Palermo
L'unica volta che D. menziona esplicitamente P. è per bocca di Carlo Martello, il quale dà un quadro molto vivo e immediato della situazione siciliana (Pd VIII 67-84). In particolare al v. 75 sembrano essere riportate alla lettera le grida della popolazione palermitana contro la mala segnoria angioina. Questo non ha alcun significato al fine di stabilire una (improbabile) visita di D. a P.; è certo però che il poeta appare ben informato sia della situazione politica siciliana (v. ANGIÒ), sia del mondo culturale che aveva il suo centro a Palermo (v. SICILIANA, Scuola).
P., colonia fenicia, denominata Panormo (" tutto porto ") dai Greci, fu possesso dapprima cartaginese e quindi romano dopo le guerre puniche. Eretta dai Romani a città " libera et immunis ", continuò la sua attività marinara. Fu colonia Augusta Panormitarum sotto Augusto; vi si parlava greco, latino e punico. Occupata dopo lunga resistenza dal vandalo Genserico nel 410, fu quindi conquistata da Odoacre, dall'ostrogoto Teodorico e nel 535 dal bizantino Belisario. Rimase bizantina fino al sec. IX, cioè fino allo sbarco arabo in Sicilia (831). Sebbene non vi sia stata integrazione fra la popolazione indigena e i nuovi conquistatori, che rimasero nell'isola per quasi tre secoli, tuttavia le nuove colture importate dagli Arabi e i commerci con la vicina Africa contribuirono allo sviluppo economico della città che si arricchiva di monumenti e registrava una splendida fioritura nelle arti. I Bizantini, frattanto, miravano a una riconquista, ma furono i Normanni a impossessarsi dell'isola sotto la guida di Ruggero d'Altavilla nel 1072. Nel Natale del 1130 Ruggero II cinse la corona regia nel duomo di P., che diveniva la capitale del regno di Sicilia. I Normanni si presentavano nell'isola come i restauratori della cristianità. P. assurgeva a nuovi fasti e a nuovi splendori, come si legge nella descrizione del contemporaneo Falcando. Dopo la vertenza dinastica fra Tancredi, conte di Lecce, e Costanza, moglie di Enrico VI di Hohenstaufen, per P. iniziò una nuova età sotto il governo del figlio di quest'ultimo, Federico II, che vivificò gli studi sì che la sua corte divenne un cenacolo di poeti e studiosi di discipline letterarie, filosofiche, scientifiche e artistiche. Frattanto la Chiesa, temendo un tentativo di unificazione dell'Italia meridionale con il resto dell'Impero da parte degli Svevi, ricorse ai Francesi, chiedendo l'intervento angioino in Italia. Sconfitti quindi da Carlo d'Angiò gli eredi di Federico II, Manfredi e Corradino, P. fu danneggiata dalla nuova situazione politica che volle il trasferimento della capitale del regno da P. a Napoli. Questo fatto, unito al malgoverno angioino, determinò lo scontento nella popolazione che insorse (Pd VIII 75).
Il moto dei Vespri (1282-1302) si concluse con l'avvento della dinastia aragonese, rappresentata da Federico II d'Aragona, figlio di Pietro III e di Costanza, figlia di Manfredi, ben accetto dai Siciliani, anche perché in lui trovavano un ideale continuatore della dinastia sveva.
Si vedano le voci: CARLO I; CARLO II; CARLO MARTELLO d'ANGIÒ; CORRADINO; COSTANZA d'ALTAVILLA; COSTANZA d'ARAGONA; ENRICO VI; FEDERICO II; FEDERICO II d'ARAGONA; PIETRO III d'ARAGONA; VESPRO SICILIANO.
Nella biblioteca Nazionale di Palermo sono conservati due codici della Commedia, il più antico (XIII G 1, della fine del Trecento) proveniente dal convento dei Filippini dell'Olivella, l'altro (Fondo Monreale 2, sec. XV) dalla biblioteca dei benedettini di Monreale.
Il codice VII e 16, della fine del Cinquecento, contiene, oltre a una scelta del poema, i rimari della Commedia e del Petrarca.
Nel 1830 per i tipi di S. Barcellona fu stampata a P. la prima edizione siciliana della Commedia.
Bibl. - M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, a c. di C.A. Nallino, Catania 1933-1939; F. De Stefano, Storia della Sicilia dal sec. XI al sec. XIX, Bari 1948; F. Natale, Avviamento allo studio del Medio Evo siciliano, Firenze 1959; M. Caravale, Il regno normanno di Sicilia, Milano 1966; P. Renucci, D. e gli Svevi, in D. e l'Italia meridionale, Firenze 1966, 131-147; H. Schadek, Die Familiaren der sizilischen und aragonischen Könige im 12. und 13. Jahrhundert, in Gesammelte Aufsätze zur Kulturgeschichte Spaniens, XXVI, Münster 1970, 201-348; L. Levi, D. e le fonti della cultura orientale, in D. e la cultura sveva, Firenze 1970, 95-96; B. Lucrezi, Gli Svevi nella poesia di D., ibid., 127-145; G. Tramice, D. e la cultura sveva, ibid., 231-249; e inoltre Atti del convegno di studi su D. e la Magna Curia, Firenze 1967, passim.