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La determinazione precisa della ‘Palestina’ o ‘Territori palestinesi’ sarà univoca soltanto nel momento in cui il processo politico e diplomatico apertosi nel 1991 con la Conferenza di Madrid e proseguito con la Dichiarazione di principi di Washington del 1993 avrà avuto termine.
I territori attualmente corrispondenti allo Stato di Israele e ai Territori palestinesi erano parte di diverse unità amministrative dell’Impero ottomano: il sangiaccato indipendente di Gerusalemme e i sangiaccati di Nablus e di Akka, che comprendevano anche parte dell’attuale Libano meridionale, ambedue divisioni amministrative del vilâyet di Beirut. Quello che attualmente è l’estremo sud di Israele faceva parte del sangiaccato di Maan, parte del vilâyet di Damasco. Come è noto, la leadership palestinese e tutti i paesi arabi rifiutarono la famosa Risoluzione n. 181 delle Nazioni Unite del 1947, che prevedeva di istituire uno stato ebraico, uno stato arabo e un territorio internazionalizzato sulla Palestina mandataria. La situazione che emerse dalla Prima guerra arabo-israeliana (1948-49, la naqba per gli arabi) fu il fallimento della creazione di uno stato palestinese e il controllo dei territori palestinesi residui da parte di Egitto (la Striscia di Gaza) e della Transgiordania (la Cisgiordania o Riva occidentale, West Bank in inglese, al-Diffa al-Gharbiyya in arabo). La Cisgiordania fu poi annessa alla Transgiordania nel 1951 dal re Abdullah I, creando così il regno di Giordania. Tale situazione, con l’intermezzo della Seconda guerra arabo-israeliana del 1956 per quanto riguarda la Striscia di Gaza, ha caratterizzato un periodo di circa venti anni, fino alla cosiddetta Guerra dei sei giorni (1967). Dal 1967 Israele ha controllato per un lungo periodo tutti i territori arabo-palestinesi.
Con gli accordi tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) – dalla Dichiarazione di principi del 1993 agli Accordi di Hebron del 1997 – la Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono state divise in tre zone: la zona A, sotto totale controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), responsabile sia per la sicurezza che per l’amministrazione; la zona B, sotto amministrazione palestinese e controllo israeliano dal punto di vista della sicurezza; infine la zona C, sotto totale controllo israeliano. Questa situazione è venuta meno con la rioccupazione quasi completa della Cisgiordania da parte delle forze armate israeliane nel 2003, che il governo di Israele ha giustificato appellandosi alla ‘necessità’ di porre un freno a un’ondata di attentati terroristici suicidi da parte dei palestinesi. La situazione è stata ulteriormente complicata dall’abbandono unilaterale di Gaza da parte israeliana e dalla costruzione del ‘muro’, ossia un sistema di sorveglianza e sbarramento a molti strati che spesso va oltre la cosiddetta ‘Linea verde’, vale a dire la linea del cessate il fuoco stabilita nel 1949.
Il sistema politico palestinese attuale si crea lungo due linee di frattura ben precise. La prima, che si delinea negli anni Cinquanta a partire dai postumi della naqba, è quella tra l’orientamento panarabo e l’orientamento che potremmo definire con la formula ‘la liberazione della Palestina è affare dei palestinesi’. La seconda linea di frattura, che viene alla ribalta soprattutto negli anni Ottanta con la politicizzazione dell’islam palestinese, è quella tra i partiti e i movimenti di origine nazionalista, da un lato, e i movimenti islamisti dall’altro. Un fatto a sé, invece, è la complicata storia dei vari partiti comunisti giordani e palestinesi.
I due primi importanti movimenti che sorsero negli anni Cinquanta furono il Movimento dei nazionalisti arabi (1951, Harakat al-Qawmiyyin al-‘Arab) e il Movimento di liberazione nazionale palestinese (1958, Harakat at-Tahrir al-Watani al-Filastini), noto con il suo acronimo inverso al-Fatah, che in arabo significa ‘conquista’. Fatah fu formato da un gruppo di studenti per lo più provenienti dalle fila dei Fratelli musulmani, tra cui Yasser ‘Arafāt. Dal Movimento dei nazionalisti arabi si formò nel 1967 il Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, al-Jabha al-Sha’biyya li-Tahrir Filastin), da cui poi nacque nel 1969 il Fronte democratico (Fdlp, Al-Jabha al-Sha’biyya al-Dimuqratiya li-Tahrir Filastin). Ambedue si caratterizzano per una posizione di tipo marxista, ma il secondo era, almeno inizialmente, più legato all’Unione Sovietica.
L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp, in arabo Munazzamat li-Tahrir Filastin) fu creata nel 1964 per iniziativa degli stati arabi con lo scopo reale di controllare le organizzazioni palestinesi. Ciò nonostante, dopo la disfatta del 1967 furono proprio le organizzazioni palestinesi, e soprattutto Fatah e il suo dirigente ‘Araf¯at, a prendere controllo dell’Olp nel 1968.
Il Partito comunista palestinese nacque nel 1982 ad opera del Partito comunista giordano mentre nella Striscia di Gaza venne invece creata un’organizzazione comunista palestinese autonoma. Nel 1991 il Partito comunista divenne infine il Partito del popolo palestinese (Ppp, Hizb al-Sha’b al-Filastini), semplicemente con un cambiamento di nome.
Mentre la branca palestinese delle Fratellanza musulmana, creata nel 1935, rimase a lungo attiva soltanto nel campo sociale e religioso, il primo partito palestinese a ispirazione islamica fu Hizb ut-Tahrir, fondato a Gerusalemme nel 1952 da Taqi al-Din al-Nabhani. Questo partito ha però avuto sempre una caratterizzazione panislamica e non è da considerare un attore importante nel quadro palestinese. Il primo gruppo islamico palestinese rilevante è stato il Movimento per il jihad islamico in Palestina (Harakat al-Jihad al-Islami fi Filastin), fondato nel 1980 da Fathi al-Shiqaqi. Hamas è nato nel dicembre 1987, all’inizio della prima intifada, come espressione politico-militare dei Fratelli musulmani della Palestina. Inizialmente Fplp e Hamas non hanno partecipato alle elezioni, rendendo possibile il trionfo di Fatah e alleati. Nelle elezioni del 2006 vi è stata una forte polarizzazione tra Fatah e Hamas, con solo pochi voti andati alla lista del Fplp, a quella del Fdlp e degli ex comunisti, e a quella democratico-riformista di Mustafa Barghuti. Il sistema elettorale misto ha reso possibile ad Hamas di ottenere la maggioranza, pur distanziando Fatah di solo il 3%. Fino al conflitto violento Fatah-Hamas il sistema politico palestinese era dunque da ritenere bipolare, ma se si passerà a un sistema elettorale proporzionale allora il sistema diventerà probabilmente frammentato e polarizzato. Naturalmente è difficile prevedere se le fratture storiche continueranno a essere prevalenti, oppure se altre linee di contrapposizione determineranno il sistema politico palestinese.
Lo ‘stato in formazione’ costituito dall’Autorità nazionale palestinese (in arabo al-Sulta al-Wataniyya al-Filastiniyya) ha la struttura di un semi-presidenzialismo: il presidente è eletto direttamente dal popolo, mentre il potere legislativo è esercitato dal Consiglio legislativo, che dà anche la fiducia al primo ministro, nominato dal presidente. Il sistema elettorale per il Consiglio legislativo è variato nel tempo: totalmente maggioritario a turno unico (un seggio per collegio) nelle prime elezioni, nel 2006 è stato modificato in senso misto – metà seggi con il maggioritario, metà con il proporzionale (unica lista nazionale).
La situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi è poco soddisfacente. Infatti, alle violazioni compiute dalle forze di occupazione israeliane (detenzioni amministrative, espropri arbitrari, demolizioni di case, casi di tortura) si aggiungono quelle compiute dalle forze di sicurezza palestinesi: arresti arbitrari, violazione del diritto di espressione, casi di tortura, eliminazione di palestinesi accusati di collaborazionismo, e infine pena di morte.
Conseguenza della sconfitta araba del 1948 fu il nascere del problema dei profughi palestinesi, che si diressero nei campi profughi di Gaza, della Cisgiordania e della Transgiordania (ora Giordania), del Libano e della Siria. I profughi erano poco più di 900.000 nel 1948, mentre secondo le stime attuali sono oltre quattro milioni (anche se la maggior parte non vive più nei campi).
Allo stadio attuale il paese che ospita il maggior numero di popolazione di origine palestinese è la Giordania; seguono Cisgiordania e Gaza, Israele, Libano e Siria. Dal punto di vista giuridico, sono considerati profughi quelli della Giordania, del Libano, della Siria e degli altri paesi arabi e solo una parte dei palestinesi di Cisgiordania e Gaza. Un’altra parte di questi ultimi e gli ‘arabi israeliani’ non sono invece da ritenersi profughi. Da questo si capisce che è difficile parlare di una società palestinese, ma vi è una pluralità di società o di spezzoni di società costituiti dai palestinesi o dai profughi. Ancora oggi, inoltre, la popolazione che emigra, spinta dalle difficili condizioni di vita, continua a essere rilevante.
La situazione dei profughi è particolarmente difficile in Libano, dove ogni forma di integrazione è stata impossibile a causa della divisione del potere in Libano lungo linee comunitarie. Soprattutto per ciò che concerne la Striscia di Gaza, inoltre, l’altissima densità di popolazione determina una situazione ancora più problematica per l’amministrazione dei Territori.
Dal punto di vista della religione i palestinesi di Cisgiordania e Gaza sono in gran parte musulmani sunniti (97%) e per il resto cristiani. Sono presenti varie confessioni cristiane, in maggioranza greco-ortodossi, cui seguono cattolici, siriaci, armeni. I drusi sono assenti, in quanto la minoranza araba drusa si è tutta ritrovata nei territori israeliani.
Dal punto di vista economico i Territori palestinesi sono fortemente dipendenti da Israele, oltre che dagli aiuti provenienti dall’estero, in particolare da Europa e Stati Uniti.
I divieti imposti dallo Stato di Israele influiscono inevitabilmente sulle condizioni economiche dei Territori palestinesi. Nella Striscia di Gaza, in particolare, dopo la presa del potere da parte di Hamas nel 2007, Tel Aviv ha di fatto chiuso i valichi di accesso al territorio palestinese, causandone gravi danni all’economia e la chiusura di molte attività industriali e commerciali, che si sono tradotti in un elevato tasso di disoccupazione. Allo stesso tempo, la Cisgiordania ha risentito della costruzione del muro che la separa da Israele, come misura cautelare contro il proliferare di attentati suicidi all’interno del territorio israeliano. Ciò limita i movimenti tra i Territori e Israele e gli ingressi da parte di palestinesi in territorio israeliano per motivi di lavoro. Prima della costruzione del muro che separa Israele dalla Cisgiordania, molti palestinesi avevano infatti permessi speciali per poter oltrepassare quotidianamente il confine, mentre attualmente vi sono maggiori restrizioni.
Sotto il profilo macroeconomico, i Territori hanno visto negli anni Novanta del secolo scorso una certa crescita, che però ha dato luogo negli anni della seconda intifada a un crollo del pil pro capite, che dal 2005 ha iniziato a crescere di nuovo. L’economia palestinese è dominata dai servizi (anche il turismo, soprattutto in alcune città come Betlemme, è un’importante fonte di introiti, anche se condizionato dalle condizioni di sicurezza), mentre l’industria rimane sottosviluppata. Il settore agricolo soffre della difficoltà di approvvigionamento idrico e degli ostacoli alle esportazioni, dovute alla chiusura dei valichi, particolarmente rilevanti per quanto riguarda la striscia di Gaza. Proprio l’approvvigionamento idrico è uno dei problemi più grandi della popolazione palestinese e una delle cause che concorre al conflitto con Israele.
La valutazione delle forze di sicurezza palestinesi è particolarmente difficile. Sicuramente, rispetto alla situazione estremamente complicata seguente l’istituzione dell’Autorità nazionale, caratterizzata da una molteplicità di milizie e di comandi, oggi il quadro delle forze di sicurezza sembra essersi relativamente semplificato, grazie all’istituzione di un centro di potere a Gaza e uno a Ramallah, in Cisgiordania. Dopo le elezioni del 2006 e la vittoria di Hamas si è poi verificata nel 2007 una breve guerra civile che ha visto prevalere Hamas a Gaza e l’Olp (in pratica Fatah e gruppi contigui) nella Cisgiordania. Da allora si ha una situazione di divisione dei Territori palestinesi, che si ripercuote anche sulla sicurezza dei Territori stessi. Nel maggio del 2011, grazie anche alla mediazione del nuovo governo egiziano, i due maggiori partiti palestinesi hanno avviato un nuovo ciclo di negoziati per il riconoscimento dei rispettivi ruoli politici interni, ma non si sono raggiunti fino ad ora accordi concreti.
Anche i tentativi di mediazione con il governo israeliano sono falliti fino a metà 2011. Allo stato attuale delle cose è difficile prevedere se sarà attuata la formula ‘due popoli, due stati’ che sta alla base del processo diplomatico iniziato a Madrid, se si profilerà ancora a lungo un sostanziale stallo, oppure se, secondo quanto alcuni ambienti palestinesi stanno prospettando, si andrà verso uno stato unico sulla Palestina mandataria, che comprenda tutti i suoi abitanti. Una delle questioni da risolvere per quanto riguarda una possibile costituzione statuale palestinese rimane proprio quella dell’efficienza delle forze locali nel controllare i propri territori, dal momento che l’instabilità diffusa crea problemi anche di sicurezza interna, cui l’Anp fa fatica a far fronte.