, si estende su un terreno in declivio (gli ambienti principali di esso si trovano però alla stessa quota e ciò è reso possibile mediante sostruzioni sotto alcuni di essi).
L'interesse principale dell'edificio è ovviamente nei quartieri di rappresentanza: l'ingresso avveniva mediante un vestibolo aperto sul lato orientale dal quale un corridoio portava ad un grande peristilio che deve essere considerato il centro dell'edificio. Al centro dei lati N e S del peristilio si aprono due sale profonde situate sullo stesso asse. Quella settentrionale circondata da colonne corinzie sui quattro lati, doveva essere coperta e destinata a funzioni di particolare importanza. Le colonne che la circondano sui quattro lati, determinando una peristasi interna, permettono di confrontare l'ambiente con alcuni ricordati dalle fonti letterarie nel mondo alessandrino; in essa si potrebbe quasi vedere un antecedente delle sale basilicali dei p. romani e supporre che in origine fosse destinata all'amministrazione giuridica. La sala meridionale si presenta meno complessa di quella settentrionale, ma analoga nei rapporti di larghezza e lunghezza. Essa è accessibile per mezzo di quattro scalini, la sua preziosa decorazione interna la indica come un ambiente probabilmente destinato alle riunioni delle più alte autorità di Tolemaide. Il salone, che sovrastava la stanza, era fornito di un balcone dal quale ci si poteva affacciare sul peristilio; questo motivo caratteristico (che richiama il balcone dell'apparizione dei p. egiziani) testimonia ancora una volta il carattere pubblico del p. di Tolemaide. La ricca decorazione architettonica del cortile, i mosaici pavimentali, le decorazioni marmoree delle pareti permettono, attraverso il p. di Tolemaide, di avere un'idea dei più ricchi p. di Alessandria e di considerare quanto l'architettura romana di p. dovette a precedenti come quelli di cui il p. di Tolemaide non è che una modesta derivazione.
Il mondo ellenizzato di Occidente e quello etrusco non presentano, almeno sinora, edifici che possano essere interpretati come palazzi.
5. - Roma e Impero romano. - Nel mondo romano repubblicano non esistono palazzi. Il concetto stesso del p., contrario alla mentalità e alle norme giuridiche dello stato romano non si manifesta sino al periodo imperiale. Nel territorio della penisola sono attestate case a peristilio, alcune delle quali di particolare ricchezza (che testimoniano l'assimilazione delle norme architettoniche dell'ellenismo, probabilmente mediate attraverso la cultura dell'Italia meridionale) ma esse debbono essere intese come case di abitazione che non hanno nulla a che fare con il concetto giuridico e amministrativo implicito nei palazzi. Ma proprio attraverso l'inserirsi delle case a peristilio nella urbanistica di Roma si comincia ad intravvedere una differenziazione di usi e costumi della popolazione romana che, accentuandosi nei momenti delle grandi conquiste, diviene caratteristica nel I sec. a. C. Da allora la casa a peristilio di tipo ellenistico nella città (così come la villa nella campagna) diviene indicativa della condizione sociale delle famiglie più abbienti.
Già alla fine della Repubblica le case a peristilio dovevano essere abbastanza consuete in Roma in particolare in alcuni quartieri; tra questi il Palatino, per la sua posizione centrale e la sua tranquillità, era considerato quello migliore.
Con il formarsi del principato da parte di Augusto si viene a determinare la necessità del p. imperiale. Se Ottaviano preferisce abitare nella casa che già era stata di Ortensio sul Palatino, casa non piacevole né per comodità né per lusso (Suet., Aug., 72), quasi a testimoniare la sua qualità di cittadino privato, egli, non potendo disporre di una abitazione adeguata, trovò difficoltà nella stessa amministrazione pubblica (quando doveva trattare affari particolarmente delicati egli era costretto a ritirarsi in qualche villa suburbana o, malato, nella casa di Mecenate). A colmare tale lacuna Augusto intraprese la sistemazione dell'area immediatamente adiacente la sua abitazione destinata al tempio di Apollo e alle biblioteche, edifici i quali (secondo convenzioni caratteristiche del mondo ellenistico occidentale) potevano essere adeguatamente sfruttati al fine del disbrigo degli affari di stato che la struttura del principato andava imponendo.
La necessità di dovere definire una serie rappresentativa del potere del princeps, atta al disbrigo degli affari di stato, si presenta con gli immediati successori di Augusto: Tiberio e Caligola. Essi costruiscono sul Palatino, che Augusto aveva codificato come sede del princeps, i loro p. che, ricordati dalle fonti letterarie, hanno lasciato avanzi troppo scarsi (in gran parte ancora sepolti) per permettere una ricostruzione della pianta. È interessante notare come nel giudizio del tradizionale mondo romano, l'idea del p. abbia trovato una viva opposizione e che gli edifici siano criticati aspramente dalle fonti contemporanee. La necessità di potere disporre di un p. viene infatti sentita in modo particolare da quegli tra gli imperatori i quali aspirando ad un potere assoluto, furono in contrasto con il senato; alla loro morte infatti si cercò di cancellare, tra gli altri, quel motivo così antitradizionale rispetto agli ordinamenti romani. In questo senso si può intendere Cassio Dione (lx, 6, 8), secondo il quale Claudio avrebbe restituito agli dèi il tempio dei Dioscuri nel Foro che Caligola aveva occupato come vestibolo del proprio p. sul Palatino (quasi come sala del trono e balcone di apparizione).
Con Nerone il tentativo di imporre un potere assoluto nell'ambito dell'Impero romano si fa ancora più aperto; la costruzione della domus transitoria sul Palatino e poi della domus aurea sono tra gli aspetti più appariscenti di tale esigenza. La enorme estensione dei due edifici potrebbe addirittura far ritenere che Nerone abbia cercato di far edificare non più p. di tipo ellenistico occidentale, ma edifici formati da padiglioni dispersi in aree verdi, ognuno dei quali destinato ad una precisa funzione, secondo le convenzioni dell'ellenismo seleucide o tolemaico. Per quanto riguarda la domus transitoria, distrutta nell'incendio del 64 d. C., le nostre conoscenze sono troppo scarse; la domus aurea è meglio conosciuta. Isolata al centro di vasti parchi, nel cuore stesso della città, più che un p. essa deve essere considerata quasi una grande villa destinata a residenza dell'imperatore; la pianta nella parte residenziale sul colle Oppio, è infatti molto simile a quelle delle ville a portici rappresentate su alcune pitture vesuviane. Aver sacrificato gran parte del centro di Roma ad abitazione, trasferendo nell'ambito della città una villa, isolata dal resto delle costruzioni cittadine, determinò una violenta reazione contro tale mentalità così antitradizionalistica: Vespasiano, conservando per sé una parte della domus, distrusse il resto, restituendo alla città lo spazio destinato a parco privato. In tale settore della domus abitò, durante il suo breve regno, anche il figlio Tito.
La struttura dello stato romano, l'accentramento politico, giuridico, amministrativo determinarono sempre più la necessità di definire una sede imperiale atta al disbrigo degli affari di stato. Tale problema fu risolto da Domiziano, il quale incaricò l'architetto Rabirius (v.) di costruire una definitiva sede imperiale sul Palatino.
Chiedersi quali siano stati i precedenti che hanno ispirato l'architetto nel definire il progetto, se egli abbia cercato cioè di ampliare su scala enormemente più vasta il tipo della casa a peristilio, o se abbia derivato alcuni schemi dai p. ellenistici (occidentali o orientali), se abbia tenuto presenti le piante dei pretori militari, è assolutamente ozioso.
Il p. di Domiziano sul Palatino può derivare singoli elementi dagli edifici sopra ricordati, ma esso è costruito per il disbrigo di precise esigenze dello stato romano. Il problema che l'edificio presenta è pertanto non quello di una derivazione da schemi architettonici precedenti, ma dell'adattamento di essi e della loro fusione (al fine di risolvere alcune esigenze dello stato romano, la struttura del quale era ovviamente ben diversa da quella degli imperi che lo avevano preceduto).
Sostanzialmente il p. di Domiziano può essere suddiviso in tre elementi: il p. di rappresentanza, il p. di abitazione, il giardino e l'ippodromo. La parte di rappresentanza è quella che più interessa. Essa occupò una depressione tra il Palatium e il Germalus coprendo gli avanzi degli edifici precedenti. Orientata verso N-E presenta due facciate, l'una preceduta da un portico (sopraelevato di circa 10 m sul Foro sottostante) che presenta tre avancorpi in corrispondenza degli ambienti retrostanti, l'altra rivolta verso la domus tiberiana anch'essa in origine porticata (il portico scomparve successivamente per costruire alcuni contrafforti destinati a sostenere la parete della basilica lesionata a causa delle cattive fondazioni). La parte interna dell'edificio presenta tre settori, ciascuno di essi diviso, a sua volta, in tre parti.
Nella parte anteriore dell'edificio, in corrispondenza dei tre avancorpi del portico si trovano: al centro una grande sala, l'aula regia, forse coperta con una vòlta a botte (più difficilmente scoperta) destinata alle udienze solenni e alle adunanze del consiglio imperiale, con pareti frazionate da partiti architettonici sporgenti, che presentava nell'abside opposto all'ingresso il trono (augustale solium); una basilica, detta basilica Iovis, divisa in tre navate (quelle laterali molto strette, quasi in forma di passaggio), con un'abside sul fondo limitata da una balaustra marmorea, dalla quale l'imperatore assisteva alla discussione di cause e alla riunione del consiglio privato (la basilica era probabilmente coperta con una vòlta a botte); nel settore a sinistra dell'aula regia era il larario imperiale (ove su basamenti di marmo, erano le immagini dei penati e delle divinità protettrici di Roma).
Nella parte posteriore dell'aula regia si apre un ampio peristilio (il quale presenta al centro una fontana ottagonale) bordato sui lati da ambienti minori (quelli verso il Germalo forse destinati a sale di attesa e ornati con fontane ed esedre, quelli sul lato opposto, in cui si può riconoscere un tablinum con due alae, immettevano nella domus augustana). L'accesso al peristilio avveniva oltre che dall'aula regia e dagli annessi di quella, anche attraverso le sale di attesa verso il Germalo (e dal tablino con ali dalla domus augustana).
La parte posteriore del p. è caratterizzata da un grande triclinio che si apre sul peristilio con una facciata aperta, inquadrata da colonne. Nel triclinio (che può essere identificato con la famosa coenatio Iovis) l'abside di fondo (il pavimento della quale, così come quello di tutta la sala, era decorato con intarsi di marmi preziosi) era destinata all'imperatore e pertanto sopraelevata di un gradino. Ai lati del triclinio erano due sale ornate da fontane, visibili dalle finestre aperte nelle pareti del triclinio stesso. Un portico sembra limitasse il p. nella parte posteriore (forse piegandosi ad L per bordare le adiacenti biblioteche).
Con la sistemazione della parte ufficiale del p. Rabirius definì le esigenze del rituale e della amministrazione dell'impero romano; dal p. dei Flavi derivano gran parte degli edifici posteriori.
L'edificio si articola attorno al peristilio interno, punto di incontro delle funzioni di tutto il p., accessibile direttamente anche dall'esterno (dall'ingresso rivolto al Germalo) che suddivide lo spazio destinato alle funzioni pubbliche, cui sono riservati i tre ambienti della parte anteriore, da quelli, sempre in numero di tre, destinati alle funzioni amministrative del p. stesso.
Il settore sulla fronte del p. è destinato ad un insieme di funzioni pubbliche: giuridiche quelle che si svolgevano nella basilica; dinastiche quelle dell'aula regia; religiose quelle del larario. I tre ambienti erano accessibili direttamente dal Foro a tutta la cittadinanza; su questo è rivolto l'asse dell'edificio. In corrispondenza dell'aula regia era un propilo tetrastilo che, per la sua altezza sul piano della piazza, può essere inteso come balcone di comparizione destinato a tutta la cittadinanza (e non come nei p. egiziani o in quello di Tolemaide aperto sull'interno degli edifici e pertanto destinato solo ad una corte rappresentativa di tutta la popolazione).
La parte posteriore dell'edificio (alla quale poteva accedere ovviamente solo una parte della popolazione), destinata a funzioni più strettamente aministrative, ripete sostanzialmente lo schema della parte anteriore. Mentre però il settore frontale dell'edificio presenta tre ambienti indipendenti e giustapposti, le sale ai lati della coenatio Iovis sembrano, con la curvatura delle mura perimetrali esterne e con le aperture esistenti tra la sala centrale e quelle laterali, formare una unità architettonica che prelude quella caratteristica nelle basiliche ad ambienti laterali tardo-antiche.
Purtroppo le lacune dello scavo e della edizione di questo eccezionale complesso non ci permettono di definire con esattezza quali fossero le precise funzioni di esso; in particolare non si può comprendere dove fossero gli archivî e le cancellerie che nell'edificio dovevano occupare parti, se non da un punto di vista architettonico, da un punto di vista amministrativo e politico, di primissimo piano.
Purtroppo non conosciamo le piante di edifici costruiti durante il II sec. e gran parte del III che possano essere paragonati nelle loro funzioni con il p. dei Flavi.
Con la acquisizione di prerogative sempre più tipicamente dinastiche da parte degli imperatori romani, il p. assume una importanza sempre maggiore e in essi è caratteristica la basilica di udienza civile e penale, destinata alle manifestazioni sempre più assolute della corte imperiale. Purtroppo non abbiamo che scarsi avanzi del p. costruito da Filippo l'Arabo a Philippopolis in Siria.
Attraverso anticipazioni avvenute durante il III sec., quando ogni imperatore trasferiva al potere una propria ideologia, l'architettura di p. dové trovare un suo chiarimento solo alla fine del III sec., quando, con i tetrarchi, si nota una completa fusione di quegli ideali che con alterna fortuna avevano lottato nel periodo precedente.
Il decentramento amministrativo del potere imperiale determina la costruzione di p. a Treviri, Milano, Tessalonica, Nicomedia; successivamente Costantino definisce a Costantinopoli la pianta del p. del nuovo impero. Purtroppo di tali edifici possiamo avere una idea solo molto parziale dagli scarsi avanzi (più conservati a Treviri e a Tessalonica); in particolare ci manca un'idea precisa del p. costantiniano di Costantinopoli che dovette essere quello nel quale si assommarono le esperienze degli edifici precedenti.
Una idea ben precisa possiamo avere invece di un tipo particolare di p., quello che Diocleziano, deposta la porpora nel 305, volle come residenza nelle immediate adiacenze di Salona, a Spalato.
La risonanza dell'edificio nel mondo tardo-antico e in quello bizantino, la sua imitazione in edifici minori (ad esempio a Mogorjelo), testimonia come il p. di Spalato dovette essere considerato fonte di ispirazione per numerosi edifici della tarda antichità.
La pianta del p. di Spalato si presenta di forma approssimativamente rettangolare (con torri quadrate agli angoli, ottagonali al fianco delle porte, rettangolari tra queste e le torri angolari sui tre lati rivolti verso terra). Le tre porte, di cui principale (porta aurea) quella rivolta a settentrione, immettono in due vie che, tagliandosi perpendicolarmente in forma di T, dividono l'area del p. in tre settori. I primi due, a N, sono destinati ai servizi e alla guardia imperiale, il terzo è destinato all'imperatore e alle cerimonie pubbliche.
Questa terza parte presenta, sull'asse N-S dell'edificio, un ampio peristilio in forma rettangolare che immetteva in un tempietto circondato da un'area sacra a O, e al mausoleo ottagonale dell'imperatore ad E. Sul fondo del peristilio una gradinata portava attraverso un protiro colonnato con tre ingressi (quello centrale coperto ad arco) ad un vestibolo che immetteva in un'aula rettangolare orientata da N a S nel senso della lunghezza. Ai lati dell'aula erano gli appartamenti imperiali che terminavano in una loggia aperta sul mare con una fila di arcate; da essa si poteva raggiungere il mare.
La disposizione della parte centrale dell'edificio ha permesso di riconoscere le funzioni e le cerimonie che in esso si dovevano svolgere (anche attraverso il confronto con quanto le fonti letterarie ci dicono di altri p., tra cui quello di Antiochia, iniziato da Gallieno e terminato da Diocleziano, sul luogo dell'antico p. ellenistico). Il peristilio del p. deve essere infatti inteso come una basilica scoperta destinata a funzioni pubbliche, alle quali l'imperatore partecipava o che egli promuoveva, sostando sotto l'arco centrale del protiro. Funzioni, alle quali dovevano essere ammessi personaggi di particolare rango dovevano invece essere promosse nell'aula posta dietro il vestibolo.
Alcune ville della tarda antichità, prima fra tutte quella di Piazza Armerina (v.), derivano alcuni elementi dai p. imperiali e si caratterizzano per la presenza di un'ampia basilica a volte preceduta da un peristilio, e mostrano che lo schema del p., non è destinato nel periodo tardo-antico solo all'edificio imperiale, ma anche alle residenze non ufficiali degli imperatori o a quelle di alti funzionarî.
Il tipo del peristilio, seguito da un'aula basilicale (bordata o meno da ambienti laterali) accessibile direttamente (o mediante un vestibolo, che può essere formato da una serie di ambienti) dal peristilio stesso, caratterizza infatti tutte le architetture di p., in primo luogo quelle dei p. imperiali di Costantinopoli.
Volendo rintracciarne l'inizio, un tale schema si trova già nel p. dei Flavi sul Palatino. Se infatti eliminiamo idealmente dalla pianta del p. dei Flavi la parte anteriore destinata a funzioni pubbliche (basilica, aula regia e larario), e consideriamo la parte centrale (peristilio) e posteriore di esso (coenatio Iovis e sale adiacenti), abbiamo idealmente uno schema analogo a quello dei p. tardo-antichi. Ci si può chiedere allora perché l'architettura di p. tardo-antica abbia eliminato gli ambienti destinati alle funzioni pubbliche (giuridiche, di rappresentanza, religiose) rappresentate dalla parte anteriore del p. dei Flavi: la risposta è implicita nella stessa struttura del mondo imperiale tardo-antico, che tendeva sempre più ad una amministrazione centralizzata, che richiedeva sempre più rare comparizioni imperiali (al più destinate ad una classe scelta di funzionarî) mentre tutte le funzioni imperiali si andavano assommando attorno alla figura del dinasta.
Un tale carattere distingue l'ultimo dei grandi p. tardo-antichi: quello fatto costruire da Teodorico, attorno al 500 d. C. a Ravenna, rappresentato in mosaico in S. Apollinare Nuovo, e del quale si conservano alcuni avanzi. La rappresentazione del mosaico di S. Apollinare è stata interpretata dal Dyggve; la ricostruzione proposta (qui esposta), non è stata, peraltro interamente accettata. Essa rappresenta non la facciata del p. ma il peristilio interno ad esso, del quale i portici laterali hanno subito una immaginaria rotazione di 90 gradi e si presentano allineati con la facciata secondo una convenzione caratteristica in alcune rappresentazioni tardo-antiche (tra le quali la scena del congiarium rappresentata in uno dei rilievi settentrionali dell'Arco di Costantino). Il peristilio pertanto deve essere inteso, come nel p. di Diocleziano a Spalato, come una basilica ipetrale a tre navate per cerimonie, con ginecei sopra le navate laterali, che, attraverso un protiro e una porta, immetteva in una sala più fastosa destinata a cerimonie. Lo stesso protiro, con la sua copertura a tre fornici, aveva probabilmente la funzione di inquadrare come un frontespizio di glorificazione la figura dell'imperatore in quelle occasioni nelle quali egli si mostrava alla folla riunita nell'interno del peristilio. La successione che gli ambienti dell'edificio presentano permette di identificare nella basilica il tribunal, nella sala posteriore il triclinium.
Bibl.: Si veda la bibliografia citata a proposito delle singole voci tipologiche (basilica; casa; villa, ecc.) e topografiche. Inoltre: K. M. Swoboda, Römische und romanische Paläste, Vienna 1919; E. Dyggve, Ravennatum Palatium Sacrum, in Det Kgl. Danske Videnskabernes Selskab, Archaeologiskunsthistoriske Meddedelser, III, 2, Copenaghen 1941; A. Grabar, Martyrium, I-II, Parigi 1946; A. Boëthius, The Reception Halls of the Roman Emperors, in Ann. Br. School Athens, 46, 1951, p. 25 ss.; S. Bettini, Il Castello di Maschattà in Transgiordania nell'ambito dell'arte di potenza tardo-antica, in Anthemon, Firenze 1955, p. 321 ss.; E. Baldwin Smith, Architectural Symbolism of Imperial Rome and Middle Ages, Princeton 1956 K. M. Swoboda, Palazzi antichi e medievali, in Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell'Architettura, 11, 1957, p. 3 ss.; G. Tosi, Il palazzo principesco dall'arcaismo alla Domus Flavia, in Arte Antica e Moderna, 7, 1959, p. 241 ss.; M. Cagiano de Azevedo, Admiranda Palatia, I palazzi imperiali e le residenze tetrarchiche, in Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell'Architettura, 14, 1959, p. 3 ss.; L. Crema, L'Architettura romana, in Enciclopedia Classica, III, XII, Torino 1959, passim; E. Dyggve, Contributo alla discussione sul "Palatium Ecclesia", in Atti VII Congr. Int. Arch. Class., II, Roma 1961, p. 401 ss.; J. W. Graham, The Palaces of Crete, Princeton 1962; I. Lavin, The House of the Lord: Aspects of the Role of Palace Triclinia in the Architecture of Late Antiquity and the Early Middle Ages, in The Art Bulletin, XLIV, 1962, p. i ss.; H. Finsen, Domus Flavia sur le Palatin, in Analecta Romana Instituti Danici, II Supplementum, Copenaghen 1962 (da questi studî si può risalire ad una bibliografia più particolare).
(A. Giuliano)
6. - Impero parthico e sassanide. - La struttura sociale e politica del mondo parthico, caratterizzata da un notevole accentramento amministrativo, richiede la costruzione di p. nei quali possa svolgersi la vita di corte che si articolava attorno alle figure dei dinasti e dei governatori regionali.
Influenzata dalle esperienze delle popolazioni nomadi (dalle quali la popolazione parthica era originaria), da quelle achemènidi, da quelle (purtroppo così scarsamente conosciute) del mondo seleucide, e indirettamente da quelle romane (mediate attraverso la Siria e in particolare Antiochia), la cultura architettonica parthica testimonia nella costruzione dei p. motivi eclettici. Da un punto di vista costruttivo l'architettura di p. parthica si caratterizza per l'uso dell'arco e della vòlta (che in un territorio non ricco di legname costituisce una importante ed economica convenzione edilizia), e per la caratteristica dell'iwān (di tradizione mesopotamica, ma che solo nell'impero arsacide assume una importanza di primo piano), inteso sia come sala aperta in facciata su un cortile, sia come ambiente di ingresso e di ricevimento. Sarebbe interessante poter definire come l'uso dell'arco e della vòlta sia penetrato nel territorio parthico, ma anche in questo caso la mancanza di una documentazione diretta delle architetture seleucidi rende insolubile il problema. Comunque alcuni particolari costruttivi come la caratteristica apertura a tre arcate, in facciata, che si ritrova in p. e templi (caratteristico quello di Shamash a Hātra), pervenuta forse come imitazione degli ingressi dei pretori romani, l'uso di particolari tecnici (documentati in edifici sempre di Hātra) testimoniano un frequente contatto tra il mondo romano e quello parthico.
Purtroppo, come per quasi tutti i monumenti parthici, mancano elementi che permettano una precisa cronologia degli edifici così che la dialettica di una architettura di p. arsacide, rimane quanto mai ipotetica.
Del palazzo di Kuh-i Kwagia (v.), abbiamo una idea ancora troppo generica per quanto concerne l'architettura degli ambienti e l'uso di essi. Meglio conosciuto il palazzo di Assur, databile forse al I sec. d. C., il quale presenta come caratteristica principale un cortile di forma approssimativamente quadrangolare sul quale si aprono quattro iwān coperti da vòlte a botte. Ai lati dei grandi iwān si aprono piccoli ingressi minori, coperti a vòlta, con funzioni di corridoi o di sale (gli stessi iwān possono essere, o meno, chiusi sul fondo, formando di conseguenza sale chiuse su tre lati o ambienti di passaggio). L'esistenza di un peristilio è quanto mai caratteristica del palazzo. Tale motivo, compare anche in un edificio di Seleucia e costituisce l'elemento fondamentale degli edifici arsacidi, come nel p. di Nippur (caratterizzato da una sala di udienze colonnata e da un peristilio aperto). I caratteri pertanto dell'architettura di p. parthica si manifestano con il gusto di ambienti aperti su una corte interna all'edificio. L'uso di elementi curvilinei e dell'iwān definisce la originalità degli edifici rispetto a quelli precedenti.
Con il costituirsi dell'impero sassanide ad opera di Ardashīr gli elementi ancora incerti che caratterizzano l'architettura di p. parthica si definiscono completamente. I p., possono essere considerati l'espressione più notevole dell'architettura di quel periodo, opera dei maggiori architetti e delle migliori maestranze.
Il mondo sassanide, nel suo rifiuto degli elementi parthici si richiama ai precedenti achemènidi; elementi achemènidi compaiono e sono ripresi nelle singoli parti decorative, ma essi sono un aspetto (e certo non quello più importante) del mondo sassanide, basato su convenzioni architettoniche (che già nel mondo parthico avevano avuto largo uso) come quelle fondate quasi esclusivamente su architetture curvilinee.
Tali elementi ricevono nel mondo sassanide uno sviluppo molto intenso basato sulla articolazione di archi, cupole e vòlte a botte (spesso costruite senza centina, con pietre cementate o laterizî).
Anche in questo caso interessa stabilire gli elementi della pianta degli edifici e la funzione di essi.
Il primo tra i p. sassanidi, quello di Fīrūzābād, costruito da Ardashīr I nella prima metà del III sec. d. C., può quasi essere considerato il punto di partenza per qualsiasi successiva elaborazione.
Il principio che caratterizza l'edificio è quello di una rigida simmetria assiale, e della suddivisione di esso in due elementi (una parte anteriore, di rappresentanza; caratterizzata da un profondo iwān di ingresso fiancheggiato da due sale per lato (coperte a vòlta) seguito da tre ambienti quadrangolari (coperti a cupola); una parte più interna, di abitazione, caratterizzata da ambienti aperti su una corte quadrangolare.
Il motivo dell'iwān, inteso come ambiente di ingresso e di rappresentanza che immette in un salone quadrangolare caratterizza i p. sassanidi. L'iwān assume in essi un ruolo particolare, non può essere più considerato come negli edifici parthici un ambiente chiuso su tre lati ed aperto sul quarto, ma l'ingresso trionfale che reca alla sala coperta a cupola dove l'imperatore sassanide dava udienza a coloro che erano stati ricevuti nell'iwān stesso.
Le analogie con i p. achemènidi non possono far credere che il p. sassanide altro non sia se non la trasformazione nell'architettura curvilinea di motivi achemènidi: la nascita di esso si articola infatti attraverso la fusione di due elementi diversi, quello dell'iwān e quello della sala coperta a vòlta, in funzione di un unico cerimoniale. Le analogie pertanto sono solo nel rituale che sostiene i due imperi, il quale si attua però in edifici sostanzialmente diversi, destinati a funzioni affini, non identiche.
La parte posteriore del p. sassanide di Fīrūzābād con iwān opposti e stanze quadrangolari è sull'asse del grande iwān, a una quota diversa.
I motivi documentati a Fīrūzābād ritornano nel p. di Sarvistan, datato al V-VI secolo. In esso, sia pure con un rapporto diverso si ripete il motivo rigidamente assiale della successione dell'iwān, sala quadrangolare coperta a vòlta, cortile aperto. In questo caso l'edificio presenta però notevoli asimmetrie nella disposizione degli ambienti laterali, e un maggior numero di aperture verso l'esterno (che testimoniano una evoluzione rispetto agli elementi osservati a Fīrūzābād).
Un motivo analogo si ritrova nel p. di Tepe Hissar di datazione controversa, dove l'iwān di ingresso, suddiviso in tre navate da due file di elementi portanti, immette in un ambiente quadrangolare. Analogo schema compare nel cosiddetto II palazzo a Kish (v.).
Il cosiddetto ῾Imārat-i Khusraw a Qasr-i Shīrīn probabilmente costruito per Cosroe II (590-627 d. C.) e il p. di Hawsh-Khurī (meno bene conosciuto rispetto al primo) presentano una pianta molto analoga che si differenzia da quella degli edifici precedenti; ambedue gli edifici sono costruiti entro parchi. Gli edifici sorgono su piattaforme accessibili per mezzo di rampe, ambedue richiamano per questo motivo caratteristico i p. elevati su terrazze dell'architettura achemènide.
Le gigantesche dimensioni del p. di Qasr-i Shīrīn, (con un suo preciso orientamento verso E) accessibile per mezzo di tre rampe che conducevano ad un largo situato avanti all'edificio, danno una precisa idea delle possibilità costruttive del mondo tardo-sassanide.
Il p., rigidamente simmetrico, presenta due parti distinte: una di rappresentanza con iwān diviso in tre navate e sala coperta a cupola, una di abitazione, raccolta attorno ad un cortile a peristilio.
Anche in questo caso (pur con le varianti condizionate dall'ambiente) si nota nell'edificio la successione caratteristica di iwān, sala di udienza, cortile nel quale si aprono iwān e sale simmetriche. Nella parte ancora successiva al cortile si notano due corti, forse destinate a cacce reali (ambienti laterali, ricavati nel piano della terrazza servivano come quartieri di abitazione e servizî).
Il Taq-i Kisra di Ctesifonte (v. e s. v. iwān) ripete in sostanza lo schema consueto: iwān aperto ad E dal quale, attraverso una serie di piccoli ambienti, si passa ad una sala quadrangolare coperta a vòlta (sale accessibili attraverso corridoi sia dalla facciata che dall'iwān stesso, cui corrispondono ambienti analoghi sui lati della sala quadrangolare, completano la costruzione).
Il p. di Ctesifonte deve essere inteso come un edificio di rappresentanza: nel grande iwān si doveva svolgere il complesso cerimoniale di corte attorno al trono di Cosroe che doveva trovarsi sul fondo di esso. Recinti per lotte di animali destinate agli ospiti dovevano trovarsi nei dintorni, gli ambienti di abitazione si trovavano certamente nei pressi dell'edificio, ma non in rapporto architettonico con esso.
Bibl.: Si veda la bibliografia citata a proposito delle singole voci tipologiche (casa; iwān, ecc.), topografiche e in quelle: iranica, arte; parthica, arte.
Si veda inoltre: O. Reuther, in A Survey of Persian Art, I, Oxford 1938, pp. 309 ss.; L. Vanden Berghe, Archéologie de l'Iran Ancien, Leida 1959 (con bibl. prec.).
(A. Giuliano)
7. - India. - A differenza delle grandi civiltà dell'Asia occidentale, l'India non provvide in epoca antica un intenso sviluppo dell'architettura civile di carattere residenziale e monumentale. Le condizioni storiche che ritardarono in misura cospicua l'unificazione politica del paese e la costituzione di uno stato unitario furono causa diretta del mancato sviluppo di questo specifico settore edilizio legato eminentemente all'istituzione della regalità. Sebbene le fonti storiche e letterarie tramandino notizia per l'epoca vedica e pre-Maurya (v. indiana, arte) dell'esistenza di antichi p. e sale di assemblea, la mancanza assoluta di reperti in nostro possesso è connessa col fatto che nelle costruzioni di quest'epoca erano largamente impiegati materiali deperibili (legno, bambù, ecc.).
Il p. più antico di cui ci rimane oggi qualche testimonianza risale alla seconda metà del IV sec. a. C. ed è quello di Chandragupta Maurya a Pataliputra (v. patna). Le poche vestigia che ne rimangono non consentono però alcuno studio approfondito delle sue strutture. Si vuole che la sala d'udienza del p. fosse stata costruita sul modello della sala del trono del palazzo di Dario in Persepoli. I pochi rinvenimenti che si sono avuti, tra cui due piedistalli d'un trono, un capitello di pietra ed i resti di numerose colonne monolitiche, oltre ad alcune strutture di base, pongono in evidenza l'entità dell'apporto iranico-achemènide in questo settore dell'architettura civile, che non aveva avuto in precedenza possibilità locali di sviluppo.
Bibl.: v. Indiana, arte.
(A. Tamburello)
8. - Cina. - La Cina, a differenza di altri paesi di antica civiltà, ci ha lasciato scarse tracce della sua primitiva architettura civile; ciò si deve, soprattutto, alla deperibilità del materiale usato nelle costruzioni: il legno. Ciò nonostante fonti letterarie da un lato e scavi archeologici dall'altro hanno potuto fornire, almeno in parte, gli elementi mancanti.
Gli scavi condotti nei pressi di Anyang (v.) (provincia Honan), relativi alla dinastia Shang-Yin (XIV-XII sec. a. C.) hanno portato alla luce i resti di un p. regale, il più antico sinora attestato in Cina; sono state ritrovate le fondamenta del pianterreno di un p., con tracce di un podio e basamenti di pietra su cui dovevano simmetricamente erigersi colonne lignee. La sala principale di tale edificio aveva una lunghezza di circa 30 metri.
Durante la dinastia successiva, Chou (XII-III sec. a. C.), le fonti letterarie ci forniscono alcuni dati di un certo interesse. Alcune poesie dello Shih-ching (Classico delle Odi) parlano dell'orientamento verso S dei p. (come conseguenza del fatto che il sovrano, sul trono, guarda sempre verso il meridione mentre i sudditi debbono guardare il N), della loro eleganza e grandezza (come nel caso del p. di re Hsüan, 827-781), del legname usato (pini e cipressi). Altri testi, come il Ch'un-ch'iu (Annali dello stato di Lu) attestano l'uso della colorazione rossa delle colonne e delle travi scolpite. Il colore, come avverte il Li-chi (Memoriale dei Riti), variava a seconda del rango del proprietario della costruzione: rosso per il sovrano (wang), nerastro per i feudatarî, blu per i funzionarî di grado elevato, giallo per gli altri. I varî rituali cinesi codificarono, a partire da quest'epoca, le norme per la costruzione e la disposizione degli interni dei p.; fra gli edifici classificabili sotto tal nome va ricordato il ming-t'ang (letteralmente = Sala splendente), in cui il sovrano concedeva, con ogni probabilità, le udienze ai varî feudatarî. Ma sia il reale uso di tale edificio che il suo complesso simbolismo politico-religioso, pur avendo da tempo destato l'interesse degli specialisti, sono ancor lontani dall'essere definitivamente stabiliti. Fra i testi che si dilungano a descrivere il ming-t'ang va ricordato il Chou-li (Rituale dei Chou).
Con la distruzione del sistema feudale ad opera di Shih Huang-ti dei Ch'in (221 a. C.) ed il sorgere di un impero centralizzato, abbiamo quelli che sono stati definiti "i primi monumenti su suolo cinese ad essere concepiti in termini nazionali" (Soper). Le fonti storiche cinesi parlano degli splendidi p. fatti costruire dal Primo Imperatore e del grandioso progetto, non potuto condurre completamente a termine, del p. O-pang; esso doveva sorgere in una riserva di caccia presso il fiume Wei, con una sala frontale (la Sala dello Stato) lunga 500 "passi" e larga 500 "piedi", e con viali d'accesso per carri a galleria; infine, una galleria a due piani collegava il p. alla città passando al di sopra del fiume.
La dinastia successiva, Han (III sec. a. C.-III sec. d. C.), offre una più ricca documentazione. I testi letterarî (in particolare le poesie di tipo fu) abbondano di elogi e di descrizioni di p. imperiali e privati. I testi storici parlano della posizione dei p. imperiali nelle capitali (Ch'angan, Loyang). Sappiamo, ad esempio, che il p. Ch'anglo, fatto costruire dal fondatore della dinastia, doveva avere un perimetro di 20 li, mentre il p. Wei-yang, usato dai successori, raggiungeva un perimetro di 28 li (un li corrisponde a circa 370 m). Quando si parla, però, di p. imperiali va precisato che con tale termine si intende tutto il complesso di edifici, parchi, laghi e colline artificiali costituenti la residenza imperiale e non una singola costruzione. Anche le pietre funerarie Han contribuiscono, con le loro incisioni, a darci un'idea di quello che dovevano essere i p. dell'epoca, a più di un piano; si vedano, ad esempio, le pietre funerarie della famiglia Wu, Hsiaot'angshan, provincia Shantung. Sappiamo che le costruzioni erano raggruppate attorno a cortili, distribuite su pianta simmetrica con una grande sala nella parte centrale posteriore dell'edificio. Alcuni modellini di terracotta (come quello della Nelson Gallery of Art, Kansas City) ci dànno un'idea realistica di tali edifici, con il loro sistema piuttosto complesso di tetti e di trabeazioni. È attestato l'uso di cariatidi umane o a forma di animali, al posto delle colonne. Va infine notato come, già in tale periodo, fosse usato in architettura l'arco; oltre che da camere sepolcrali ciò è attestato anche da descrizioni poetiche (fu) di palazzi.
Bibl.: Wang Kuo-wei, Ming-t'ang miao-ch'in t'ung-k'ao (Studio sul Ming-t'ang, tradotto in tedesco da J. Hefter, in Ostasiatische Zeitschrift, N. S., VII, 1-2, 1931); Itô Seizô, Shina Kenchiku (Architettura cinese), Tokyo 1929; H. G. Creel, The Birth of China, Londra 1936; L. Sickman-A. Soper, The Art and Architecture of China, Harmondsworth 1956.
(L. Lanciotti)