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PALESTINA

di *, Isabella Camera d'Afflitto, Stefania Parigi - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)
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PALESTINA

*
Isabella Camera d'Afflitto
Stefania Parigi

(XXVI, p. 73; App. I, p. 916; II, II, p. 489; III, II, p. 356)

La regione palestinese ha mantenuto la caratteristica di essere una delle zone ''calde'' del mondo, un'area in perenne tensione, continuamente percorsa da conflitti latenti, a volte deflagrati in veri e propri confronti armati, altre volte sfociati in attentati terroristici e in durissime ritorsioni. Per lunghi anni l'oggetto del contendere è stato l'esistenza stessa dello stato d'Israele, a cui si sono associate le rivendicazioni del popolo palestinese che, sin dai tempi del mandato britannico, ha reclamato l'istituzione di un proprio stato sovrano. Con gli anni Novanta, quantomeno sul piano politico, i maggiori problemi della regione sembrano avviati a soluzione, in quanto tra Israele e Palestinesi, con il consenso dei paesi confinanti (Egitto e Siria, principalmente), oltre che delle grandi potenze (USA e Russia), è stato raggiunto un protocollo d'intesa per l'istituzione di uno stato palestinese, che si prevede stanziato nei territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza, già occupati dalle truppe israeliane.

La popolazione presente nella regione è in continuo aumento, in parte per l'incidenza del movimento naturale (nella componente palestinese il tasso d'incremento si aggira sul 3% annuo, circa il doppio del tasso d'Israele), in parte per l'afflusso di ebrei immigranti. Lo stato d'Israele conta quasi 5 milioni di abitanti (di cui 3,7 ebrei), gli abitanti della Cisgiordania superano il milione (compresi circa 100.000 coloni israeliani), quelli di Gaza sono ben più di 600.000, mentre gli abitanti della Transgiordania si aggirano sui 3 milioni. Complessivamente sono circa 10 milioni gli individui che popolano la regione palestinese che, grosso modo, si estende su poco meno di 35.000 km2. Un capitolo a parte, infine, è rappresentato dalla considerevole massa di rifugiati palestinesi, che vivono confinati in campi profughi ubicati sia nella regione, sia in altri paesi arabi.

Grande sviluppo hanno avuto le città della P. che, considerando l'intera regione (quindi l'area delimitata a ovest dal Mediterraneo, a est dal deserto siriaco, a sud dal Sinai e a nord dall'imponente bastione montuoso che ha nel Monte Hebron il rilievo più elevato), sono strutturate da un canto sulle capitali, allineate lungo il senso dei paralleli, e comprendenti Tel Aviv, Gerusalemme e ῾Ammān (rispettivamente con 350.000, 550.000 e un milione di abitanti), dall'altro sull'asse costiero (Haifā, Tel Aviv e Gaza). Altri centri importanti sono Irbid, Holon, Petah Tikwa, Gerico.

Letteratura palestinese. - Scrittori e poeti palestinesi riflettono nel campo letterario quelle che sono state le proprie esperienze di vita a partire dal 1948, periodo che viene indicato con la parola Nakba ("catastrofe"). La guerra del 1967 ha creato una netta spaccatura tra produzione precedente e successiva a quella che è stata indicata come Naksa (cioè "seconda catastrofe"). Numerosi sono, infatti, gli autori arabi, e non solo palestinesi, che scrivono prendendo spunto dalla situazione politica di tutta l'area vicino-orientale: poeti come Maḥmūd Darwīš (n. 1941), Tawfīq Zayyād (n. 1927), Samīḥ al-Qāsim (n. 1939), Fadwà Ṭūqān (n. 1920), vengono tradotti in diverse lingue, e scrittori come Ġassān Kanafānī (1936-1972) e Ǧabrā Ibrāhīm Ǧabrā (n. 1926) scrivono dall'esilio le loro opere.

Di produzione letteraria specificamente palestinese si può parlare, però, già con il poeta Ibrāhīm Ṭūqān (m. 1941), considerato il precursore della poesia palestinese d'ispirazione patriottica. Nella narrativa spicca il nome di H̱alīl Baydas (1898-1948), che nel 1920 pubblicò il romanzo al-Wāriṯ ("L'erede") sulla sempre più massiccia presenza di immigrati europei in Palestina. Nel 1934 Muḥammad ῾Uzza Drūza scrisse il romanzo al-Mallāk wa al-simsār ("Il proprietario e il sensale") per denunciare i mezzi impiegati dai sionisti per indurre i latifondisti arabi a vendere le terre alle organizzazioni ebraiche in Palestina. La narrativa degli anni tra le due guerre mondiali va ricordata più come testimonianza storica che per intrinseci meriti letterari.

Nel 1946 Isḥaq Mūsā al-Ḥusaynī pubblicava il romanzo allegorico Muḏakkirāt daǧāǧa ("Memorie di una gallina"), in cui l'io narrante è una gallina che descrive lo sconvolgimento del proprio pollaio all'arrivo di pollame estraneo, di fronte al quale, tra le proprie compagne, c'è chi parte e c'è chi resta. In chiave simbolica compare per la prima volta un tema spinoso che sarà ripreso negli anni successivi da diversi scrittori, e cioè la polemica che oppone i Palestinesi della diaspora − dapprima i profughi del 1948 e poi quelli del 1967 − a coloro che sono rimasti in patria e sono diventati cittadini d'Israele: da una parte, cioè, la corrente formata da scrittori come Ġassān Kanafānī, Samīra ῾Azzām (1934-1967), Ǧabrā Ibrāhīm Ǧabrā, che nel 1948 lasciano la P. e che scriveranno, idealizzandola, della patria perduta; dall'altra quella di chi, come Emīl Ḥabībī (n. 1922), rimane ''straniero in patria''.

Ġassān Kanafānī, in Riǧāl fī 'l-šams ("Uomini sotto il sole"), parla della fuga di tre Palestinesi che, per scampare alla fame di un campo profughi, vanno incontro a una terribile morte, ''asfissiati'' in un camion-cisterna arroventato dal sole, mentre in un altro romanzo breve, ῾Āid ilà Ḥayfā ("Ritorno ad Haifā") fa ritornare una coppia di Palestinesi ad Haifā, nella loro vecchia casa significativamente abitata da una famiglia di ebrei polacchi scampata da Auschwitz. Anche il poeta e critico letterario Ǧabrā Ibrāhīm Ǧabrā, dal lontano ῾Irāq, ha scritto romanzi simbolici sulla questione palestinese, tra i quali al-Safīna ("La nave", 1969) e al-Baṯ an Walīd Mas῾ūd ("La ricerca di Walīd Mas῾ūd", 1978). Sull'altro fronte, autore notevole è Emīl Ḥabībī, famoso per aver scritto in chiave ironica nel 1968 la raccolta di racconti Sudāsiyat al-ayyām al-sitta ("Sestina dei sei giorni") e nel 1974 il romanzo simbolo della condizione degli arabi in Israele, al-Waqā'i῾ al-ġarība fī ihtifā' Sa῾īd Abī Naḥs al-mutaša'il ("Gli strani eventi sulla sparizione di Felice Sventura il Pessottimista").

In tutta la produzione letteraria, dalla prosa alla poesia, il tema che ricorre è quello dell'esilio, della privazione della cittadinanza, dell'angoscia per la perdita delle proprie origini, e in questa costante tenacia gli scrittori sottolineano, con voluta pignoleria, l'ubicazione o la sparizione di villaggi arabi, spesso sostituiti dai nuovi insediamenti ebraici. Sul piano linguistico, gli autori, che si esprimono per lo più in arabo classico, utilizzano un lessico particolare, che si rifà sempre alla situazione politica della regione.

Bibl.: Per le opere tradotte in italiano: AA.VV., Palestina Poesie, Palermo 1982; G. Kanafani, E. Habibi, T. Fayyad, Palestina. Tre racconti, Salerno 1984; G. Kanafani, Ritorno a Haifa. La Madre di Saad, ivi 1985; G. Kanafani, E. Habibi, M. Bsisu, Palestina. Dimensione teatro, ivi 1985; AA.VV., La terra più amata. Voci della letteratura palestinese, Roma 1988; Sahar Khalifah, La svergognata, Firenze 1989; E. Habibi, Le straordinarie avventure di Felice Sventura il Pessottimista, Roma 1990.

Studi critici: F. Gabrieli, Sette fogli del Diwano di Fadwa, in Oriente Moderno (1980), pp. 147-57; G. Canova, La poesia della resistenza palestinese, ibid. (1971), pp. 583-630; I. Camera d'Afflitto, L'evoluzione della narrativa palestinese dalla ''Nahdah'' alla ''Nakbah'', in Lingua, Letteratura, Civiltà, Perugia (Facoltà di Scienze Politiche) 1983, pp. 83-109; Id., Narrativa Palestinese contemporanea. Note su alcuni autori, in Quaderni di Studi Arabi, Venezia 1983, pp. 67-85; Id., Simbolo e realtà in Ghassān Kanafānī, in Oriente Moderno (1984), pp. 1-6; Id., La vita di un arabo in Israele: il pessottimista di Emīl Habībī, in Studi arabo-islamici in onore di R. Rubinacci, Napoli 1985, i, pp. 119-26; Id., Sulla narrativa dei territori occupati (al-Ḍiffah wa al-Qiṭā'), in Oriente Moderno (1986), pp. 119-68.

Cinema palestinese. - Nel 1968 si è costituito in Giordania il gruppo al-Fataḥ, un collettivo di cineasti rivoluzionari che si è prefisso di dar vita a un cinema autenticamente palestinese, al servizio della guerra di liberazione nazionale. L'iniziativa non è restata senza seguito: nel 1970 si è formato, allo stesso scopo, il FPLP e successivamente è stato fondato il FDPLP. Nel 1972 i tre collettivi sono confluiti nel ''Gruppo del cinema palestinese'' che ha elaborato un proprio manifesto della futura produzione, basata sulla centralità della causa rivoluzionaria e sull'elaborazione di una nuova estetica in alternativa alla "dominazione culturale capitalista".

Pochi mesi dopo la sua istituzione, il Gruppo è stato sciolto, mentre il collettivo originario di al-Fataḥ ha continuato a lavorare con il nome di ''Film della Palestina'', sotto la direzione della Sezione informazione dell'OLP. A esso si affiancano altri organismi come la Sezione arte-cultura dell'OLP, il Comitato artistico DDLP, il Comitato centrale d'informazione FPLF. Oltre a numerosi documentari e pellicole d'attualità, queste strutture realizzano film in cui il documento si mescola alla fiction, secondo uno dei moduli favoriti dalla nuova estetica rivoluzionaria.

I registi di spicco sono M. Abu ῾Alī e S. Nimr. Al primo si devono il documentario Con l'anima e il sangue (1972), Scene dell'occupazione a Gaza (1973) e Non esistono (1975), che mostra la vita quotidiana di un campo palestinese in Libano; il secondo dirige I venti della rivoluzione (1974), sui guerriglieri dell'῾Omān, Rivoluzione: per chi? (1974), sulla rivolta contro l'occupazione britannica nello Yemen, Kafar Šūbā (1975), sulla collaborazione tra commandos palestinesi e abitanti di un villaggio libanese, La vittoria nei suoi occhi (1976) sulla vita dei bambini palestinesi, La guerra in Libano (1977), I bambini della Palestina (1979), in collaborazione con M. Mourier.

Tra i registi rivelatisi dopo gli anni Settanta, si ricordano i nomi di K. Ḥawwāl, R. Ḥaǧǧār, I. Šammūṭ, che dirige film sull'arte, A. Madanāt, autore di Visioni Palestina (1978) sulla figura del poeta e pittore I. Gannām, e K. Ezzoubir (al-Zubayr) che nel 1986 ha presentato al festival di Annaba Histoire d'un peuple, in cui ricostruisce alcuni momenti significativi della lotta palestinese. Mentre gli esiti migliori sono raggiunti dai film di M. Khleifi (H̱alifī) − Memoria fertile, Cantico delle pietre -, la nuova generazione, meno impegnata nella propaganda politica e più aperta alla fiction, si afferma nel corso degli anni Ottanta e ai primi dei Novanta con H. Ilyās (La montagna) e con alcuni autori della diaspora come I. Musallam, M. Maṣrī, E. Sulaymān. Si moltiplicano intanto le iniziative, anche di risonanza internazionale. Del 1992 è il primo festival del film palestinese organizzato a Gerusalemme est, al quale hanno partecipato 21 registi (10 residenti all'estero, sette nei territori occupati, quattro in Israele), e nel 1993, dopo gli accordi di pace, cineasti palestinesi sono stati compresi nella sezione araba del festival di Haifā. Un ruolo significativo ha svolto G. Khleifi, direttore dell'Istituto del cinema palestinese con sede a Gerusalemme orientale e regista egli stesso di documentari.

Bibl.: Chronologie sommaire et non exhaustive du cinéma palestinien, in La Revue du cinéma, maggio 1980; Il cinema dei paesi arabi, a cura di A. Marini, E. Rashid, A. Di Martino, A. Aprà, Venezia 1993.

Vedi anche
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