Vedi PALINURO dell'anno: 1963 - 1996
PALINURO (Παλίνουρος, Palinurus)
Nome così del timoniere di Enea come del promontorio dov'egli lasciò la vita, secondo una leggenda resa immortale dal poema di Virgilio (Aen., v, 833 s. e vi, 337 ss.), ripetuta da altri scrittori (Dion. Hal., i, 53, 2; Pomp. Mela, ii, 69; Solin., ii, 13) e che forse risale a Timeo. Inoltre presso questo promontorio, che forma la massima sporgenza della costa fra i golfi di Salerno e di Policastro ed era ben noto ai naviganti antichi per la sua grandiosa e pericolosa bellezza (Hor., Carm., iii, 4, 27 ss.; Lucan., Phars., ix, 41 s.; Lucil., fr. 77; Plin., Nat. hist., iii, 71; Strab., vi, 252 s.; Vell. Paterc., ii, 79, 3 ss.; Appian., Beh. civ., v, 98; Cass. Dio, xlix, 13; P. Oros., iv, 9, ii), fiorì nell'età arcaica un popoloso abitato, di cui manca al contrario qualsiasi menzione nella letteratura. Ma la sua breve esistenza, la sua fine precoce e miserabile ed anche il suo nome P. sono messi in chiara luce dalle scoperte archeologiche.
Secondo la patetica leggenda un'onda strappò dalla nave il timoniere troiano e quando esausto egli raggiunse la riva fu trucidato dalla gente del posto, avida e crudele. Intervenne allora la giustizia divina a spargere una pestilenza su tutta la regione e l'oracolo sentenziò che per rabbonire i numi e placare lo spirito offeso di P. bisognava dedicargli con solenni riti un monumento sul luogo del misfatto e che questo ne avrebbe portato in eterno il nome.
Quando ci si sottragga alla suggestione del mito ed al complice incanto della natura, che fra queste rupi danno ancora accenti di verità alla vetusta profezia, non è difficile intendere che l'eroe impersona gli innumerevoli naufraghi e, anzi che darlo, trasse il nome dal capo, cui ben si addiceva l'epiteto di luogo "dove il vento gira" (πάλινοῦρος). E la denominazione Spartivento serbata dall'estrema punta del promontorio avvalora questa etimologia.
D'altra parte la necropoli, di cui si è iniziata da alcuni anni l'esplorazione, con la sua grande estensione, l'addensamento delle tombe, tutte coeve, e l'incuria dei seppellimenti in contrasto con l'abbondanza dei loro corredi conferma la tremenda moria, che gli antichi reputarono castigo degli dèi per il crimine e che realmente fece sparire la città di P. intorno al 500 a. C. o poco dopo.
Anche se è tuttora ignota l'estensione dell'abitato e del territorio alle sue dipendenze, si può definirla città nel senso più lato, poiché sul finire del VI sec. coniò moneta in alleanza con la vicina Molpa, e ciò basta a provare la piena autonomia delle due emittenti. Ritrovati i resti dell'una e dell'altra (v. molpa), è ormai sicura l'integrazione della leggenda ΠΑΛ-ΜΟΛ rispettivamente sul dritto e sul rovescio dei magnifici stateri d'argento incusi, mentre il tipo di questi, rappresentato da un cinghiale d'ispirazione ionica, concorda con i tanti vasi ionici della necropoli, e la loro rarità (due soli esemplari), la loro data e la mancanza di altre monete più tarde della stessa zecca convengono alle due città, morte precocemente e vissute al lato, ma non dentro l'ambito della grande civiltà italiota.
Gli abitanti furono dunque indigeni, che mantennero le loro tradizioni anche quando, venuti a contatto con i coloni greci, ne importarono e ne imitarono i prodotti. Nelle tombe a cremazione e ad inumazione accanto ai vasi greci (molti ionici, alcuni attici, in massima di qualità scadente) abbondano quelli di fattura locale, che tuttavia rivelano, almeno nelle forme, l'influsso ellenico: i grandi crateri con decorazione geometrica policroma fungevano talvolta da cinerarî, coperti da un grosso ciottolo fluviale, che rappresentava la testa del morto; in uno di essi una rude mano ha sommariamente intagliato i tratti del viso.
Soltanto quando sarà pubblicato il materiale dei singoli corredi finora scoperti si potrà valutare l'associazione dei prodotti (ceramiche, fibule, armi) dell'industria "enotria" con quelli greci, apprezzare i caratteri della tarda pittura geometrica di P. in relazione con quella di altri paesi dell'Italia meridionale e meglio distinguere i vasi locali da quelli d'importazione fra i tanti decorati con sole strisce rosse o brune sul fondo naturale. E soltanto da ulteriori indagini sul terreno ci si possono aspettare cognizioni più precise delle diverse fasi culturali durante la vita della città e delle possibili sopravvivenze sul luogo dopo la sua scomparsa. Recenti scavi di una missione archeologica germanica, hanno chiarito considerevolmente i problemi archeologici e topografici, cui si è accennato, riportando alla luce resti di abitazioni, delle mura di cinta e dell'acropoli, oltre ad alcune altre tombe, i cui corredi sono stati studiati in relazione col materiale scoperto prima e con i relativi confronti.
Bibl.: Per le tradizioni sull'eroe e sul promontorio: C. Kock, in Pauly-Wissowa, XXXVI, 2, 1949, c. 149 ss.; E. Norden, Vergils Aeneis, das VI Buch, Lipsia 1903, p. 223 ss.; J. Perret, Les origines de la légende troyenne de Rome, Parigi 1942, p. 118 ss. Per la pestilenza: F. Pfister, Der Reliquienkult im Altertum, Giessen 1912, p. 516 s. Per le monete: B. V. Head, Hist. numorum, Oxford 1911, p. 83; cfr. P. Zancani Montuoro, in Arch. Stor. Calabria e Lucania, XVIII, 1949, p. 15 ss.; P. C. Sestieri, in Rend. Acc. Archeol. Lett. e BB. AA. di Napoli, XXIV-XXV, 1949-50, p. 45 ss. Per le scoperte: P. C. Sestieri, in Riv. Scienze Preist., III, 1948, p. 144 ss.; id., in Boll. d'Arte, IV, 1948, p. 339 ss.; id., in Rend. Acc. di Napoli, loc. cit., id., in Arch. Class., I, 1949, p. 117 ss., tav. 28 e ibid., V, 1953, p. 239 ss.; J. D. Beazley, Black-fig., pp. 212, n. 7; 349, n. 2; R. Naumann-B. Neutsch, Palinuro, in Röm. Mitt., Erg. Hefte, 3° e 4°, 1958, e 1960.