Paleonutrizione
Il tipo di alimentazione degli antenati dell'uomo attuale ha subito continue variazioni, che hanno comportato notevoli modificazioni dell'apparato masticatorio e sono andate di pari passo con l'evoluzione stessa della specie umana. È noto infatti che la storia evolutiva di una specie è in larga parte determinata dal contesto ambientale in cui essa si trova a vivere e dal quale trae gli alimenti per la propria sussistenza. Molte ipotesi sul tipo di dieta dei nostri antenati possono pertanto essere formulate mediante la ricostruzione del contesto paleoambientale. La complessità dell'analisi paleonutrizionale richiede la collaborazione di esperti di più discipline: l'archeozoologia fornisce informazioni sulla fauna, mentre la flora viene investigata dalla paleobotanica, anche attraverso lo studio del polline e delle spore fossili. A loro volta, la paleofauna e la paleoflora danno indicazioni sul clima del passato. La composizione e l'età del terreno possono poi essere determinate per mezzo di tecniche analitiche specifiche. Alla luce delle informazioni così ottenute, lo studio dei resti scheletrici e dei denti dell'uomo del passato, nonché degli strumenti litici da esso fabbricati, consente di scrivere una storia alimentare umana fin dalle sue origini.
L'uomo ha trascorso più del 99% della sua esistenza sulla Terra praticando un'economia di caccia, raccolta e pesca, privilegiando l'una o l'altra attività secondo le condizioni ambientali. Oggi, però, solo pochissimi gruppi umani, confinati in regioni marginali, conservano questo modello di sussistenza: per es., i pigmei della foresta pluviale e i boscimani del deserto del Kalahari in Africa, gli aborigeni del deserto australiano, alcuni gruppi autoctoni della Nuova Guinea, gli ainu del Giappone, alcune tribù delle Filippine e dell'arcipelago malese, i tamil del subcontinente indiano, gli inuit della Groenlandia e gli indios della foresta amazzonica. Lo studio di questi gruppi umani può fornire utili analogie con i modelli comportamentali del passato, sebbene i dati debbano essere interpretati con molta cautela.
Nelle indagini più propriamente paleonutrizionali vengono utilizzati metodi di ricerca sia diretti sia indiretti. I metodi diretti consistono nel censimento di resti animali e vegetali ritrovati in siti preistorici, che consentono non solo di identificare le specie più presenti nella dieta dell'uomo del passato, ma anche di formulare ipotesi sul tipo di utilizzazione del sito in cui tale materiale è stato ritrovato. Per es., la presenza di accumuli di ossa insieme a specifici manufatti litici permette di individuare un sito di macellazione, mentre il rinvenimento di valve di molluschi consente di ipotizzare un'attività di pesca. Tra i metodi diretti rientra anche l'analisi di coproliti, cioè feci fossilizzate, che però si rinvengono solo raramente. I metodi indiretti consistono nell'esame morfologico, morfometrico e strutturale di denti risalenti a milioni di anni fa, oltre che nell'analisi dei segni di usura sulle ossa, sugli strumenti litici e sui denti stessi. Questi, essendo costituiti da una sostanza molto dura, si conservano meglio di qualsiasi altro materiale organico e le loro dimensioni, la morfologia, il tipo e l'entità dell'usura che presentano sono buoni indicatori delle abitudini alimentari.
L'origine animale o vegetale dei cibi masticati, infatti, determina il tipo di usura della superficie masticatoria, rilevabile a occhio nudo o al microscopio. La presenza di premolari e molari grandi e robusti, con una superficie masticatoria molto ampia, adatta a una prolungata triturazione e molitura del cibo (tuberi, bacche, semi, radici), indica una dieta particolarmente ricca di alimenti di origine vegetale. Da questo tipo di masticazione deriva un'usura detta 'a piatto', che può interessare anche i denti anteriori. Le particelle abrasive eventualmente presenti sugli alimenti o al loro interno possono inoltre provocare alterazioni sulla superficie dello smalto, che si presentano sotto forma di strie; così, sulla base della densità e dell'orientamento di tali strie è possibile risalire al tipo di masticazione che le ha causate. Se gli alimenti consumati abitualmente sono di origine animale, le strie sulla superficie laterale dei denti sono orientate in senso verticale, mentre in caso di dieta prevalentemente vegetariana esse sono disposte sia verticalmente sia orizzontalmente. I denti anteriori possono presentare anche microscheggiature, che offrono indizi di una loro utilizzazione al di fuori del contesto alimentare con funzione di 'terza mano'.
Anche lo studio delle carie può fornire indicazioni utili: esse sono rare negli Ominidi più antichi e diventano frequenti solo in seguito al modificarsi dell'alimentazione umana, che passa da cibi naturali e ricchi di fibre, per i quali era richiesta una masticazione prolungata a carattere molitorio-triturante con azione ripulente della superficie masticatoria, a cibi più artificiali ed elaborati contenenti zuccheri in eccesso. Il rapporto tra i diversi isotopi del carbonio e tra quelli dell'azoto fissati nel collagene osseo permette poi di stabilire se l'uomo abbia consumato abitualmente prodotti di origine terrestre o marina; in questi ultimi, infatti, i rapporti 13C/12C e 15N/14N sono più alti. Su tali basi, si è accertato che nel Mesolitico la maggior parte delle risorse alimentari proveniva dalla raccolta e dalla pesca, mentre nel Neolitico i prodotti della terra cominciarono a prevalere anche nelle regioni costiere, di pari passo con l'affermazione dell'agricoltura. Le concentrazioni relative dello stronzio e del calcio nelle ossa costituiscono un'ulteriore fonte di informazioni sull'alimentazione, poiché il rapporto Sr/Ca è più alto nel caso di una dieta a base vegetariana. L'analisi di questo rapporto ha permesso di accertare che, almeno nelle regioni del Mediterraneo orientale, la dieta è rimasta fondamentalmente invariata dal Paleolitico medio fino al Mesolitico.
Anche lo studio delle incisioni, dei tagli e delle fratture riscontrabili sui resti degli scheletri animali e della loro disposizione sul suolo fornisce importanti informazioni. In particolare, esso permette di distinguere se tali segni siano stati provocati dagli artigli e dai denti dei predatori o dagli strumenti litici degli uomini primitivi, così da chiarire alcuni aspetti del comportamento degli antichi Ominidi, ritenuti fino a pochi anni fa cacciatori, ma oggi considerati principalmente semplici fruitori delle prede di altri animali. Le tracce di usura sui margini taglienti degli strumenti litici, che al microscopio elettronico a scansione risultano essere strie diversamente orientate, possono fornire indicazioni sul tipo di movimento impresso allo strumento durante attività quali il depezzare carcasse, spaccare ossa o raschiare pelli. L'analisi chimico-fisica permette inoltre di individuare la presenza di tracce di sangue o di resti vegetali. L'analisi dei pollini e delle spore, che in condizioni favorevoli si conservano per lunghissimo tempo, offre poi la possibilità di identificare la presenza di piante eduli nei siti archeologici. Pollini e spore, oltre a semi, fitoliti (particelle di silicio che si depositano sulla pianta) e altri resti vegetali, consentono di seguire il cambiamento nell'economia di sussistenza dell'uomo tra il Mesolitico e il Neolitico.
Infine, per individuare la composizione degli alimenti contenuti nei resti di vasellame possono essere utilizzate tecniche spettrofotometriche e cromatografiche, per acquisire informazioni sull'economia alimentare nelle diverse regioni geografiche. A tale scopo, invece, soltanto raramente è possibile utilizzare i coproliti, che a causa della loro deperibilità risultano di difficile ritrovamento.
==L'alimentazione dai primi Ominidi a
L'alba della storia evolutiva dell'uomo, che viene fatta risalire a quattro milioni di anni fa, ebbe come scenario le grandi savane dell'Africa orientale, dal Corno d'Africa fino all'estremo Sud. È questo un tipico caso in cui si può ricostruire l'alimentazione di una specie ominide in base alla sua dentatura. Il primo ominide conosciuto è Australopithecus, la cui specie più robusta, soprannominata 'schiaccianoci', aveva una dentatura molto sviluppata. In particolare, i premolari, che nell'uomo moderno sono più piccoli dei molari, erano molto grandi e presentavano un'ampia superficie masticatoria, adatta a una dieta a base di cibi duri di origine vegetale. L'australopiteco è stato per lungo tempo considerato un cacciatore, ma in realtà esso non aveva le capacità né fisiche né intellettive per cacciare grandi prede. Era essenzialmente un raccoglitore di bacche, radici e semi e presumibilmente integrava la sua dieta vegetariana con bruchi, uova, roditori e uccelli. Gli australopitechi si spostavano nella savana in piccoli gruppi, riparandosi sotto rocce sporgenti o forse costruendosi semplici tettoie di frasche, come quelle utilizzate oggi dai boscimani del Kalahari.
Homo habilis, il primo rappresentante del nostro stesso genere, compare in Africa due milioni di anni fa. Anch'esso era fondamentalmente un raccoglitore, con una dieta prevalentemente vegetariana, come testimoniato dai microscopici segni di usura sui denti. Durante la stagione secca, tuttavia, integrava la sua dieta sfruttando le carcasse di animali uccisi dai grandi Carnivori. Homo habilis è il primo a produrre manufatti litici, i cosiddetti choppers, ottenuti staccando una o più schegge da una pietra tondeggiante con colpi netti, in modo da originare un margine tagliente adatto per squartare le carcasse e per spaccare le ossa al fine di nutrirsi del midollo. Le ossa di animali rinvenuti nella gola di Olduvai (Tanzania) in associazione con Homo habilis presentano sia segni provocati dai choppers, e quindi dall'attività dell'uomo, sia strie lasciate dai denti e dagli artigli dei Carnivori, i veri cacciatori. Non sono state trovate testimonianze certe di uno spazio abitativo organizzato attribuibile a Homo habilis, sebbene non si possa escludere la presenza di punti d'incontro abituali, laddove si fosse individuata una situazione favorevole al 'rovistamento alimentare', come è stata anche definita la pratica dello sciacallaggio, e in cui venisse praticata la spartizione delle carcasse animali. Con l'acquisizione di più raffinate facoltà intellettive, che gli permettono di pianificare, pur se in modo elementare, attività quali la caccia in gruppo, l'uomo si trova presto a modificare anche le sue abitudini di vita.
Gli inizi di tale cambiamento risalgono al Paleolitico inferiore, intorno a 1,6 milioni di anni fa, con la comparsa in Africa di Homo erectus. Per la prima volta, i resti di accampamenti, in cui sono presenti accumuli di ossa di grandi Mammiferi in associazione a manufatti litici, testimoniano la capacità di Homo erectus di cacciare animali più grandi e più forti di lui. Pur non essendo ancora delle vere e proprie armi adatte alla caccia, tali manufatti appaiono assai meno grezzi dei choppers di Homo habilis e mostrano simmetria e proporzioni ben definite, frutto di una nuova capacità inventiva del loro artefice. I più tipici sono noti con il nome di bifacciale e presentano due margini taglienti e una base che si adatta a essere impugnata. A seconda che il bifacciale fosse più o meno lavorato, esso poteva essere utilizzato in modi diversi, per es. come coltello per squartare carcasse o scarnificare le ossa, oppure come raschiatoio per ripulire pelli, radici e tuberi. Inoltre, anche le schegge staccate da un nucleo di selce potevano essere lavorate in modo da ottenere lame o asce appuntite. La scoperta del fuoco e la capacità di dominarlo, avvenute intorno a 700.000 anni fa, costituiscono un passo fondamentale nella storia dell'uomo. Quando, circa un milione di anni fa, Homo erectus giunge in Europa e in Asia si trova ad affrontare condizioni ambientali e climatiche molto diverse da quelle originarie della savana africana. Il fuoco rappresenta dunque una fonte di calore, che permette anche di essiccare o affumicare la carne facilitandone il trasporto, di abbrustolire semi e insetti e di ammorbidire i materiali più coriacei, e un punto di ritrovo importante per la socializzazione delle bande.
Anche le tecniche di caccia si fanno più raffinate e si assiste all'affermarsi della caccia in gruppo, durante la quale vengono presumibilmente utilizzate, oltre a pietre e bastoni, anche lance di legno con la punta indurita e resa aguzza dall'azione del fuoco. Durante le battute di caccia, inoltre, è probabile che l'uomo abbia imparato a riconoscere l'animale più debole per inseguirlo fino allo sfinimento, con un sistema analogo a quello che attualmente praticano i boscimani del Kalahari. Un'altra possibile tattica per la caccia di animali di grandi dimensioni è stata descritta sulla base dei ritrovamenti a Torralba e ad Ambrona (Spagna) di numerose ossa di elefante. Secondo una ricostruzione ipotetica, gli elefanti vennero sospinti mediante una cortina di fuoco verso un terreno acquitrinoso, dove rimasero intrappolati e quindi uccisi a colpi di pietra e di lancia. L'aumentato apporto di proteine animali nella dieta si riflette anche nella dentatura di Homo erectus: i suoi denti sono infatti più piccoli di quelli dei suoi predecessori, fondamentalmente raccoglitori, e sulle superfici laterali sono osservabili strie orizzontali e verticali. La mandibola di Mauer, ritrovata in Germania e risalente a 500.000 anni fa, presenta segni che testimoniano l'uso abituale dei denti anteriori per trattenere e tirare lembi di carne.
Nel Paleolitico medio la caccia diventa la principale fonte di sussistenza, mentre l'attività di raccolta si fa sempre meno intensa a causa del peggioramento del clima. Protagonista di questo cambiamento è l'uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), comparso in Europa intorno a 250.000 anni fa e diffuso in Asia occidentale intorno a 60.000 anni fa. Esso si stabilizza nella sua forma tipica durante l'ultima glaciazione (Würm), tra 75.000 e 35.000 anni fa circa, quando gran parte dell'Europa centrale e orientale è ricoperta dai ghiacci. I neandertaliani erano in grado di controllare il fuoco e seppellivano i loro morti. L'organizzazione dello spazio non è ancora evidente fra di loro, ma la frequentazione di siti è documentata dall'uso stagionale di grotte e spazi all'aperto, il cui suolo mostra un'alta concentrazione di resti scheletrici di animali e manufatti litici, mentre l'area centrale è libera. Le tracce della padronanza del fuoco sono invece documentate dalla presenza di focolari a diversa tipologia (a pozzetto o su lastra di pietra). L'industria litica dei neandertaliani non mostra però grandi variazioni, né testimonia capacità inventive, anche se nell'Europa sudoccidentale, dove il clima è più favorevole, appare più rifinita. Le lame ritoccate, rinvenute nei siti francesi di Arcy-sur-Cure e di Saint-Césaire e attribuite agli ultimi neandertaliani (37.000-35.000 anni fa), sono probabilmente prodotte per imitazione delle novità tecnologiche introdotte dagli Homo sapiens, che in tale regione hanno convissuto con i neandertaliani per qualche migliaio di anni.
Oltre a praticare lo sciacallaggio, l'uomo di Neanderthal era in grado di adottare diverse strategie di caccia, come risulta anche dal fatto che tra le sue prede si trovano animali di numerose specie. La sua dentatura presenta segni di usura a piatto non solo sui premolari e sui molari, ma anche sui canini e sugli incisivi, che nell'uomo moderno invece non sono coinvolti nella masticazione. L'usura dei denti anteriori dei neandertaliani è probabilmente dovuta alla dieta prevalentemente carnivora, in cui l'azione di taglio degli incisivi e quella di lacerazione dei canini assume grande peso. Questi denti inoltre venivano verosimilmente usati anche come 'terza mano', svolgendo le funzioni di presa o di pinza, in analogia a quanto si verifica oggi tra gli esquimesi o presso gli aborigeni australiani del deserto occidentale. Secondo le ipotesi attualmente più accreditate, l'uomo di Neanderthal è stato soppiantato dalle prime forme anatomicamente moderne di Homo sapiens, comparse in Africa fra 100.000 e 200.000 anni fa. Dall'Africa l'uomo moderno raggiunge poi la Palestina, circa 90.000 anni fa, e da lì arriva a colonizzare tutti i continenti. L'ingresso in Europa e in Australasia avviene tra i 35.000 e i 50.000 anni fa, in Asia settentrionale fra 35.000 e 25.000 anni fa, e in America presumibilmente intorno a 15.000 anni fa o, come sembrerebbe da altre testimonianze, tra i 30.000 e i 20.000 anni fa.
Nel Paleolitico superiore si sviluppa la prima vera industria litica, mentre l'uso di strumenti di osso, corno e avorio (materiali molto più versatili della pietra) diventa sistematico. Oltre a coltelli e raschiatoi, si fabbricano punteruoli e bulini, utilizzati per produrre altri strumenti, nonché asce e piccole lame di 4-6 cm. Nel complesso, l'industria del Tardo Paleolitico e soprattutto del Mesolitico è caratterizzata da una lavorazione molto accurata e denota una grande creatività. Nella caccia vengono utilizzati armi più raffinate, quali lance oppure giavellotti dotati di un propulsore per aumentarne la gittata e archi e frecce con punta di pietra: l'uomo non è più costretto così a cacciare a distanza ravvicinata. Nella pesca vengono utilizzati arpioni a una o più file di denti, sagaie e ami di osso, mentre nella raccolta si usano pietre da scavo e nella lavorazione delle pelli aghi e punteruoli in osso.
Un rivoluzionario cambiamento delle abitudini alimentari dell'uomo e, più in generale, del suo comportamento, si verifica con il passaggio da un'economia di caccia e raccolta a una basata sulla domesticazione di animali e piante. Le società agricole hanno il loro esordio in Medio Oriente, dove le condizioni ambientali sono particolarmente favorevoli all'insediamento umano. Le prime tracce di attività agricola sono state però rinvenute anche nell'alta valle del Nilo, in quattro siti presso Assuan, dove, insieme a tracce di focolari, sono stati trovati i resti carbonizzati di piante erbacee eduli appartenenti a più di venti specie, con una netta prevalenza di tuberi, in particolare di Cyperus. La facilità con cui questo vegetale può essere riprodotto per propagazione vegetativa, come avviene tra le popolazioni attuali dell'Africa centroccidentale, fa ritenere che esso rappresenti i resti di una proto-orticoltura.
Sebbene i tuberi costituissero probabilmente l'alimento base della dieta, resti di ossa di pesce e valve di molluschi documentano l'utilizzo anche di prodotti animali. In ogni modo, il passo decisivo verso un'agricoltura più matura si compie con la scoperta che, interrando i semi raccolti, questi germinano producendo una nuova pianta. La semina cambia così le abitudini di vita dell'uomo, che da cacciatore-raccoglitore nomade diventa agricoltore stanziale. L'agricoltura si afferma circa 10.000 anni fa nel Medio Oriente, tra il Mediterraneo, il Golfo Persico e il Mar Nero, dove sono presenti allo stato selvatico diverse specie di Graminacee e altre piante eduli. Nelle valli tra il Tigri e l'Eufrate (la Mezzaluna Fertile) l'effetto più evidente del nuovo stile di vita è un notevole incremento demografico: nel sito di Abu Hureyra (Siria) la popolazione passa da 200-300 individui nel Mesolitico a 2000-3000 individui nel Neolitico, in seguito alla domesticazione di piante e animali. Sebbene ancora alla fine del Mesolitico la caccia rappresenti un'importante fonte di sussistenza, in breve il principale apporto di proteine animali non sarà più dato dalla selvaggina, ma da pecore e capre domestiche. I segni della domesticazione risultano evidenti dalle ridotte dimensioni dei denti degli animali e da altre modifiche nella morfologia delle ossa e delle corna. Inoltre, la taglia degli animali domestici è minore di quella delle corrispondenti specie selvatiche, probabilmente a causa di una selezione operata dall'uomo che ha trovato più facile l'allevamento di animali piccoli. I resti di animali domestici possono anche essere distinti da quelli degli animali selvatici sulla base dell'età degli individui, poiché fra i primi prevalgono i giovani adulti, mentre fra i secondi gli individui molto giovani o vecchi.
Per quanto riguarda i vegetali, se durante il Mesolitico il loro apporto nella dieta deriva interamente da specie selvatiche, nel Neolitico le specie domestiche di frumento, orzo e Leguminose, a cui si aggiungono successivamente meloni, pistacchi e mandorle, costituiscono più del 90% degli alimenti di origine vegetale, mentre la presenza di tuberi e radici è assai più limitata. Al di fuori del Medio Oriente, la domesticazione di piante e animali viene attuata indipendentemente in poche altre aree in Africa, America e Asia orientale. Nelle regioni tropicali a clima caldo-umido la produzione di vegetali per semina è sostituita da quella per propagazione vegetativa (tuberi). Possono quindi essere identificati due diversi tipi di sussistenza - uno basato sulle Graminacee e l'altro sui feculenti - i quali, dato lo stretto legame esistente fra alimentazione ed espressioni culturali come riti propiziatori e tabu alimentari, hanno influito grandemente sullo stile di vita e sulla struttura sociale delle diverse popolazioni umane. Nell'Africa subsahariana, oltre alla palma da olio, erano coltivate sia Graminacee autoctone, quali il miglio e il sorgo, sia, nella sola fascia equatoriale, feculenti come l'igname; agli inizi del Neolitico furono inoltre addomesticati Bovini, asini e, forse, dromedari. In Asia sudorientale si coltivavano l'igname, il taro, la banana e la noce di cocco, mentre si cominciò ad addomesticare il pollame. Nella Cina settentrionale troviamo invece il riso, il miglio e la soia e, tra gli animali, il maiale. In America ebbe inizio la coltivazione di mais, fagioli, zucche e pomodori sugli altipiani messicani, di patate e quinoa sulle Ande e di manioca e patate dolci nel bacino del Rio delle Amazzoni; gli unici animali addomesticati erano invece il lama e l'alpaca andini.
Con l'affermarsi dell'agricoltura, le diverse popolazioni umane si specializzano sempre più nella coltura di particolari specie, e nei diversi centri di dispersione la dieta viene ad assumere caratteri propri. Lo sviluppo di queste tradizioni locali è però progressivamente controbilanciato dagli scambi culturali resi possibili dall'aumentata mobilità. Da questi scambi, naturalmente, sono escluse le popolazioni abitanti nelle zone marginali lontane dai grandi circuiti di comunicazione, dove le tradizioni alimentari restarono quindi immutate per millenni. Per es., sin dal Neolitico, rispettivamente nell'Africa tropicale e nell'America Centrale e Meridionale, la base dell'alimentazione è costituita dai feculenti (manioca, taro e igname) e dal mais. Una simile dieta può portare, se non opportunamente integrata, a gravi carenze proteiche. La manioca necessita inoltre di un particolare trattamento, consistente in una prolungata bollitura seguita dalla molitura della polpa disseccata, allo scopo di rendere inattive le sostanze tossiche in essa contenute.
La stagionalità della produzione agricola stimola l'invenzione di tecniche di conservazione dei cibi, sia solidi sia liquidi. Nel frattempo le attività connesse alla distribuzione degli alimenti creano una fitta rete commerciale mentre, a seconda dell'attività svolta, si cominciano a differenziare i diversi gruppi sociali. La regolazione di questa rete di interessi socioeconomici richiede un'organizzazione complessa e un potere centralizzato: nascono così le prime città. I resti archeologici ritrovati nell'area mesopotamica mostrano il passaggio da agglomerati di capanne rotonde a gruppi di capanne a più vani, con botteghe dove si cuoce il pane, si preparano formaggi, si fa fermentare la birra e si seccano le carni. Presso i sumeri si comincia a lavorare il rame, dando avvio all'Età dei Metalli. Da questo punto in poi la storia alimentare dell'uomo viene documentata anche da testimonianze scritte. In Mesopotamia, inciso su una tavoletta d'argilla di 4000 anni fa, è registrato il bilancio decennale di un agricoltore in termini di raccolto e capi di bestiame, e in Egitto, le varie fasi dell'attività agricola (aratura, mietitura e trebbiatura, allevamento e macellazione, panificazione, fermentazione dell'orzo per la produzione di birra e vinificazione) sono magistralmente dipinte sulle pareti delle tombe dei nobili.
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