PALIO (dal latino pallium "mantello"; v. pallio)
L'uso di porre come premio di gare, specie equestri, un drappo di stoffa preziosa (pallio) fu seguito, nel Medioevo e oltre, in molte città italiane.
Un documento duecentesco (Breviarium Hist. Pisanae), riportato dal Muratori, c'informa di un "cursus nostris honorabilis palii factus ab equis" nel 1264. Negli statuti ferraresi sino dal 1279 si registra una deliberazione "ut in festo Beati Georgii equi currant ad pallium et porchettam et gallum". Gli statuti vercellesi (I, fol. 17) recano: "Ordinatum est quod unum palium sive bravium sufficiens et idoneum, et omnia alia pertinentia dicto palio, ementur per Commune Vercellarum ad quod in honorem festi B. Eusebii curratur". Dante (Inf., XV, 122-23) ricorda coloro "che corrono a Verona il drappo verde - per la campagna", alludendo alle gare di corsa che si disputavano alle porte della città la prima domenica di quaresima e che avevano come premio un "pallio" di stoffa verde. A Firenze il "palio di S. Dionigi" fu istituito ai primi del Quattrocento, allorché i Fiorentini entrarono in Pisa, e si corse per varî anni il 9 ottobre, sostituito poi da una giostra in piazza Santa Croce. Anche le corse romane dei barberi, che ebbero grande favore sopra tutto nel Cinquecento, avevano come premio varie braccia di panno prezioso. L'abbondanza dei palî nelle varie città italiane è testimoniata, fra l'altro, da un anonimo poemetto fiorentino dei primi del Quattrocento, in cui il verseggiatore scrive: "... c'è poche giostre e palii assai". La loro storia, in genere, s'identifica con quella delle feste e dell'ippica.
Il palio di Siena. - Ha ancora oggi importanza nazionale e internazionale: si disputa il 2 luglio e il 16 agosto di ogni anno.
Le origini di questa corsa tradizionale sono da rintracciare nelle gare e certami d'ogni specie che si svolgevano in Siena fino dal Duecento, e a cui parteciparono poi le rappresentanze delle varie "contrade" cittadine. Queste consociazioni popolari (da non confondersi con le "compagnie militari" della Repubblica, che già esistevano ai primi del sec. XIV) sorgono intorno al 1450, coesistono con le milizie cittadine, e quando queste scompaiono per la venuta del principato, ne ereditano lo spirito combattivo e animoso. Subito si distinguono mediante nomi, emblemi e insegne; e i loro appartenenti si raggruppano a seconda dei rioni occupati entro la cerchia murata della città, con una delimitazione di territorio rispettivo, resa definitiva da un bando del 1729, emanato dalla principessa Violante di Baviera, che governava Siena per il granduca Cosimo III de' Medici. Il loro numero non sembra essere stato mai superiore a quello attuale di 17, salvoché non si assimilino le contrade alle anzidette compagnie militari (il che sarebbe arbitrario) o che non si considerino come vere e proprie contrade quegli sdoppiamenti provvisorî, dovuti talora a esuberanza di popolazione rionale, che comparvero saltuariamente attribuendosi nomi ed emblemi speciali, e che vennero poi eliminati. Il ricordato bando del 1729 fissa appunto anche il numero delle contrade e proibisce di raggruppare le esistenti o di crearne di nuove; esse sono: Aquila, Bruco, Chiocciola, Civetta, Drago, Giraffa, Istrice, Leocorno, Lupa, Nicchio, Oca, Onda, Pantera, Selva, Tartuca, Torre e Valdimontone (circa le contrade v. anche siena: Storia).
Siena medievale ebbe per tempo giuochi popolari e certami, quali il "giuoco dell'elmora", i "giuochi di S. Giorgio" o "iuvenali", quelli delle "spinte", dei "sassi", delle "pugna e boccate", quelli col pallone, ecc. Di corse di cavalli, in specie, si ha ricordo assai antico (1232, per quella che si correva il 15 agosto in onore di Maria Vergine Assunta, lungo le vie della città, con meta alla cattedrale). Certo già nel 1482 le contrade parteciparono a un palio, effettuato però fuori dello storico Campo. A ogni modo sino dal 1499 esse presero parte alle "cacce" dei tori, già praticate in varie città italiane e tornate di moda appunto verso la fine del sec. XV; a queste successero (l'ultima è del 1597) quelle che furono chiamate "corse" o "palî" con le bufale ("bufalate"); in occasione di esse (la prima fu corsa quasi sicuramente nel 1599) s'introdusse l'uso di porre come premio non più individuale, bensì alla contrada vincitrice, un "pallio" di ricca stoffa. Infine le "bufalate" (e le "asinate" che ebbero anch'esse per alcuni anni qualche successo) vennero definitivamente abbandonate (1650) e ad esse subentrarono nel favore del popolo le corse con i cavalli, sempre nel Campo, la prima delle quali si disputò con ogni probabilità il 20 ottobre 1632, in presenza del granduca di Toscana, Ferdinando II de' Medici, e che fu vinta dalla contrada della Tartuca.
La vera organizzazione si ebbe però solo nel 1656, anno in cui venne fissata stabilmente la data del 2 luglio (festa della Madonna di Provenzano), per la corsa del palio, che prima si disputava solo occasionalmente. Si diede così al palio un carattere permanente e s'iniziò una tradizione che tuttora perdura, senza avere mai subito interruzioni. Il primo palio può dunque considerarsi quello del 2 luglio 1656, che fu vinto dalla contrada della Torre.
Tre anni dopo, vista la stabilità dell'istituzione, la direzione del palio fu avocata dall'"Ufficio di biccherna" (una magistratura di origine medievale che curava l'organizzazione delle feste cittadine), ed è poi rimasta sempre di spettanza dell'autorità comunale. Nel 1701, per iniziativa della contrada dell'Oca, fu deliberato di ripetere il palio il 16 agosto d'ogni anno per la festività dell'Assunzione. Il palio è stato talvolta corso in via straordinaria fuori delle date anzidette, per celebrare avvenimenti di speciale importanza o per onorare insigni personaggi, conservandosene inalterate le modalità. Premio di ogni palio è un drappellone di seta dipinta, recante l'immagine della Madonna, gli stemmi della città e talvolta allegorie commemorative. Il drappellone (che ricorda l'antico "pallio ") rimane in proprietà della contrada vincitrice, che lo conserva nella propria sede; esso nel giorno precedente la corsa viene portato solennemente nel tempio, dove si celebra la festa religiosa, e vi rimane nella mattina, durante i riti liturgici, presso l'altar maggiore a titolo di consacrazione.
Un complicato sistema di regole e d'attribuzioni regge tuttora la corsa del palio, e non sarebbe possibile riassumerlo compiutamente. La designazione delle contrade, che di volta in volta vi partecipano, avviene per sorteggio, poiché sin dal 1720 si stabilî che alla corsa non potessero partecipare, ogni volta, più di dieci contrade: si estraggono perciò a sorte tre contrade dell'anno precedente, e vi si aggiungono le sette precedentemente escluse.
La preparazione dello spettacolo si compie nei 3 giorni precedenti quello del palio, e comprende l'assegnazione ad ogni contrada del cavallo corridore (barbero) da parte del comune in seguito a sorteggio, la scelta del cavalcante (fantino) facoltativa per la contrada, le prove per saggiare l'abilità del "barbero" e e adattarlo alle gravi difficoltà della pista, approntata nel Campo. Questi preliminari dispongono gli animi dei contradaioli ad una sempre più veemente passione agonistica, che culmina nel giorno della corsa definitiva. Le contrade si presentano al palio con le proprie "comparse" i cui figuranti non sono elementi coreografici, ma espressioni reali della vita contradaiola; essi indossano fastosi costumi medievali con le armi e i vessilli policromi, che individuano ciascuna contrada. Tutte le comparse s'uniscono alle rappresentanze dell'antico comune in un corteo, che si divide in quattro parti, con questo ordine: 1ª parte: mazzieri di palazzo, vessillifero del comune con palafreniere; trombettieri con chiarine d'argento e musici di palazzo (è comunemente nota la caratteristica "marcia del palio"); vessilliferi delle città, potesterie e vicariati dell'antico stato senese; capitano del popolo con paggio e palafreniere; sei centurioni dei terzieri della città e delle masse a cavallo; 2ª parte: comparse delle 10 contrade partecipanti alla corsa; per ognuna un tamburino, due alfieri "giuocatori di bandiera", capitano o "duce" con due uomini d'arme e due paggi, paggio porta-insegna, o "figurino maggiore", fantino sul cavallo di parata, o "soprallasso", con palafreniere, o "barbaresco"; 3ª parte: dodici paggi del comune recanti festoni d'alloro; comparse delle 7 contrade rimaste escluse dalla corsa, senza fantino e senza barbero; otto vessilliferi delle corporazioni delle arti maggiori; 4ª parte: capitano di giustizia con palafreniere; sei cavalieri rappresentanti le contrade non più esistenti (Gallo, Leone, Orso, Quercia, Spadaforte e Vipera); carro del trionfo tirato da buoi (recante lo stendardo del comune, balzana bianca e nera), il drappellone del palio, la campana delle armi ("martinella"), i provveditori della "biccherna", e i trombettieri di palazzo; armigeri del comune.
Il numeroso corteggio si svolge solennemente nella pista e i partecipanti si riuniscono ai piedi del Palazzo pubblico. Nel concavo della piazza e d'intorno si raccoglie la folla. Terminato il giro, i corridori, muniti ciascuno di un indurito tendine di bue ("nerbo"), s'appressano alla fune tesa ("canapo") nell'ordine di un sorteggio, compiuto dal podestà e tenuto segreto fino a quel momento, e si lanciano alla carriera appena la fune si abbassa. Dopo tre giri di aspra contesa, la contrada, il cui corridore giunge per primo al segno della vincita, riceve il drappellone della vittoria, che reca in giocondo tripudio alla sua sede, ove si fa gran festa tra luminarie e canti di gioia.
Il palio di Ferrara. - Nel 1933, per le feste del centenario ariostesco, fu ripristinato a Ferrara il "palio di S. Giorgio", più sopra menzionato. La prima deliberazione del 1279 fu confermata nelle successive edizioni (1476, 1567) dello statuto ferrarese; il palio era corso da cavalli (dal 1476 in poi anche da asini, da uomini e da donne), in giorno festivo, partendosi dalla contrada della Pioppa (attuale Borgo di Quacchio) per giungere a Castel Tedaldo (circa all'altezza dell'odierno rione Giardino). La corsa avveniva di regola tre volte l'anno, e i premî erano, come è detto nello statuto, un palio (per il vincitore), una porchetta (per il secondo) e un gallo (per il terzo arrivato).
Sospeso quasi completamente dal Settecento in poi, il palio di San Giorgio, nella sua nuova edizione, ha avuto notevole successo; lo si corre nel giugno d'ogni anno e vi partecipano i quattro rioni e i quattro borghi in cui è ripartita la città.
Ognuno degli otto gruppi è rappresentato da un "massaro", un "giudice di campo", due vessilliferi, due tamburini e due trombettieri, almeno dodici fanti, due barbareschi per il palio dei cavalli, due staffieri per quello degli asini, due uomini per il palio dei fanti, due ragazzi inferiori ai 14 anni per il palio dei putti, cinque palafrenieri. Il comune di Ferrara è rappresentato dal "giudice della Massaria", seguito da due scudieri; dal "notaro della Massaria", assistito da due cancellieri; da due araldi, otto battistrada a cavallo, gonfaloniere, quattro valletti, carroccio con il Palio di S. Giorgio e i quattro paliotti (della Madonna, di S. Filippo, di S. Rocco e di S. Maurelio), destinati ai vincitori delle singole gare, e rappresentanti delle terre e castelli già soggetti agli Estensi. I costumi sono quelli quattrocenteschi.
(V. tavv. XXIX e XXX).
Altri palî sono stati di recente ripristinati in varie città italiane: così ad Asti, ad Arezzo ("giostra del saracino"), Venezia (regate con le gondole), a Livorno ("palio marinaro"), ecc.